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BIOTESTAMENTO & COMPANY: NEL 2010 RIPARTIAMO DAL MESSAGGIO DI PATRIZIA


Testamenti biologici, eutanasia, fine vita: tempo pochi giorni e si tornerà a discutere su questi argomenti. A Roma, alla Camera, si dovrà licenziare il disegno di legge già passato al Senato; a Bologna e un po’ in tutta Italia i politici locali continueranno a litigare sull’istituzione dei simbolici registri comunali dei testamenti biologici: il 9 febbraio si celebrerà il primo anniversario della morte di Eluana Englaro e, neanche dieci giorni dopo, Povia canterà a Sanremo la straziante storia della ragazza che ha spaccato l’Italia. Ci si dividerà anche al festival, vedrete. Oggi proviamo fornirvi un approccio diverso a questi temi: un’esperienza più che un ragionamento. Un’esperienza che qualche giorno fa mi ha ‘scritto’ con il battito degli occhi (è l’unico modo che ha per comunicare) un’ amica romagnola: si chiama Patrizia Donati, ha 52 anni e 17 anni fa è stata colpita da un ictus. Da allora è immobile, non parla, dipende da tutto e da tutti. E’ ospite della Casa della Carità di Bertinoro.«Tanti anni fa, quando stavo ancora bene, se avessi pensato di trovarmi nella situazione di oggi avrei probabilmente sostenuto che era meglio non vivere e porre fine a un’esistenza che, agli occhi del mondo, sembra non avere senso. Oggi credo che, fino a quando ci sono persone disposte a volermi bene e a ‘curare’ con amore le mie disabilità, io possa vivere, e proprio perché mi trovo in una situazione così precaria, sento di amare la vita più di prima. Il valore della vita si scopre nelle piccole cose che ci vengono date ogni giorno, nelle persone amiche che non ci abbandonano».Patrizia lancia una sfida che, visti i tempi, è in qualche modo rivoluzionaria. E che magari sottintende anche un nuovo modo di interpretare l’esistenza, il suo significato, il concetto stesso di libertà; per i disabili, certo, ma un po’ anche per noi ’sani’. Forse libertà vera non è solo il diritto di ‘spegnere la luce’ quando non ce la si fa più: forse libertà vera vuol dire aiutare chi soffre a ritrovare una strada per ridare un senso a tutto. E una strada c’è sempre, può esserci sempre. Ce lo insegna Patrizia: nel suo dolore, nel suo mistero, nel suo grido di speranza. Con la sua — sì, diciamolo senza paura — vita. Vita piena e vera. - Pandolfi, Massimo - culturacattolica -