ASCOLTA TUA MADRE

DON BOSCO ANCORA OGGI CI DICE....


Spesso ci si chiede: cosa farebbe san Giovanni Bosco per i ragazzi e i giovani di oggi che spesso sono e si sentono soli ed abbandonati, cosa gli direbbe, quali consigli darebbe a loro e anche agli adulti che li seguono e li accompagnano? Ripensando alla vita di questo grande santo, a ciò che ha fatto per i giovani e i ragazzi che ha incontrato penso che li inviterebbe prima di tutto a credere nelle proprie capacità, ad avere fiducia in sé stessi e cura della propria persona e della propria anima. Egli ci insegna che ogni ragazzo sa sognare in grande, è capace di  grandi cose l’importante, però, è che possa incontrare adulti ed educatori che lo sostengano nella vita e nelle scelte quotidiane, che gli diano fiducia e lo aiutino a sperare e a credere nelle persone che lo circondano. Don Bosco è vissuto in un’epoca molto diversa ma, contemporaneamente, anche molto simile a quella in cui viviamo noi oggi. Sicuramente, in quegli anni, non c’erano le possibilità economiche e le comodità che ci sono oggi, alcune grandi e importanti scoperte ed invenzioni dovevano essere ancora fatte; molto forte, oltre alla povertà materiale, era la povertà morale e la fragilità in cui viveva la gente e, di conseguenza, anche i ragazzi e i giovani non ne erano esenti. Si ritrovavano spesso a dover vivere per strada, abbandonati dalla famiglia, senza punti di riferimento e valori in cui credere e su cui fondare la propria esistenza. Ma don Bosco, diversamente da ciò che faceva la maggior parte degli adulti, voleva bene ad ogni ragazzo ricercando il “bene personale” di ognuno. Non ha mai chiesto a nessuno di essere una persona diversa da ciò che era anche se chiedeva, a tutti coloro che incontrava, l’impegno nel compiere un cammino personale. Sapeva parlare al cuore di ciascuno in maniera personale, perchè in tal modo raggiungeva ciò che occupava la mente dei ragazzi, svelava la porta degli avvenimenti della loro vita, faceva loro comprendere il valore dei comportamenti e dei sentimenti, toccando la profondità della coscienza. E così ad un giovane trovava il lavoro, ad un altro dava sostegno nello studio, ad altri dava da dormire e da mangiare, ad un altro la preparazione per incontrare Gesù nella Prima Comunione e crescere in un cammino di fede. C’è una frase che don Bosco ripeteva sempre ai suoi giovani: “Desidero vedervi felici nel tempo e nella eternità”. Ecco, allora, quello che Don Bosco ripete ancora oggi ai ragazzi e ai giovani: voglio che voi siate persone felici e realizzate, contente di ciò che siete perché ognuno è unico e irripetibile perché amato e voluto prima di tutto da Dio. Ma perché ogni ragazzo e ogni giovane possa diventare una persona pienamente realizzata  è necessario che incontri, nel suo cammino, adulti ed educatori che lo amano e rispettano per ciò che è, che sappiano valorizzare la sua originalità senza pretendere di rendere tutti uguali, gli adulti devono maturare la consapevolezza che ogni ragazzo è dono e opera di Dio. Una comunità che si ponga come priorità questo rispetto dei giovani  può trovare in Don Bosco un’ottima guida. A volte parlando con alcuni adulti, anche nelle nostre comunità cristiane, è facile trovare persone che hanno un’idea negativa dei ragazzi e con facilità li giudicano e li criticano. E’ importante, allora, riacquistare fiducia e speranza nei giovani proprio come ha saputo fare Don Bosco che ripeteva sempre “In ognuno di questi ragazzi, anche il più disgraziato, v'è un punto accessibile al bene. Compito di un educatore è trovare quella corda sensibile e farla vibrare”, saper guardare a loro in modo positivo e propositivo. E’ necessario, quindi, che ci  siano adulti disposti a dialogare e a condividere tra loro per riuscire ad elaborare proposte valide che diano la possibilità  ai ragazzi di esprimersi senza paura di essere etichettati o giudicati. C’è bisogno di adulti che siano disposti a perdere tempo per stare con i ragazzi perchè, come consigliava Don Bosco, essere tra loro è uno dei metodi più efficaci per imparare a conoscerli e farsi conoscere da loro. Don Bosco, con i suoi collaboratori, insisteva e ribadiva continuamente l’importanza dello stare tra i ragazzi per riuscire a trovare “la parola giusta al momento opportuno” per ogni ragazzo che lui chiamava “la parolina all’orecchio”. E’ necessario che il mondo degli adulti riacquisti fiducia e speranza nei ragazzi e nei giovani ma è solo conoscendoli, dialogando con loro che questo può avvenire. La pedagogia e lo stile educativo di Don Bosco sono riassunti nel suo Sistema Preventivo che ha come pilastri la