ASCOLTA TUA MADRE

19 APRILE 2005 - 19 APRILE 2010 - CINQUE ANNI BENEDETTI SULLA ROCCIA DELLA FEDE. IL PONTIFICATO DI BENEDETTO XVI


Cinque anni, e, nonostante la tempesta mediatica di questi tempi, ci sentiamo più sicuri. E' questa l'esperienza di cinque anni vissuti con Benedetto XVI. Sicurezza e certezza di camminare sui passi di Gesù, ben saldi nella fede capace di vincere il mondo, la fede della Chiesa. Attraverso Benedetto XVI, Gesù in persona si è fatto nostro compagno di viaggio, accanto ai nostri dubbi, agli sbandamenti, alle speranze deluse. Le ha raccolte tutte, una ad una, disperse tra i rivoli del relativismo. Ci ha preso per mano e ci ha condotti al cuore della Chiesa, il Corpo e il Sangue del nostro Salvatore. Benedetto, un Pastore secondo il cuore di Dio. Abbiamo ancora quei giorni vivi nella memoria. Impresso negli occhi è un libro chiuso. Un Vangelo afferrato dal vento, folate a voltare le pagine, un tocco, deciso, e così, in un amen, sul legno dolce di una bara, quel Libro s’è chiuso. Come la corsa terrena del Grande Papa, nella Piazza del Primo degli Apostoli, dinnanzi a milioni di uomini, testimoni dell’autenticità di quel Vangelo incarnato per lunghissimi anni in chi aveva combattuto la buona battaglia e aveva conservato la fede. Il cielo s’era dischiuso all’infaticatibile Papa crocifisso, e noi, in quella Piazza, come il discepolo Eliseo dinnanzi al carro di fuoco di Elia che si inabissava nel cielo, siamo rimasti con gli occhi fissi su quel Libro chiuso. “Cocchio d’Israele….” . La fede nella quale il Papa ci aveva confermato tante volte, sì, la fede faceva risuonare in noi le sue stesse parole, l’incoraggiamento a non aver paura. Eppure un brivido ci tramortiva, lo stesso di Eliseo. Il nostro Papa lo avevamo visto entrare nel cielo attraverso le porte della Basilica, Totus Tuus sino alla fine; nel cuore conservavamo la promessa del Signore. Ma quel mantello, su chi sarebbe caduto? E poi, si sarebbero rinnovati i prodigi di cui eravamo stati testimoni? Per una settimana, il fiato sospeso; attoniti e sereni, come presi in un’attesa piena di speranza. Ma quel Libro chiuso ci ipnotizzava occhi, cuore e mente. Un grido ci premeva nel petto, lo stesso che rieccheggia nell’Apocalisse: “Chi ci strapperà i sigilli…..” E scrutavamo il Cielo, cercando ancora la mano benedicente di Karol. Il suo amico, quel fidato collaboratore che ci aveva parlato così amorevolmente del nostro grande Papa, ce lo aveva indicato. Guardate lassù, e vedrete, e sarete benedetti. Ha implorato il Papa per noi: “Sì, ci benedica, Santo Padre”. E la mano del Papa Santo non s’è fatta attendere; il miracolo più atteso, la sua benedizione è scesa dalla casa del Padre sulla Sistina: lo Spirito Santo, ne siamo certi, ha suggerito; il Papa Santo, ne siamo altrettanto certi, con la sua mano ha guidato la mano dei cardinali. E noi, lì fuori, scorgendo il fumo bianco sbuffare dal tetto, danzavamo di gioia al suono delle campane: in un baleno avevamo il nuovo cocchiero. Ed era lui. Proprio quel suo amico umile, quel semplice e mite Joseph nel quale tutti ci siamo sentiti amici nell’amico. Lui che aveva celebrato l’ultima pasqua del Grande Papa come se l’avesse fatto al posto di tutti noi. Proprio come l’avremmo voluta celebrare noi. Quelle parole, ce le aveva strappate dal cuore e dalle labbra. Ed ora era lì, stretto in quel bianco mantello, affacciato su migliaia di storie in attesa di una nuova benedizione. Joseph Ratzinger, il Cireneo di Karol Woytila lungo il cammino difficile e “inaudito”, la via della Croce di ogni Vicario del Crocifisso. Ha visto. Ha imparato. Ha condiviso. E in quel momento quella Croce era passata nelle sue mani. Sulle sue spalle. Quando è apparso sulla loggia che sembrava un diamante incastonato nello splendido tramonto romano, il suo sorriso rassicurante avvolto nella