ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 12/09/2009

SANTO PADRE: IL VESCOVO "SERVO FEDELE DI DIO", CHE LAVORA PER LA COMUNITA' NON PER SE STESSO

Post n°2332 pubblicato il 12 Settembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Un uomo di fede, che non pensa al proprio interesse né alle mode del tempo, di “prudenza”, che cerca la verità, cioé Cristo, di bontà, quindi internamente orientato verso Dio. Sono le caratteristiche del “servo fedele”, l’immagine del quale è stata indicata da Benedetto XVI quale modello del vescovo nel corso del rito durante il quale, stamattina in San Pietro, ha compiuto cinque ordinazioni episcopali. A ricevere il mandato cinque sacerdoti, tra i quali i due ex sottosegretari della Segreteria di Stato. mons. Gabriele Giordano Caccia, nominato nunzio in Libano e mons. Pietro Parolin, nuovo nunzio in Venezuela. Con loro mons. Franco Coppola, nominato nunzio in Burundi, mons. Raffaello Martinelli, eletto vescovo di Frascati e mons. Giorgio Corbellini, nominato presidente dell’Ufficio del lavoro della Sede Apostolica.  “Il consacrato – nelle parole del Papa - deve essere colmato dello Spirito di Dio e vivere a partire da Lui. Deve portare ai poveri il lieto annunzio, la vera libertà e la speranza che fa vivere l’uomo e lo risana”. “Come i 72 discepoli mandati dal Signore, egli deve essere uno che porta guarigione, che aiuta a risanare la ferita interiore dell’uomo, la sua lontananza da Dio. Il primo ed essenziale bene di cui abbisogna l’uomo è la vicinanza di Dio stesso. Il regno di Dio, di cui si parla nel brano evangelico di oggi, non è qualcosa ‘accanto’ a Dio, una qualche condizione del mondo: è semplicemente la presenza di Dio stesso, che è la forza veramente risanatrice”. Gesù, ha proseguito il Papa, ha riassunto “tutti i molteplici aspetti del suo Sacerdozio nell’unica frase: ‘Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti’ (Mc 10, 45). Servire e in ciò donare se stessi; essere non per se stessi, ma per gli altri, da parte di Dio e in vista di Dio: è questo il nucleo più profondo della missione di Gesù Cristo e, insieme, la vera essenza del suo Sacerdozio. Così, Egli ha reso il termine ‘servo’ il suo più alto titolo d’onore. Con ciò ha compiuto un capovolgimento dei valori, ci ha donato una nuova immagine di Dio e dell’uomo”. “La prima caratteristica, che il Signore richiede dal servo, è la fedeltà. Gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità. La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità”. “In greco, la parola che indica "fedeltà" coincide con quella che indica "fede". La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa. Il padrone rimprovera il servo, che aveva nascosto sottoterra il bene consegnatogli per evitare ogni rischio. Con questa apparente fedeltà il servo ha in realtà accantonato il bene del padrone, per potersi dedicare esclusivamente ai propri affari. Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo. “La seconda caratteristica, che Gesù richiede dal servo, è la prudenza”. Essa “è una cosa diversa dall’astuzia”, “indica il primato della verità, che mediante la ‘prudenza’ diventa criterio del nostro agire. La prudenza esige la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi; non giudica secondo desideri e passioni, ma cerca la verità – anche la verità scomoda. Prudenza significa mettersi alla ricerca della verità ed agire in modo ad essa conforme. Il servo prudente è innanzitutto un uomo di verità e un uomo dalla ragione sincera”. La terza caratteristica di cui Gesù parla nelle parabole del servo è la bontà”. “Buono in senso pieno è solo Dio. Egli è il Bene, il Buono per eccellenza, la Bontà in persona. In una creatura – nell’uomo – l’essere buono si basa pertanto necessariamente su un profondo orientamento interiore verso Dio. La bontà cresce con l’unirsi interiormente al Dio vivente. La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio, una crescente unione interiore con Lui. E di fatto: da chi altri si potrebbe imparare la vera bontà se non da Colui, che ci ha amato sino alla fine, sino all’estremo (cfr Gv 13, 1)? Diventiamo servi buoni mediante il nostro rapporto vivo con Gesù Cristo. Solo se la nostra vita si svolge nel dialogo con Lui, solo se il suo essere, le sue caratteristiche penetrano in noi e ci plasmano, possiamo diventare servi veramente buoni”. - asianews -

