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FUORI DALLO STATO VEGETATIVO: ORA E' CITTADINO ONORARIO


La prossima settimana Pavia avrà tre cittadini in più. A chiederlo (e ottenerlo) sono stati gli stessi «pavesi di ogni estrazione sociale e colore politico», che in pochi giorni hanno raccolto 1.850 firme e si sono uniti in un Comitato spontaneo, «Pavia città della vita». Lo scopo: proporre al sindaco e al Comune di conferire la cittadinanza onoraria a Lucrezia ed Ernesto Tresoldi e al loro figlio Massimiliano, il giovane di Carugate (Milano) rimasto in stato vegetativo per dieci anni dopo un grave incidente d’auto e oggi, grazie a quei genitori, risvegliatosi da un lungo sonno ufficialmente senza sbocchi. E’ ormai nota in tutta Italia la vicenda di Max, rimbalzata per la sua unicità su quotidiani e televisioni dal giorno in cui (il Natale del 2000) alzò una mano per abbracciare la madre e dire così al mondo 'sono tornato'. E se in questo ultimo anno alcune città hanno considerato l’idea di conferire la cittadinanza onoraria alla famiglia Tresoldi, Pavia – città universitaria di lunghissima tradizione medica – è arrivata per prima. Era passata l’una di notte di ieri quando il consiglio comunale esprimeva 26 voti favorevoli e un solo contrario (il consigliere Pd Guido Giuliani), davanti ai cittadini rimasti fino all’ultimo per assistere alla votazione. La famiglia Tresoldi – si legge nella delibera – è «esempio ammirevole e simbolo di tutte le famiglie che condividono le medesime difficoltà e la sfida gioiosa per una piena accoglienza di vita in ogni sua fase e condizione». Lungo quei dieci anni, infatti, Lucrezia ed Ernesto non hanno mai smesso di curare un figlio cui la medicina non concedeva speranza, perso in uno stato vegetativo che allora si definiva ancora 'permanente'. E per non illuderli i neurologi spiegavano loro che Massimiliano era «come un tronco colpito dal fulmine, essiccato per sempre», che il suo cervello era «come una centralina cui hanno tagliato i fili: spento», che la sua coscienza era inesistente. Nonostante questo, per 365 giorni l’anno una schiera di cinquanta ragazzi volontari, gli amici del calcio, si sono organizzati in turni per non lasciarlo mai solo e continuare a dargli quell’assistenza che la famiglia non poteva pagare. Notte e giorno gli hanno parlato, lo hanno girato nel letto antidecubito, gli hanno mosso gambe e braccia perché non si atrofizzassero, incuranti del fatto che quel «tronco secco» non avrebbe mai dato risposte. Invece nel Natale del 2000 le ha date, e adesso, nonostante le sue disabilità, Max riesce a raccontare che «in quei dieci anni io sentivo tutto ciò che avveniva nella mia stanza». Lo ha testimoniato anche a Pavia l’11 marzo, durante un convegno sugli stati vegetativi organizzato dal centro culturale 'Giulio Bosco' nell’aula magna dell’Università. «Sarebbe giusto iscrivervi simbolicamente nella popolazione della nostra città», aveva proposto dal pubblico l’assessore ai Servizi sociali e alla Famiglia, Sandro Assanelli. Nelle settimane successive un comitato spontaneo di cittadini aveva aderito all’iniziativa senza distinzioni politiche o ideologiche. Una trasversalità ripetutasi anche la notte scorsa in consiglio comunale, nonostante le intemperanze di una parte che ha lasciato l’aula al momento del voto. Sono infatti intervenuti con dichiarazioni di voto favorevole, a tratti toccanti e appassionate, i consiglieri del Pdl, della Lega e delle altre formazioni che sostengono la giunta di centrodestra, quelli dell’Udc, così come esponenti del Pd e dell’Idv. I più soddisfatti sono i promotori del Comitato: «La cittadinanza onoraria vuole sottolineare la somiglianza tra l’impegno che la città di Pavia ha sempre dimostrato verso i malati, divenendo famosa in Italia e nel mondo per il suo Policlinico, e quello speso dalla famiglia Tresoldi e dagli amici volontari per Massimiliano». Così la loro iniziativa, «più che voler essere premiale verso questa famiglia, che non ne ha bisogno perché ha già avuto la gioia del risveglio del figlio, è finalizzata soprattutto a far sì che anche ogni altro malato pavese (e non) e ogni altra famiglia pavese (e non) che abbia malati 'in casa' non si sentano più soli ma avvertano la presenza e la vicinanza di un’intera città che li sostiene e li aiuta». - di Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola - Avvenire -