magnifica stola, tutto era certo: la Provvidenza aveva scelto lui, il mantello di Giovanni Paolo II era passato sulle spalle di Benedetto XVI. Non restava che partire e incamminarsi verso i prodigi che Dio aveva preparato. Il primo, la sua tenerezza nel salutarci. “Un umile operaio della vigna del Signore”. Operaio d’opere sante. Quelle che annunciano al mondo la Verità e la Bellezza dell’amore di Dio. Lui, Prefetto del dono più grande, difensore della purezza della fede, custode del tesoro depositato nello scrigno della Chiesa, sapeva d’essere ormai donato alla Chiesa intera. ”Il nostro ministero è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo – il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia” aveva infatti detto ai Cardinali e al mondo intero introducendo il Conclave presiedendo la Missa Pro eligendo Romano Pontifice. Apparso su quella finestra così impegnativa, come protetto tra i due “corazzieri liturgici”, con quel sorriso alla perenne ricerca di amici, e quelle braccia alzate come in segno di vittoria, è sembrato un pugile vincente al termine di un combattimento. E di un duro combattimento si era di certo trattato. Per questo levava le braccia, e nel suo viso lo sguardo sereno di chi aveva vinto perché ha saputo arrendersi. Come Giacobbe al guado del torrente Jabbok, anche il mite cardinale bavarese aveva lottato con Dio. Decenni di studio e onorato servizio, età, salute, stanchezza, a nulla son valse le ragioni dell’uomo. La vittoria di Dio è sempre la nostra resa. Per essere forte con Dio occorre che l’uomo vecchio si pieghi dinnanzi all’Uomo Nuovo. Con Dio si vince perdendo, e il Cardinale Ratzinger ha perduto molto di sé nella Sistina; nell’omelia pronunciata nella messa di insediamento ce lo ha svelato :“Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia”. Potenza della Sistina e del “suo” Spirito Santo, quasi un sacramento capace di trasformare un Cardinale in un Papa, perché la Dottrina della fede sia esaltata in Dottrina dell’Amore. E così è stato, sin dalla prima Enciclica, sino alla Lettera ai fedeli d'Irlanda. Non solo. Sognava la quiete dopo tante tempeste, lo studio, sonate al pianoforte e sinfonie teologiche. Ma si è dovuto arrendere al Padrone della messe che lo aveva scelto irrevocabilmente. Aveva chiesto di non essere eletto, per lui la Sistina s’era trasformata in un Getsemani, e, come per il Maestro, anche per il discepolo la Volontà del Padre s’era manifestata diversa dalla propria. Il Cardinale Ratzinger ne aveva chiara la percezione già entrando in conclave quando aveva spiegato come “Gesù definisce l’amicizia: è la comunione delle volontà. “Idem velle – idem nolle”, era anche per i Romani la definizione di amicizia. “Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando” (Gv 15, 14). L’amicizia con Cristo coincide con quanto esprime la terza domanda del Padre nostro: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Nell’ora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà umana ribelle in volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha sofferto tutto il dramma della nostra autonomia – e proprio portando la nostra volontà nelle mani di Dio, ci dona la vera libertà: “Non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 21, 39). In questa comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione: essere amici di Gesù, diventare amici di Dio. Quanto più amiamo Gesù, quanto più lo conosciamo, tanto più cresce la nostra vera libertà, cresce la gioia di essere redenti. Grazie Gesù, per la tua amicizia!". Il conclave è stato dunque la fucina decisiva che ci ha consegnato un vero amico di Dio incamminato sulle orme di Abramo nostro Padre nella fede. Il Papa amico di Dio ci ha così subito preso per mano per insegnarci l’amicizia con Gesù, fonte dell’unica e vera gioia. Per questo i giovani già lo amano, in