 
 
 

LA LOTTA VITTORIOSA DI SAN MICHELE ARCANGELO IN CIELO

Post n°2331 pubblicato il 12 Settembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

All’inizio dei tempi, Dio era solo con i suoi angeli. Egli li aveva creati innumerevoli affinchè circondassero il suo trono, cantassero la sua gloria, adorassero la sua maestà. Ora Egli stabili di sottoporli ad una prova. Questo perché Dio vuole essere amato per libera scelta. Egli si riservava di ricompensare la loro fedeltà confermandoli nella gloria e nella felicità. Quale fu questa prova? Diversi teologi hanno pensato che Dio, sollevando davanti ad essi un angolo dell’orizzonte dei tempi futuri, mostrasse loro il Cristo Verbo fatto carne: “Ecco, egli disse loro, quello che ho scelto come erede di tutte le cose. Il suo trono sarà eterno, è alla mia destra che sarà seduto”. E mentre essi guardavano meravigliati, una voce si fece sentire: “Che tutti lo adorino”. A quest’ordine il capo delle coorti angeliche, Lucifero, si adirò e s’indignò: “Adorare, si disse tra se, è abbassarmi, io non posso accettare quest’umiliazione. Dio prende, per innalzarla, una creatura d’un ordine inferiore; ebbene, anch’io, voglio salire, innalzerò il mio trono al di sopra degli astri di Dio, mi siederò sulla montagna dell’alleanza e sarò simile all’Altissimo”. Questi pensieri orgogliosi gli ispirarono il grido della ribellione “Non servirò”. Questo grido trovò purtroppo un eco in numerosissimi spiriti nelle schiere angeliche celesti; Lucifero ricompattò intorno a se gli altri angeli ribelli e tutti insieme si lanciarono verso le altezze. Essi salgono, quando ad un tratto un angelo parandosi davanti ad essi gettò il grido di fedeltà al Re dell’universo: “Chi è dunque come Dio?”. Questo fu il segnale di una grande lotta. Ben presto non si scorse nel cielo che il campione dei diritti di Dio e l’esercito degli angeli rimasti fedeli ch’egli aveva guidati alla vittoria: un abisso di fuoco s’era aperto ed aveva inghiottito i ribelli. La mistica Maria D’Agreda scrive: “Il dragone si rodeva di furore, ma non poteva fuggire perché Dio voleva che non fosse solo castigato, ma anche vinto e a suo dispetto conoscesse la verità e il potere di Dio; tuttavia bestemmiava: “Ingiusto sei o Dio, sollevando la natura umana sull’angelica. Io sono il più eccellente angelo e a me si deve il trionfo. Io porrò il mio trono sopra le stelle (Is. 44, 12), sarò somigliante all’Altissimo, né mai a nessuno mi assoggetterò di inferiore natura, né acconsentirò che alcuno mi preceda o sia maggiore di me” e così tutti gli angeli cattivi. Ma San Michele: “Chi è che possa uguagliarsi e mettersi alla pari col Signore che abita nei cieli? Ammutolisci nelle tue spropositate bestemmie e, poiché l’iniquità ti ha posseduto, allontanati da me o infelice”. (Venerabile Maria D’AGREDA, Mistica Città di Dio, Edizioni Segno, Udine 1992, p. 41). Passata la prova, giunse l’ora della ricompensa. L’angelo la cui fedeltà e valore s’erano così segnalate, doveva essere favorito in modo speciale da Dio. Lo fu. Ricevette il suo nome, quel nome di Michele che costituisce la sua gloria, poiché è l’espressione stessa del suo grido di combattimento, Quis ut Deus? Ed inoltre egli fu stabilito capo della milizia celeste, principe degli angeli. Un autore non cattolico a tal riguardo scrive molto lucidamente: “Solo un’entità celeste, l’Arcangelo Michele, è capace di vincere il drago. Tutti quelli che hanno pensato di poter essere così forti da partire in guerra contro il male sono stati vinti, poiché il male è una forza cosmica estremamente potente. E’ un errore credere, come fanno certi, che i poteri del male siano grandi come quelli del bene e che il Diavolo sia un’entità così formidabile da tenere testa eternamente a Dio. Ma per gli esseri umani è vero, è invincibile. Allora direte: “Ma allora non c’è niente da fare, noi non possiamo far niente?”