ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi di Aprile 2014

PAPI SANTI: DUE UOMINI CORAGGIOSI CHE HANNO "RIPRISTINATO E AGGIORNATO" LA CHIESA

Post n°8990 pubblicato il 29 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

"Sono stati due uomini coraggiosi", "sono stati sacerdoti, vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell'uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio". Da oggi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II che, col Concilio "hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria", sono anche "iscritti nel Libro dei santi", cioè l'attuale Papa ne riconosce e dichiara la santità. Dichiarazione "infallibile", perché questo è uno dei rarissimi casi nei quali un  papa parla "con l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra".

L'annuncio di papa Francesco, all'inizio della messa di canonizzazione, è accolto dall'applauso di una folla immensa. Sono centinaia di migliaia di persone che dalle prime luci dell'alba, e spesso fino dalla notte, hanno riempito non solo piazza san Pietro e via della Conciliazione, fino a Castel Sant'Angelo, ma anche le via adiacenti. Ci sono bandiere di tutto il mondo. E molti sono raccolti davanti ai maxischermi allestiti in vari punti della città. In tutto, si dice, ben più di un milione di persone, che hanno anche sfidato il rischio della pioggia, che non c'è stata. Due miliardi, infine, coloro che hanno potuto seguire la messa attraverso radio e televisioni di tutto il mondo. E al Regina Caeli Francesco saluta "tutti i pellegrini - qui in Piazza San Pietro, nelle strade adiacenti e in altri luoghi di Roma - come pure a quanti sono uniti a noi mediante la radio e la televisione; e grazie ai dirigenti e agli operatori dei media, che hanno dato a tante persone la possibilità di partecipare".

Con papa Francesco concelebrano circa 150 cardinali, 700 vescovi e seimila sacerdoti. E sono 600, insieme a 200 diaconi, i sacerdoti che amministrano la Comunione. Concelebra anche Benedetto XVI. Il suo arrivo è salutato dal lungo, caloroso applauso della folla. Applauso che si rinnova quando Francesco si avvicina e abbraccia il papa emerito. Che non è all'altare, ma al primo posto tra i cardinali.

E ci sono 122 delegazioni provenienti da tutto il mondo - da Andorra allo Zimbabwe - per partecipare alla Messa, 24 guidate da capi di Stato e sovrani, 10 da capi di governo, le altre da ministri, ambasciatori o altre personalità. Al Regina Caeli Francesco esprime "riconoscenza alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi, venute per rendere omaggio a due Pontefici che hanno contribuito in maniera indelebile alla causa dello sviluppo dei popoli e della pace".

Ci sono rappresentanti ortodossi e anglicani, "ma - ha precisato padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede - non si può parlare di delegazioni ufficiali di Chiese o confessioni". Anche esponenti musulmani "hanno manifestato il desiderio di partecipare, ma non ci sono delegazioni". E ci sono 18 personalità ebree, provenienti dagli Stati Uniti, da Israele, dall'Argentina, dalla Polonia e dalla comunità ebraica di Roma. Tra loro Michael Schudrich, rabbino capo di Polonia, il rabbino David Rosen, direttore degli affari interreligiosi dell'American Jewish Committee, Oded Wiener, direttore generale del Gran Rabbinato d'Israele, il rabbino Abraham Skorka del Seminario rabbinico di Buenos Aires e Claudio Epelman, direttore esecutivo del Congresso ebreo latinoamericano. La delegazione degli ebrei romani è guidata dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.

Alla proclamazione dei due papi santi segue il "dono delle reliquie" a papa Francesco. Quelle di Giovanni Paolo II sono un  piccolo tessuto intriso del suo sangue e nel caso di Giovanni XXIII un piccolo pezzo di pelle prelevato nel corso della ricognizione della salma. A portarle all'altare, in due reliquari uguali, Floribeth Mora Diaz, donna del Costa Rica guarita con un miracolo da papa  Wojtyla e alcuni membri della famiglia Roncalli.

All'omelia Francesco ricorda che oggi è la domenica che Giovanni Paolo II volle intitolare alla Divina Misericordia, al centro della quale "ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto. Egli le mostrò già la prima volta in cui apparve agli Apostoli, le sera stessa del giorno dopo il sabato, il giorno della Risurrezione. Ma quella sera non c'era Tommaso; e quando gli altri gli dissero che avevano visto il Signore, lui rispose che se non avesse visto e toccato quelle ferite, non avrebbe creduto. Otto giorni dopo, Gesù apparve di nuovo nel cenacolo, in mezzo ai discepoli, e c'era anche Tommaso; si rivolse a lui e lo invitò a toccare le sue piaghe. E allora quell'uomo sincero, quell'uomo abituato a verificare di persona, si inginocchiò davanti a Gesù e disse: «Mio Signore e mio Dio!»".

