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SETTE FIGLI SU DIECI A CASA FINO A QUARANT'ANNI: BAMBOCCIONI O ALTRO?


Aveva fatto scalpore, a suo tempo quella dichiarazione del ministro dell'Economia del governo Prodi Tommaso Padoa-Schioppa, il quale aveva definito i ragazzi italiani come "bamboccioni" che non vogliono "uscire di casa". Eppure secondi i dati dell'Istat il 72, 8 per cento dei ragazzi è rimasto coi genitori. Aveva ragione l'ex ministro o c'è dell'altro? Il Corriere della Sera di martedì 29 dicembre 2009 dedica un'intera pagina alla questione, in un articolo di Giovanna Cavalli. L'Istat ha condotto l'indagine a due riprese, prima nel 2003 e poi, per controllo, nel 2007, su 10 mila figlio tra i 18 e  39 anni. Il 72, 8 per cento è rimasto a casa e solo il 20, è andato a vivere da solo. Tra i cento che al primo scrutinio hanno manifestato la volontà di andarsene, solo la metà (53,4%) si è effettivamente staccato dalla famiglia. Tra gli incerti nemmeno uno su quattro ha fatto il grande passo. I più restii a lasciare la casa paterna sono i maschi, ed è più diffuso al Mezzogiorno. Secondo gli esperti di statistica "la permanenza dei giovani in famiglia è uno dei principali problemi del Paese". Allora gli italiani sono davvero bamboccioni? A favore di questa tesi si schiera Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia all'Università di Padova. Secondo il professore vi sono resistenze culturali molto forti. In effetti in Italia la famiglia ha rivestito storicamente un ruolo fondamentale. Storicamente la storia italiana è costellata di grandi famiglie che hanno segnato profondamente la storia d'Italia, che spesso è stata fatta di vere e proprie lotte tra famiglie più che tra individualità (i Medici contro i Pazzi a Firenze, gli Sforza contro i Visconti a Milano, i Doria, i Fieschi e i Fregoso a Genova e poi i Della Rovere, i Colonna, i Farnese a Roma) fino ad arrivare alla famiglia di stampo mafioso, che è lo stereotipo reso nosto dal romannzo di Mario Puzo The Godfather e dal film che Coppola ne trasse. Le origini italiane di Napoleone risultano evidentissime dal suo rapporto coi fratelli (cui diede i regni da lui conquistati) e con sua madre Letizia, che ebbe il titolo di Madame Mère. Spiega Dalla Zuanna che negli Stati Uniti i ragazzi escono di casa attorno ai vent'anni, e tornano in famiglia solo per festeggiare il giorno del Ringraziamento. Però c'è anche un lato positivo della medaglia: gli anziani italiani in casa di riposo sonoun terzo rispetto ai loro coetaei inglesi e olandesi. Il drammatico fenomeno dell'abbandono degli anziani, che si sta cominciando a sentire nelle "capitali morali" italiane come Milano, è ancora abbastanza circoscritto. Un terzo dei bambini viene accudito dai nonni: la funzione di "nonno" è ancora molto importante. Però, oltre al retroterra culturale, sicuramente importante. Vi sono anche altre ragioni. La comodità. Giovanna Cavalli intervista alcuni uomini che tirano fuori il loro motivo principale: la comodità.  Luca Pagano, 31 anni, campione di Texas hold' em, lo ammette candidamente: "Ovvio che mi fa comodo rientrare a Treviso da mamma: lava e stira". Flavio Insinna, 44 anni, invece dice chiaramente che da mamma e papà sta bene: "Non sto parcheggiato controvoglia, è che io con mamma e papà ci sto proprio bene". E poi "Mi stupisco  che vi sembri strano, non è che mi sono accampato nell'ingresso di due estranei. Sicuramente la mia passione per il lavoro ha stritolato certi amori". La dichiarazione di Insinna è indice di u'altra motivazione che sta alla base del fenomeno "bamboccioni": l'immaturità affettiva. Il matrimonio è la motivazione più comune (43,7%) di cambio di residenza. Sembra che molti ragazzi italiani si rifiutino di crescere: non c'è solo la paura di lasciare casa, c'è anche quella di impegnarsi con un'altra persona. Il matrimonio (oggi il discorso può essere allargato alla convivenza) è, per eccellenza, il rito di passaggio all'età adulta. E molti sembrano averne paura.Sicuramente anche il problema lavoro non è da trascurare. Certo, ci sono ragazzi parcheggiati a casa che prima si sono fatti mantenere l'appartamento durante il periodo universitario. Si può uscire di casa anche con l'aiuto dei genitori: e proprio l'importanza culturale della famiglia nel nostro Paese può essere d'aiuto: i giovani italiani non sarebbero abbandonati come i loro coetanei nordici. Inoltre, sempre Dalla Zuanna rimarca come una "ricerca di Aassve e colleghi mostra che i ragazzi scandinavi, nei primi anni vissuti 'fuori dal nido', subiscono una drammatica caduta di reddito e di tenore di vita. Ma escono lo stesso a 20 anni. In Australia lo Stato è molto generoso con tutti i giovani che vogliono uscire di casa, con apparatamenti a fitto agevolato e borse di studio. Ma i figli degli immigrati italiani e greci che vivono in Australia escono di casa 3-4 anni dopo rispetto ai compagni di scuola di origine tedesca, olandese o inglese". Il problema lavoro spesso è un alibi per bamboccioni che vogliono restare a casa e che non vogliono maturare anche affettivamente (anche se oramai all'affetto si dà poca importanza in questa società dove tutti sono "carrieristi" al limite della vanagloria). Ma anche il sistema Italia ha le sue colpe:è evidentemente un sistema gerontocratico. Il precariato è una piaga oramai talmente endemica da portare persino l'attuale ministro per l'Economia Giulio Tremonti a tessere l'elogio del posto fisso. La generazione "mille euro" non è certo tra le piùagevolate ad uscire di casa, tenendo conto che lo stato sociale italiano non è dei migliori (e quel poco che c'è risale a Mussolini) tanto da spingere anche il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi a invocare nuovi ammortizzatori. Se Dalla Zuanna sostiene che in Australia gli italiani escono mediamente di casa 3-4 anni dopo tedeschi, inglesi e olandesi, lascia notare come comunque escano. Da noi non escono, anche per problemi sociali. L'attaccamento italiano alla famiglia non è del tutto negativo. Come ho già scritto evita l'abbandono degli anziani. Ma una volta i ragazzi uscivano di casa restando comunque legati alla famiglia d'origine. Bisognerebbe non cadere nei due estremi: il modello iperindividualista anglosassone e la degenerazione del modello familiare italiano. I ragazzi italiani hanno bisogno di maturare, soprattutto dal punto di vista affettiva prima ancora che da quello pratico del "mi preaparo da mangiare e non porto la biancheria da mammà". Sicuramente culturalmente l'Italia non è pronta per un modello come quello anglosassone: le nostre radici, checché se ne dica, le sentiamo molto forti. Ma le condizioni per un giovane italiano che voglia uscire di casa sono comunque pessime. Un Paese come l'Australia aiuta molto di più i suoi figli. Ma anche la Francia è sicuramente un Paese meno gerontocratico dell'Italia. Affrontare questo problema significa affrontare uno dei nodi cruciali del nostro futuro. - Andrea Sartori - donboscoland -