ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi di Luglio 2012

GIUSEPPE E MARIA: UN MODELLO DI COPPIA PER TUTTI NOI

Post n°7349 pubblicato il 29 Luglio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Nel suo libro "Sulle vie della speranza", Lia Beltrami attualizza l'esperienza di vita della Sacra Famiglia

Come può la famiglia di oggi avvicinarsi al modello di unione e fedeltà rappresentato da Giuseppe e Maria nella Nazaret di duemila anni fa? Nel suo ultimo libro, dal titolo Sulle vie della speranza, la regista e scrittrice Lia Giovanazzi Beltrami ha dimostrato come le storie di sofferenza e di emarginazione della società contemporanea possano intrecciarsi con le vite di Maria, Giuseppe e Gesù.

Giuseppe e Maria, per poter comprendere il grande mistero della loro missione e di quella del loro Figlio, hanno percorso un cammino che ogni persona attraversa nell’arco della propria esistenza per poter arrivare alla verità.

Alla presentazione del libro Sulle vie della speranza erano presenti, oltre all’autrice, la Presidente del Fiuggi Family Festival Antonella Bevere Astrei, la responsabile dell'Ufficio Stampa delle Edizioni Paoline, Suor Beatrice Salvioni e la neuropsichiatra e parlamentare Paola Binetti.

Suor Beatrice Salvioni ha voluto porre l’attenzione su come la famiglia di Nazaret possa essere rappresentata, così come ha fatto l’autrice del libro, in maniera concreta e umana: ieri come oggi, sono tante le famiglie che provano sulla loro pelle l’esilio, l’emarginazione ma anche la possibilità del dialogo e della solidarietà con il prossimo. Il dolore, la gioia, l’amore, sono sentimenti universali e immutabili sia per gli individui di 2000 anni fa, che per quelli di oggi.

L’autrice a sua volta, ha evidenziato come tutto il Vangelo nasca grazie alla Sacra Famiglia: una famiglia provata dalla sofferenza ma che ha dato una luce diversa al concetto di amore. Per il Vangelo infatti, la famiglia prende vita ogni qualvolta si crea una comunità.

La scrittrice si è poi soffermata sul rapporto di coppia tra Giuseppe e Maria: “Si pensa alla loro unione come ad un obbligo – ha detto Lia Beltrami –. In realtà per l’ebraismo era vietato il matrimonio imposto ed era essenziale che la donna scegliesse liberamente di trascorrere il resto della sua vita con il suo futuro marito. Nel momento più difficile poi, quando Giuseppe scopre la gravidanza di Maria, l’uomo prova un dolore immenso nel dover ripudiare la sua sposa ma poi, nel cuore della notte, capisce che grazie alla forza di Dio, è possibile superare le barriere imposte dalla cultura e dalle leggi del tempo”.

Le storie di Sulle vie della speranza intrecciate con quella della Sacra Famiglia, sono testimonianze di vita attuali: il cammino di un padre e una figlia nel deserto alla ricerca del monastero di Deir Mar Musa, un luogo dedicato principalmente al dialogo interreligioso con il mondo musulmano; il viaggio di Mamadù, un giovane senegalese che abbandona il suo Paese per raggiungere l’Italia: per due anni, si ritrova a vivere all’interno di una grotta e solo dopo immani sofferenze incontra negli occhi di una ragazza italiana, lo sguardo di un amore destinato a durare per tutta la vita. Con uno stile comunicativo ed efficace, Lia Beltrami fa emergere un mosaico di speranza: se volgiamo gli occhi al cielo nei momenti di difficoltà, possiamo superare qualsiasi ostacolo.

Una nota a parte merita la copertina del libro, in cui sono ritratti due contadini: “Gli elementi della vita contadina sono presenti anche nelle esistenze di Giuseppe e Maria - ha evidenziato l’autrice -. La sapienza profonda, la pazienza, saper seminare e attendere il corso delle stagioni. Oggi le famiglie si sgretolano proprio perché non si è più disposti ad accogliere l’altro e a saperlo accettare anche nei momenti in cui l’amore lascia ferite profonde. È con questo spirito che si può trarre un finale positivo da ogni storia”.

