ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 03/03/2009

PER NON LASCIARE SOLE LE ALTRE ELUANA

Post n°1589 pubblicato il 03 Marzo 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Riunirsi in associazione per difendere i diritti dei figli che vivono in stato di coma. È l'obiettivo che si pone Luigi Gasparini di Cesano Maderno, padre di Massimo, 39 anni, da due anni e mezzo in coma vigile a seguito di un incidente stradale. Da quel giorno Gasparini è in conflitto con le istituzioni - Regione e Comune - per strappare un minimo aiuto. Dal Comune, proprio in questi giorni, ha ottenuto, ma solo per quattro mesi, un contributo di 200 euro: una cifra neppure sufficiente a pagare la persona che collabora alla pulizia igienica del figlio. L'Asl, invece, ha fornito la carrozzina, il letto sanitario e il 70% del costo per l'acquisto di un sollevatore. Gasparini è esasperato: «Sono nauseato per come le istituzioni pubbliche ci trattano. I politici si prodigano per approvare la legge per il testamento biologico e non trovano il tempo per ascoltare e sostenere chi invece vuole continuare a vivere, nonostante tutto. I nostri problemi non vengono presi in considerazione: esiste sempre un impedimento burocratico. Non abbiamo voce e non abbiamo diritti. Per questo è indispensabile unirci, diventare una forza per farci ascoltare dagli amministratori regionali, provinciali e comunali. Sono diverse le famiglie che si trovano nella nostra situazione, se non peggio. Io e mia moglie Rita abbiamo ormai 70 anni e da soli non siamo in grado di accudire Massimo. Sentiamo spesso parlare di diritti del malato, di chi soffre, ma solo a parole. La realtà è ben diversa. Massimo percepisce circa 8 mila euro all’anno come invalidità e come pensione: una somma ridicola. Siamo impegnati dal mattino alla notte. Da soli. Non ci è stato neppure fornito il personale per le pulizie igienico-sanitarie».

Del tutto trascurati

A puntare il dito contro le istituzioni è anche Faustino Quaresmini, 68 anni, di Nova Milanese, papà di Moira, pure lei di 39 anni, da 9 in stato vegetativo permanente come Eluana Englaro. Quaresmini, però, non ha voluto lasciare la figlia in una clinica e con la moglie Giovanna, 60 anni, ha deciso di assisterla in casa. «Vorrei capire - dice Quaresmini - come mai in Italia Beppe Englaro è diventato un personaggio mediatico, mentre centinaia di papà e mamma che tutti i giorni, in silenzio, accudiscono i loro figli in stato di coma, vengono del tutto trascurati. Nelle strutture ospedaliere pubbliche l'assistenza ai degenti in stato vegetativo ha costi elevatissimi. A noi privati, però, non vengono elargiti neppure i contributi indispensabili. Moira, per esempio, ha un reddito annuo inferiore a 6 mila euro, assolutamente insufficiente per la sua assistenza. Molte medicine non sono mutuabili, come le creme contro il decubito. L'Asl ci fornisce l'occorrente per l'idratazione e una fisioterapista tre volte la settimana, mentre il Comune ci invia due addetti per l'igiene del corpo, dal lunedì al venerdì. Ma il sabato, la domenica e i giorni festivi non abbiamo nessuno, neppure un volontario di qualche associazione. Perché il peso dell'assistenza per la massima parte viene lasciato sulle nostre spalle? E poi, un domani cosa succederà a Moira quando le nostre forze fisiche verranno a mancare?». Interrogativi veramente angoscianti.  Enrico Viganò - noicattolici -

 
 
 

