ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 17/07/2009

NEL MALE DI VIVERE DI TANTI GIOVANI LO STUPORE E' IL VERO ANTIDOTO

Post n°2081 pubblicato il 17 Luglio 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

In Spagna l’hanno chiamata "generación ni-ni", una ricerca pubblicata di recente su El País dice che vi fanno parte il 54 per cento dei giovani spagnoli tra i 18 e i 35 anni. E il nostro paese, ma la cosa dopo tutto non può stupire, non ne è immune. I dati, resi noti dal Corriere, del Rapporto giovani 2008 confermano che il male è anche nostro: un milione e 900mila giovani tra i 25 e i 35 anni non studia e non lavora. Non lo ritengono necessario, semplicemente. Basta loro vivere nel limbo tra studio e occupazione, senza impegnarsi seriamente con alcuna ipotesi di vita. Ma è sufficiente la sociologia a dirci perché? Ilsussidiario.net lo ha chiesto ad Antonio Socci.

Quali sono le origini storiche che hanno portato al deludente risultato di una generazione "né né"?

In primo luogo ci tengo a precisare che personalmente sono un po’ diffidente verso le "scoperte del giorno". La stampa vive spesso di queste invenzioni. I fenomeni sociali veri, profondi e importanti di questo genere non nascono come funghi dall’oggi al domani. Questo tipo di situazione descritta dal El País mi sembra un fenomeno noto e stranoto, conosciuto da anni e che riguarda la condizione giovanile tout court, anche se nei diversi decenni magari si è tradotta e declinata in differenti maniere. Sono convinto che dagli anni ’70 in poi si abbia sempre più avuto a che fare da una parte con la questione della disoccupazione o dell’impatto con il mondo del lavoro, e, dall’altra, con il fatto che le famiglie italiane sono un ammortizzatore sociale molto importante che permette una permanenza abbastanza (forse troppo) prolungata in un luogo stabile.

Però i numeri di questo fenomeno ci sono e parlano chiaro.

Io non credo che il fenomeno sia delle dimensioni denunciate. Con quale criterio si può verificare lo stato delle singole motivazioni? Però certamente la tendenza denunciata c’è. Non è una tendenza che riguarda soltanto i giovani, ma è una posizione dilagante. È quel modo di concepire l’esistenza che Teilhard de Chardin definiva «il venire meno del gusto del vivere», una posizione che ha connotati diversi ma non è che sia meno presente o meno drammatica nei ceti sociali cosiddetti "rampanti", così desiderosi di mordere la vita che tirano di cocaina in continuazione per lavorare ancora di più. Sono due facce della stessa medaglia che hanno alla loro radice la fine della paternità, la delegittimazione di tutti coloro che propongono un senso della vita e un motivo per vivere.

Sintomi di questo modo di concepire l’impegno con la vita erano presenti anche nelle generazioni passate o quest’ultime erano affette da altre "malattie sociali"?

Trovo che tutta la generazione degli anni ’70, divenuta oggi classe dirigente, fosse minata da un tarlo, da un veleno pericoloso che ha prodotto devastazioni: il veleno dell’ideologia. Un’intossicazione che ha in qualche modo continuato a mietere vittime anche fra le fila delle generazioni successive, come ha scritto benissimo in un libro molto bello Stefano Borselli, Addio a Lotta Continua. Borselli fa un bilancio drammatico in cui usa parole che la generazione sessantottina non ama sentire e che ha addirittura "cancellato" dalla cultura. Parla di pentimento, di perdono e di quella generazione che ha prodotto tutto e il contrario di tutto.

I giornali legano il fenomeno anche alla crisi economica in atto, secondo lei questa sta davvero esercitando un ruolo rilevante nello scoraggiare le ultime generazioni?