"Le piaghe di Gesù sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede. Per questo nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell'amore di Dio per noi, e sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà. San Pietro, riprendendo Isaia, scrive ai cristiani: «Dalle sue piaghe siete stati guariti»".

"San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello, perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia".

"Sono stati sacerdoti, vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell'uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la vicinanza materna di Maria. In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia dimorava «una speranza viva», insieme con una «gioia indicibile e gloriosa». La speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli. La speranza e la gioia pasquali, passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all'estremo, fino alla nausea per l'amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi Papi hanno ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza".

"Questa speranza e questa gioia si respiravano nella prima comunità dei credenti, a Gerusalemme, di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli. E' una comunità in cui si vive l'essenziale del Vangelo, vale a dire l'amore, la misericordia, in semplicità e fraternità".

"E questa è l'immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del Concilio san Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata, guidata dallo Spirito. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; a me piace pensarlo il Papa della docilità allo Spirito".

"In questo servizio al Popolo di Dio, san Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene".

"Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia. Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama".

Fonte: asianews.it

 
 
 

ALLA DISNEY E' BANDITA LA PAROLA DIO

Post n°8989 pubblicato il 29 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Guai a nominare Dio nel film per bambini della Disney, potrebbero spaventarsi. A rivelarlo sono stati i musicisti Robert Lopez e Kristen Anderson vincitori del premio Oscar per la migliore musica originale con la loro hit “Let It Go” composta per la colonna sonora dell’eccezionale successo Disney, il cartoon “Frozeen”.

La coppia di musicisti, che è unita anche nella vita, dato che i due sono sposati ed hanno due figli, ha rilasciato tali sorprendenti dichiarazioni a margine di un’intervista  all’interno del programma radiofonico “Fresh Air” condotto da Terry Gross sulla “National Public Radio” (NPR ). Robert Lopez e Kristen Anderson hanno spiegato, dunque, come alla Disney “una delle cose sulle quali è necessario fare attenzione sono le cose religiose, e, in particolare, alla parola Dio“. In tal senso Lopez ha specificato: “E’ una parola che puoi pronunciare in Disney, ma non si può mettere nel film“.

La rivelazione ha suscitato le ire di molti commentatori cristiani conservatori che avevano già attaccato il film per la sua presunta propaganda pro-gay e incitamento alla bestialità. Il brano vincitore dell’Oscar “Let It Go” secondo alcuni, costituirebbe, infatti, un incentivo a fare coming out, dal momento che il personaggio di Elsa non ha alcuna figura maschile vicino a sé lungo tutto il film. Mentre, i riferimenti alla “bestialità” sarebbero, invece, da ritrovare nel rapporto ambiguo tra il personaggio di Kristoff e la sua renna Sven.

(L.G.) corrispondenzaromana.it -

 
 
 

IDEOLOGIA GENDER SBUGIARDATA: DONNA SI NASCE, NON SI DIVENTA

Post n°8988 pubblicato il 29 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Adesso è ufficiale: Simone de Beauvoir (1908-1986) aveva torto quando sosteneva che «donne non si nasce, lo si diventa» e che la donna sia un «prodotto intermedio tra il maschio e il castrato» elaborato dall’«insieme della storia e della civiltà».

A sconfessare l’idea della celebre scrittrice francese – ed anche della teoria gender, che si sostanzia nella tesi secondo cui l’identità maschile o femminile di ognuno non sarebbe che un costrutto sociale e, come tale, potenzialmente alternativa al sesso biologico – è un recentissimo studio scientifico condotto da ricercatori della Universidad de Granada, della Universitat de Barcelona Pompeu Fabra e della Middlesex University di Londra (Cfr. Psychoneuroendocrinology, 2014; Vol.43:1-10).

Cosa si è scoperto con questa ricerca? Semplice: che l’intuito femminile – dote che, com’è noto, contraddistingue in modo inconfondibile il comportamento della donna rispetto a quello dell’uomo, e prima ancora del comportamento il modo di ragionare – si definisce già prima della nascita, sin dalla vita intrauterina. Se la donna, rispetto all’uomo, è maggiormente predisposta a comprendere al volo situazioni complesse e a sapersi meglio districare in situazioni difficili senza particolari difficoltà – secondo questo studio, effettuato considerando un campione di 632 studenti – lo si deve alla scarsa esposizione in fase prenatale del cervello femminile al testosterone, ormone che ‘instilla’ razionalità e capacità riflessive.

