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SOLENNITA' DI SAN GIUSEPPE: IL SILENZIO DI FRONTE AL MISTERO


È sempre difficile parlare di qualcuno che non parla mai. San Giuseppe è il santo del silenzio; un silenzio che percepiamo leggendo i testi evangelici che lo riguardano; un silenzio che ci interpella. In che cosa consiste il silenzio di Giuseppe? Una cosa è evidente: Giuseppe vive il suo silenzio di fronte al mistero. Tace perché si trova messo a confronto con la totalità del mistero, con la totalità del mistero di Dio che si esprime nel Verbo che si fa carne, che si fa uomo, che si fa presenza; e in quel Verbo, in quella Parola, viene detto tutto, viene espresso tutto. Ma questo atteggiamento, in san Giuseppe non è soltanto una questione di parole espresse o taciute: è un atteggiamento esistenziale, l’espressione di tutta la sua persona. Di fronte alla notizia che Maria, la sua fidanzata, è incinta, Giuseppe agisce nella giustizia umana. Fa tutto ciò che un brav’uomo può e deve fare. Non capisce e decide di ritirarsi. Non ripudia pub­blicamente Maria perché è lui che si ritira, che si allontana da un mistero che non può cogliere, ma del quale avverte, nella sofferenza, la santità. È nel cuore di questo silenzio di giustizia e di dolcezza umane, nel cuore di questo silenzio di un uomo che non capisce, di un uomo che confessa il proprio limite, è nel cuore di questo silenzio che fa irruzione una Parola nuova, una Parola di Dio per lui: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Questa Parola non elimina il mistero; essa non spiega ciò che è realmente accaduto, né come, Questa Parola introduce Giuseppe nel mistero che ha già assorbito Maria. Giuseppe non si trova più di fronte al mistero: è al suo interno. Non è più come il popolo di Israele davanti alla Nube nel deserto: è dentro la Nube, come Mosè o come i tre Apostoli sul monte Tabor. Il mistero cristiano non è tanto qualcosa che non si capisce, quanto qualcosa di umanamente incomprensibile, ma che non si può più negare. Il mistero cristiano coincide con una vocazione, una vocazione che consiste nell’essere presi all’interno del mistero del Verbo di Dio che si fa carne. In questo senso Giuseppe vive un po’ la stessa esperienza della Vergine Maria. Anche Maria, dopo l’annuncio dell’angelo, prima di dire “sì”, si trova ancora al di fuori del mistero. Dopo il suo Fiat, è dentro: non potrà più negarlo, e tutta la sua vita sarà presa in questo Avvenimento e sarà determinata da esso. Anche Giuseppe, prima dell’annuncio che si rivolge a lui, è al di fuori del mistero: esita, ha paura, è sicuramente triste e angosciato. Ma, dopo l’annuncio, la sua vita si lascerà condurre docilmente dall’Avvenimento, senza paura, dolcemente, anche attraverso prove pesanti come la fuga in Egitto. Com’è possibile ciò? Come può una persona cambiare così radicalmente a livello della propria coscienza, della propria libertà, della propria fiducia? È che Maria e Giuseppe ricevono essenzialmente uno stesso annuncio, vale a dire che ciò che accade è opera dello Spirito Santo. Come se l’angelo dicesse loro: «È lo Spirito che realizza ciò che vi viene annunciato; è lo Spirito, non siete voi, che compie ciò che vi viene chiesto». Infatti, è sol­tanto grazie allo Spirito Santo che diventa possibile a degli esseri umani di entrare nel mistero del Verbo incarnato. E questa è la sostanza di ogni vocazione cristiana, della vocazione straordinaria di Maria innanzitutto, ma anche, dopo di lei e grazie a lei, di Giuseppe e di ognuno di noi. Già al momento del battesimo, per ognuno di noi lo Spirito realizza l’entrata nel mistero del Verbo incarnato che riconduce al Padre tutta l’umanità. Spesso si pensa a Giuseppe con una certa commiserazione. «Poverino, ha dovuto subire la vocazione di Maria e starsene lì, al suo fianco, a sottomettersi a un destino che non ha scelto...». Una certa iconografia favorisce questa commiserazione, presentandoci un san Giuseppe non solo anzianotto, ma anche pensieroso, o addirittura addolorato, a fianco della grotta della Natività. Invece, il Vangelo, pur nella sua sobrietà, ci mostra un san Giuseppe in pieno possesso della sua capacità di pensare, di discernere, di decidere e di agire. E dopo l’annuncio che riceve, dopo aver preso coscienza che lo Spirito Santo era all’opera, non esita più. La sua libertà è in perfetta azione di fronte alle circostanze della vita, e lui si impegna a fondo in ciò che valuta essere la cosa migliore e la più giusta: decide liberamente di licenziare Maria in segreto; decide, dopo la morte di Erode, che sarebbe meglio rientrare in Galilea piuttosto che in Giudea. È un uomo libero, che usa la sua libertà. Ma sa anche che Io Spirito Santo richiede un’obbedienza che, lungi dal cancellare la sua libertà, le dà compimento in scelte di verità e di bontà che l’uomo da solo non saprebbe sostenere. La libertà di Giuseppe si esprime come quella di Abramo, così come san Paolo ce l’ha descritta nella nostra seconda lettura: «Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza». La fede che spera, la fede che crede nel presente e per il futuro, la fede come atto che si pone adesso, ma che abbraccia anche il futuro, non annulla la libertà: la vive in una relazione, la relazione con Dio. E una libertà vissuta ed esercitata all’interno di una relazione non è più una libertà che deve bastare a se stessa: vive anche di ciò che l’altro le dona. Così, una libertà che acconsente alla relazione di amore e di obbedienza nei confronti del Signore, permette un’esistenza in cui anche la libertà del Signore può esprimersi. E qual è l’espressione suprema della libertà di Dio nei confronti degli uomini se non la grazia, il dono dello Spirito Santo? Allora possiamo essere sicuri che san Giuseppe non era solo un uomo buono e generoso: era anche un uomo felice, di quella gioia dello Spirito Santo che nessuna circostanza negativa e nessun sacrificio possono sminuire. -  Lepori - donboscoland -