Su questa analisi non sono assolutamente d’accordo, e anche qui mi sorge il sospetto che sia funzionale a coprire il vuoto lasciato da un’assenza di spiegazioni profonde. Il primo a tirar fuori il problema di questa generazione è stato, con un’uscita alquanto infelice, il ministro Padoa Schioppa quando apostrofò i giovani in difficoltà economiche con il termine "bamboccioni". Tra l’altro era un momento in cui da un punto di vista statistico la disoccupazione italiana era ai minimi storici. Già allora si ricorse, da parte di chi difese l’attuale generazione, a motivi economici per giustificare il fenomeno. Giusto ma non esauriente. Perché perfino un marziano riuscirebbe ad accorgersi che i sintomi di questo atteggiamento sfiduciato nei confronti della realtà affondano nella storia sociale. Dai presupposti ideologici di cui ho parlato non si poteva che sfociare in simili reazioni.

I giornali parlano anche di una carenza di motivazioni. Secondo lei è questione più di accidia o di ignavia?

Quando si va a toccare la sfera personale, delle delusioni, delle solitudini o anche solo delle domande, è sempre molto difficile generalizzare. Ognuno fa storia a sé. Certo anche se il non fare nulla fosse una via di fuga, occorre ricordare che la delusione e la sconfitta fanno parte anche della vita di chi non ha problemi sul lavoro, rientrano nella dimensione esistenziale di tutti. L’unica vera emergenza è l’enorme difficoltà che queste generazioni hanno ad incontrare persone che comunichino un senso per la vita e un gusto per la vita. È come se la cultura contemporanea e dominante fosse strutturata in qualche modo proprio per impedire che queste presenze siano incontrabili o per delegittimarle, renderle, se si vuole, invisibili.

Qual è stato l’errore educativo, se c’è stato, che ha causato questa reazione sociale?

C’è al giorno d’oggi un prolungamento della vita in famiglia senza che questo implichi una qualche adesione a una serie di regole, a un codice. Ormai è da tempo che le famiglie sono molto deboli dal punto di vista educativo. In tutta questa vicenda ci sono anche fenomeni positivi, come la tenuta sociale della famiglia, che di fatto è il fattore fondamentale del welfare state gestito sul privato, una specie di sussidiarietà non riconosciuta.

All’esterno, oltre ai retaggi ideologici che ho sopra descritto, c’è una carenza di proposte. Tutti parlano di emergenza educativa, ma la differenza fra chi ne parla e quello che ha insegnato Luigi Giussani consiste nel fatto che a fianco della preoccupazione educativa di questi stava una proposta che affascina e non un una teoria pedagogica o un piano pastorale.

Una studentessa intervistata dal Corriere ha ammesso di essere una nullafacente aggiungendo la frase "io sto bene così". Le sembra possibile essere soddisfatti di una simile posizione umana?

Se non sbaglio quella ragazza ha un figlio. Secondo me molto spesso la coscienza che una persona ha di sé non rende giustizia a quello che concretamente è. Quella ragazza vive l’esperienza di un amore e questo non significa essere una nullafacente. La vita inevitabilmente richiama all’urgenza di sé, alla propria umanità e alle proprie domande. Direi che questa categoria di nullafacenti denunciata dai media rientra a pieno titolo sotto l’accezione di una parola che oggi comprende tutta l’umanità: siamo "anestetizzati". Per fortuna la vita per com’è continua a risvegliarci in diverse maniere, a volte drammatiche, a volte belle, ma sempre cariche di stupore. Partire dallo stupore, ossia dal domandarsi perché si è al mondo, è il primo passo per uscire dall’anestesia. -

Antonio Socci - ilsussidiario-

 
 
 

LA FORZA DELLA CROCE: TESTIMONIANZA DELLA POTENZA DI MEDJUGORJE!!!

Post n°2080 pubblicato il 17 Luglio 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Un giovane canadese guarito alla XII stazione! (...)