Il diverso modo di ragionare tra uomo e donna deriva dunque da differenze tra cervello maschile e femminile configurate dall’influenza degli ormoni sessuali, il testosterone per lui e gli estrogeni per lei, in modo graduale e già prima del parto. Dette differenze variano fra singoli individui rendendosi, in taluni confronti, pressoché minime, anche se è stato osservato in modo netto un diverso funzionamento del cervello, con le donne con migliori collegamenti tra le parti destra e sinistra, che presiedono alle capacità di tipo logico-matematico e alla creatività, mentre negli uomini le connessioni migliori sono tra la parte frontale e la parte posteriore, sedi delle aree dell’istinto e della ragione (Cfr. Proceedings of the National Academy of Sciences, 2013; Vol.111(2):823–828).

Con questo, si badi, non s’intende in alcun modo incoraggiare una sorta di “determinismo biologico/ormonale” volto a negare che esista anche un ruolo ambientale e della società nella modulazione dell’identità maschile o femminile di ciascuno: si vuole invece smentire il “determinismo sociale” che sta alla base della teoria gender (anche se più che di teoria, a questo punto, parrebbe doveroso parlare di ideologia) e che, come ricordato, vuole l’essere uomo o donna riconducibile esclusivamente alle aspettative e alle convenzioni della società nei confronti di un individuo che per sfuggire ad esse non dovrebbe fare altro, secondo questa prospettiva, che scegliere – liberamente e non più sotto pressione alcuna – se essere/rimanere uomo, donna o cambiare, un po’ come si fa coi vestiti.

Ma la natura non è un prodotto della cultura come dimostrano, in aggiunta a quelle fisiche, le differenze innate fra uomo e donna. E l’esistenza della natura, dato che mette in crisi il paradigma gender e, più in generale, i presupposti ideologici di certo femminismo, spaventa. Non a caso nel mondo accademico vi sono ricercatori tacciati di sessismo o che hanno visto pubblicati a fatica i propri lavori per il semplice fatto che sconfessano l’ideologia dominante. Gloria Allred, avvocatessa americana impegnata sul fronte dei diritti civili e delle donne, ha dichiarato che gli studi sulle differenze sessuali sono «nocivi e pericolosi per la vita delle nostre figlie, per quella delle nostre madri». Pur di negare un’evidenza, cioè, la si bolla come “pericolosa”. Ma la verità non ha mai fatto male a nessuno mentre le menzogne, si sa, non hanno mai fatto del bene.

Pubblicato da giulianoguzzo in bioetica

 
 
 

VERGOGNA ! VERGOGNA ! VERGOGNA ! LEGGETE, PER FAVORE. SE AVETE FIGLI

Post n°8987 pubblicato il 28 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Chi tace è loro complice. Solo delle menti perverse possono partorire uno schifo simile. Leggete per favore se avete figli e ribellatevi !!!

E' un brano di un romanzo fatto leggere agli studenti - tredici/sedici anni - del Liceo Giulio Cesare di Roma. C'è stata una denuncia penale. Ma il Ministero della Pubblica Istruzione non ha niente da dire o da fare in proposito?

“(…) Nessuno avrebbe mai sospettato che quel muscoloso, ruvido, stopper della squadra di calcio dell’oratorio (…) la notte si stancava la mano sulle foto di Jimi Hendrix, Valerij Borzov e Cassius Clay. Pure, benché sapesse che Mariani Andrea non soltanto lo avrebbe respinto ma anche tradito e sputtanato, un pomeriggio, quando dopo la partita indugiò nello spogliatoio e si ritrovò solo con lui, Giose decise di agire – indifferente alle conseguenze. Si inginocchiò, fingendo di cercare l'accappatoio nel borsone, e poi, con un guizzo fulmineo, con una disinvoltura di cui non si immaginava capace, ficcò la testa fra le gambe di Mariani e si infilò l'uccello in bocca. Aveva un odore penetrante di urina, e un sapore dolce. Invece di dargli un pugno in testa, Mariani lasciò fare. Giose lo inghiottì fino all’ultima goccia e sentì il suo sapore in gola per giorni. Il fatto si ripeté altre due volte, innalzandolo a livelli di beatitudine inaudita”.

Questo brano è contenuto in un romanzo che gli allievi di alcune prime classi del Liceo Giulio Cesare di Roma hanno dovuto leggere. Gli allievi delle prime classi del liceo vanno dai tredici ai sedici anni.

Di conseguenza l’associazione Giuristi per la Vita (www.giuristiperlavita.org) e l’associazione Pro Vita Onlus (www.notizieprovita.it) hanno presentato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma una denuncia per i reati previsti e puniti dagli artt. 528 e 609 quinquies del Codice Penale, aggravati ex art. 61, primo comma, n.9 del medesimo Codice, commessi da insegnanti del Liceo Classico Giulio Cesare di Roma. Un comunicato spiega perché.

