ASCOLTA TUA MADRE

PER EMMA BONINO E' QUESTIONE DI COERENZA


Infuria la polemica sulla fotografia d’antan che ritrae Emma Bonino, improbabile ostetrica, nell’atto di praticare un aborto con una pompa per bicicletta. La foto è autentica, e quella con il camice bianco è proprio la candidata radicale alla presidenza della regione Lazio, appoggiata anche dal Partito Democratico che, per bocca del suo segretario, l’ha definita una «fuoriclasse». La vicenda mi ha rinverdito reminiscenze liceali. A metà degli anni settanta nelle scuole italiane era calata la cappa plumbea dell’ideologia, che portò, tra l’altro, anche all’esplosione del tragico fenomeno della lotta armata. Divorzio e aborto furono un vero e proprio spartiacque culturale fra due diverse concezioni antropologiche. Soprattutto sull’aborto, poi, lo scontro divenne feroce, perché tutti comprendevano quale fosse la vera posta in gioco. Fu in quel clima di antagonismo perenne (io vestivo allora i panni dell’oscurantista clericale), che un giorno una mia compagna di classe radicale, M.F., durante uno dei nostri consueti match verbali, mi parlo di un’eroina – tale Emma Bonino – che praticava aborti utilizzando una pompa per bicicletta con la valvola rovesciata. Mi sembrò una macabra boutade, una tipica provocazione radicale di cattivo gusto. Verificai, invece, che era drammaticamente vero. Emma Bonino era stata una cofondatrice (1973) del CISA, il Centro d'Informazione sulla Sterilizzazione e sull'Aborto, che era, formalmente, un’associazione con lo scopo di fornire informazione e assistenza su contraccezione, sterilizzazione e aborto. In realtà si trattava di un vero e proprio abortificio artigianale. La sede del CISA era quella storica del Partito Radicale a Milano, in Corso di Porta Vigentina. Anche la storia della pompa era vera. Si trattava, come verificai, di un adattamento grossolano del cosiddetto metodo Karman, consistente nell'introdurre nell’utero della donna un tubo di gomma collegato, appunto, ad una pompa che procedeva all’aspirazione dell’embrione. L’istantanea che ritrae Emma Bonino mostra i rudimentali attrezzi chirurgici utilizzati per interrompere la gravidanza: una pompa per bicicletta, un dilatatore di plastica e un vaso dentro cui doveva finire “il contenuto” dell’utero. Tragici sono i dati dell’esperienza legata a quell’opificio di morte sans façon. E’ la stessa Emma Bonino, in un’intervista al settimanale “Oggi” del 29 luglio 1976, ad elencare la macabra conta: «Tra il febbraio e la fine di dicembre del 1975, gli interventi per aborto del CISA sono stati 10.141». In quella stessa intervista pubblicata da Oggi nel 1975, l’attuale candidata alla presidenza della regione Lazio spiegava nel dettaglio come “operava”: «Prima di tutto, occorre un vaso, ermeticamente chiuso, dove si crea il vuoto e dove finisce il contenuto dell'utero che viene aspirato con la cannula. Io uso un barattolo da un chilo che aveva contenuto marmellata. Il barattolo viene chiuso con un tappo di gomma che ha tre fori. Da un buco parte il tubo di gomma in cui si inserisce il gommino della pompa da bicicletta (con la valvola interna rovesciata per aspirare aria anziché immetterla); dal secondo buco parte il tubo di gomma in cui si inserisce la cannula Karman; nel terzo buco si mette il manometro, per controllare la pressione che si crea nel vaso con la pompa». E’ vero, parliamo di trentacinque anni fa, ma il dato oggi interessante è che Emma Bonino si riconosce pienamente in quella drammatica fotografia. Bisogna dare atto che lei non è stata neppure sfiorata dall’idea di una smentita o di un ripensamento. In questo ha certamente dimostrato più dignità rispetto all’atteggiamento ipocrita e patetico di Dario Fo di fronte alla fotografia, pubblicata dal settimanale Gente il 4 marzo 1978, in cui il Premio Nobel veniva ritratto con la divisa da parà repubblichino. Per la Bonino gli aborti che ha personalmente praticato facevano parte di una battaglia politica e culturale per la difesa dei “diritti civili”. Non solo non li disconosce ma, sono certo, sarebbe pronta domani stesso a rivestire i panni dell’ostetrica se in Italia si dovesse riproporre lo scenario di trent’anni fa. In questo non assomiglia per nulla al suo celebre compaesano cuneese, il guru comunista Giorgio Bocca, e non mostra certo le medesime reazioni che il maître à penser della sinistra chic usualmente esterna quando gli rinfacciano le sue farneticazioni antisemite scritte, nell’agosto del 1942, sul «Foglio d’ordini settimanale della Federazione dei Fasci di Combattimento di Cuneo», e pubblicate dalla “Provincia Grande”. Errori di gioventù, si dirà. Bocca rivendica, giustamente, il diritto di poter cambiare idea. La Bonino, invece, non è cambiata e non cambia. Questa è la cifra del suo essere radicale. La sua è una coerenza adamantina. Ed è in virtù di tale coerenza che, nella malaugurata ipotesi in cui dovesse diventare Presidente della Regione Lazio, vedremo cosa sarà dei temi che da sempre ossessionano i radicali: pillola RU486, registri dei testamenti biologici, riconoscimento delle coppie omosessuali, legalizzazione delle droghe, eutanasia. Assisteremo all’orgia di una deriva zapaterista – sia pure in chiave regionale – in quello che fu l’ex Stato Pontificio? Davvero non è in discussione la granitica, tetragona coerenza di Emma Bonino. Quello su cui seriamente discutere, semmai, è la coerenza di quei cattolici che hanno deciso di votare la pasionaria radicale. La stessa Emma del CISA di Porta Vigentina. Quella che oggi non esiterebbe un solo istante a riprendere pompa, dilatatore e vaso, per sterminare altri 10.000 bambini, qualora la violenza bruta dell’ideologia glielo imponesse - Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - culturacattolica -