Già all'età di quattordici anni avevo incominciato a bere e a drogarmi. Dato che non avevo molti soldi per tutto ciò, andavo a rubare. A diciannove anni mi sono reso conto che tutto ciò non quadrava con quello che i miei genitori mi avevano insegnato e questa vita mi faceva schifo. I miei genitori, spesso parlavano a me e a mia sorella di Medjugorje, e ci invitavano a partecipare ai viaggi che loro organizzavano.. Io ero chiuso a ogni proposta ma nel settembre dell'87 mi venne il desiderio di andarvi (...). Durante il viaggio constatai che tutte le persone che vi partecipavano non erano di mio gusto e così quello che dicevano o facevano. Essi pregavano e cantavano (...) ma arrivando a Medjugorje fui subito colpito... una folla strabocchevole camminava a strada piena, tutta gente che arrivava dalla Messa (...).
Il giorno dopo cominciarono le attività del pellegrinaggio. (...) Io guardavo dappertutto e trovavo che le persone avevano l'aria felice (...), capivo che a Medjugorje c'era qualcosa di speciale. Mi sentivo attirato e sentivo una presenza d'amore che mi amava. Cominciai allora a partecipare alle preghiere col gruppo. Non le conoscevo, le ho imparate.
Il mattino del 15 settembre partiamo tutti per fare la Via Crucis sul Krievac. Alla partenza i miei genitori invitano, chi lo desidera, a togliersi le scarpe e a salire a piedi nudi. Io guardo la montagna e penso: "Sono matti". Due o tre persone si tolgono le scarpe. Sorpreso e interpellato, le imito pensando che devo mettercela tutta, che non sono venuto fin qui per non fare nulla. Si comincia a salire (...). Arrivati alla dodicesima stazione tutti si inginocchiano. Anch'io mi metto in ginocchio e incomincio a piangere pur non sapendo perchè. Il pianto aumentava sempre più e io mi chiedevo: "Che cosa mi capita qui? Ho fatto le altre stazioni e non ho pianto (...)". Non capivo più nulla. Intanto una persona ebbe una profezia che diceva: "Una persona del gruppo è guarita dalla droga e da tutto il resto a lei connesso e il Signore le dà la grazia di una conversione straordinaria". Mentre queste parole venivano dette ho sentito in me una grande pace e gioia. Immediatamente ho cominciato a ringraziare Dio.

E' veramente in questa dodicesima stazione che il Signore si è impadronito di me, mi ha convertito e cambiato di colpo. Non l'ho capito subito, ma poi ho compreso la grandezza di Gesù morto sulla croce (...) Egli è veramente morto sulla croce per salvarci, per salvare me dai miei peccati.
Da quel momento tutto ha cominciato a vivere in me. Ho desiderato con tutto il mio cuore seguire i Suoi comandamenti, ascoltare la Sua Parola, pregare Maria, praticare i Suoi messaggi. Ho capito che, come il giovane ricco, dovevo lasciare le mie cose se volevo seguire Dio. Medjugorje fu per me una seconda vita. Io rinascevo e la mia fede anche. Le confessioni fatte a Medjugorje mi hanno molto aiutato e anche il sentirmi circondato dalla Presenza di Maria (...). Ritornato dai viaggio ho immediatamente fatto ciò che non mi sembrava facile. Il mattino del mio arrivo, visito uno dei mie "compari" (...). Lui fissa lo sguardo sulla croce e la medaglia che avevo al collo. Ho visto subito dai suoi occhi che tutto era finito: io non dovevo più avvicinarmi a lui, sarebbe stato pericoloso per me ricadere. Se un giorno lo decidesse dovrà essere lui a tornare a me. Fu una grazia ma anche una croce. Era il mio migliore amico. Ho smesso anche di ascoltare la musica rock che mi piaceva molto. Ho lasciato la mia ragazza (.,.) perchè con lei non potevo più vivere la castità. Altro duro colpo per me ma non avevo altra scelta (...). E' importante per me vivere le leggi e la Parola di Dio: "Felici i cuori puri, perchè vedranno Dio". lo voglio vedere Dio e allora il mio cuore deve essere puro. Il Signore fa meraviglie nella mia vita (...): mi ha dato un lavoro che mi piace molto: sono sagrestano nella chiesa della mia parrocchia da dieci mesi. Per me è una cosa grande perche prima non conservavo un lavoro per più di qualche settimana. Quale grazia mi ha fatto il Signore di lavorare in Sua compagnia, vicino a Lui! Ora cerco di capire qual'e la mia vocazione (...). So in anticipo che là dove Egli mi vuole è là dove saro più felice. Prego per perseverare nella Sua Via. Quando faccio una balordagine, con la Sua Grazia, mi rialzo. Lo ringrazio, davanti a voi, di quello che Egli ha fatto, e farà per me. Amen. Alleluja! - STEEVE DALLAIRE -  da Gesù e Maria salvate anime -