L’on. Binetti, piacevolmente colpita dalle storie raccontate dalla Beltrami, si è dimostrata convinta che metter su famiglia non significa essere i protagonisti di un romanzo rosa: “Si pensa che un sogno d’amore sia più bello senza le difficoltà – ha detto la Binetti -. Ma la vera bellezza risiede nella consapevolezza che il modello della famiglia di Nazaret non è un modello irraggiungibile. C’è un immenso bisogno tuttavia della Grazia che permetta di superare ogni fatica. Sarebbe meraviglioso se questo libro venisse letto durante i corsi di preparazione al matrimonio per insegnare ai futuri coniugi la fiducia alimentata dalla verità”.

Al termine della presentazione, la scrittrice ha voluto condividere con i presenti un episodio significativo della sua storia personale: “I miei genitori festeggiano quest’anno cinquant’anni di matrimonio - ha raccontato -. Ma non è stato sempre rose e fiori: venticinque anni fa, mio padre se ne andò di casa e per ben dieci anni continuò la sua vita lontano da mia madre. Mia mamma, nonostante il dolore, continuò a portare la fede al dito ed aspettò che mio padre, un giorno o l’altro, tornasse dalla sua famiglia. E così è stato. L’amore paziente ha dato la forza a mia madre di far germogliare dei fiori nel deserto più arido”.

- di Gaia Bottino - ZENIT -

 
 
 

LA "BOMBA" A SORPRESA DEL SANTO PADRE: VESCOVO ANTIGAY A SAN FRANCISCO CAPITALE GAY

Post n°7348 pubblicato il 29 Luglio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Benedetto XVI nomina monsignor Salvatore Cordileone ai vertici della diocesi di San Francisco. Delle nozze fra persone dello stesso sesso l’alto prelato ha detto: “Sono opera del diavolo”

Mentre la Chiesa italiana tramite il suo giornale di riferimento, Avvenire, attacca il Comune di Milano che ha fatto le ore piccole per approva­re il registro delle unioni civili mentre «nessuna maratona istitu­zionale è s­tata organizzata per da­re sostegno alle fa­miglie con figli», di più- e di più an­che di una certa afasia della chie­sa italiana- ha fat­to Papa Benedeto XVI. Con una deci­sione che il giova­ne ma esperto va­ticanista america­no Rocco Palmo ha definito sul suo blog «Whi­sper in the loggia » come «una vera bomba»,ha nomi­nato nuovo vesco­vo di San Franci­sco monsignor Salvatore Cordile­one.