. Sì, noi possiamo ogni giorno arruolarci nell’armata del bene, nell’armata dei figli di Dio, e il giorno in cui questa armata sarà sufficientemente numerosa, le entità delle tenebre saranno vinte. Esse possono esercitare la loro attività malefica finché sono alimentate dalla cupidigia e dai desideri inferiori degli esseri umani, ma un giorno, saranno atterrate e incatenate dalle forze cosmiche del bene, di cui l’Arcangelo è il simbolo”. (Omraan Mikhael AIVANHOV, Commento all’Apocalisse, Edizioni Prosveta, Fréjus Cédex (France) 1997, pp. 134-135). Dice bene il benedettino Anselm Grun: “In molte religioni il drago è il simbolo delle potenze ostili a Dio. Michele è l’Angelo che in noi combatte contro tutto ciò che vorrebbe contestare a Dio il suo posto. Michele è l’Angelo che veglia in modo che nel cielo della nostra anima governi Dio e non satana, così che il nostro cuore resti attaccato a Dio e non all’infatuamento di questo mondo. Michele interviene dunque per far regnare Dio in noi. Solamente se Dio regna in noi, noi diventiamo veramente uomini”. (Anselm GRÜN, Ciascuno cerca il suo angelo, Queriniana, Brescia 2002, pp. 123-124). Molto opportunamente un autore gesuita attuale ci ricorda che: “San Michele è l’Angelo guerriero. La sua figura si formò in un’epoca in cui la guerra era parte della vita e in mezzo a un popolo per il quale lottare era esistere. Presso un popolo che combatte per la sua esistenza ci sono certamente legioni di Angeli che lo aiutano. Gesù stesso si ricordò di queste legioni di fronte agli avventati discepoli che pretendevano di salvarlo con la forza dall’arresto nel Getsemani: “Pensi forse che Io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?” (Mt 26, 53). Il Capitano di queste legioni è Michele”. (Carlos G. VALLES, La mia vita con gli Angeli, Città Nuova Editrice, Roma 1999, p. 51). In questo nostro ventunesimo secolo, quindi come s’impone pertanto la necessità di riprendere coscienza dell’incidenza che le forze demoniache hanno nelle prove della nostra vita, così è necessario ripristinare la devozione a quella angelica creatura di Dio, messaci a disposizione dalla Provvidenza proprio per affrontare e vincere le battaglie contro il potere delle tenebre. E’ bene riprendere coscienza della missione caratteristica che San Michele Arcangelo svolge nel ruolo della salvezza, e rivolgerci a lui in quei frangenti che, ad una considerazione oculata e prudente, richiedono il suo intervento specifico. Utili suggerimenti per una ripresa del culto al Principe delle milizie celesti si trovano nel bel libro di mons. Giuseppe Del Ton, pubblicato per i tipi dell’Editore Giardini di Pisa, e che porta il titolo “Verità su angeli e arcangeli”. Vi si parla anche di un sodalizio dedicato all’Arcangelo. Da tale associazione ci si può ottenere l’auspicata rifioritura della devozione a colui che ha vinto Satana (Oggi la Milizia di San Michele Arcangelo è stata rifondata presso l’antica Abbazia di Santa Maria la Nova a Campagna (SA.). Il tempo della vita su questa è per noi tutti il tempo della prova. Ricordiamoci dunque la fedeltà di san Michele, il suo grido di guerra ed il suo trionfo. Le nostre labbra invochino il suo nome, quel nome terribile all’inferno, poiché è da questo nome che la potenza di Satana è stata spezzata, ed il nostro cuore ridica il suo grido di vittoria: “Chi è come Dio?”. Noi attraverseremo senza fallire i giorni della prova, ed acquisiremo dei diritti alla ricompensa da Dio promessa ai valorosi che sulla terra, uniti all’esercito degli angeli del cielo, combattono il principe delle tenebre. - Don Marcello stanzione - Pontifex -