IL CAPOLAVORO DI MINO REITANO? LA FAMIGLIA, LA CANZONE PIU' BELLA CHE HA SCRITTO

Post n°1588 pubblicato il 03 Marzo 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Alla fine di gennaio, se ne è andato per sempre Mino Reitano, uno dei cantati più amati dalla gente. Aveva 64 anni. Gli ultimi due trascorsi nella morsa di una malattia dolorosa che ha affrontato con straordinario coraggio. Ai funerali c’era una gran folla di gente e anche diversi colleghi. Pochi, per quanto Reitano meritava. Ma erano i suoi amici, quelli che lo conoscevano bene e, parlando di lui, ne hanno evidenziato la bontà, la signorilità, la vita esemplare. Anche i giornali hanno dato evidenza a questa scomparsa. Ricordando soprattutto il modo sereno e composto, con il quale Mino ha "vissuto" la malattia. Dopo la sua morte, tutti i media hanno riportato le dichiarazioni che il cantante aveva rilasciato in un’intervista pubblicata il primo giugno 2008 dal quotidiano cattolico online, "Petrus". Ma proprio quelle citazioni evidenziavano un fatto triste. E cioè che Mino Reitano, personaggio popolarissimo, con una splendida carriera artistica durata una quarantina d’anni, era stato completamente dimenticato dai media. Al punto che, alla sua morte, i grandi giornali, quelli che generalmente vivono sulla pelle degli artisti, sono stati costretti a "ripescare" dichiarazioni che il cantante aveva fatto otto mesi prima a un quotidiano "online". Quotidiano cattolico, benemerito, ma si sa che nel nostro Paese le pubblicazioni online non godono ancora di una grande visibilità pubblica. Mino Reitano, cosciente della propria popolarità, certo di avere milioni di persone che lo ricordavano, avrebbe certamente desiderato fare quelle sue ultime confidenze a un grande pubblico, a giornali di vasta diffusione. Invece no, nessuno di quei giornali si è ricordato di lui, è andato a trovarlo, a parlargli mentre era ancora in vita. Ma a voler essere precisi, si può affermare che Reitano non ha quasi mai goduto di un trattamento generoso e sincero da parte dei media. Giornali, radio, televisioni si sono interessati di lui sempre con una certa ironia, con una certa, sia pur pacata, ostilità e sufficienza. Non lo hanno mai sostenuto. Non gli hanno mai dato pieno credito. Non potevano ignorarlo perché era l’idolo della gente, ma non ha mai goduto di quelle attenzioni mediatiche di stima e di apprezzamento, tanto utili anche per la vendita dei dischi, riservate invece a molti altri suoi colleghi, meno bravi e meno popolari di lui. C’è stata, nei suoi confronti, quella strana, silenziosa ma reale, congiura che tocca certi artisti. Ne è dimostrazione il fatto che alla radio, nelle innumerevoli trasmissioni radiofoniche di decine di stazioni radio giornalmente impegnate a lanciare nell’etere migliaia di canzoni, non si sente mai la voce di Reitano. In televisione, negli ultimi vent’anni, questo cantante lo si è visto poco, anzi pochissimo. Più volte aveva raccontato che sognava di poter condurre, anche lui, come altri suoi colleghi, una trasmissione tutta sua, raccontando la propria vita, che è stata piena di spunti avventurosi e straordinari. Nato nel Sud d’Italia, a Fiumara, in Calabria, da famiglia povera, orfano fin da piccolo, è riuscito egualmente , affrontando comprensibili grandi sacrifici, a studiare musica al Conservatorio, imparando a suonare il pianoforte, il violino e la tromba. A 14 anni iniziò a cantare nel complesso musicale dei suoi fratelli emigrando poi con loro in Germania, dove ebbe inizio il suo successo. In quel Paese ebbe modo di suonare nello stesso club dove suonavano anche i "The Quarrymen", gruppo inglese, con i quali strinse amicizia. In seguito, quel gruppo divenne famoso con il nome dei Beatles. Nel 1965 Mino cominciò a farsi notare anche in Italia, e poi arrivò il grande successo che lo ha portato ai vertici della popolarità. Un successo pieno, duraturo, costellato da tappe prestigiose, sia come interprete che come autore. Certe sue canzoni hanno superato la prova del tempo, come, per esempio, "Una ragione di più", portata al successo da Ornella Vanoni, la quale, trent’anni dopo ha voluto inserirla anche nel suo ultimo CD. Reitano aveva scritto un libro autobiografico sulle proprie vicende, aveva poi presentato in Rai varie proposte per trarne delle puntate televisive, ma non ebbe mai risposta. Perché? Se lo chiedeva sconsolato anche lui. E su tante altre vicende strane della sua carriera si interrogava senza trovare risposte. In pratica, Reitano non aveva protettori politici, ideologici, corporativi. Faceva parte di quella categoria di persone con una esistenza normale, serena, senza scandali, una famiglia unita, tradizionale, una fede cristiana sentita e praticata apertamente. E, purtroppo, questi valori, per il nostro mondo pubblico attuale, sono un handicap insuperabile. Ma il cantante calabrese non se ne è mai lamentato. E alla fine, quando la malattia lo attanagliava lasciandogli poche prospettive, era sereno. Al giornalista di "Petrus" ha potuto confidare: "Offro ogni sofferenza a Gesù e alla Madonna e ringrazio Dio per il dono della mia Famiglia". Sulla famiglia ha aggiunto: "Uno dei doni più belli che la vita mi ha dato è stato proprio quello della famiglia: una moglie splendida e due figlie che mi sono sempre vicine e non mi lasciano mai. Cos’altro avrei potuto pretendere di più?". Ha avuto, però, anche parole che si riferivano alle delusioni patite: "Perdono tutti. Non voglio lasciare nulla in sospeso con alcuno. Il cristianesimo è saper dimenticare, lasciarsi alle spalle rancori e risentimenti, abbandonarsi liberamente alla misericordia. Senza perdono la nostra fede sarebbe vuota. Io stesso chiedo perdono nel caso abbia danneggiato qualcuno, anche se, mi creda, nel limite delle mie possibilità, ho sempre cercato di aiutare e comprendere tutti. Se non ci sono riuscito, spero davvero vogliano scusarmi". Dichiarazioni veramente straordinarie che dimostrano che Reitano è stato sì un grande cantante, ma è stato soprattutto una brava, onesta persona, e la canzone più bella