ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi di Febbraio 2012

DON AMORTH: MOLTI VESCOVI NON CREDONO PIU' AL DEMONIO MENTRE IL MONDO E' TUTTO SOTTO IL SUO POTERE

Post n°6803 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Giovanni, nel suo Vangelo, lo chiama “il principe del mondo”. Eppure, «molti vescovi non credono più al demonio e non nominano più esorcisti nelle loro diocesi». Lo sostiene Padre Gabriele Amorth, ne L’ultimo esorcista, il libro scritto con Paolo Rodari, per le Edizioni Piemme, uscito in questi giorni. Uno testo agghiacciante. Perché mostra, attraverso i racconti degli esorcismi praticati, la realtà in cui vive il mondo, dominato da quel “principe” che si è ribellato a Dio e che vuole sottrarre gli uomini al Suo amore. «Il mondo sta tutto sotto il potere del maligno», dice Padre Amorth. «Tutto, non una parte. Tutto».

Sono racconti terribili, legati da un dato che impressiona più di tutti. Quello della sofferenza, del dolore, del male che c’è nel mondo, che si esprime in tanti modi e che colpisce tante persone. I posseduti. Soffrono, per la loro redenzione e per la redenzione di molti altri, come scrive Padre Amorth. Chi ha fede, infatti, sa che Dio consente il male per un bene superiore. E’ questo il mistero più grande che sta all’origine del Cristianesimo. Satana si scatenò contro il figlio di Dio.

Lo tentò ripetutamente. S’insinuò perfino nell’anima di un Suo apostolo che lo tradì. Si adoperò perché gli uomini Lo rinnegassero, Lo seviziassero ferocemente e ne decretassero la morte. In croce, come i ladroni d’allora. E’ questa la prova più grande, il fatto storico realmente accaduto della verità che viviamo, quella di un mondo creato da Dio come cosa buona, ma che si trova sotto il potere temporaneo del demonio. Con una sola certezza: quella che Dio non ci ha abbandonati e non ci abbandonerà mai.

La Resurrezione di Gesù Cristo è più forte di qualunque male, che esiste e che governa questo mondo, sin dopo la sua creazione, a partire dal peccato originale, che ha inserito nella storia umana la morte e la corruzione. A leggere il libro di Padre Amorth, si comprende quanto dice San Paolo del «dio di questo secolo»: una realtà personale, che ha volontà, pensieri e metodi falsi, contro il quale i cristiani devono intraprendere un’intensa battaglia poiché possono essere ancora tentati da lui.

Il demonio non attende per ricevere nel suo regno coloro che decidono di non seguire Dio. Agisce, invece, «con miracolosi poteri di perversione». Con lui, collaborano «eserciti di poteri invisibili». Legioni e legioni di demoni, dice Padre Amorth. Così tanti, che se fossero visibili, potrebbero offuscare il cielo sopra di noi.

Chi crede nella Resurrezione non può rimanere inerte di fronte a questa lotta, che si svolge qui, su questa terra. O combatte attivamente il diavolo o ne accetta le lusinghe e le menzogne. Non ci possono essere alternative. Se i vescovi, come afferma Padre Amorth, non danno importanza al potere demoniaco,  mostrano di non comprendere l’esistenza del peccato originale e della sua trasmissione, di generazione in generazione e la fede della Chiesa.

Esistono persone che sono andate all’inferno e sono tornate, per raccontare quello che hanno visto. L’ha fatto, sotto la guida di un angelo, santa Faustina Kowalska: «la maggior parte delle anime che sono all’inferno, sono anime che non credevano che l’inferno esistesse», ha poi scritto. L’ha fatto Gloria Polo, alla quale Gesù dice: «Tu tornerai indietro, per dare la tua testimonianza, che ripeterai non mille volte, ma mille per mille volte. Guai a chi, ascoltandoti, non cambierà, perché sarà giudicato con più severità. E questo vale anche per te e per i consacrati che sono i miei sacerdoti e per chiunque altro non ti darà ascolto: perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, né peggior cieco di chi non vuol vedere».

Dai vescovi ci aspetteremmo che questo tipo di testimonianze siano portate a conoscenza dei fedeli per aiutarli nella loro vita quotidiana ove le insidie, le manipolazioni e gli attacchi del demonio si manifestano costantemente e con grande violenza.

(Danilo Quinto) - www.corrispondenzaromana.it -

 
 
 

PERCHE' DOBBIAMO CONVERTIRCI A CRISTO?

Post n°6802 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Una riflessione sulla Quaresima e la conversione, firmata da Padre Piero Gheddo, del PIME

Mancano quaranta giorni alla Pasqua e la Chiesa ci invita a prepararci per risorgere con Cristo ad una vita nuova. Il Vangelo di San Marco, col quale inizia la Quaresima, ci presenta Gesù che, dopo l’arresto di Giovanni il Battista, va nel deserto e vi passa quaranta giorni di preghiera, di tentazioni e di digiuno; poi, percorre i villaggi della Galilea annunziando il suo messaggio: “Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete nel Vangelo” (Marco 1, 12-15).

E’ il messaggio che la Chiesa rilancia nella Quaresima ed è anche l’essenza del cristianesimo: credere in Cristo e nel suo Vangelo e convertire la nostra vita quotidiana alla vita nuova che il Vangelo ci propone.