 
 
 

IL CURATO D’ARS E LA VIRTU’ DELL’UMILTÀ

Post n°2079 pubblicato il 17 Luglio 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Recentemente navigando in internet mi sono soffermato su un sito dove l’autore si presentava affermando di essere compositore, speaker, giornalista, scrittore, capo carismatico, ex bambino prodigio, pluristrumentista, insegnante di musica e concludeva affermando di essere tutto questo e molto di più… Qualsiasi studente di psicologia alle prime armi facilmente farebbe una diagnosi di inflazione di coscienza o ego ipertrofico causato da ipocompensazione da complesso di inferiorità. A livello di malattia spirituale la diagnosi è presunzione e superbia che è l’opposto della virtù dell’umiltà che ci rende simpatici mentre il presuntuoso si riempie di ridicolo da se stesso ed è deriso da tutti ottenendo non l’ammirazione degli altri che cerca disperatamente ma solo lo scherno. Per il curato d’ars invece l’umiltà era fondamentale. Ho raccolto le testimonianze di quelli che lo hanno a lungo conosciuto che affermano:

CATERINA LASSAGNE, Direttrice de La Provvidenza. La sua umiltà non è comune; egli si crede il minore di tutti. Dice talvolta al Fratello ch’egli si paragona ad un uomo di Ars che nomina e che è un debole di spirito. "Egli fa ancora i suoi affari, egli dice, ma con gli altri, egli è negato. Penso che sono come quello con gli altri curati". E parlando talvolta di quelle persone povere di spirito come se ne trovano nelle famiglie, egli dice: "A casa nostra, i miei fratelli e le mie sorelle avevano abbastanza spirito, sono io che ero il più scemo". Egli diceva un giorno che aveva pensato: "Se ci si potesse dimenticarsi e perdere se stessi per essere tutto di Dio, quanto si sarebbe felici! Ma Adamo vive sempre". Malgrado tutte le lodi che riceve ogni giorno, tutti i complimenti. Egli riceve lettere lusinghiere che lo canonizzano: non vi fa attenzione. Un giorno, egli diceva: "Ho ricevuto una lettera; mi si descrive come un santo; in un’altra, mi si chiama ipocrita. Se credessi alla prima, avrei orgoglio; se credessi alla seconda, mi metterei in disperazione. Non farò attenzione né all’una né all’altra. Mi hanno scritto spesso se fossi un santo. Se mi si conoscesse, mi parlerebbero ben diversamente". Il Signor Curato narrava un giorno con piacere che un signore, venuto da lontano, che senza dubbio aveva sentito parlare di lui, si avvicina guardandolo fissamente e gli dice: "Siete dunque voi!", con un’aria di disprezzo. Sì, ho ben capito, dice il Signor Curato, quello che voleva dire: che non fossi quello che credeva. Ve ne sono che mi credono qualcosa di grande; sono del tutto presi quando mi vedono. Comunque, lo si è visto più di una volta, i giorni di domenica, lasciare precipitosamente il proprio posto per rifugiarsi nella sua sacrestia e chiuderne la porta perché il predicatore diceva alcune parole a sua lode.