del suo repertorio è stata la sua vita. Qualcuno potrebbe pensare che Mino Reitano abbia riscoperto questi valori spirituali di fronte alla malattia. Errato. Reitano li ha sempre vissuti questi valori. La fede cristiana era un patrimonio che aveva ricevuto da bambino e che, crescendo, aveva assimilato e arricchito. Il suo concetto di famiglia era certamente frutto dell’educazione familiare, della cultura che si era dato, ma soprattutto conseguenza logica della sua fede cristiana. E’ vissuto in serena fedeltà a questi suoi principi, senza sbandierarli, senza ostentarli. Ma chiunque, avvicinandolo, ne sentiva la presenza vitale. Li scoprii anch’io quando, per ragioni di lavoro, conobbi Reitano, all’inizio degli anni Settanta. Era già famoso. Anzi, all’apice della sua popolarità. Con il denaro guadagnato, aveva comperato un appezzamento di terra ad Agrate, periferia di Milano, inizio della verde Brianza e lì aveva, in poco tempo, riunificato la famiglia: aveva costruito villette per il padre, i fratelli, i cugini. Una festosa comunità, alla quale aveva voluto dare il nome del paese calabro dove era nato: "Villaggio Fiumara". C’era anche un campo di calcio e alla domenica arrivavano da Milano altri amici cantanti, tra essi Celentano, e giocavano, mentre il padre di Mino faceva il pane nel forno a legna. Mino, allora, era continuamente sui giornali, dove gli venivano attribuiti flirt, fidanzate, matrimoni imminenti. Ma, entrando nella sua famiglia, si capiva subito che cose del genere non avevano niente a che fare con la vita reale del cantante. E tutti si meravigliarono quando, nel 1977, improvvisamente Reitano stesso annunciò in televisione, durante una puntata della trasmissione di Mike Bongiorno, "Scommettiamo", che era fidanzato e si sarebbe sposato dopo un paio di settimane. Giornali, settimanali, giornalisti, fotografi: tutti presi in contropiede. E non si trattava di un fidanzamento improvviso, nato da poco, frutto di un colpo di fulmine. No. Mino e la ragazza che stava per sposare si conoscevano da 10 anni, e nessuna notizia era mai trapelata, neppure in quegli ultimi mesi quando i due si frequentavano con assiduità proprio perché stavano organizzando le loro nozze. Stupito al pari di tutti gli altri miei colleghi giornalisti, chiesi a Reitano come fosse riuscito a tenere segreto un fidanzamento. E mi rispose: "Non dimenticare che sono calabrese. Sulle cose importanti noi calabresi non ammettiamo indiscrezioni. Con le altre ragazze lasciavo correre voci e notizie, mi lasciavo fotografare perché erano situazioni che non sarebbero mai approdate a conclusioni concrete. Qui era diverso. Era una cosa seria, e non ne ha saputo niente nessuno, tranne, naturalmente, le nostre famiglie". Qualche giorno dopo mi fece conoscere la sua fidanzata, Patrizia. Una maestrina che aveva, allora, 25 anni e lavorava in una biblioteca a Bologna. Timida, riservatissima, credo non avesse mai parlato con un giornalista. Era quella la sua prima intervista. Mi trovai di fronte una ragazza straordinaria, che mi colpì molto. Anche lei, come Mino, aveva una chiara, forte fede cristiana nel cuore. Non sbandierata, non proclamata, ma vissuta. Io credevo di conoscere bene Mino, ma, parlando con Patrizia capii che, in realtà, lo conoscevo solo superficialmente. Conoscevo il cantante popolare, simpatico, estroverso, che era disponibile per interviste, foto, che sorrideva sempre su tutto. Ma non conoscevo la persona. Dopo la scomparsa di Mino, sono andato a rileggermi le cose che Patrizia mi disse in quella intervista. Parole alle quali forse allora non diedi tutta l’importanza che contenevano. Ma che ora, a distanza di 32 anni, fanno capire come Mino e Patrizia guardassero alla vita che insieme stavano per iniziare con una serietà e una fede cristiana veramente sorprendente in persone tanto giovani. Patrizia mi raccontò che quando aveva conosciuto Mino, lei aveva 14 anni e mino 22. Mino non aveva ancora raggiunto il grande successo, che sarebbe arrivato l’anno successivo. Tra loro nacque un sentimento profondo e sincero. Ma il turbinio di impegni seguito al successo li divise. Mino era sempre in giro per il mondo. E lei, timida studentessa, pensava di essere stata dimenticata. Invece non fu così. Mino non l’aveva dimenticata e quando si rincontrarono, tutto riprese dal punto in cui la storia si era interrotta. Patrizia, riferendomi di come era avvenuto il loro incontro decisivo, mi disse: "Il nostro amore si era chiarito in quella zona bellissima delle Marche che si stende dalla basilica di Loreto alla cattedrale di San Ciriaco in Ancona. Sono convinta che quei due luoghi hanno avuto una grande importanza nel nostro destino". "La prima volta che io e Mino abbiamo parlato apertamente dei nostri sentimenti eravamo in un luogo dominato dall'alto dalla basilica di Loreto. Poiché la nostra conversazione era molto importante e avrebbe impegnato la nostra vita futura, io pensavo continuamente alla Madonna e sono certa che ci ha illuminato. Nei giorni seguenti mi sono spostata ad Ancona. Erano i giorni in cui riflettevamo per prendere le decisioni definitive, e io sono andata molte volte nella cattedrale di San Ciriaco, a parlare dei miei problemi. Ecco perché ricordo con affetto quei due luoghi". Patrizia e Mino hanno costruito la loro famiglia su convinzioni semplici e antiche, illuminate dalla loro fede. Sono vissuti insieme 32 anni. Ci saranno certamente stati anche per loro problemi e difficoltà. Come per tutti. Ma hanno sempre tenuto vivi i contatti con quelle persone "invisibili ma reali", alle quali si erano rivolte per avere consigli e aiuto al momento di decidere della loro vita insieme. E il cantante, facendo un bilancio della sua esistenza prima di andarsene per sempre da questo mondo, ha potuto dire al giornalista che lo intervistava: "Uno dei doni più belli che la vita mi ha dato è stato proprio quello della famiglia: una moglie splendida e due figlie che mi sono sempre vicine e non mi lasciano mai". La famiglia, la canzone più bella che ha scritto. - Renzo Allegri - ZENIT -