Nel mondo non cristiano, dove i missionari vivono e lavorano, è chiaro cos’è il cristianesimo: il passaggio dalla religione tradizionale alla fede e alla vita in Cristo, unico Salvatore dell’uomo e dell’umanità. Il “primo annunzio” ai non cristiani è veramente l’annunzio di una fede  nuova, di una vita nuova.

Ma, in concreto, cosa significa “convertirsi a Cristo?”. Ho fatto questa domanda a un missionario del Pime, padre Giuseppe Fumagalli, che da quarantatre anni vive fra i “felupe” nel nord della Guinea Bissau, una tribù nuova, dove il Vangelo è stato portato negli anni cinquanta dal suo predecessore padre Spartaco Marmugi. Siamo in una situazione missionaria: il primo annunzio del Vangelo ai pagani. La predicazione di padre Fumagalli è come quella di Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo”.

Padre Zé (Giuseppe) dice: “La conversione dei Felupe è rottura col passato, inizio di una vita nuova con Cristo: quindi è sacrificio, rinunzia, sofferenza, tentazione di tornare ai costumi pagani del passato, una lotta quotidiana contro se stessi. Chi decide di convertirsi sa che deve perdonare le offese, abbandonare ogni sentimento di vendetta; lasciare il culto degli spiriti, non credere più agli stregoni; avere una sola moglie ed esserle fedele, amare e dedicarsi alla propria famiglia, rispettando la moglie e i figli; non rubare, non commettere ingiustizie, ecc. Il catecumeno sa che spesso va incontro alla persecuzione o alla marginalizzazione nel villaggio, perché va contro-corrente rispetto alla comunità in cui vive. Però Dio lo aiuta e spesso posso dire che continua ad impegnarsi in questo cammino di conversione, anche perchè consolato dai buoni risultati che ottiene vivendo la vita cristiana: anzitutto si libera dalla paura degli spiriti cattivi e del malocchio, che blocca la gente comune. Il cristiano sa e crede che è sempre nelle mani di Dio e acquista una sicurezza e coscienza viva della sua fede e dei vantaggi che ne derivano, che sono tanti altri.

“Insomma – continua padre Zé - a parità di condizioni, il cristiano vive meglio e si sviluppa di più del non cristiano, io lo sperimento spesso. Ha, come si dice, una marcia in più, non ha più paura del futuro e del mistero nel quale è immersa tutta la vita dell’uomo. Dio non si lascia mai vincere in generosità”, dice padre Zè.

Il quale aggiunge che tra i felupe “la conversione a Cristo è una profonda rivoluzione nella vita dell’uomo, della famiglia, del villaggio: è la rivoluzione portata da Cristo, quella che “Dio è amore”, che cambia tutta la vita dell’uomo,della famiglia, dell’umanità. Non una rivoluzione violenta contro altri, ma una rivoluzione non violenta che incomincia nell’interno del cuore dell’uomo, quando egli decide di credere nel Vangelo e di convertirsi a Cristo: passare dall’egoismo all’altruismo, dall’odio all’amore. Oggi nella tribù dei felupe i cattolici battezzati sono circa 2.300 (altri sono nel catecumenato di 2-3 anni)  su circa 20.000 contribali in Guinea, ma la tribù è più presente nel vicino Senegal. Non sono più perseguitati, anzi sono ammirati perché portano la pace fra i villaggi, si interessano del bene pubblico, hanno famiglia più unite, sono disponibili ad aiutare i più poveri”.

Tutto questo avviene nel mondo “pagano”. Al contrario, nel nostro mondo post-cristiano non è più molto chiaro cosa vuol dire “cristianesimo” e “convertirsi a Cristo”, che è il messaggio della Quaresima. Siamo sommersi da così tanti messaggi, problemi, discussioni, cattivi esempi e scandali, molte voci, ipotesi e proposte, che per molti non è più chiaro cosa vuol dire essere cristiano. Un anno fa, il direttore dell’editrice Lindau di Torino, il
dott. Ezio Quarantelli, mi ha chiesto di scrivere un libro, che poi ha pubblicato: “Padre, lei ha viaggiato molto e conosce tante situazioni umane. Mi scriva un libro in cui spiega chiaramente e in modo molto concreto come mai dobbiamo convertirci a Cristo, cosa vuol dire e quale scopo ha questa conversione. Non con un discorso teologico e filosofico, ma in modo comprensibile e direi giornalistico, citando anche le sue esperienze; e non mi parli della vita eterna, ma della vita in questo nostro mondo”. Ho scritto il volume “Meno male che Cristo c’è”, che grazie a Dio, mi dicono che va bene nelle vendite. Non ha altro scopo che quello richiestomi dall’amico Quarantelli.

Il nostro problema, di noi battezzati e anche di noi preti, parlando in generale, è che noi ci crediamo già convertiti, per cui la parola “conversione” quasi non ha più significato. Siamo stati battezzati, cresimati, riceviamo l’Eucarestia, andiamo a Messa, preghiamo e se guardiamo al mondo attuale ci consideriamo dei buoni cristiani. Io stesso sono prete e missionario da 59 anni e se guardo alla mia vita, ringrazio il Signore della vocazione al sacerdozio e alla missione e di tutte le grazie che mi ha dato. Gli chiedo perdono dei miei peccati e poi sono tentato di pensare che, tutto sommato, la mia vita l’ho spesa per Cristo e per la Chiesa e posso starmene tranquillo.