Che significa aver messo nella città in cui vive la più alta concen­trazione di perso­ne omosessuali il vescovo america­no che maggior­mente si è speso contro le nozze gay. E che signifi­ca, insieme, aver portato un vesco­vo di linea dura e intransigente nel­la diocesi dove i suoi predecessori sempre si erano spesi per una pa­sto­rale verso i gay che molte anten­ne ha fatto sollevare anche in Vati­cano. Già vescovo di Oakland, le batta­glie di Cordileone contro l’ammi­nistrazione Obama sul tema delle nozze gay hanno raggiunto in pas­sato toni aspri e duri. Quando nel 2002 Obama comunicò di non vo­le­r difendere il Defense of Marrige Act (Doma), avallando di fatto la tutela del matrimonio gay, Cordi­lenoe commentò testuale: «Io non so con certezza quanto influs­so abbia la lobby gay su Obama, ma la mossa del presidente pare la risposta alle loro pressioni. Non mi spiego la cosa altrimenti, dato che la società è contraria». E anco­ra: «Sulla famiglia si dice che la mentalità sia cambiata, ma allora perché ogni volta che i cittadini americani hanno dovuto espri­mersi in merito, hanno votato in favore del matrimonio naturale fra uomo e donna? Anche questo dato è indicativo. Le persone inter­vistate nei sondaggi dicono di es­sere per l’equiparazione del matri­mono gay, poi nel segreto dell’ur­na votano contro. Motivi per cui i governanti preferiscono non indi­re referendum su questa questio­ne. Persino nella California libe­ral ha trionfato la famiglia natura­le, anche se poi quel voto non ha contato nulla». Già, la California liberal. È in molte di queste diocesi dello stato americano che Papa Ratzinger ha portato presuli conservatori, no­mine criticate ma anche coraggio­se come è quella di due anni fa del presule messicano José Horacio Gomez a Los Angeles. E molto co­raggio c’è voluto per portare Cor­dileone a San Francisco, la diocesi dove ebbe luogo la parata dell’or­goglio cattolico-gay. Nel noto quartiere-omosex Castro, colui che per anni è stato cancelliere della diocesi, Steve Meriwether, ha benedetto più volte la parata ve­stito con abiti religiosi color arco­baleno. Parecchi problemi con il movi­mento cattolico omosessuale di San Francisco li ha avuti in passa­to il cardinale William Joseph Le­vada quando, prima di arrivare a Roma all’ex Sant’Uffizio, guidava proprio la diocesi californiana. Fu lui, che fece una tesi di laurea sul «magistero infallibile della Chie­sa e sulla legge naturale », a impor­si nel 1997 contro il sindaco della città Willie Brown che voleva far adeguare la Chiesa a una legge sul riconoscimento della copertura sanitaria per le coppie omosessua­li. Lo scontro divenne più aspro nel 2000, nell’anno del Giubileo, quando Levada non esitò a invia­re in Vaticano le immagini di una parata gay in cui molte persone sfi­larono- si dice anche con l’appog­gio di alcuni preti della diocesi- ve­stiti per le strade della città da suo­re e da preti. Il «problema», infatti, secondo molti osservatori, è sem­pre ri­sieduto all’interno della dio­cesi dove la giusta accoglienza de­gli omosessuali è stata da alcuni tramutata in appoggio diretto alle loro battaglie per ottenere diritti che la Chiesa non può avallare. L’arrivo di Cordileone è in que­sto senso una spina nel fianco per quella parte di diocesi più vicina alle lobby gay. Scrive l’ Huffington Post che la nomi­na «è un duro col­po assestato dal Vaticano alle lob­by gay». Perché per Cordileone il matrimonio fra persone dello stes­so sesso è «opera del diavolo», un’opera attraver­so la quale «il mali­gno intende di­struggere il mon­do ». La comunità gay della diocesi non ha reagito be­ne. Tom Ammia­no, che guida la co­munità gay della diocesi, ha detto che la nomina non è «una benedizio­ne del cielo ». E il si­lenz­io col quale la comunità catto­lica di Castro ha reagito alla nomi­na dice che anche tra i cattolici la decisione papale è stata presa in modo non univoco. Una decisio­ne che­resta comunque importan­te e che porterà in futuro un nuovo vescovo conservatore all’interno del collegio cardinalizio, il circolo ristretto di porporati che elegge il Papa in conclave.

Fonte: ilgiornale.it/news/interni/bomba-sorpresa-papa-vescovo-antigay-nella-capitale-gay-826459.html - Libertà e Persona -

 
 
 

L'OSSERVATORE ROMANO CONTRO I GATES E LA MALIZIA DELLA NESTLE' VERSO LE DONNE AFRICANE

Post n°7347 pubblicato il 29 Luglio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

L’«Osservatore Romano» dice basta agli «stereotipi» sulla Chiesa retrograda in materia di controllo delle nascite e attacca i coniugi Bill e Melinda Gates con un editoriale in prima pagina intitolato «I rischi della filantropia». Il commento, a firma di Giulia Galeotti, definisce «un po’ fuori tiro e obnubilata» dalla «cattiva informazione» la moglie del fondatore di Microsoft, che alla «Cnn» ha appena annunciato di voler spendere nei prossimi otto mesi 450 milioni di euro «per ricercare nuove tecniche di controllo delle nascite, migliorare l’informazione sulla contraccezione e rendere disponibili servizi e strumenti nei Paesi più poveri». Melinda Gates ha «confidato» all’emittente «il suo travaglio come credente», consapevole che la sua iniziativa rappresenti una sfida alla gerarchia ecclesiastica.

Il giornale del Papa vuole contrastare l’idea di una Chiesa cattolica «contraria al preservativo», che «lascia morire donne e bambini per misogina intransigenza», lettura definita «infondata e dozzinale». Ricorda invece che la Chiesa «è favorevole alla regolamentazione naturale della fertilità, a quei metodi cioè fondati sull’ascolto delle indicazioni e dei messaggi forniti dal corpo», vale a dire al metodo Billings, «considerato sicuro al 98 per cento». «L’Osservatore» fa notare come questo metodo «agli occhi di una certa parte del mondo» abbia «un duplice inconveniente», perché «è gestibile in autonomia e consapevolezza dalle donne stesse, anche da quelleanalfabete». E poi perché «il suo peccato originale e imperdonabile sta nell’essere un rimedio completamente gratuito». Aspetto che «lo rende fortemente inviso alle industrie farmaceutiche, che con la contraccezione chimica ottengono invece guadagni enormi. Come del resto avverrà grazie alla filantropia della signora Gates».