 
 
 

L'ACCANIMENTO TERAPEUTICO DELLE SUORE DI LECCO. MA PERCHE' NON LE DENUNCIAMO!?!?!?

Post n°1587 pubblicato il 03 Marzo 2009 da diglilaverita
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Da Repubblica, intervista a Maria Marion, una delle infermiere accanto a Eluana negli ultimi giorni. Il giornalista: «Qualcuno pensa che lei abbia concorso a un’eutanasia » . La Marion: « Un termine che rifiuto, anzi per me nei confronti di questa ragazza c’è stato un accanimento terapeutico » . Dunque le suore che per tanti anni hanno dato a Eluana nutrimento e acqua, che l’hanno lavata e mille e mille volte voltata nel letto a evitare il decubito, si sono accanite su quel corpo. Si sono accanite, anche, ad aiutare Eluana a liberarsi dalla saliva che le ostacolava il respiro. Per quindici anni a Lecco c’è stato un pervicace, cocciuto accanimento: a una malata assente hanno dato nientemeno che da bere, e mangiare. Le han liberato la gola dalle secrezioni, cosa del tutto normale in pazienti immobili e incoscienti. Da una intervista della stessa Marion al Corriere emerge che quando Eluana è arrivata a Udine, nessuno sapeva a che servissero quelle pile di bavaglini mandati da Lecco. E sì che una che fa l’infermiera da 35 anni certe cose dovrebbe averle viste. Stupore invece: a che serviranno mai i bavaglini? La saliva fa tossire Eluana, la tosse espelle il sondino. Quando Avvenire scrisse di quei colpi di tosse, alcuni scrissero: favole. E invece la verità delle ultime ore della Englaro dice di volontari colti di sorpresa dalla donna che stenta a respirare. Penosissima verità: Eluana ha passato i suoi ultimi giorni nell’abbandono di quelle mani che conosceva e la amavano, che sapevano mantenerne limpido il respiro. Quando la disidratazione ha fatto il suo lavoro – « Chiazze rosse sulla pelle, temperatura alta » – l’équipe è rimasta a osservare il precipitoso decorso di una morte « naturale » . Ma non basta ancora. Non è eutanasia, si afferma, quel tagliare acqua e cibo, ma è « accanimento » , invece, l’averlo per anni dispensato. Al partito della morte non basta di avere sepolto Eluana; l’obiettivo è più ambizioso, è il rovesciamento, la sovversione anzi, della realtà. Dare acqua e cibo e lavare un malato inerte, si chiama « accanimento » . Non è una questione linguistica. È importante, il nome che si dà alle cose. Hannah Arendt nella Banalità del male spiega come il nazismo abbia evitato accuratamente di usare la parola « sterminio » circa la eliminazione degli ebrei. L’ordine era di parlare di « soluzione finale » . Suonava meglio, e qualcuno poteva fare finta anche di non aver capito. Le parole, sono importanti. Attribuire alle suore di Lecco un « accanimento terapeutico» – ma il padre, perché tanto a lungo ha lasciato loro la figlia? – è sovvertire la realtà di ciò che è stato. Dire che a Udine « non è stata eutanasia » è altrettanto mendace – se non per il fatto che eutanasia è soppressione del consenziente, e Eluana non ha mai espresso un positivo consenso alla sua morte. A Udine la morte è stata data attivamente, sopprimendo ciò che è vitale all’uomo. Giuliano Ferrara ha scritto che allora un’iniezione sarebbe stata un gesto più franco. Già, ma un’iniezione sarebbe stato aperto omicidio, e questo oltre a essere illegale avrebbe mostrato a tutti come la fine di Eluana « naturale » non fosse per niente. E invece « naturalmente » doveva morire: di fame e sete, naturalissima morte. Manca la perfezione dell’opera: convincerci che accanimento è stato quello delle mani di tre suore, per quindici anni, a lavare e vestire e carezzare. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Il darsi più totale e gratuito si vuol chiamare « accanimento terapeutico » , in questa Italia a forza liberata. Ma perché il rivoltarsi contro chi ha solamente dato? Si direbbe che il pensiero unico nichilista non tollera il bene gratuito. Proprio non lo sopporta. Forse perché lo avverte, della sua ansia di nulla, radicalmente nemico. - da un articolo di Marina Corradi - Avvenire -