“In attuazione del documento dell’U.N.A.R., Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale, che va sotto il nome di Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015), il quale prevede, tra l’altro, l’«arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografie sulle tematiche LGBT e sulle nuove realtà familiari», alcuni docenti del Liceo Classico Giulio Cesare di Roma, nelle prime classi del ginnasio (frequentate quindi da studenti di età compresa tra i quattordici – e forse qualcuno di tredici – ed i sedici anni), gli allievi sono stati obbligati a leggere un romanzo, a forte impronta omosessualista, dal titolo “Sei come sei” della scrittrice Melania Mazzucco (Edizioni Einaudi), alcuni passi del quale rivelano, in realtà, un chiaro contenuto pornografico…Si tratta di divulgazione di materiale dichiaratamente osceno, che non può non urtare la a sensibilità dell’uomo medio, specie se si considera che tale divulgazione era diretta ad un pubblico composto da minorenni”.

E il Ministero della Pubblica Istruzione, non ha niente da dire o da fare in proposito?

Fonte - www.lastampa -

 
 
 

GIOVANNI XIII E GIOVANNI PAOLO II, DUE SANTI PONTEFICI UNITI NELLA MISSIONE ALLE GENTI

Post n°8986 pubblicato il 26 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Ho provato grande gioia per i due nuovi Santi della Chiesa, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Come Vicari di Cristo nella Chiesa universale la loro azione era a tutto campo, in tutti i settori della vita cristiana e del rapporto con il mondo. Come missionario li vedo uniti in una linea di continuità nell’aver promosso la missione fino agli estremi confini della terra; e non solo per proclamare il primo annunzio di Cristo ai popoli, ma perché la spinta ad uscire dall’ovile di Cristo per evangelizzare i non cristiani e i non credenti riporta la Chiesa d’oggi allo spirito delle prime comunità cristiane che erano animate dal fuoco dello Spirito Santo, il protagonista della missione.

Il Cardinal Roncalli e il Pime

Ho conosciuto bene e da vicino i due nuovi Santi. Il 3 marzo 1958, il Patriarca di Venezia card. Angelo Roncalli venne a Milano per portare al Pime le spoglie del nostro Fondatore (nel 1850), il Servo di Dio mons. Angelo Ramazzotti, suo predecessore a Venezia, oggi tumulate nella chiesa di San Francesco Saverio. Roncalli diceva che avendo studiato la vita dei Patriarchi veneziani: "Si è fatta profonda e schietta in me la convinzione che davvero a mons. Ramazzoti il titolo di Santo gli convenga e di Santo da Altare". Ed esortava il Pime ad introdurre la sua Causa di beatificazione, cosa che, essendo il nostro un istituto non religioso ma di clero secolare fondato dalle diocesi lombarde, non aveva mai pensato di fare. In quei giorni del card. Roncalli a Milano c’è un episodio curioso. Era venuto a Milano il 2 marzo per mezzogiorno. Nel pomeriggio, visita al Pime e al seminario teologico, poi  chiama me e padre Mauro Mezzadonna nel suo ufficio (accanto alla camera da letto) e ci dice: “Voi siete preti giovani e giornalisti, vi leggo su Le Missioni cattoliche e L’Italia. Vi leggo il discorso che farò domani quando saranno presenti tutti i vescovi lombardi, ditemi cosa vi pare”. E ci legge il discorso, gli dico di scrivere frasi più brevi come si usa oggi. Poi chiedeva notizie della rivista e sul Pime, la sua semplicità era commovente. Il giorno dopo, prima di ripartire per Venezia, mi consegna una lettera in busta chiusa, nella quale lodava la rivista del Pime “che leggevo da giovane e ancor oggi leggo con piacere”.

Il 18 marzo 1963, tre mesi prima di morire (3 giugno 1963), dona la sua casa natale di Sotto il Monte al Pime e benedice, in Vaticano, la prima pietra del seminario (l’avevo portata a Roma in una Topolino d’anteguerra, non c’era ancora l’Autostrada del Sole, l’auto andava al massimo a 70 km l’ora!), che è stato poi costruito accanto alla casa natale, oggi conservata come era in passato e meta di tanti pellegrinaggi. Una cerimonia intima fra il Papa e una ventina di missionari del Pime. Giovanni XXIII parlava in bergamasco e diceva: “Se fate in fretta a costruire, vengo io a inaugurare il seminario”. E poi aggiungeva che nel seminario di Bergamo si leggevano le riviste missionarie, diversi chierici erano entrati nel Pime e venivano a parlarci delle missioni. “Io stesso – aggiungeva – ero innamorato delle missioni e ho chiesto al mio vescovo di poter entrare nel vostro istituto. Lui mi rispose di continuare gli studi teologici in seminario per essere ordinato sacerdote diocesano, poi potevo andare con i missionari. Però, quando mi ordinò sacerdote, mi nominò suo segretario particolare e ho seguito la santa obbedienza della volontà di Dio”.