LOUIS BEAU, suo Confessore, curato di Jassans. Sembrava non fare affatto caso a quelle parole di lode. Egli non rispondeva nulla o faceva un semplice movimento che indicava che il ricordo delle sue grandi miserie era presente al suo pensiero.

ALFRED MONNIN, Missionario diocesano. Un giorno, Monsignor Devie, rivolgendogli la parola, gli disse: "Mio santo Curato". Fu una vera desolazione. "Non pensavo che anche Monsignore si sbagliasse su di me. Occorre che io sia ipocrita!".

PIERRE ORIOL, fedele abitudinario di Ars. Egli si definiva un cattivo utensile tra le mani del Buon Dio ed aggiungeva che se Dio avesse trovato un più cattivo utensile, se ne sarebbe servito al suo posto.

FRATEL ATTANASIO, Direttore della scuola di Ars. Quando vi ci recammo (alla scuola dei ragazzi) per la prima volta, un allievo doveva fargli un complimento. Quando vide il fanciullo avvicinarsi a lui, con il foglio in mano, comprese di cosa si trattasse. Si precipitò su di lui e gli strappò il foglio dalle mani dicendo: "Vattene a recitare un’Ave Maria per me, che è meglio". Lo stesso giorno, un fatto dello stesso genere accadde presso le Suore. Farò qui anche due precisazioni importanti. La prima, è che quando vogliamo sapere qualcosa che lo riguardava e che era a suo elogio, occorreva industriarsi e portarvelo insensibilmente e senza che egli se ne accorgesse nel parlarne. Come subito notava dove volevamo giungere, egli s’arrestava subito dicendo, se volevamo continuare: "Basta, ho già detto troppo". La seconda, è che gli accadeva abbastanza spesso di raccontare ciò che poteva aver tratto da qualche punto di vista della sua vita: ma era nella familiarità della conversazione e poi per la semplicità e l’abbandono del suo carattere.

FRATEL GABRIEL TABORIN, Superiore dei Fratelli della Sacra Famiglia. Per favorire la devozione dei parrocchiani di Ars, ebbi l’idea di fare un libretto sotto questo titolo "L’angelo conduttore dei pellegrini di Ars". Prima di iniziarlo, consultai il servo di Dio che accolse con gioia quel progetto: "Fatelo subito, mi incarico di farvene vendere sessanta esemplari al giorno". Composi il libro, lo sottomisi all’approvazione del vescovo diocesano. Quando fu stampato, ne portai sei esemplari a Don Vianney che li ricevette con gioia e riconoscenza dicendomi che quel libro avrebbe fatto molto bene. Nella prefazione, avevo avuto la disgrazia di rintracciare la sua vita, in rapidissimi tratti, come modello di virtù e di santità. L’indomani mattina, avendomi scorto in chiesa, mi fa segno di andare con lui con un’aia afflitta e di severità straordinaria. Avendolo seguito in sacrestia, mi dice con animazione e versando lacrime abbondanti: "Non vi credevo capace, amico mio, fare un cattivo libro". – Come?". – "E’ un cattivo libro, un cattivo libro. Ditemi subito quanto vi è costato, ve lo rimborserò e lo bruceremo". Fui preso da meraviglia e gli chiesi di nuovo in cosa il libro fosse cattivo. "Voi parlate di me come di un uomo virtuoso, come di un santo, nel mentre che non sono che un povero ignorante, un misero sacerdote". – "Ma, padre, ho portato questo libro a sacerdoti istruiti. Monsignor Devie ne ha rivisto tutte le prove: ha dato la sua approvazione. Non può essere un cattivo libro!". Le lacrime non fecero che raddoppiare. "Ebbene togliete tutto quello che mi riguarda ed allora sarà un buon libro". Al mio ritorno ad Ars, non ebbi nulla di più urgente di dire a Monsignore tutto quello che era accaduto. "Che lezione di umiltà ci dona a voi ed a me questo santo sacerdote, ci dice il prelato, aggiungendo comunque: guardatevi bene dal togliere qualcosa, ve lo proibisco". Seguii il consiglio del mio vescovo, ma il servo di Dio non volle mai apporre sul libro la sua firma, che poneva così facilmente sui libri e gli oggetti di pietà che gli si presentavano.