 
 
 

ECCO IL VALORE DI UNA VITA SENZA VALORE

Post n°1586 pubblicato il 03 Marzo 2009 da diglilaverita
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È passata purtroppo inosservata la lettera che David Cameron, leader dei Conservatori inglesi, ha inviato via mail a tutti coloro che hanno espresso solidarietà a lui e a sua moglie Samantha dopo la morte del figlio Ivan, di sei anni. Ieri solo il Corriere della Sera l’ha riportata, a pagina 19. Peccato, perché quella lettera ha molte risposte da dare a quanti in queste settimane hanno avanzato dubbi sul valore della vita di persone gravemente handicappate, oppure in coma. «Ma è vita, quella?», si chiedono in molti, dando per scontata la risposta: no, non è vita. «Vivere così non ha senso», dicono.
Il piccolo Ivan era, dalla nascita, affetto da paralisi cerebrale ed epilessia. Era destinato a una morte certamente prematura, come infatti è avvenuto, e non ha potuto godere nulla delle gioie dell’infanzia: né giochi né corse, né parole né pensieri, almeno nel senso che intendiamo noi per pensieri. Ma quale «senso» abbia avuto la sua breve vita l’ha scritto suo padre, in quella mail, con parole commoventi: «Abbiamo sempre saputo - ha scritto - che Ivan non sarebbe vissuto per sempre, ma non ci aspettavamo di perderlo così giovane e così all’improvviso». La sua morte, per i genitori, non è stata affatto quella «liberazione» invocata da altri genitori che hanno vissuto drammi simili. «Lascia un vuoto nella nostra vita - ha scritto ancora David Cameron - così grande che le parole non riescono a descriverlo. L’ora di andare a letto, l’ora di fare il bagno, l’ora di mangiare: niente sarà più uguale a prima». Vado avanti: «Ci consoliamo sapendo che non soffrirà più, che la sua fine è stata veloce, e che è in un posto migliore. Ma, semplicemente, manca a noi tutti disperatamente. Quando ci fu detto per la prima volta quanto fosse grave la disabilità di Ivan, pensai che avremmo sofferto dovendoci prendere cura di luima almeno lui avrebbe tratto beneficio dalle nostre cure. Ora che mi guardo indietro vedo che è stato tutto il contrario. È stato sempre solo lui a soffrire davvero e siamo stati noi - Sam, io, Nancy ed Elwen(la moglie e gli altri figli,ndr) - a ricevere più di quanto io abbia mai creduto fosse possibile ricevere dall’amore per un ragazzo così meravigliosamente speciale e bellissimo». «Ricevere»: in questo verbo semplice e straordinario c’è tutto il mistero della potenza di uno dei più grandi - forse il più grande - tabù del nostro tempo, la sofferenza. In queste settimane in cui mi sono dovuto occupare del caso di Eluana Englaro, ho ascoltato attentamente le argomentazioni di tutti, politici e filosofi e prelati, ma quella che mi ha convinto di più è contenuta nelle pochissime,scarne parole che mi ha detto, durante una chiacchierata sotto la sede del Giornale, un nostro collega, Felice Manti: «Eluana è stata eliminata perché era Cristo in croce. Era un segno visibile e tangibile dell’ineluttabilità, nella nostra vita, della sofferenza». La sofferenza è lo scandalo supremo, e di fronte ad essa reagiamo cercando (invano) di espungerla dal nostro orizzonte. Ma David Cameron ci dice ora quello che molti altri hanno sperimentato: e cioè che la sofferenza (oserei dire: forse nulla più della sofferenza) può avere il potere di renderci migliori, più attenti al dolore degli altri; di scoprirci capaci di amare e di sentirci amati. Chi vive situazioni del genere fa spesso esperienza di una fraternità che mai, prima, avrebbe immaginato possibile. Ecco «a che cosa serve» una vita come quella di Ivan Cameron. Una vita lontana anni luce dai criteri di felicità e benessere del nostro tempo: eppure capace di produrre una catena di amore che chissà quando cesserà di dare frutti. Una vita breve. Ma che cosa è breve e che cosa durevole? «Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo» (Seconda lettera di Pietro, 3,8). [...] -
Michele Brambilla -