E poi, negli anni Venti, come direttore delle Pontificie Opere missionarie, aveva avuto stretti rapporti col Beato Padre Paolo Manna, da lui definito “il Cristoforo Colombo dell’animazione missionaria”. Un segno di questa sua vicinanza alle missioni e al Pime è quando, nel settembre 1962, mi nominò uno dei “periti” del Concilio per il Decreto Ad Gentes e il direttore dell’Osservatore Romano, Raimondo Manzini, mi chiamò come redattore delle pagine dedicate al “Concilio”, col compito di seguire il tema missionario e intervistare i vescovi delle missioni.

La “Princeps Pastorum” dedicata ai laici delle missioni

Nell’omelia della sua incoronazione a Pontefice romano (4 novembre 1958), Giovanni XXIII affermava che la qualità più importante del Papa è lo zelo apostolico verso le pecorelle che non sono nell’ovile di Cristo. E aggiungeva: “Ecco il problema missionario in tutta la sua vastità e bellezza. Questa è la sollecitudine del Pontificato romano, la prima, anche se non la sola”. Molti i testi di questo genere all’inizio del suo pontificato. Infatti, una delle sue prime encicliche è la Princeps Pastorum (28 novembre 1959), pubblicata un anno dopo essere stato eletto Papa e nel 40° anniversario della Maximum Illud (1919).

Questo testo molto importante è il primo dedicato quasi esclusivamente al clero e ai laici locali delle missioni. Gli aiuti e i missionari occidentali erano ancora indispensabili, ma il Papa poneva l’accento sulla vitalità  la responsabilità delle giovani  Chiese, per dare nuovo vigore al primo annunzio di Cristo in popoli e culture vergini. Già Pio XII con la Evangelii Nuntiandi (1957) aveva parlato del “laicato missionario”, ma si riferiva ai volontari laici venuti dall’Occidente per aiutare i missionari.  Invece, solo due anni dopo, Giovanni XXIII tratta della formazione spirituale e missionaria, prima del clero e poi, soprattutto del laicato locale. Afferma che la formazione dei battezzati deve rispondere “alle esigenze dell’epoca e metterli in grado di accettare la responsabilità che dovranno affrontare per il bene e lo sviluppo della Chiesa locale”. In altre parole, Giovanni XXIII, dopo aver descritto lo sviluppo storico positivo della missione alle genti, afferma che le giovani Chiese locali sono ormai mature per assumere in pieno l’opera missionaria verso il loro stesso popolo: il primo annunzio di Cristo e le opere di carità, educazione, cultura e le varie attività di evangelizzazione e formazione cristiana.

Le precedenti encicliche missionarie erano appelli dei Papi al mondo cattolico a favore del mondo non cristiano. Papa Giovanni, pur non tacendo questo aspetto,  rivolge la sua attenzione ai giovani cristiani, rendendoli protagonisti della missione alle genti nei loro paesi. Passaggio fondamentale, perché ha dato importanza massima ai catechisti, all’Azione cattolica e altre associazioni di formazione laicale (come la ”Legione di Maria” allora molto attiva nelle missioni).

 “Il Concilio sarà una Pentecoste per la Chiesa”

La novità fondamentale del Papa di Sotto il Monte, per l’evangelizzazione di tutti i popoli e tutti gli uomini, è stata la convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano II il 15 gennaio 1959, tre mesi dopo essere diventato Pontefice della Chiesa universale. Convocando il Concilio, Giovanni XXIII proponeva allo stesso tre fini:
1) il rinnovamento interno della Chiesa (“aggiornamento”),
2) la riunione di tutti i cristiani per mezzo dello Spirito Santo e di iniziative ecumeniche,
3) La manifestazione al mondo non cristiano di una Chiesa credibile che annunzia la “Buona Notizia” del Vangelo di Gesù Cristo, Salvatore di tutti gli uomini.

Nel volume Missione senza se e senza ma (Emi 2013, pagg. 255) spiego le difficoltà incontrate dall’Ad Gentes, dovute alla diversa visione che avevano della missione ai non cristiani i vescovi che venivano dalle missioni e dall’America Latina (circa 800 su 2500) e gli altri; non c’è stato il tempo necessario per maturare bene l’Ad Gentes, che è un buon Decreto, ma incompleto e questo spiega perché Giovanni Paolo II, nel XXV anniversario dell’Ad Gentes (1990), ha voluto pubblicare l’enciclica Redemptoris Missio, appunto per “aggiornare” e “contestualizzare” l’Ad Gentes ai tempi nuovi del mondo non cristiano.