Questo l’errore, credo abbastanza comune. Il prete, come il cristiano, non va mai in pensione, non dice mai di essere arrivato alla meta della vita cristiana, che è la conversione a Cristo, l’imitazione di Cristo. Come cristiani, noi ricominciamo sempre una vita nuova ogni mattino e soprattutto nel giorno di Pasqua. La giovinezza della vita cristiana è questa: ricominciare sempre con entusiasmo il cammino che porta all’amore e all’imitazione di Cristo, correggendo a poco a poco le nostre tendenze cattive, i nostri errori di giudizio e via dicendo. Tutto questo non è solo frutto della nostra buona volontà, ma è una grazia che Dio ci dona, se glie la chiediamo.

- Padre Piero Gheddo - ZENIT -

 
 
 

LA MALATTIA MI HA DONATO LA FEDE: DALLE LUCI DELLO SPETTACOLO AL SILENZIO DELLA SOFFERENZA

Post n°6801 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Si chiama Fabio Salvatore. Ci siamo incontrati a Roma,  pochi giorni prima che un’improvvisa nevicata mettesse in crisi la capitale. Però, di quella neve di cui si è tanto parlato, nell’aria c’erano tutti i segni. Tanti anni di lavoro all’aperto, in mezzo ai cavalli, mi hanno insegnato a capire quando il vento porta con sè la promessa del bianco. E quel giorno, il soffio di febbraio era gelido e secco, tagliente come la lama di un bisturi, e si infilava sotto la sciarpa, sotto il maglione, se la rideva della mia giacca pesante. La sentivo nel palato, la neve. Ma non ho fatto in tempo a vederla perché ho lasciato Roma prima che cominciasse a scendere. L’ho vista in seguito, al telegiornale, insieme a tutte le polemiche che ha sollevato col suo arrivo inaspettato.

Quel pomeriggio, in mezzo a tutto il freddo che  annunciava la neve, avevo però il cuore caldo. Pulsava, anzi cantava. Perché avevo incontrato una persona speciale, una di quelle le cui parole restano, si fanno strada nell’anima e lì si costruiscono un nido.

Fabio Salvatore è uno così. E la sua storia, di sofferenza e di speranza, è di quelle che fanno respirare meglio, di quelle che ci fanno sentire meno soli a questo mondo. Una storia alla quale ci si può appoggiare come ad un bastone saldo e seguitare il cammino più stabili di prima.

   <<La malattia ha cambiato la mia vita ma soprattutto mi ha regalato la fede. Quella vera e profonda>>, mi ha detto Fabio. <<Vivevo senza uno scopo, inseguendo solo il piacere. Poi ho incontrato il cancro e con la sofferenza ho incontrato anche Gesù.>>

     Queste parole sarebbero accettabili  se fossero pronunciate da una persona anziana, una persona che dopo una vita di sbagli si redime in vista dell’ultimo passo. Invece, Fabio ha soltanto 36 anni e da tempo combatte contro la terribile malattia. Che lo ha trasformato completamente.

   L’appuntamento era al “Centro Benedetto XVI”, sede romana di  “Nuovi Orizzonti” una associazione religiosa laica, fondata da Chiara Amirante, che sta affermandosi in campo internazionale, soprattutto tra i giovani, e che ha già avuto l’approvazione della Santa Sede. Il “Centro” si trova in una villetta da poco restaurata, proprio accanto all’ingresso del Parco di Monte Mario. E’ stato proprio Fabio a venirmi incontro, avvolto in una sciarpa e col berretto di lana calcato fino sugli occhi. Un ragazzo esile, minuto e coi lineamenti affilati, ma col fuoco nello sguardo. E un sorriso di quelli che “spostano”, che hanno la forza di una spinta. Mi ha abbracciato, come prima cosa. E io, che sono molto attento a questo tipo di cose rimanendo sempre un po’ “orso” nei contatti con la gente, sono rimasto colpito. Non c’era affettazione in quel gesto, solo tanta spontaneità. E’ stato un abbraccio che mi ha scaldato.

   Ero lì a Roma, mandato dal mio giornale, per raccogliere la testimonianza di Fabio in vista dell’uscita del suo libro intitolato “A braccia aperte tra le nuvole”, pubblicato da Piemme. Un libro pieno di quei “segni” e di quelle “coincidenze” inspiegabili e particolari che caratterizzano le conversioni. Quelle vere. Un libro che ha da subito incontrato l’affetto del pubblico tanto che, a poche settimane dalla sua uscita, sta scalando in fretta le classifiche delle vendite.

   Nelle sue pagine, Fabio racconta la sua storia con disarmante onestà. A cuore aperto e senza nascondere niente. E la sua vicenda pare davvero uscire da un romanzo tanto è ricca di colpi di scena, imprevisti e tanta, tanta spiritualità. Una storia che ha la forza di spingere a pensare, che fa chiudere gli occhi e rivolgere l’attenzione verso quel “qualcosa”, quel “qualcuno” che sta lassù e che continua a tenderci la mano. E che troppo spesso non riusciamo a vedere.