Ecco il testo che David e la moglie Samantha hanno inviato:

"Sam e io siamo stati sommersi da tutte le lettere, i biglietti, le e-mail e i fiori che abbiamo ricevuto per Ivan. Inviare una e-mail questa settimana ci offre l'opportunità di dire un grande «grazie». Significa molto sapere che altri pensano a noi e a lui. Abbiamo sempre saputo che Ivan non sarebbe vissuto per sempre, ma non ci aspettavamo di perderlo così giovane e così all'improvviso. Lascia un vuoto nella nostra vita così grande che le parole non riescono a descriverlo. L'ora di andare a letto, l'ora di fare il bagno, l'ora di mangiare — niente sarà più uguale a prima. Ci consoliamo sapendo che non soffrirà più, che la sua fine è stata veloce, e che è in un posto migliore. Ma, semplicemente, manca a noi tutti disperatamente. Quando ci fu detto per la prima volta quanto fosse grave la disabilità di Ivan, pensai che avremmo sofferto dovendoci prendere cura di lui ma almeno lui avrebbe tratto beneficio dalle nostre cure. Ora che mi guardo indietro vedo che è stato tutto il contrario. È stato sempre solo lui a soffrire davvero e siamo stati noi — Sam, io, Nancy ed Elwen — a ricevere più di quanto io abbia mai creduto fosse possibile ricevere dall'amore per un ragazzo così meravigliosamente speciale e bellissimo". - David Cameron -

 
 
 