Il Concilio è stato una meravigliosa esperienza di fede e di missione universale della Chiesa, aveva suscitato grandi speranze in tutti i credenti, ma specialmente nel mondo missionario.  Il Papa di Sotto il Monte aveva detto: "Il Concilio sarà una nuova Pentecoste per la Chiesa”. Pareva quasi che il mondo intero fosse pronto a ricevere l’annunzio di Gesù Cristo e mi veniva spesso in mente lo slogan col quale all’inizio del 1900 si era concluso il primo Congresso mondiale delle Chiese e società missionarie protestanti: “Convertire il mondo a Cristo entro il 2000”. A me la meta pareva plausibile, dato il volto trasparente e accogliente della Chiesa cattolica. Col Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII e Paolo VI avevano reso la Chiesa tutta missionaria.
  
(....)

“Giovanni Paolo II, il centravanti della missione”   

Così mi diceva padre Schiavone, un anziano missionario domenicano toscano, che nel 1982 era in Pakistan da una quarantina d’anni. L’ho incontrato a Faisalabad e mi raccontava la visita che il Papa aveva fatto l’anno precedente a Karachi, allora capitale del Pakistan, e dell’entusiasmo che aveva suscitato nello stadio cittadino pieno di giovani musulmani ad applaudirlo. Diceva: “Noi missionari che siamo in questo paese da decine d’anni, tollerati e a volte perseguitati, non avevamo mai nemmeno immaginato di poter essere testimoni di una scena simile: una folla di musulmani che applaudiva il nostro Papa! Abbiamo pianto di gioia”. E concludeva dicendo: “Noi missionari abbiamo trovato il nostro centravanti!”.

Nell’ottobre 1978 entra in scena il secondo Santo Pontefice, Giovanni Paolo II, che veniva dalla Polonia, una Chiesa del tutto diversa da quelle dell’Europa occidentale. Il Sessantotto l’aveva vissuto col popolo polacco come uno stimolo per la liberazione dal comunismo, l’opposto da quanto avveniva in Italia, dove esistevano addirittura  i “Cristiani per il Socialismo”. Infatti, fin dall’inizio, grazie anche alla carica vitale dei suoi 58 anni, dimostra una forza e un coraggio che spiazza tutti.

L’esempio più eclatante è quello di cui sono stato testimone a Puebla in Messico nel gennaio 1978, quando ha aperto l’Assemblea del Celam (dei vescovi latino-americani). Il documento di preparazione era impostato sul tema “Vedere, Giudicare, Agire”, che portava attenzione ai temi economico-politico-sociali: vedere la situazione dei popoli d’America Latina, giudicare di chi è la colpa, poi agire per liberare i popoli da ogni oppressione. Il Papa, nel discorso iniziale dice che lo schema di preparazione va cambiato: “Per liberare i popoli latino-americani, ripartiamo da Cristo”.

Riaffermava chiaramente che la missione della Chiesa è di natura religiosa, portare la salvezza in Cristo, liberando l’uomo prima dal peccato personale e poi cambiando la società oppressiva attraverso l’azione e la testimonianza dei credenti in Cristo. Era una forte critica alla prima “Teologia della Liberazione” che politicizzava l’azione sociale della Chiesa e aveva diviso le Chiese e i credenti d’America Latina. Ma il Papa polacco non negava affatto l’aspetto positivo di quel movimento teologico; la Parola di Dio è strumento di liberazione dell’uomo da ogni male, il peccato personale e sociale. E’ stata l’impostazione di fondo dei molti viaggi nei paesi non cristiani: "I miei viaggi in America Latina, in Asia ed in Africa - ha scritto nel messaggio per la giornata missionaria del 1981 - hanno una finalità eminentemente missionaria. Ho voluto annunziare io stesso il Vangelo, facendomi in qualche modo catechista itinerante e incoraggiare tutti coloro che sono al suo servizio". Giovanni Paolo II era profondamente innamorato di Gesù Cristo, di cui parlava come una persona viva che egli aveva incontrato e di cui si era innamorato. Diceva: “Tu sei veramente uomo nella misura in cui ti lasci penetrare, coinvolgere, illuminare e cambiare dall'amore di Cristo”.