ragione, la religione l’amorevolezza e ci invita a guardare al giovane in tutta la sua interezza senza dimenticare nessuna dimensione della persona, con ottimismo e simpatia  e con un atteggiamento di grande rispetto e comprensione. Il ragazzo non solo deve essere amato deve sentire di essere amato da chi gli è vicino. Solo così si potranno creare le condizioni perché il giovane cresca in modo sereno ed equilibrato. (...) ’è poco da dire sulla difficoltà di educare, sull’emergenza educativa che sentiamo così preoccupante: dobbiamo tornare ad ascoltare, a mettere al centro del compito educativo il dialogo con i nostri ragazzi. Non si tratta di creare nuove scuole di pedagogia o di strutturare nuovi corsi: solo l’ascolto paziente e serio può fare spazio al dialogo educativo. Perché in realtà non è che manchino le domande, anzi la risposta alle domande dei ragazzi, forse arroganti e pretestuose, spesso inespresse ma esigenti, rimane l’unica possibilità di educare. Ascoltare la domanda di felicità, ma anche la domanda di proposte alte, di sfide esigenti. Quello che ci mette in difficoltà è che devono essere proposte sfide che vengono da adulti credibili. C’è bisogno di padri che accolgono e sanno con fiducia spingere a navigare il mare aperto, non di padri capaci solo di consolare. Don Bosco fu così: un padre amorevole, ma anche esigente, capace di tenerezza ma ricco di proposte entusiasmanti e coinvolgenti, al limite delle temerarietà. Ma per educare dobbiamo diventare casa e famiglia per chi non ne ha. O ne ha troppo poca, come tanti ragazzi anche oggi. Una sera di maggio. Piove a catinelle. Don Bosco e sua madre hanno appena terminato la cena, quando qualcuno bussa al portone. È un ragazzo bagnato e intirizzito, sui 15 anni.“Sono orfano. Vengo dalla Valsesia. Faccio il muratore, ma non ho ancora trovato lavoro. Ho freddo e non so dove andare”...“Entra - gli dice don Bosco -. Mettiti vicino al fuoco, che così bagnato ti prenderai un accidente”.Mamma Margherita gli prepara un po’ di cena. Poi gli domanda:“E adesso, dove andrai?”.“Non lo so. Avevo tre lire quando sono arrivato a Torino, ma le ho spese tutte”. Silenziosamente si mette a piangere . “Per favore, non mandatemi via” .Margherita pensa alle coperte che hanno preso il volo.“Potrei anche tenerti, ma chi mi garantisce che non mi porterai via le pentole?”.“Oh no, signora. Sono povero, ma non ho mai rubato”.Don Bosco è già uscito sotto la pioggia a raccogliere alcuni mattoni. Li porta dentro e fa quattro colonnine su cui distende alcune assi. Poi va a togliere dal suo letto il pagliericcio e lo mette lì sopra. “Dormirai qui, caro. E rimarrai finché ne avrai bisogno. Don Bosco non ti manderà mai via”. La sua buona madre lo invitò a recitare le preghiere. “Non le so”, rispose. “Le reciterai con noi” gli disse. E così fu. Di poi gli fece un sermoncino sulla necessità del lavoro, della fedeltà e della religione. Era il primo orfano che entrava nella casa di don Bosco. Alla fine dell’anno saranno sette. Diventeranno migliaia. Il secondo fu un ragazzo dodicenne “di famiglia civile”. Don Bosco lo incontrò sul viale San Massimo (oggi corso Regina Margherita). Piangeva con la testa appoggiata a un olmo. Non aveva più padre. La madre gli era morta il giorno prima, e il padrone di casa l’aveva messo fuori, prendendosi le masserizie per rifarsi del fitto non pagato. Don Bosco lo condusse da mamma Margherita e gli trovò un posto presso un negozio come commesso. Riuscì a farsi una buona posizione, e rimase sempre amico del suo benefattore. L’imbroglio della nostra coscienza è credere che queste siano storie di ieri. E invece sono le storie di oggi, di casa nostra e di lontano. Volere bene a don Bosco, celebrarne la memoria non è allora fare feste e scrivere libri, cose pur buone e necessarie. Celebrare davvero don Bosco è riproporlo vivo oggi, con l’impegno di chi sapendo di essere stato amato diventa capace di amare. A voi tutti cari amici che in ogni angolo del mondo siete capaci di ascoltare e consolare il pianto di tanti “piccoli”, a voi che avete il coraggio di entusiasmare alla vita chi pensava di averne perduto ogni motivo, a voi che in carcere date coraggio a chi si sta ricostruendo un significato, a voi che in comunità e in case famiglia fate sentire il calore rigenerante di avere un padre e una madre a voi che nei centri diurni insegnate la gioia del lavoro quotidiano e dello stare insieme, a voi che nel freddo di città sempre meno accoglienti insegnate la gioia di essere cittadini, a voi tutti: buona festa di don Bosco: nei vostri occhi ritroviamo il suo sguardo. Che è quello di Dio. - donboscoland -