Ma il giornale della Santa Sede riserva un finale al curaro anche alla Nestlè. «La multinazionale ha fornito in modo furbesco e scorretto alle donne africane - conclude l’articolo – latte in polvere per i loro neonati, mediante confezioni omaggio che durano il tempo necessario per far andare via alla neo mamma il latte naturale. A quel punto, la madre è obbligata all’acquisto: attraverso campagne pubblicitarie che presentano l’allattamento al seno come barbaro e quello artificiale come moderno e civile; grazie anche a pressioni psicologiche di vario tipo a opera di fantomatici medici e infermieri. Creando così un bisogno, in nome della beneficenza e in vista del guadagno».

-da Sacri palazzi di  andreatornielli -

 
 
 

INTERVISTA AL CAPPELLANO DEL VILLAGGIO OLIMPICO: UNA PRESENZA AMICA NEL MONDO DELLO SPORT

Post n°7346 pubblicato il 28 Luglio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Una figura introdotta dall'Italia e oggi adottata da diversi Paesi

Nel mondo dello sport la dimensione scaramantica è fortemente presente, quindi la presenza di un cappellano è utile ad evitarla. E gli atleti riescono a capire che il prete non è un portafortuna, ma una presenza amica.

Nell'approccio alla fede, lo sport è un terreno fertile, perché è una metafora dell'esistenza stessa. Uno spazio, quello del villaggio olimpico, che per il cappellano si trasforma in parrocchiale o oratoriale, dove la figura del prete viene molto apprezzata e la molteplicità delle situazioni porta a stabilire rapporti differenziati.

A questo proposito ZENIT ha raggiunto telefonicamente il cappellano degli Azzuri, Mario Lusek, già a Londra in attesa delle Olimpiadi, che nell'edizione imminente ospiterà 26 sport, suddivisi in 35 discipline.

Come nasce questa scelta di inviare un cappellano ai giochi olimpici?

Don Lusek: La scelta del Comitato Olimpico Italiano di portare un cappellano risale alle Olimpiadi di Seul, quindi ormai di lunga data, ed è stata l'Italia, la prima ad ammettere questa figura, per merito del presidente Giovanni Petrucci. Una presenza significativa dal punto di vista dell'accompagnamento, della vicinanza, dell'attenzione della Chiesa verso il mondo degli atleti. Il mio predecessore, Don Carlo ha fatto cinque olimpiadi, per me questa è la terza, comprese quelle invernali.

Che compito svolge il cappellano?

Don Lusek: Anche se all'interno del villaggio olimpico esiste un centro multireligioso per le confessioni cristiane e le religioni più diffuse. La figura del cappellano italiano è originale perché all'interno di una struttura, che sta insieme agli atleti, quindi dimostra questa vicinanza amica tra il mondo della Chiesa e il mondo dello sport.

Da chi dipende un cappellano delle olimpiadi?

Don Lusek: La mia funzione di cappellano nasce dal fatto che sono direttore dell'ufficio della Pastorale del tempo libero, turismo e sport, quindi c'è un rapporto istituzionale tra la Chiesa italiana e il mondo dello sport in quanto tale. Promuoviamo anche, attraverso l'associazionismo di ispirazione cristiana, una presenza capillare nella Chiesa, nelle parrocchie, oratori, e centri di aggregazione, dove c'è una presenza storica.

Avete celebrato già qualche messa?

Don Lusek: Con la nostra delegazione, domenica scorsa abbiamo celebrato nella Chiesa degli Italiani a Londra, alla presenza del nunzio apostolico Antonio Mennini, ed è stata una esperienza molto significativa dal punto di vista religioso. Qui il cardinale Bagnasco ha inviato un suo messaggio particolare, e il 30 si terrà una celebrazione nell'abbazia di Westminster rivolta a tutte le componenti cattoliche.

Le altre nazionali hanno un loro cappellano?

Don Lusek: Alcune nazioni, dopo l'esperienza italiana si sono organizzate, come, ad esempio, la Polonia, l'Austria, la Germania, e anche l'Inghilterra visto che è un evento che si gioca “in casa”.

Come vive un atleta un rapporto con Dio quando deve dare il meglio di se in una gara sportiva?