Il Presidente americano Jimmy Carter, ricevendolo alla Casa Bianca nel 1979, gli diceva: "Lei ci ha costretti a riesaminare noi stessi. Ci ha ricordato il valore della vita umana e che la forza spirituale è la risorsa più vitale delle persone e delle nazioni". E aggiungeva: "L'aver cura degli altri ci rende più forti e ci dà coraggio, mentre la cieca corsa dietro fini egoistici - avere di più anzichè essere di più - ci lascia vuoti, pessimisti, solitari, timorosi". Il New York Times scriveva: "Quest'uomo ha un potere carismatico sconosciuto a tutti gli altri capi del mondo. E' come se Cristo fosse tornato fra noi". E' il più bell'elogio che si possa fare del successore di Pietro.

Giovanni Paolo II  viaggiava per dare un messaggio, oltre che di fede e di conversione a Cristo, di fraternità e di solidarietà a livello universale; per portare alla ribalta tutti i popoli e tutte le sofferenze e le ingiustizie del mondo. Questa la vera attenzione all'uomo: non una semplice parola consolatoria o di protesta, ma la forza e il carisma di farsi carico di tutti i problemi dell'uomo, dando ad essi risonanza universale. Quando il Papa parlava ai "favelados" di Rio de Janeiro, ai lebbrosi di Marituba in Amazzonia, agli indios di Oaxaca in Messico o ai pescatori di Baguio nelle Filippine; quando condannava con forza ogni violazione dei diritti dell'uomo davanti a dittatori come Marcos (Filippine), Pinochet (Cile), Stroessner (Paraguay), Mobutu (Zaire), Fidel  Castro (Cuba), i Sandinisti (Nicaragua); quando parlava del valore della cultura africana (in Benin) e dello "sviluppo dal volto umano" (in Gabon), egli incideva fortemente sulle coscienze dei popoli, ben al di là di quanti stavano ad ascoltarlo in quel momento. Quante volte un popolo sofferente e umiliato (penso alla Guinea Equatoriale appena uscita dalla spaventosa dittatura di Macias Nguema) ha ricevuto dalla visita del Papa il provvidenziale stimolo a riprendere con coraggio la via della riconciliazione e della ricostruzione.

In Messico Giovanni Paolo II ha preso solennemente le difese degli indios. A Oaxaca un indio gli dice: "Santità, noi viviamo peggio delle vacche e dei porci. Abbiamo perso le nostre terre, noi che eravamo liberi, ora siamo schiavi". Giovanni Paolo II si stringe la testa fra le mani e rispondendo dice: "Il Papa sta con queste masse di indios e di contadini, abbandonate ad un indegno livello di vita, a volte sfruttate duramente. Ancora una volta gridiamo forte: rispettate l'uomo! Egli è l'immagine di Dio! Evangelizzate perchè questo diventi realtà, affinchè il Signore trasformi i cuori ed umanizzi i sistemi politici ed economici, partendo dall'impegno responsabile dell'uomo". Il massimo quotidiano messicano, Excelsior, esponente del laicismo della massoneria messicana, che si era opposto alla visita del Papa, commentava: "Dopo cinque secoli di oppressione dei nostri indios e contadini, doveva venire il Papa da Roma a dirci queste cose. Ci ha fatto vergognare di appartenere alle classi dirigenti messicane".

L’avventura dell’enciclca missionaria
 
Nel settembre 1989, mentre ero nella redazione di Mondo e Missione a Milano, squilla il telefono: «Sono il segretario del Papa. Guardi la sua agenda: lei è libero il 3 ottobre prossimo?». «Sì, sono libero, perchè?». «Il Papa la invita a un incontro con lui e a pranzo, per discutere della nuova enciclica missionaria che ha programmato».

La telefonata mi sembra improbabile, penso che sia uno scherzo. Invece, fatti i necessari controlli, è proprio vero. Così è nata la mia collaborazione alla “Redemptoris Missio”, come redattore della stessa. Abitavo nella casa generalizia degli Oblati di Maria Immacolata (OMI) col superiore generale padre Marcello Zago. Avevo ricevuto diversi schemi dell’enciclica e le note preparate da una commissione che aveva interrogato Conferenze episcopali, facoltà teologiche, istituti missionari, altri enti interessati e personalità delle missioni; e alcune pagine di Giovanni Paolo II su cosa intendeva dire.

Così, dal 3 ottobre al 7 dicembre 1989 ho lavorato 12-13 ore al giorno alla macchina da scrivere. Non leggevo nemmeno i giornali né vedevo il telegiornale per non distrarmi. Un lavoro appassionante anche se faticoso, una corsa contro il tempo interrotta solo dalla preghiera e da una passeggiata alla sera dopo cena nel vasto parco con padre Zago. Quando finivo di scrivere un capitolo, Zago lo leggeva, mi suggeriva alcune correzioni o aggiunte e poi lo portava in Segreteria di Stato e al Papa; alcuni giorni dopo ricevevo le osservazioni del Papa, scritte a matita o con la biro: qui aggiungi questo, spiega meglio il concetto, cita questo passo del Vangelo...