MARIA GIOVANNA CHANAY, cuoca della Casa de La Provvidenza. Le mie compagne ed io avevamo spesso sentito da Don Vianney stesse delle cose che lo riguardavano. Non è che lui amasse intrattenersi su di lui. Nulla al contrario era più opposto alle sue abitudini. Io penso che nessun uomo sia stato più morto a se stesso. Ma a seguito di questa semplicità e di quella schiettezza che ho prima segnalato, egli si dimenticava talvolta e si lasciava andare alla conversazione. In quei buoni momenti, noi usiamo una certa industria: abbiamo l’aria di non volerne sapere di più su quello cui più teniamo, facciamo le indifferenti. Poi, lo mettiamo sulla strada, gli chiediamo dolcemente e lui, non dubitando nulla, ci rispondeva come un bambino. Si accorgeva della sorpresa, si fermava di colpo e ci vietava di dire qualcosa di ciò che gli era così sfuggito. Queste note spiegano come le mie compagne ed io avessimo potuto ottenere da lui la conoscenza di tanti particolari che riguardavano la sua vita. - don Marcello Stanzione - pontifex -

 
 
 

LE ANIME DEL PURGATORIO VENIVANO A DOMANDARE SOCCORSO

Post n°2078 pubblicato il 17 Luglio 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Le sofferenze espiatorie che subiva per le pratiche anticoncezionali e le impurità erano dolori corporali ed orribili nausee. Poi le sembrava di giacere delle ore fra blocchi di ghiaccio; il freddo le penetrava fino alle midolla; era l'espiazione della tiepidezza e della freddezza dal punto di vista religioso. Dopo il terribile caso del prete di Colonia, dovette ancora incaricarsi di sei anime che non potevano essere liberate che per mezzo di espiazioni accettate liberamente. In seguito potrà liberare molto più facilmente, per mezzo della misericordia della Madre di Dio, molte altre anime venute a lei nella prima metà dell'anno. Una si chiamava Berta, era francese, morta nel 1740; un'altra era viennese, morta nel 1810. C 'erano anche: una prostituta italiana, due signorine di Innsbruck, morte durante un bombardamento, ed un prete italiano. Ne vennero poi altre che poterono essere liberate per mezzo di sofferenze più leggere e per mezzo della preghiera. Pur sembrandole doloroso, Maria Simma si è proposta di accettare tutti questi sacrifici. Alle volte erano tali che non avrebbe potuto sopportarli con le sole sue forze. Nell'agosto del 1954 iniziò un nuovo metodo per aiutare le anime. Un certo Paul Gisinger di Koblach si annunciò pregandola di domandare ai suoi sette figli, di cui indicò il nome, di dare per lui 100 scellini per le missioni e di far celebrare due Messe: solo così avrebbe potuto essere liberato. In ottobre seguirono domande analoghe: somme minori o maggiori in favore delle missioni, onorari per Messe e recite del Rosario si rinnovarono una quarantina di volte ancora. Le anime si annunciavano sempre personalmente, senza che Maria rivolgesse loro delle domande. Nello stesso mese d'ottobre del 1954 un anima del purgatorio le disse che durante la settimana dei morti avrebbe potuto fare delle domande a tutte le anime i cui parenti erano disposti ad aiutarle, accordando loro i soccorsi necessari. D'altra parte Maria Simma aveva già prima fatto loro delle domande ed ottenuto risposte concernenti certe altre anime. Ella poté accettare l’incarico di far loro delle domande fino al 20 novembre, ricevendone la risposta prima della fine dell'anno mariano. In ottobre e in novembre, fino all'Immacolata Concezione (8 dicembre), ogni notte vennero delle anime per le quali doveva sia pregare sia soffrire. All'inizio doveva far da sola tutte le preghiere; ma, dal momento che le domande diventarono troppo numerose, poté chiedere aiuto ad altre persone disposte a pregare coscienziosamente per loro. Per i preti le preghiere dovevano essere fatte da preti. Alla chiusura dell'anno mariano, Maria Simma conobbe alcuni giorni di tranquillità. Poi altre anime ricominciarono ad annunciarsi, anche anime di cui prese spontaneamente la responsabilità delle sofferenze, secondo ciò che giudicava essere bene e secondo la propria capacità di sopportazione.