 
 
 

SANTISSIMO NOME DI MARIA 12 SETTEMBRE

Post n°2330 pubblicato il 12 Settembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

ORIGINE DELLA FESTA

La devozione popolare al nome di Maria risale alla metà del XII secolo, anche se la festa riferita a tale nome venne propriamente istituita solo a partire dal 1513 da Papa Giulio II che, da principio, la concesse unicamente alla diocesi spagnola di Cuenca: celebrata dapprima il 15 settembre e spostata poi al 17 dello stesso mese, venne estesa all’intera Spagna nel 1671 e poi definitivamente a tutta la Chiesa a partire dal 1685, ad opera di Papa Innocenzo XI.
La festa in questione voleva essere un ren­dimento di grazie a Maria per la liberazione di Vienna dall’assedio dei Turchi, che ebbe luogo il 17 settembre 1683. Il Santo Padre Innocenzo XI, infatti, voleva ringraziare la Vergine Santissima per la grande vittoria cristiana dinanzi a Vienna, la città capitale dell’impero, che rischiava di es­sere travolta dalle truppe musulmane. Come un terrore per i loro nemici piombarono i cavalieri di Cristo sui Turchi esclamando: “Gesù!” “Maria!”, e con il nome di Gesù e di Maria sul­le labbra vinsero i nemici del cristianesimo.
Il Santo Papa Pio X portò infine la memoria del Santissimo Nome di Maria al 12 settembre, giorno in cui liturgicamente è tutt’oggi festeg­giata come memoria facoltativa.
 
SIGNIFICATO DEL NOME

Il nome di “Maria” è forse il più comune al mondo: tradotto nelle varie lingue, viene dato al­le bambine e a volte, come secondo nome, anche ai bambini. Moltissimi santi, perché la loro vita fosse ancora più intimamente unita a Maria o semplicemente in ossequio a Lei, hanno scelto il nome di Maria o lo hanno ricevuto dalle loro stes­se madri il giorno del battesimo: Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, San Massimiliano Maria Kolbe, Santa Margherita Maria Alacoque, S. Giovanni Maria Vianney, San Luigi Maria (Grignion) da Montfort, Sant’Annibale Maria Di Francia, ecc.
Qual è dunque il significato di un sì sublime nome? Oltre sessantasette interpretazioni diverse sono state date al nome di Maria nella storia, se­condo che fu considerato di origine egiziana, si­riaca, ebraica o ancora nome semplice o compo­sto. Di tutte queste ipotesi non si può con certez­za affermare quale sia quella giusta: sembra qua­si che la Provvidenza ci abbia volutamente la­sciati nel dubbio perché nel nome di Maria pos­siamo trovare nel contempo tutti i significati che l’analogia della fede ci suggerisce. La teoria più accreditata fa derivare Maria dall’ebraico Miryàm, come composto della parola egiziana mry (che vuol dire “amata”) e della parola iam (che indica “Dio”), da cui nacque Myriàm, cioè “amata da Dio”. Le quattro principali interpretazioni ripor­tate dagli scrittori antichi sono invece, a detta di S. Alberto Magno, le seguenti: “Illuminatrice”, “Stella del mare”, “Mare amaro”, “Signora” o “Padrona” (Commento su San Luca, I,27):

a) “Illuminatrice”: perché Vergine Imma­colata che l’ombra del peccato mai offuscò, la “Donna vestita di sole” (Ap 12,1) che ha dato al mondo La Vera Luce;

b) “Stella del mare”: perché stella polare, la stella più brillante che aiuta gli uomini come naviganti a raggiungere la Meta;