LE INDEBITE INGERENZE DELLA CHIESA E IL SILENZIO DELLA FOLLA CHE E' SOLITA STRACCIARSI LE VESTI

Post n°1585 pubblicato il 03 Marzo 2009 da diglilaverita
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Il 1 marzo, prima domenica di quaresima, il Santo Padre, nei saluti dopo la recita dell’Angelus ha detto: «Saluto i lavoratori dello stabilimento FIAT di Pomigliano d’Arco, venuti a manifestare la loro preoccupazione per il futuro di quella fabbrica e delle migliaia di persone che, direttamente o indirettamente, dipendono da essa per il loro lavoro. Penso anche ad altre situazioni ugualmente difficili, come quelle che stanno affliggendo i territori del Sulcis-Iglesiente, in Sardegna, di Prato in Toscana e di altri centri in Italia e altrove. (…) Desidero esprimere il mio incoraggiamento alle autorità sia politiche che civili, come anche agli imprenditori, affinché con il concorso di tutti si possa far fronte a questo delicato momento. C’è bisogno, infatti, di comune e forte impegno, ricordando che la priorità va data ai lavoratori e alle loro famiglie.» Tre considerazioni credo siano spontanee: innanzitutto gratitudine per la carità consapevole, sensibile alle difficoltà dei fratelli che gli sono stati affidati, che il Papa ha dimostrato con affettuosa e semplice schiettezza, come sempre incurante delle conseguenze. Immediatamente dopo la responsabilità e l’impegno che queste parole, del Papa e dei nostri Vescovi, comportano per ciascuno di noi, in particolare in questo periodo di Quaresima, che un mio amico prete ha definito luminoso, perché ci invita a guardare fisso alla grande Presenza, diritto alla sostanza delle cose, cioè con uno sguardo più vero, da uomo. Periodo che il Santo Padre nel Suo messaggio ha illustrato così: «Nel consueto mio Messaggio quaresimale, vorrei soffermarmi quest’anno a riflettere in particolare sul valore e sul senso del digiuno (…) valorizzando il significato autentico e perenne di quest’antica pratica penitenziale, che può aiutarci a mortificare il nostro egoismo e ad aprire il cuore all’amore di Dio e del prossimo (…) Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli. (…) Cari fratelli e sorelle, a ben vedere il digiuno ha come sua ultima finalità di aiutare ciascuno di noi, come scriveva il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, a fare di sé dono totale a Dio (cfr Enc. Veritatis splendor, 21).» Ma una terza considerazione non può essere taciuta: il silenzio assordante della folla che è solita stracciarsi le vesti per le indebite ingerenze della Chiesa e del Papa nelle questioni che riguardano il nostro Paese, e per l’attentato alla laicità dello Stato. Se un Capo di stato straniero avesse detto le stesse cose, come minimo lo avremmo invitato a guardare in casa sua. Invece tutte le voci sguaiate che solitamente gracchiano rumorosamente hanno taciuto; anzi ad iniziare dai loro megafoni, il Corriere e Repubblica, tutti a riportare, ovviamente nelle pagine interne, le parole del Papa, e citarle compuntamene nei discorsi e nelle interviste. Ma allora è evidente che la reazione alle parole del Papa e della Chiesa, di coloro che solitamente si stracciano le vesti, è strumentalizzazione in favore della propria posizione politica o ideologica, e quindi è una cosa squallida. Nessuno con un minimo di dignità, ed anche un minimo senso del ridicolo, potrà più ingrossare il crocchio arrogante di chi non condividerà interventi su altre questioni. Il crocchio di coloro che in nome della libertà vogliono togliere la libertà alla Chiesa e al Papa.
Diamo atto a "Il Corriere della sera" che sempre in una pagina interna, a corredo delle parole del Papa, scrive: «Le Diocesi mobilitate in tutta Italia – Le parrocchie anticrisi: prestiti a tasso zero e accordi con le banche.» Molti altri giornali, soprattutto di sinistra, se ne guardano bene. Ma non posso ignorare chi solitamente alza di più la voce contro le ingerenze e in difesa della laicità: Emma Bonino e Marco Pannella che, ho letto su un giornale, è commosso per "il ritorno di Rutelli". Perché tra molti cito loro? Per una notizia credo interessante e significativa che li riguarda, cioè per la loro attenzione ai temi connessi alla libertà religiosa, ed alla salvaguardia del ruolo delle religioni nelle società post moderne. Sono tra le Personalità che indicono il World Congress for Freedom of Scientific research (Congresso Mondiale per la Libertà della ricerca scientifica) organizzato dal Partito radicale non violento, trasnazionale e traspartitico, dall’Associazione Luca Coscioni, dal Gruppo Liberale, dal Gruppo Socialista, ed altri. Il Convegno si svolgerà dal 5 al 7 marzo nell’aula del Parlamento in cui si tenevano le riunioni della Convenzione presieduta da Giscard d’Estaing. Una sessione del convegno è dedicata ai "Criteri religiosi, bioetici e politici per la libertà della ricerca." Vista la loro attenzione ai temi connessi alla libertà religiosa, hanno chiamato a parlarne gli Esperti che qui Vi elenco: Marco Pannella; Alex Mauron, Professore associato di bioetica, alla Facoltà di Medicina dell’Università di Ginevra, che parlerà sul tema: "relativismo epistemologico e dogma religioso: due alleati contro libertà della ricerca scientifica„; Pervez Hoodbhoy, Preside, della Facoltà di Fisica, dell’Università di Quaid-e-Azam, (Pakistan), che interverrà su "la battaglia per la scienza e il laicismo nel mondo islamico„. Completerà il pannel la signora Laurette Onkelinx, Vice Primo Ministro, Ministro degli Affari sociali e della sanità pubblica del Governo Belga, socialista, distintasi per la promozione dell’aborto, del matrimonio omosessuale e dell’eutanasia, il suo motto è "A 120 anni, il socialismo è ai suoi inizi." Come si vede la libertà religiosa ed il ruolo dell’etica in rapporto alla scienza ... sono in buone mani, possiamo stare tranquilli, anche perché le conclusioni del convegno saranno di Marco Pannella, Emma Bonino e Philippe Busquin, Belga, più volte Ministro e dal 1999 al 2004 Commissario europeo alla ricerca, autore del programma quadro cha finanziava la ricerca sugli embrioni, rigorosamente socialista. - CulturaCattolica -

 
 
 

NELLO ZIMBABWE FLAGELLATO DA COLERA, AIDS E FAME; LA CHIESA UNICO PUNTO DI RIFERIMENTO.