 

Fratelli e sorelle proviamo a recitare questa preghiera ogni giorno non costa nulla ma fa tanto per le anime!!!!Si potrebbero salvare dall'inferno molte anime se mattino e sera si recitasse questa preghiera indulgenziale con tre Ave Maria per coloro che muoiono il giorno stesso:

"O Misericordiosissimo Gesù, che bruciate di un sì ardente amore per le anime, Vi scongiuro, per l'agonia del Vostro Santissimo Cuore e per i dolori della Vostra Madre Immacolata, di purificare con il Vostro Sangue tutti i peccatori della terra che sono in agonia e che devono morire oggi stesso. Cuore agonizzante di Gesù, abbiate pietà dei morenti".

"LE ANIME DEL PURGATORIO" MI HANNO DETTO…MARIA SIMMA - edizioni Shalom -*Io sono Amore* -

 
 
 

L'APPARIZIONE DELLA MADONNA DEL MONTE CARMELO A SAN SIMON STOCK

Post n°2077 pubblicato il 17 Luglio 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

La devozione alla Madonna del Carmelo risale al 1155 quando San Bertoldo giunse sul monte Carmelo e vi costruì una piccola cappella riunendo altri dieci fratelli. Iniziarono, così, a vivere una vita di preghiera eremitico-comunitaria senza una vera e propria regola scritta, ma rispettando gli usi degli eremiti locali. Questi antichi monaci cercavano anzitutto di seguire il modello del profeta Elia, ripetendo con lui: "Sono pieno di zelo per il Signore Dio delle schiere, alla cui presenza io sto". Il primo profeta d’Israele, Elia (IX sec. a.C.), dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando una provvidenziale pioggia, salvando così Israele da una devastante siccità. In quella nube piccola "come una mano d’uomo" tutti i mistici cristiani e gli esegeti hanno sempre visto una profetica immagine della Vergine Maria che, portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo.
La tradizione racconta che già prima del Cristianesimo, sul Monte Carmelo (Karmel = giardino-paradiso di Dio), si ritiravano degli eremiti, vicino alla fontana del profeta Elia; poi gli eremiti proseguirono ad abitarvi anche dopo l’avvento del cristianesimo e, verso il 93, un gruppo di essi che si chiamarono poi "Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo", costruì una cappella dedicata alla Vergine, sempre vicino alla fontana di Elia. Si iniziò così un culto verso Maria, il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la stelle polare del popolo cristiano. E sul Carmelo, che è una catena montuosa che si estende dal golfo di Haifa sul Mediterraneo fino alla pianura di Esdrelon (segna, quindi, il confine tra Galilea e Samaria), richiamato più volte nella Sacra Scrittura per la sua vegetazione, bellezza e fecondità, continuarono a vivere gli eremiti, finché, nella seconda metà del sec. XII, giunsero alcuni pellegrini occidentali, probabilmente al seguito delle ultime crociate del secolo; proseguendo il secolare culto mariano esistente, si unirono in un Ordine religioso fondato in onore della Vergine, alla quale i suddetti religiosi si professavano particolarmente legati.
L’Ordine non ebbe quindi un fondatore vero e proprio, anche se considera il profeta Elia come suo patriarca e modello; il patriarca di Gerusalemme s. Alberto Avogadro (1206-1214), originario dell’Italia, dettò una "Regola di vita", approvata nel 1226 da papa Onorio III.