c) “Mare amaro”: nel senso di madre dal-l’amore incommensurabile come le acque del mare che, per aver sofferto dolori indicibili sot­to la Croce del Figlio, pur di salvarci rende ama­ri per noi i piaceri della terra che tentano di in­gannarci e farci dimenticare il vero e unico Bene. Le gocce d’acqua del mare non possono essere contate se non dalla scienza infinita di Dio e noi possiamo appena sospettare la somma immensa di grazie che Dio ha deposto nell’anima bene­detta di Maria, dal momento dell’Immacolato Concepimento alla gloriosa Assunzione in Cielo (S. Luigi Maria da Monfort, Vera Devozione,  “Dio Padre ha radunato tutte le acque e le hachiamate mare, ha radunato tutte le grazie e le ha chiamate Maria”);

d) “Signora” o “Padrona”: in quanto a pie­no titolo Regina e Sovrana del Cielo e della ter­ra, mediatrice e dispensiera di tutte le grazie per­ché Corredentrice dell’umanità, associata al Figlio in tutti i suoi misteri.

Il nome presso i Giudei aveva un’impor-tanza grandissima e si soleva imporre con so­lennità. Sappiamo dalla Parola che Dio stesso in­terviene qualche volta nella designazione del nome. L’angelo Gabriele previene Zaccaria che suo figlio si chiamerà Giovanni (Lc 1,13) e sem­pre lui, spiegando l’Incarnazione del Verbo, dirà in momenti diversi a Maria e a Giuseppe: “Lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31; Mt 1,21). In verità tutta la Scrittura è  intrisa di espressioni che la­sciano facilmente intuire quanto importante e degno di nota sia il nome davanti a Dio: “Renderò grande il tuo nome” (Gen 12,2); “non sarai più chiamato Abram, ma il tuo nome sarà Abramo… quanto a Sarai tua moglie, non la chiamare più Sarai; il suo nome sarà, invece, Sara” (Gen 17,5.15); “non nominare il nome di Dio invano” (Es 20,7); “ti ho chiamato per no­me: tu sei mio!” (Is 43,1); “come il tuo nome, o Dio, così la tua lode giunge fino alle estremità della terra” (Sl 48,11); “rallegratevi perché i vo­stri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10,20); “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18); ecc. Si può quindi verosimilmente pensare, pur non avendone la certezza che ci viene dalla Scrittura, che Dio in qualche modo sia interve­nuto anche su Gioacchino e Anna perché alla Santissima Vergine fosse dato il nome di “Maria” richiesto dalla sua grandezza e dignità. Quando Egli le si presenta nella persona dell’Arcangelo Gabriele, non si accontenta, però, di rivolgerle il saluto con il suo nome proprio, vuole trovare un’espressione plastica che l’accarezzi in modo così sublime da farle figurare fino a che punto di lei si fosse compiaciuta la Santissima Trinità. Per questo le dice: “Rallegrati, piena di grazia!”. Sembra quasi che a Dio piaccia “giocare con i no­mi” e che a questo “gioco” la Vergine ci stia: Ella non risponde alla Sua elezione né con il nome che le hanno dato i suoi genitori (Maria), né con quel­lo con cui l’ha appellata Dio stesso (Piena di gra­zia) ma con l’unico nome che per la sua grande umiltà sentiva più confacente al Mistero che sta­va compiendosi: “Ecco la serva del Signore; av­venga per me secondo la tua parola” (Lc 1,26)*.