Post n°1584 pubblicato il 03 Marzo 2009 da diglilaverita
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"Lo Zimbabwe si trova in condizioni critiche – ha spiegato a "L'Osservatore Romano" il Nunzio Apostolico nel Paese, l'Arcivescovo George Kocherry –, oramai tutto il mondo conosce la nostra situazione". "Gli ospedali pubblici sono al collasso e le uniche strutture sanitarie in grado di assistere i malati e i loro familiari sono quelli gestiti dai missionari e dalle religiose. Il Papa, attraverso 'Cor Unum', mi ha inviato ottantamila dollari statunitensi come gesto della Sua solidarietà paterna verso una popolazione sofferente". "La Nunziatura apostolica – ha aggiunto – si è accordata con Caritas Zimbabwe per portare nel nostro Paese generi alimentari da distribuire alle famiglie attraverso le parrocchie. Quando il colera ha colpito il nostro Paese il Pontificio consiglio per la Pastorale della Salute mi aveva inviato diecimila dollari statunitensi per l'acquisto delle medicine". Circa la metà degli oltre 11 milioni di abitanti dello Zimbabwe rischia di morire di fame, il colera ha ormai provocato 75.000 vittime e la mancanza di farmaci antiretrovirali aggrava l'incidenza dell'Aids, che devasta la popolazione, per quasi il 25% sieropositiva. Le strutture sanitarie e scolastiche sono al collasso, denuncia il Nunzio, spiegando che medici, infermieri e insegnanti non vengono pagati da mesi. In questa drammatica situazione, la Chiesa è l'unica ancora di salvezza per milioni di persone. Caritas Internationalis assiste direttamente oltre un milione di persone fornendo cibo, mentre altri progetti umanitari facenti capo alla Caritas coinvolgono più di tre milioni di abitanti. Dopo la Domenica dello Zimbabwe, giornata di preghiera indetta il 15 febbraio scorso dalla Conferenza Episcopale Sudafricana, la Jesuit School of Theology di Nairobi (Kenya) ha chiesto iniziative per il Paese in occasione della Quaresima. "Nello Zimbabwe uno stallo politico recentemente risolto attraverso la condivisione di potere ha causato innumerevoli disagi per le persone innocenti – spiegano i promotori –. Dagli stratosferici tassi di inflazione a una gravissima epidemia di colera, dal completo collasso dell'economia nazionale alle violenze a sfondo politico, lo Zimbabwe deve affrontare un futuro incerto". La campagna quaresimale, ricorda il quotidiano vaticano, ha un triplice obiettivo: "creare consapevolezza circa la situazione dei cittadini; esprimere solidarietà con il sofferente popolo dello Zimbabwe e aiutare il recupero e la ricostruzione; aumentare i fondi per sostenere lo sforzo degli enti locali e delle organizzazioni umanitarie in Zimbabwe". Per sette venerdì consecutivi, si terrà una veglia di preghiera e di riflessione nella cappella del collegio a Nairobi. "Il servizio di preghiera è aperto a tutte le donne e gli uomini di buona volontà. Speriamo di ottenere un dollaro americano per ogni candela accesa. Il ricavato di questa campagna quaresimale andrà diretto verso l'assistenza umanitaria". Oltre che dell'assistenza materiale, lo Zimbabwe ha quindi bisogno di speranza, elemento che costituisce anche l'obiettivo del secondo Sinodo dei Vescovi per l'Africa, che si svolgerà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre prossimi. Monsignor Fortunatus Nwachukwu, Capo del protocollo della Segreteria di Stato, ha infatti affermato che l'assise episcopale "rappresenta una porta di speranza" per un continente che deve affrontare tanti problemi. Se il primo Sinodo dei Vescovi dell'Africa del 1994 ha affrontato la questione della Chiesa e della sua missione evangelizzatrice in vista dell'anno giubilare del Duemila, il secondo si soffermerà sul tema "La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. 'Voi siete il sale della terra...Voi siete la luce del mondo' (Matteo, 5, 13-14)". Tra le sfide elencate nell'Instrumentum laboris dell'incontro, ha rilevato monsignor Nwachukwu, c'è quella dell'etnocentrismo e del tribalismo, "che spesso sottosta agli altri mali – conflitti etnici, nepotismo e corruzione, impunità, mediocrità e tanti altri del continente africano". "In un momento in cui si parla tanto in Africa dell'inculturazione del Vangelo e quindi dell'amore, non sarebbe totalmente fuori posto pensare a disposizioni che mettano l'accento sulla cattolicità della Chiesa al di sopra delle appartenenze etniche", ha osservato. "I legami e i sentimenti etnici sono talmente profondi e spesso esageratamente sensibili che ogni misura che tenti di sorvolarli tende a innescare delle forti opposizioni. Ma forse sono proprio quelle opposizioni e quelle resistenze che la Chiesa dovrebbe affrontare con il messaggio del Vangelo se vogliamo prevedere un futuro di riconciliazione, di giustizia e di pace per il continente africano". - ZENIT -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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