Don Lusek: Noi viviamo una esperienza particolare poiché ci sono migliaia di atleti. Nel contingente italiano siamo oltre trecento persone, con una cultura ed un'esperienza sicuramente differenziata. Nell'approccio alla fede, lo sport è un terreno fertile, perché è una metafora dell'esistenza. L'agonismo sportivo e l'agonismo spirituale possono coincidere come prospettiva esistenziale. D'altronde lo sport predispone alla fatica, all'impegno alla responsabilità e questo, per un agonismo di natura spirituale, è importantissimo. Promuove l'unità della persona.

Quindi lei lavora all'interno del villaggio olimpico...

Don Lusek: Considero il villaggio olimpico come uno spazio parrocchiale o oratoriale, dove nessuno è indifferente alla figura del prete, una figura molto apprezzata e condivisa ma dove la molteplicità delle situazioni porta a rapporti differenziati. Quindi si incontrano persone che chiedono, domandano, partecipano alla Santa Messa, altri invece rimangono sui rapporti umani informali, di dialogo e di confronto, dove non c'è ostilità né rischio per la presenza del prete. E questo è già un fattore importante che ci rende prossimi, e fa percepire che la Chiesa è vicina a questo fenomeno, non è ostile e vuole accompagnare.

Ci sono stati casi di conversioni, o particolari?

Don Lusek: Esistono diverse inquietudini interiori che si manifestano con delle domande e delle ricerche. Conversioni improvvise sicuramente no, ma ricerca, dialogo e confronto sicuramente sì, e nei momenti e nei luoghi più incredibili. D'altronde non è la Chiesa che fa le Olimpiadi: siamo ospiti e si accompagna questa esperienza con un atteggiamento di disponibilità e di attenzione. Mettiamo al centro la persona e con la persona dialoghiamo in profondità, rispettando anche le situazioni faticose che qualcuno può vivere.

Quale è il profilo dell'atleta?

Don Lusek: Non dimentichiamo che la maggior parte degli atleti sono giovani e vivono la loro esperienza con tutte le tensioni tipiche della giovinezza. Quindi abbiamo giovani inquieti, giovani in ricerca, su cui sono puntati gli occhi di tutto il mondo e da cui tutti si aspettano il meglio. E questo per un ragazzo è anche tensione, ansia e preoccupazione. E quando arriva successo è una liberazione da questa ansia. E quando la fatica aumenta qualche disagio si manifesta.

Ma nel mondo dello sport, rimane chiaro al ragazzo che il fattore religioso non è un portafortuna?

Don Lusek: Nel mondo dello sport la dimensione scaramantica è fortemente presente, ma cerchiamo di evitare questa dimensione attraverso una vicinanza umana che fa percepire proprio il motivo per cui siamo accanto a loro, che il prete non è un portafortuna, ma una presenza amica che incoraggia e che vive la stessa esperienza degli uomini del villaggio.

Vale a dire che anche il cappellano in qualche modo vive questa esperienza sportiva?

Don Lusek: Sì, si entusiasma, si appassiona, condivide le gioie per le vittorie e rimane deluso anche lui quando c'è qualche sconfitta da subire. L'importante è capire che la sconfitta è un modo per ricominciare da capo, e che lo sconfitto non è un perdente.

E il fatto che alcuni fanno il segno della croce prima di cominciare?

Don Lusek: In genere non lo fanno per scaramanzia ma come una testimonianza della loro fede, e questo si trasforma in una testimonianza pubblica. Quindi sono favorevole.

- ZENIT -

 
 
 

PERCHE' LE DONNE SOFFRONO SEMPRE DI PIU' DI DEPRESSIONE?

Post n°7345 pubblicato il 28 Luglio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

In Inghilterra una donna su tre prende psicofarmaci contro la depressione. Prozac e Cipramil vanno via come acqua fresca. Lo riferisce il quotidiano britannico The Independent, citando studi medici.

Ora, non vorrei entrare con la mia rinomata delicatezza da elefante in un ambito tanto privato e delicato come la salute mentale, ma qualche domanda vorrei farmela. Perché le donne? Perché con una frequenza che ha indotto il ministero della salute a parlare di “crisi nazionale”? E perché in un paese che è stato ed è all’avanguardia nella battaglia per l’emancipazione, per la parità dei ruoli di uomo e donna?

Se trentatré donne su cento, che è una cifra esorbitante, devono prendere antidepressivi per andare avanti, siamo autorizzati a pensare che sia un fatto culturale, sociale, di identità collettiva, e non di malattia, perché nessuna malattia può avere un’incidenza tanto alta.