INVOCARE IL NOME DI MARIA

Il nome che Dio pronuncia è talmente lega­to all’essere, che Dio chiamando le cose con il loro nome, le chiama dal loro nulla all’esistenza («Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu» Gen 1,3; «Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagi­ne e a nostra somiglianza…”. Dio creò l’uomo a sua immagine…» Gen 1,26 a-27; ecc.). L’uomo, ovviamente, non ha la medesima capacità di Dio di ‘produrre’ con il solo pensiero o con la sola parola le cose, però ha la capacità di evocare Dio e la realtà stessa di Maria e dei Santi. L’uomo, cioè, quando invoca il nome di Maria, il nome di Gesù, il nome dei Santi del Signore, deve farlo sempre con la massima serietà, ricor­dandosi che il nome non è mai isolato, che par­lando si evoca la stessa realtà a cui ci si riferisce con le parole. Con quali nomi sulle labbra i mar­tiri affrontavano la morte e con quali nomi sulle labbra i campioni della cristianità affrontavano le schiere degli infedeli? Nel nome di Gesù, perché in questo nome c’è la nostra salvezza (Fil 2,10: “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra”). E nella sua provvidenza Dio ha voluto che risuonasse sulla bocca dei fedeli anche il nome di Maria perché Maria – come amava dire il no­stro Fondatore – non attira mai a sé ma “dà sem­pre Gesù, come un ramo che sempre lo porta e lo offre agli uomini”. Dice San Luigi Maria Grignion de’ Monfort, il grande innamorato del­la Madonna: «Maria è la meravigliosa eco di Dio. Quando si grida: “Maria!”, lei risponde: “Dio!”». Dante Alighieri mette in bocca a Buonconte di Montefeltro, valoroso e impavido combattente in pericolo di dannazione eterna, il motivo della salvezza insperata della sua anima e cioè l’aver invocato, un attimo prima di mori­re, il nome di Maria: “Perdei la vista, e la paro­la; / nel nome di Maria finii, e quivi / caddi, e ri­mase la mia carne sola” (= più non vidi, più non potei parlare; spirai invocando il nome di Maria, e qui caddi e rimase il mio corpo privo di vita) (La Divina Commedia, Purgatorio V, 100-102). San Bonaventura sostiene che tutti i fiumi di grazie che hanno avuto gli angeli, gli apostoli, i martiri, i confessori, le vergini, sono “confluiti” in Maria, il mare di grazie. E Santa Brigida ag­giunge: “Ecco perché il nome di Maria è soave per gli angeli e terribile per i demoni”. San Bernardo invita ogni uomo, qualunque sia la situazione dell’anima e del corpo in cui imperversa, a in­vocare senza timore il nome di Maria per trova­re rifugio sicuro: «Chiunque tu sia che nel flus­so e riflusso del secolo abbia impressione di camminare meno su terra ferma che in mezzo al­la tempesta turbinante, non distogliere gli occhi dall’astro splendido, se non vuoi essere inghiot­tito dall’uragano. Se si desta la burrasca delle tentazioni, se si drizzano gli scogli delle tribola­zioni, guarda la stella e invoca Maria. Se sei in balìa dei flutti della superbia o dell’ambizione, della calunnia o della gelosia, guarda la stella e invoca Maria. Se collera, avarizia, attrattive del­la carne, scuotono la nave dell’anima, volgi gli occhi a Maria. Turbato per l’enormità del delit­to, vergognoso di te stesso, tremante all’avvici-narsi del terribile giudizio, senti aprirsi sotto i tuoi passi il gorgo della tristezza o l’abisso del­la disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nel-l’angoscia, nel dubbio, pensa a Maria, invoca Maria. Sia sempre Maria sulle tue labbra, sia sempre nel tuo cuore e vedi di imitarla per assi­curarti il suo aiuto. Seguendola non devierai, pregandola non dispererai, pensando a lei tu non potrai smarrirti. Sostenuto da lei non cadrai, pro­tetto da lei non avrai paura, guidato da lei  non sentirai stanchezza: chi da lei è aiutato arriva si­curo alla meta. Sperimenta così in te stesso il be­ne stabilito in questa parola: “il nome della Vergine era Maria”» (Lc 1,26).