Costretti a lasciare la Palestina a causa dell’invasione saracena, i monaci Carmelitani, come ormai si chiamavano, fuggirono in Occidente, dove fondarono diversi monasteri: Messina e Marsiglia nel 1238; Kent in Inghilterra nel 1242; Pisa nel 1249; Parigi nel 1254, diffondendo il culto di Colei che "le è stata data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron" (Is 35,2). Il 16 luglio del 1251 la Vergine, circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al primo Padre Generale dell’Ordine, Beato Simone Stock, al quale diede lo SCAPOLARE come sicura protezione dell'Ordine.
Lo scapolare, detto anche "abitino", non rappresenta una semplice devozione, ma una forma simbolica di rivestimento che richiama la veste dei carmelitani e anche un affidamento alla Vergine, per vivere sotto la sua protezione ed è, infine, un’alleanza e una comunione tra Maria ed i fedeli.
Papa Pio XII affermò che "chi lo indossa viene associato in modo più o meno stretto, all’Ordine Carmelitano", aggiungendo "quante anime buone hanno dovuto, anche in circostanze umanamente disperate, la loro suprema conversione e la loro salvezza eterna allo Scapolare che indossavano! Quanti, inoltre, nei pericoli del corpo e dell’anima, hanno sentito, grazie ad esso, la protezione materna di Maria! La devozione allo Scapolare ha fatto riversare su tutto il mondo, fiumi di grazie spirituali e temporali".
Altri papi ne hanno approvato e raccomandato il culto; lo stesso Beato Giovanni XXIII lo indossava. Esso consiste in due pezzi di stoffa di saio uniti da una cordicella che si appoggia sulle scapole e che reca l'immagine di Maria, da un lato, e quella del Sacro Cuore di Gesù dall'altro. Chi porterà lo scapolare beneficerà di tre privilegi:

1) preservazione dalle fiamme eterne; 2) liberazione dal purgatorio il sabato dopo la propria morte; 3) protezione contro i pericoli dell'anima e del corpo Lo scapolare di stoffa può essere sostituito dalla medaglia portata al collo o in un altro modo. È naturale che chi porta lo scapolare dovrà anche preoccuparsi di vivere una vita devota nei confronti di Maria pregandola in qualche modo ogni giorno (dicendo almeno le tre Ave Maria mattino e sera ed un Salve Regina).

Lo scapolare non è un amuleto, ma un pegno della predilezione di Maria: un richiamo all'esercizio della carità e una professione di appartenenza e di consacrazione alla Madre e Regina del cielo. L’Ordine Carmelitano partito dal Monte Carmelo in Palestina, dove è attualmente ubicato il grande monastero carmelitano Stella Maris, si propagò in tutta l’Europa, conoscendo nel sec. XVI l’opera riformatrice dei due grandi mistici spagnoli Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, per cui oggi i Carmelitani si distinguono in due Famiglie: "scalzi" o "teresiani" (frutto della riforma dei due santi) e quelli senza aggettivi o "dell’antica osservanza". Durante tutti i secoli trascorsi nella sua devozione, Ella è stata sempre rappresentata con Gesù Bambino in braccio o in grembo che porge lo scapolare (tutto porta a Gesù) e con la stella sul manto (consueta nelle icone orientali per affermare la sua verginità). La sua ricorrenza liturgica è il 16 luglio, giorno in cui, nel 1251, apparve al Beato Simone Stock, porgendogli l’ abitino.

- controlamenzogna -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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