Le femministe diranno come al solito che le donne devono fare troppe cose, tutte da sole, e daranno la colpa agli uomini e allo stato sociale che non le aiutano. La solita solfa. Io però ne ho conosciute di donne che hanno tirato avanti la carretta della famiglia, numerosa magari, in tempo di guerra, magari, con i buoni per il pane e lo zucchero, e il mercato nero, e le scarpe da mettere solo per andare in chiesa. Non ho mai sentito da loro la parola depressione, che ha molto più a che fare con la perdita di senso che con la fatica vera e propria.

Penso piuttosto che possa entrarci il fatto che la donna si è persa, non sa più chi è. Ha perso il bandolo della matassa. Noi donne per secoli siamo state le culle della vita nascente, depositarie di questo fuoco da tenere sempre acceso, di generazione in generazione. Da quando abbiamo cominciato a dire che questo non era abbastanza, e ce ne siamo liberate, vivendo la nostra sessualità in modo emotivo e disordinato, libero da rischi di concepimento (rischio? o miracolosa fortuna, piuttosto?), non sappiamo più da che parte andare. Anche se abbiamo figli, ci teniamo a dire che ci realizziamo anche fuori, e ci sentiamo in dovere di fare tutto, di essere tutto, di vivere troppe vite. Una fatica bestiale, insostenibile. Un continuo, frenetico, insensato multitasking, a volte imposto (e ci sarebbe da ragionare su alcuni meccanismi economici), a volte abbracciato con zelo.

In entrambe le eventualità, comunque, difficilmente l’essere madre, o comunque l’essere accogliente verso la vita, viene vissuta come una profonda, gratificante avventura che consente il dispiego di tutto il nostro genio. “Voglio di più, l’uomo non mi può dominare, costringere a questo”. Ma dove li vedranno poi tutti questi maschi dominanti e coercitivi? Io ne vedo tanti persi e disorientati, piuttosto.

E con le dimensioni dell’epidemia di depressione deve entrarci anche il fatto che rimuovendo la croce dal nostro orizzonte esistenziale, tutti – uomini e donne – pensiamo che ogni fatica, difficoltà, sofferenza vada evitata. Da chi non ha Cristo come compagno di strada, cadere e sbucciarsi le ginocchia non viene sentito come un prezzo da pagare per salire un po’ più su, ma come una fregatura, dalla quale quindi è meglio svicolare il più possibile. Se una pillola permette di farlo, ben venga.

Non è che noi cattolici siamo cretini, e ci piaccia soffrire. E’ che anche alla sofferenza, che neanche a Gesù piaceva (i malati li guariva, mica dava loro un buffetto sulle guance), Lui ha dato un senso. Ed è il senso che fa la differenza.

Quanto a me, lo ammetto, lamentarmi mi piace molto. Lo saprei fare molto bene. Sono creativa, attenta (trovo il pelo nell’uovo), resistente, tenace. Se un’amica ha da fare ne posso sempre chiamare un’altra, non mi arrendo facilmente. Se il lamento diventasse una specialità olimpica punterei al podio. Voglio l’oro nel lamento carpiato, perché posso rigirare il discorso di 360 gradi e giungere a una lamentela, in qualsiasi punto della conversazione mi trovi.

Mi sforzo a volte di non farlo, però, perché ultimamente vedo musi così lunghi, intorno a me, che penso che un’altra lagnanza in più porterebbe il mondo oltre la soglia accettabile di entropia.

E così, a parte il fatto che nonostante i colpi di sole di vari parrucchieri continuo a portare in testa un ratto muschiato (ma lo faccio con disinvoltura), mi faccio andare bene quello che ho.

Il fatto è che siamo adulti quando desideriamo ciò che abbiamo. E abbiamo tantissimo, tanti di noi. Quasi tutti, a parte quelli colpiti dalla sofferenza degli innocenti, che è una prova sconvolgente. Eppure non siamo capaci di gioirne. Così mi viene spesso in mente quel banchetto di cui parla il Vangelo: nessuno degli invitati viene alla festa, e allora il padrone di casa comincia a radunare in giro gli scarti, i malati, i poveri, un’accozzaglia di gente che almeno si goda la festa meravigliosa che era preparata per noi.

-  Costanza Miriano - Costanzamiriano.wordpress.com -

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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