   Fabio Salvatore era lanciato verso una lucente carriera artistica. Allievo di Enzo Garinei e Giorgio Albertazzi, recitava in teatro, appariva in televisione, era l’idolo delle ragazze nelle discoteche. Ma poi, improvviso, il cambiamento totale, al punto di decidere di lasciare la carriera artistica e la vita mondana per dedicare totalmente la propria esistenza agli altri. Mi sono fatto raccontare da lui i perché, i sentimenti e le emozioni e riporto tutto qui, adesso. Ma senza aggiungere le mie domande, come si fa negli articoli per i giornali. Voglio lasciare che siano le parole di Fabio a spiegare, senza interruzioni, tutto quello che è successo.  Ecco il suo racconto:

    <<Quando avevo vent’anni facevo il vocalist nelle discoteche e nell’ambiente ero molto apprezzato. Giravo l’Italia, ogni sera in un locale diverso. Ero ammirato e conteso dalle ragazze e scoprii in fretta che mi piaceva molto il gioco del sesso. Avevo una ragazza diversa ogni sera, senza trasporto, senza emozione però. Solo la ricerca di un piacere che non mi dava soddisfazione. E’ che non ero felice, sentivo che mi mancava qualcosa.

   <<Una sera, dopo l’ennesimo incontro di sesso con una ragazza appena conosciuta, camminando per strada ho trovato a terra una medaglietta della Madonna con la scritta “MIR”. Allora non sapevo che era l’immagine della Madonna di Medjugorje e che quella scritta in croato significa “pace”. Me la sono ugualmente messa in tasca, seguendo un impulso che forse era un suggerimento, e da quel momento non me ne sono più separato. Eccola, l’ho sempre con me, insieme ad un rosario, dono di un ragazzo detenuto in un carcere minorile.

   <<A quel tempo non sapevo pregare. Ero un cristiano distratto, incostante, opportunista. Mi capitava di rivolgermi a Dio nel bisogno e senza mai dire grazie. Insomma, Dio non occupava i miei pensieri eppure, dentro di me, avvertivo che quel senso di infelicità, di disagio, poteva essere alleviato soltanto pregando. Così mi sono rivolto alla Madonnina della medaglietta dicendole: “So che sto sbagliando. Voglio cambiare. Donami la capacità di amare”. La risposta a quella mia preghiera non si fece attendere.

   <<Quello stesso anno conobbi Rossana. Lei mi fece incontrare l’amore vero, puro, totale. Capii cos’era il battito del cuore, le emozioni, la carezza, il bacio. Cose che diamo per scontato ma che scontate non sono. Rossana era uno tsunami di emozioni. E adesso penso che sia stata anche una sorgente di forza e di amore che doveva prepararmi per quello che sarebbe accaduto. Infatti, pochi mesi dopo avere incontrato l’amore, scoprii anche di avere un cancro alla tiroide.  Avevo solo 22 anni. Era il settembre del 1998.

   <<La mia prima reazione fu di negare l’evidenza. No, non era possibile che fossi malato, mi dicevo. Io recitavo in teatro, ero seguito da pubblico e critici. La malattia non era nei miei piani. Facevo finta che il cancro non ci fosse. Ma peggioravo, ero afono, perdevo peso.

   <<In quel periodo, feci un viaggio in Marocco. Entrai in contatto con una grande povertà, vidi tanta gente sofferente chiedere l’elemosina per poter mangiare. Allora accadde qualcosa dentro di me, qualcosa che mi cambiò. Avvertivo tutta quella sofferenza, sofferenza dell’anima, e la mettevo a confronto con la mia situazione. Anche io provavo dolore, nel mio intimo e nel corpo perché ero malato. Ero dunque come quella gente, ero simile a loro. Ero vero, non facevo più parte di un mondo rarefatto, di apparenza. Venni travolto dalle domande. Mi chiedevo il perché della sofferenza, della solitudine. Non mi ero mai chiesto questo tipo di cose prima di allora. Ed erano domande che stavano iniziando a trasformarmi. Così, calai la maschera e ammisi a me stesso e alla mia famiglia, la mia condizione. Nel giro di poche settimane mi ritrovai in ospedale, sottoposto ad un intervento di cinque ore che fermò, sia pure parzialmente, la malattia.

   <<Io e Rossana decidemmo allora di partire per il Portogallo alla ricerca dei luoghi di Pessoa, autore che amavo e di cui avevo portato in scena alcune opere. Rossana mi chiese: “Perché non andiamo anche a Fatima?”. Le risposi che non avevo alcuna voglia di perdere tempo in un santuario.

   <<A Lisbona però cominciai a stare molto male, anche perché il nostro bagaglio era andato perduto e dentro c’erano tutte le mie medicine. Una notte, febbricitante, tremante di freddo, vidi,  nel dormiveglia, una grande luce. Sentii molto caldo e mi apparve un amico carissimo che avevo perduto a 17 anni per un incidente stradale. Mi svegliai di soprassalto e, guardando sul comodino, vedi la medaglietta della Madonna. “Strano”, dissi a me stesso “ero sicuro di averla lasciata nella tasca dei pantaloni”.

   <<Scesi nel bar dell’albergo per bere una camomilla e lì trovai un gruppo di spagnoli. Stavano cantando, erano allegri, pieni di vita. Chiesi al barista che cosa stessero facendo. “Pregano cantando, la Madonna di Fatima”, mi rispose. Fu come se avessi ricevuto un pugno in pieno petto. Corsi in camera e svegliai Rossana. “Dobbiamo andare a Fatima!” le dissi.