lui vedono i tratti del Papa Santo trasfigurati nel sentimento che amano, desiderano e sperano più d’ogni altro. L’amicizia che a vent’anni è anch’essa giovane e fiera e genuina. L’amicizia, che è il profilo dolce della fede. E che dolcezza e che gioia e che pace si sperimentano nel compiere la volontà dell’Amico. Troppo spesso le trappole nascoste nelle giornate infilzate dalla nostra fretta d’esistere ci fanno perdere la pace dimenticando che il giogo del Signore, la Sua volontà, è leggero e solo ad esso possiamo aggrapparci per trovare pace e riposo per le nostre anime. A noi, al mondo perduto in indaffaratissime corse verso la propria autorealizzazione che così spesso si traduce in autodistruzione, alla folle generazione elettronica che sbuffa se il computer impiega una manciata di secondi di troppo a compiere i nostri voleri, a noi zombi della vita fast-food accartocciata sui propri desideri, a noi il Padre ha inviato Benedetto XVI, un semplice uomo legato al giogo dolce di Cristo, come “il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita – questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica – magari in modo anche doloroso – e così ci conduce a noi stessi. In tal modo, non serviamo soltanto Lui ma la salvezza di tutto il mondo, di tutta la storia”. Benedetto XVI dinnanzi a noi come Isacco legato alla volontà di Dio è la prima delle orme che Dio ci ha mostrato. La fede sulla terra è un Padre che sacrifica suo Figlio, il Figlio che si offre al Padre, e l’amico del Figlio che offre la sua vita. La fede si svela in una vita perduta per amore; la fede brilla nell’amore senza limiti del Buon Pastore pronto ad incarnarsi nel Suo Vicario: “Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza, che egli ci dona nel Santissimo Sacramento. Cari amici – in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri”. La fede ha occhi che puntano dritto la storia, ne riconoscono i pericoli, scrutano il male, discernono il bene. La fede non scappa. La fede conosce la volontà di Dio e la compie. Senza paura: “Considero questo fatto una grazia speciale ottenutami dal mio venerato Predecessore, Giovanni Paolo II. Mi sembra di sentire la sua mano forte che stringe la mia; mi sembra di vedere i suoi occhi sorridenti e di ascoltare le sue parole, rivolte in questo momento particolarmente a me: "Non avere paura!". Insieme con Benedetto XVI la Chiesa intera imparerà, ancora una volta, a non avere paura, a camminare con fiducia verso il destino che il Signore le ha preparato, sentieri di Pace in un mondo di guerra e violenza, e cammini lanciati ai confini della terra in un’infaticabile opera evangelizzatrice che restituisca a ciascun uomo la propria dignità di Figlio di Dio, la bellezza incomparabile di una vita amata. Benedetto XVI, per la Chiesa e per il mondo: “Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato Pontefice Benedetto XV, che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste. Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell'armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio, dono fragile e prezioso da invocare, tutelare e costruire giorno dopo giorno con l'apporto di tutti.... Il nome Benedetto evoca, inoltre, la straordinaria figura del grande Patriarca del monachesimo occidentale, san Benedetto da Norcia, compatrono d'Europa insieme ai santi Cirillo e Metodio... costituisce un fondamentale punto di riferimento per l'unità dell'Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà... Di questo Padre del Monachesimo occidentale conosciamo la raccomandazione lasciata ai monaci nella sua Regola: "Nulla assolutamente antepongano a Cristo". All'inizio del mio servizio come Successore di Pietro chiedo a san Benedetto di aiutarci a tenere ferma la centralità di Cristo nella nostra esistenza”. - Antonello Iapicca Pbro - Isegnideitempi -