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LA TRATTA DELLE SPOSE-BAMBINE: ALLARME NEL SUD DEL MESSICO


Guadalupe aveva 17 anni quando suo padre, dieci an­ni fa, le ordinò di sposarsi con Manuel. La ragazza non l’aveva mai visto ma non poteva rifiutarsi: l’uomo – di quindici anni più vec­chio – aveva offerto per lei settemi­la pesos (poco meno di 550 dollar i). A Santa Maria de Asuncion – un mi­nuscolo Paese sperduto nella regio­ne di Oaxaca, nel Sud del Messico –, dove Guadalupe è nata, la “com­pravendita” delle donne è un’usan­za diffusa. Qui – come nei vicini Sta- ti di Chiapas, Guerrero, Veracruz, Ta­basco, Campeche – dove l’80 per cento della popolazione è india, la gran parte dei matrimoni è combi­nata da parenti e capi-villaggio. U­na tradizione antica: secondo le leg­gi indigene, sono i familiari della ra­gazza a scegliere il marito adatto a lei. Quest’ultimo deve “guadagnar­si” il consenso con un’offerta. Che, per secoli, è stata simbolica: sacchi di grano, sementi, un capo di be­stiame. Negli ultimi anni, però, la “dote” si è trasformata in un vero e proprio prezzo, fissato in dollari. A pagarlo, sempre più spesso come hanno dimostrato recenti indagini della Procura generale, non sono a­spiranti fidanzati ma i “mercanti di donne”. Trafficanti senza scrupoli che si recano nelle zone più povere del Messico – il Chiapas è al secon­do posto nella classifica nazionale delle regioni più emarginate – alla caccia di ragazze da “acquistare” e rivendere nel mercato della prosti­tuzione, della pornografia o del la­voro clandestino. In altri parti del Messico o all’estero, soprattutto ne­gli Stati Uniti. I malviventi pagano circa 2. 300 dollari. Ma il costo varia in relazione all’età della giovane. Per una bambina di 12 anni – rivelano le inchieste –, sono disposti a sbor­sarne anche 6mila. Per le famiglie, questo denaro è l’unica speranza di sopravvivere, come ha sottolineato il Centro per i diritti umani Tlachi­nollan. Nel 2009, l’Istituto naziona­le delle donne (Inmujeres) ha de­nunciato che varie bambine di Oaxaca, Guerrero e Chiapas sono state «acquistate da famiglie bene­stanti della capitale» come “came­riere”. «È una forma di schiavitù – ha di­chiarato la direttrice dell’organizza­zione Rocio Gaytan –. È una vergo­gna che si ritorni a pratiche di que­sto tipo». Altre, invece, vengono por­tate dai presunti mariti nei postri­boli di Tijuana e Juarez o, attraverso il deserto di Sonora, in quelli degli Stati Uniti. Non esistono cifre uffi­ciali del fenomeno. Secondo un re­cente rapporto dell’Ong “Coalizio­ne contro il traffico di donne” ben cinque milioni di ragazze dell’Ame­rica Latina sarebbero vittime di trat­ta. Un decimo sarebbero messica­ne. Un affare miliardario – da 7 a 12mila milioni di dollari in base ai dati dell’ufficio Onu per la preven­zione della delinquenza, Unadoc – per le bande criminali. Il governo messicano sta cercando di intensi­ficare i controlli nelle aree “a rischio” per fermare la compravendita di donne. Un compito non facile perché il fe­nomeno è radicato nella cultura lo­cale. Lo Stato, però, non rinuncia a combatterla. A Oaxaca, per esem­pio, l’Istituto per la donna ha co­minciato una campagna per rende­re le ragazze consapevoli del loro di­ritto a scegliersi il marito. E per con­vincere le famiglie a non vendere le figlie agli sconosciuti. La strada da fare è ancora lunga. - Lucia Capuzzi - Avvenire -