   <<Partimmo immediatamente. Per tutto il viaggio rimasi in silenzio. Ma nel momento in cui misi piede a Fatima, mi sentii trasformato. C’era tutta quella gente che, in ginocchio, si muoveva verso il santuario. Persone  ferite, malate, mamme coi bambini in braccio, anziani smarriti, paralitici in carrozzella. Uomini e donne che piangevano, che pregavano. Percepii una immensa sofferenza, ovunque. Ma anche una grande fede, potente, reale. Mi sentivo uguale e partecipe a quella moltitudine perché anch’io avevo sperimentato il dolore fisico ma soprattutto avevo sperimentato quello dell’anima. Rimasi due ore immobile davanti alla statua della Madonna, in contemplazione. All’improvviso sentii dentro di me una voce che mi diceva: “Sono qui. Sono qui per accoglierti, figlio mio!” Scoppiai in lacrime e piansi a lungo come non mi era mai capitato. Tornati in albergo: ad attenderci c’erano i bagagli con le medicine.

   <<Da quel momento, ho abbracciato la fede con il desiderio di viverla in pieno. Avevo capito che Gesù era sì una presenza celeste ma anche terrena e lo si poteva incontrare per la strada, tra la gente che sta male. In mezzo alle persone che hanno bisogno come io avevo bisogno di loro perché ogni volta che aiuti qualcuno, aiuti te stesso. Avevo capito che la fede era anche un deserto di lacrime e sudore e in quel deserto avevo cominciato a camminare e camminare. Insomma, ero una persona diversa ma le prove per me non erano finite.

   <<Nel 2007, finì la mia storia d’amore con Rossana. Eravamo cresciuti, io ero molto cambiato. Nello stesso periodo, il cancro si ripresentò agguerrito più di prima. E mio padre morì in un incidente stradale, ucciso da un giovane che guidava ubriaco. Mi sentii distrutto. La disperazione più totale stava per travolgermi, ma reagii ricorrendo alla fede che ormai era parte della mia vita. Presi in mano il rosario e, guardandomi allo specchio, dissi: “Sia fatta la tua volontà, Signore. Mi affido totalmente a te e a tua Madre”. In quel preciso momento il mio essere fu colmato da una sensazione di profondo benessere e capii che era l’amore di Gesù. Una presenza forte, viva, reale. Ed iniziò la mia nuova vita.

   <<La malattia non mi ha più abbandonato. C’è ancora. Mi accompagna ogni giorno e io la tengo sotto controllo con i farmaci. Il simbolo della croce è diventato il simbolo della mia vita perché ci sono giorni in cui mi sento davvero come un uomo crocefisso. Però è una croce che porto con amore e dignità perché ho capito che il cancro è stato l’occasione per cambiare, per incontrare Gesù. Cristo mi ha fatto capire che la sofferenza va offerta. E così ho fatto. Allora la redenzione e il perdono sono entrati nella mia esistenza. Ho perdonato il cancro. Anzi, ho finito con il ringraziare la malattia in quanto mi ha donato una nuova vita.

   <<Un giorno, mentre ero in ospedale per una terapia, ho conosciuto Emanuele, un ragazzo anche lui malato. Mi ha detto di essere un tossico dipendente e che voleva cambiare la sua vita. Siamo diventati amici e usciti dall’ospedale mi ha chiesto di accompagnarlo in una comunità di recupero. La comunità era “Nuovi Orizzonti”, quella fondata da Chiara Amirante. 

   <<Ho accompagnato il mio amico, ma da quel posto non me ne sono più andato. A “Nuovi Orizzonti” ho trovato le risposte a tutte le mie domande. Ho abbracciato gli ideali di quella Comunità. Mi sono messo al servizio degli altri, ho iniziato a diffondere il Vangelo per la strada. Ho lasciato il teatro, ho abbandonato tutto il mondo apparentemente dorato che prima mi affascinava, per seguire gli ideali di “Nuovi Orizzonti”.  E il prossimo maggio, nel giorno di Pentecoste, farò solenne promessa di povertà, castità, obbedienza e gioia, diventando un membro effettivo di quella Associazione>>.

 - Roberto Allegri - spiritmusic@fastwebnet.it -

 
 
 

SEPARAZIONI E DIVORZI: IL BAMBINO AL CENTRO DEL CONFLITTO CONIUGALE

Post n°6800 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Intervista alla psicologa Valeria Giamundo sulle conseguenze di tale fenomeno nell'infanzia

Le separazioni e i divorzi sono un fenomeno sempre più in aumento anche in Italia. Sono numerose le cause di questo fenomeno e ancora più numerose le conseguenze che esso porta nell'ambito familiare, particolarmente sui figli. ZENIT ne ha parlato con la psicologa Valeria Giamundo, psicoterapeuta e docente presso la Scuola di Psicoterapia cognitivo-comportamentale, che svolge attività di ricerca finalizzata allo sviluppo di interventi trattamentali innovativi sull’età evolutiva.
Negli ultimi anni la dottoressa si è interessata di separazioni e divorzi, sviluppando un modello di trattamento sull'elaborazione della separazione genitoriale, rivolto a gruppi di bambini e/o adolescenti.

Dott.ssa Giamundo,  quali sono le ragioni di tale incremento?

Dott.ssa Giamundo: Le separazioni e i divorzi sono la conseguenza di profonde trasformazioni sociali e culturali, a partire dalla emancipazione femminile, fino ad arrivare alla mentalità individualista della società odierna, che promuove l'interesse per il benessere dell'individuo e la realizzazione personale, a discapito di quello familiare e della società nel suo insieme.