Due volte trovo scritto: «Si legge bene, vai avanti così». E ancora: «Bravo, è scritto veramente bene». Ci mettevo tanta passione e impegno che il lavoro non mi pesava affatto, anzi quel servizio diretto al Papa e alla missione alle genti mi esaltava: non sono  mai riuscito ad andare in missione per fare il giornalista e finalmente questa obbedienza ai superiori mi ricompensa. Il lavoro era così tanto, che dopo una decina di giorni abbiamo convocato anche padre Domenico Colombo del Pime, specialista di teologia missionaria ed esperto di ecumenismo e di dialogo con le religioni non cristiane: ha dato un contributo notevole, inventando anche nuove impostazioni di alcuni temi.

Consegnata al Papa la prima stesura dell'enciclica il 7 dicembre 1989, sono stato richiamato a Roma un mese per la seconda stesura (marzo 1990) e una ventina di giorni per la terza (luglio 1990): il primo e il secondo testo, infatti, sono stati mandati alle persone ed enti consultati. Ciascuno mandava le sue osservazioni, il Papa poi dava direttive per procedere alla seconda e terza stesura del documento. La Redemptoris Missio porta la data del 7 dicembre 1990, venticinquesimo anniversario del decreto conciliare Ad Gentes, ma è stata presentata il 22 gennaio 1991, per il tempo richiesto dalle traduzioni e stampa in varie lingue.

La Redemptoris Missio è stata giudicata l'enciclica rappresentativa del pontificato di Giovanni Paolo II, diversi ne hanno lodato lo stile semplice e immediato. Il card. Godfried Daneels di Bruxelles ha scritto che è «il programma di lavoro per il prossimo millennio». Va ricordata l'opera del cardinal JosephTomko, prefetto di Propaganda Fide, che aveva ottenuto un'enciclica per il XXV dell'Ad Gentes, l’unico fra i 16 documenti del Concilio Vaticano II commemorato e aggiornato da Giovanni Paolo II con un'enciclica. L'idea ricorrente a quel tempo, anche nelle alte sfere della Curia romana, era che un'enciclica per le missioni era troppo: non è più il momento di porre in risalto il valore specifico della missione alle genti, dato che tutta la Chiesa è missionaria e tutti i popoli hanno bisogno di missione...

Il fatto che il Papa abbia voluto fare un'enciclica specifica sul primo annunzio del Vangelo ai non cristiani, ha un significato importante che va richiamato! Anzi nell'enciclica dice: «Proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo, mi ha convinto ancor più dell'urgenza di tale attività (missionaria)» (n. 1); e aggiunge diverse volte con varie espressioni questi concetti: «Vogliamo nuovamente confermare che il mandato di evangelizzare tutte le genti costituisce la missione essenziale della Chiesa» (n. 14); «La missione ad gentes... (è) un'attività primaria della Chiesa, essenziale e mai conclusa» (n. 31); «L'attività missionaria rappresenta ancor oggi la massima sfida per la Chiesa... La missione alle genti è ancora agli inizi» (n. 40).

Il card. Tomko, in una cena con me e padre Colombo, diceva che Giovanni Paolo II aveva scelto di scrivere l’enciclica “per chiarire la confusione teologica sorta intorno alla missione alle genti, al dialogo con le religioni non cristiane e al rapporto fra l’annunzio di Cristo e lo sviluppo dell’uomo e dei popoli”. Infatti la Redemptoris Missio sviluppa questi e altri punti, riportando la missione al suo valore primario, annunziare la salvezza in Cristo a tutti i popoli, con tutte le conseguenze positive per l’uomo e la storia umana che ne discendono. Impossibile sintetizzare l’enciclica, un libretto di 82 pagine, in poche battute. Mi limito a dire che sono rimasto ammirato del lavoro che si svolge per anni (tre per la Redemptoris Missio), attorno ad un'enciclica. Il documento è opera del Papa perchè decide lui, dice quel che lui vuol dire e come lo vuol dire. Però passa attraverso la mediazione, il consiglio e la scrittura di molti che leggono i vari schemi e stesure. Nella prima, ma anche nella seconda e terza stesura del documento, ho esaminato il materiale giunto in risposta agli interrogativi del Papa e ai testi già preparati. Materiale ricco e interessante, che Giovanni Paolo II ha letto, valutato e giudicato meritevole o no di passare nell'enciclica. E' un fatto notevole, di cui credo pochi hanno notizia. Il che indica che l'organizzazione creata per i documenti pontifici dalla Santa Sede, attraverso la Segreteria di Stato e le Nunziature, è incredibilmente attenta e precisa.

 Piero Gheddo - La Bussola Quotidiana –

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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