L'instabilità lavorativa ed economica, e dunque lo stress e il sentimento di precarietà, sembrano rallentare il passaggio alla vita adulta e con esso la decisione di mettere su famiglia, subordinate al raggiungimento della stabilità del reddito, della ricerca di un'abitazione e così via. La conseguenza è una realtà familiare caratterizzata da nuclei sempre più piccoli, con equilibri instabili e conflittualità relazionali.

Le statistiche evidenziano inoltre che, affianco all'incremento delle separazioni e dei divorzi, si registra anche una diminuzione del tasso dei matrimoni, il che potrebbe confermare una effettiva propensione alla rottura dei legami.

Sono molte le persone che, vivendo una separazione o un divorzio, ricercano l’aiuto di uno psicologo?

Dott.ssa Giamundo: Con l'aumento del fenomeno è senz'altro cresciuto il bisogno di far riferimento a figure professionali come noi poiché, in realtà, non si è mai preparati veramente a fronteggiare un evento così stressante. La diffusione del fenomeno, infatti, ha comportato una tendenza alla normalizzazione talvolta eccessiva dell'evento, col rischio di sottovalutare gli esiti del processo separativo.

E quali sono le conseguenze?

Dott.ssa Giamundo: Gli studi dimostrano che la separazione coniugale è al secondo posto tra gli eventi stressanti nella vita di un individuo, subito dopo la morte di un parente stretto. In ambito clinico, infatti, la separazione viene paragonata proprio al lutto per le sue caratteristiche psicologiche ed emotive.

La divisione familiare genera ricadute inevitabili sul benessere psicofisico di tutti i membri della famiglia, e incide significativamente sulla qualità dei rapporti tra genitori e figli, generando la necessità, per tutti i membri, di ricorrere ad un supporto psicoterapico.

In un bambino quali sono i segni più frequenti?

Dott. Giamundo: Possono essere di varia natura ed entità: rabbia, frustrazione, ansia, depressione, regressioni, problemi comportamentali, disturbi del sonno e così via.

E' importante osservare le reazioni del bambino anche in contesti extra-familiari; gli insegnanti, ad esempio, sono una fonte importante di informazione circa il benessere del minore. Spesso sono proprio loro a segnalare un disagio, evidenziando ad esempio un calo dell'attenzione e dell'apprendimento.

Nel bambino tuttavia i segni della sofferenza non emergono sempre in maniera così evidente; i genitori infatti descrivono bambini che protestano apertamente, bambini che si chiudono in se stessi, ma anche bambini che reagiscono positivamente e che sembrano adattarsi facilmente all'evento.

In questi casi non va trascurato che potrebbe piuttosto trattarsi di forme di pseudo-adattamento, come accade nei bambini che negano la separazione dei genitori o inibiscono l'espressione del disagio per non intensificare il conflitto coniugale.

Quali sono gli effetti delle separazioni a lungo termine? Nel senso che i figli, nel corso della crescita, possono risentire molto degli errori dei genitori?

Dott. Giamundo: La separazione, se non è bene elaborata, può avere degli effetti a lungo tempo nella capacità di costruire e mantenere legami affettivi ma, attenzione, non è vero che i figli di genitori separati rischiano più esiti negativi dei figli di genitori uniti.

Il clima familiare e la qualità dei rapporti è un elemento essenziale. I danni maggiori sono dovuti infatti al perpetrarsi di condizioni in cui il minore si sente oggetto di contesa; in questi casi il bambino reagirà accentuando l’alleanza con uno dei genitori, generalmente quello affidatario o collocatario.

Lo schieramento con uno solo dei genitori è quasi necessario per il bambino che teme ulteriori abbandoni, ma esso genera dei vissuti carichi di sensi di colpa, conflitti interiori (oltre che relazionali) che avranno inevitabilmente delle conseguenze sul suo futuro equilibrio psico-affettivo.

Perché i genitori non riescono ad aiutare i figli in questo momento della storia familiare?

Dott.ssa Giamundo: I genitori vivono anch'essi la separazione come un evento traumatico, spesso inoltre la scelta di separarsi non è condivisa. In questi casi la rabbia, il timore, il senso di fallimento impediscono un confronto sereno e volto ad individuare le migliori soluzioni per l'equilibrio familiare.

La conflittualità è senz'altro il sintomo più frequente e si riflette in comportamenti distruttivi rivolti non unicamente verso il partner, ma anche verso i figli e se stessi. Si avviano delle vere e proprie guerre nelle aule dei tribunali, dove il diritto dei figli di vivere serenamente una relazione equilibrata con le due figure di riferimento viene affidato alla competenza di un giudice o di un perito.

Queste guerre possono causare l'intensificarsi del disagio del minore, con conseguenze acute e croniche che impediscono lo sviluppo di una personalità sana e armonica. Gli adulti di riferimento per i minori, divengono improvvisamente fragili e bisognosi d'aiuto; in alcuni casi saranno così i figli ad assumere il compito di "protettori", rimanendo invischiati in relazioni disfunzionali dove finiscono solitamente per proteggere il genitore ritenuto più debole.

Come dovrebbero comportarsi quindi i genitori per limitare la sofferenza dei figli?

Dott.ssa Giamundo: In questi casi i genitori vanno aiutati o supportati, attraverso la mediazione familiare, nell'attuazione di questo complesso processo di cambiamento, che implica una notevole riorganizzazione del funzionamento familiare. Il compito di un genitore è mantenere integra la funzione genitoriale, limitare il conflitto e rinnovare la rete di relazioni significative, affinché anche con esse possano meglio supportare la crescita del minore.

Ci sono regole comportamentali che possono guidare i genitori nella gestione dei figli durante una separazione?

Dott.ssa Giamundo: Secondo gli esperti, per tutelare il bambino, i genitori dovrebbero osservare tre principi fondamentali:

1) garantire la continuità delle condizioni più pragmatiche, come i ritmi dei pasti e dell’addormentamento, gli impegni extrascolastici, ecc..;

2) garantire la prevedibilità, ovvero dare al bambino la possibilità di prevedere alcuni eventi, di sapere anticipare cosa faranno;

3) garantire l’affidabilità, rimanendo dei punti di riferimento affettivi importanti per i figli, affinché si sentano realmente amati e supportati nei bisogni di crescita personali.

La famiglia allargata è un argomento molto dibattuto negli ultimi anni. Molti film la trattano e spesso si mostra che in questi casi, superati i problemi, c'è sempre un happy-end. Nella realtà come percepiscono i figli questo cambiamento?

Dott.ssa Giamundo: La transizione dalla famiglia unita alla famiglia separata spesso si accompagna alla formazione di nuovi nuclei familiari, e ciò richiede un ulteriore sforzo di adattamento da parte del minore.

La capacità di accettare e integrarsi nel nuovo contesto familiare dipende dalla sensibilità e gradualità dei genitori di favorire l’integrazione nel nuovo nucleo: essi non dovrebbero imporre tempi e modalità che non tengano conto delle caratteristiche individuali dei figli.

Se il bambino non ha accettato la separazione dei genitori, può percepire il nuovo partner come un intruso e il suo vissuto di abbandono può accompagnarsi a sentimenti di tradimento o esclusione.

La conoscenza e presenza del nuovo partner dovrebbe essere, quindi, graduale discreta, con particolare cautela a sfuggire alla "trappola" della competizione e della provocazione. Se poi è il genitore che ha "subito" la separazione a non accettare l'idea del nuovo compagno, il bambino rimane incastrato nel conflitto di lealtà e gli viene impedita la possibilità di costruire una buona relazione.

Un happy-end, dunque, sembra molto difficile….

Dott.ssa Giamundo: Al contrario, gli esiti dipendono dagli atteggiamenti dei genitori e dei loro rispettivi partner. L’happy-end è possibile, ma ci si deve lavorare. Non parlo solo dell'intervento professionale, ma mi riferisco alla volontà del genitore di mettersi in discussione, di partecipare attivamente e con maggiore consapevolezza al complesso processo della separazione.

Qual'è la funzione dello psicologo in questi casi?

Dott.ssa Giamundo: Il professionista dovrebbe innanzitutto esplorare la possibilità di una riconciliazione, ma se non ci sono le condizioni per favorire un ricongiungimento, la sua funzione consisterà nel facilitare l'elaborazione dell'evento, stimolare nell'adulto la consapevolezza delle numerose implicazioni che tale evento può avere sulla famiglia, sia sul piano emotivo - psichico che su quello concreto - organizzativo.

Per quanto riguarda il trattamento del bambino invece?

Dott.ssa Giamundo: Nel caso del bambino, l'intervento dovrà essere centrato sulla comprensione, accettazione, elaborazione della separazione genitoriale. E' importante aiutarlo a riconoscere le emozioni che ha generato, inclusi sentimenti di rabbia e frustrazione, ambivalenza affettiva o il senso di colpa, poiché spesso i figli si sentono responsabili dell'evento. In questa direzione, negli ultimi anni ho applicato la terapia di gruppo che si è rivelata particolarmente efficace per i bambini.

Come funziona questa terapia?

Dott.ssa Giamundo: I bambini affrontano i problemi legati alla separazione in gruppi omogenei per età, di 4 o 5 partecipanti. Condividono la sofferenza, si confrontano tra loro e si sostengono reciprocamente. Il bambino affronta il suo problema con più coraggio traendo vantaggio dalle esperienze altrui. Il ruolo del terapeuta è stimolare il confronto reciproco, aiutandoli ad esprimere i propri stati d'animo e trovare nuove soluzioni per facilitare l'adattamento. Per avere successo, ad ogni modo, la terapia del minore dovrà essere affiancata ad interventi di sostegno rivolti alle figure genitoriali.

Chi si rivolge a lei: i genitori spontaneamente o i genitori su richiesta dei loro figli?

Dott.ssa Giamundo: Solitamente sono i genitori a richiedere la consulenza per se stessi o per i figli. Nel migliore dei casi - mi riferisco a quei genitori particolarmente sensibili e attenti - la consultazione è richiesta in una fase precedente alla separazione, per essere orientati e guidati nel processo: capire, ad esempio, come comunicarlo ai figli, come proporre il cambiamento, riorganizzare i loro ritmi di vita e così via.

Quando invece la consulenza professionale è richiesta in una fase successiva, le motivazioni che la sottendono sono legate alle difficoltà a gestire il disagio del minore: i genitori cioè hanno preso atto che non sono in grado, da soli, di alleviare la sofferenza del proprio figlio.

Quali sono i casi più frequenti?

Dott.ssa Giamundo: Un caso che ricorre spesso è quello dei figli che, a partire dai 10 anni, chiedono ai genitori di fornire loro un aiuto professionale esterno.

Sono i casi in cui si regista un maggiore sofferenza, poiché i ragazzi hanno preso atto che il proprio disagio non è più risolvibile con l'aiuto genitoriale; ma sono anche i casi che hanno una prognosi più positiva, poiché la consapevolezza del disagio è unita al desiderio di superarlo, e proprio la motivazione al cambiamento faciliterà il recupero di una condizione di serenità ed equilibrio.

- di Britta Dörre - ZENIT -

 
 
 

MATRIX IN DIRETTA DA ATENE: L’ITALIA RISCHIA DI FARE LA FINE DELLA GRECIA, ECCO PERCHE’...

Post n°6799 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Univoche le testimonianze della gente: ‘‘Quello che oggi sta accadendo a noi, accadrà a voi, perché chi provoca tutto questo ha le stesse identiche intenzioni nei confronti vostri, della Spagna, del Portogallo, dell’Irlanda, ecc.’’

La trasmissione Matrix di giovedì 16 febbraio 2012 si è svolta in uno scenario differente dal solito. Il conduttore, Alessio Vinci, era con i suoi ospiti in una bella terrazza a Piazza Sintagma ad Atene. Sullo sfondo, illuminati, il Parlamento greco e lo spettacolo del Partenone. Ogni tanto, si trasmettevano i disordini e le violenze di popolo che erano avvenute o stavano ancora avvenendo dall’altra parte della immensa piazza.

Gli ospiti erano in parte italiani (fra cui anche Tremonti), in parte politici, giornalisti e imprenditori greci che si alternavano, il tutto arricchito da tante interviste a persone comuni. Fin qui tutto potrebbe sembrare abbastanza normale, anche la decisione di trasferirsi in Grecia, visto quello che sta accadendo lì. Ma è proprio questo il punto: quello che sta accadendo in Grecia, e di cui non abbiamo (come sempre) corretta notizia.

Dalla trasmissione è emerso infatti chiaramente che la situazione è incredibilmente più tragica di quello che sappiamo: da decine di migliaia di famiglie (tutte dell’ex ceto medio) senza più lavoro, a chi guadagnava mediamente 1200-1500 euro al mese e ormai (e sono la maggioranza) ne guadagna fra i 300 e 500 (un intervistato, alla domanda “come fate a sopravvivere?”, ha testualmente risposto: “semplice: non pago più nulla, eccetto il cibo di ogni giorno”); dai prossimi licenziamenti di statali (decine di migliaia) al fatto -da noi del tutto oscurato- che le banche hanno bloccato i bancomat e imposto un tetto per i prelievi (in pratica, i greci hanno perso l’utilizzo dei loro risparmi).

Quando si domandava agli intervistati di chi fosse la colpa di tutto questo, la risposta era univoca: della UE e in particolare della Germania, il cui scopo è la conquista economica del continente, preambolo al controllo politico.

Poi molti apportavano un’aggiunta, il cui concetto di fondo era il seguente: “non vi illudete voi italiani, quello che oggi sta accadendo a noi, accadrà a voi, perché chi provoca tutto questo ha le stesse identiche intenzioni nei confronti vostri, della Spagna, del Portogallo, dell’Irlanda, ecc.”.

Questa, che potrebbe sembrare una polemica “qualunquista” di gente arrabbiata, nel dibattito animato da Vinci è diventata in realtà la nota di fondo della serata. Vinci ha avuto il merito di non lasciarla cadere in omaggio al politicamente corretto, ma in realtà, con molto stile, l’ha tenuta al centro dell’attenzione.

E, ciò che è maggiormente interessante (e, ahinoi, sconcertante), fra gli ospiti nessuno ha negato tale eventualità, a partire da Tremonti (il quale, libero ora dagli incarichi politici, sembra aver riacquistato un poco la schiettezza del passato), che anzi ha rilanciato attaccando pubblicamente Mario Monti, ricordando che proprio Monti ebbe a dichiarare a settembre che l’Euro è una benedizione per l’Europa in quanto sta costringendo la Grecia a ritornare alla ricchezza reale!

Solo il giornalista Fubini del Corriere della Sera ha costantemente difeso Monti, la UE e in pratica i poteri forti (incolpando i greci della loro rovina), e ha cercato di smussare il fatto che vi sia questo pericolo per l’Italia. Ma la realtà è che alla fine questo senso di frustrazione generale, di consapevole paura di un “rischio Italia”, di sensazione della palese incapacità di gestione degli eventi (in quanto eterodiretti da forze che nessuno realmente controlla) ha dominato l’intera serata.

Pertanto, il messaggio che ne è passato è tanto “sotterraneo” quanto chiaro nella sua drammaticità: non solo non si può escludere, ma è realisticamente possibile, che anche in Italia, nei prossimi tempi, potrebbero avvenire licenziamenti di massa, riduzione a percentuali stratosferiche degli stipendi, e, chissà, magari… il blocco dei bancomat, come in Grecia.

Cosa succederà nei prossimi mesi?

Ci aspetta la Grecia?

E, se c’è questo pericolo, come rimanere inerti ad attendere la catastrofe, anestetizzati dai nostri parlamentari nullafacenti, burattini o burattinai che siano?

di Massimo Viglione - Corrispondenza Romana - newsletter@gesuemaria.it

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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