“Annunziatine”: il più bel nome "ANNUNZIATINE": IL PIU' BEL NOME

Particolare brivido dovrebbe attraversare noi Annunziatine il giorno della festa del Nome di Maria o tutte le volte che semplicemente lo sentiamo pronunciare e lo pronunciamo noi stes­se, noi che per una delicatezza tutta particolare di Maria, riceviamo con la professione religiosa il suo stesso nome per essere prolungamento del suo “Sì” nell’oggi della Chiesa. Dice don Alberione: «Perché chiamarsi Annunziatine? Ha una ragione questo nome? Non è a caso. Il fatto dell’Annunciazione e, quindi, dell’Incarnazione del Figlio di Dio quando Maria disse: “Fiat mihi secundum Verbum tuum”, è il più grande fatto della storia, perché allora comincia la nostra re­denzione. Perciò Annunziatine vuol dire stare nel centro della storia e nell’inizio della reden­zione. È il più bel nome». Possa ciascuna di noi, nel giorno dell’Incontro, leggere sul volto di Maria la soddisfazione di una Madre che trova corrispondenza tra il suo soavissimo nome e la vita da noi condotta. - annunziatine di Don Alberione -
 

 
 
 

BENTORNATO DON MATTEO, PRO-LIFE IN PRIMA SERATA

Post n°2329 pubblicato il 12 Settembre 2009 da diglilaverita
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Col televisore, come penso molti, vivo una relazione complicata. Il più delle volte lo getterei dalla finestra. E farei bene. Ma alla fine - sarà la pigrizia - desisto sempre da intenti precipitosi e lascio il luciferino macchinario dov'è, in attesa di trasmissioni migliori. Il ritorno di don Matteo, sacerdote detective interpretato da un sempreverde Terence Hill, ha premiato - meglio tardi che mai - quest'attesa. La serie televisiva, giunta alla settima edizione, conserva intatta la propria struttura narrativa originale: le avventure hanno luogo in quel di Gubbio dove don Matteo, ex missionario dall'insuperabile fiuto investigativo, grazie anche al supporto del maresciallo Cecchini, un ispirato Nino Frassica, smaschera il colpevole di turno. Ma la sua non è una caccia all'uomo, o per meglio dire al peccatore, ma al peccato; a don Matteo non interessa tanto una cattura, bensì una liberazione, quella dell'anima dei malfattori. A questo schema noto, replicato per oltre cento puntate, il ritorno di don Matteo ha aggiunto un lodevole tocco pro-life. Infatti, nel corso di una delle due puntate d'esordio della nuova serie, don Matteo, pur senza trascurare la sua vena investigativa, s'è cimentato nel soccorso di una studentessa liceale in attesa di un bambino, bambino decisamente sgradito, almeno in origine, sia ai suoi genitori, sia al giovane padre. Alla fine il bambino nascerà, anche se la puntata si chiude prima. L'intera puntata, in definitiva, altro non è stata che una dimostrazione lineare e senza pretese di quello che da decenni afferma il Movimento per la Vita: con le donne che vivono una gravidanza difficile, la risposta è una sola, l'unica vera e la sola che non stanca nemmeno se ripetuta all'infinito. E' l'amore. E non è un caso se, prima di congedare il proprio pubblico, don Matteo regala una perla che in televisione si fa diamante:"la verità e l'amore sono la stessa cosa". Che la svolta pro-life di don Matteo non sia casuale o temporanea, lo dimostra anche l'introduzione di un nuovo personaggio: Agostino, bambino dalle fattezze angeliche che, fuggito dalla custodia delle suore, trova nella canonica di Gubbio un rifugio accogliente e pronto all'ascolto. La storia di Agostino non è delle più allegre: suo padre è morto, ma non ha mai conosciuto la madre, che ha deciso di non riconoscerlo, anche se lui la crede impegnata perpetuamente in viaggi esotici. Lasciare un bimbo alla sola custodia paterna col rischio, com'è accaduto al nuovo amico di don Matteo, di ritrovarsi solo ancora giovanissimo, non è certo un comportamento esemplare. Ma è pur sempre offrire una seconda possibilità, e lasciare che il bambino venga al mondo, piuttosto che lasciarlo, tritato, nelle immondizie. Nascere senza madre o perderla subito è certamente dura, ma non mai è detta l'ultima parola, perché, come ci dimostrano venti secoli di meraviglie, l'amore di Dio vede oltre le nostre paure. Bentornato, caro don Matteo. Grazie a te il televisore, quello che troppo spesso è la cornice fisica della miseria, ha ancora un senso.
- di Giuliano Guzzo - mascellaro -

 
 
 

RU486/ LA LEZIONE DI TALLEYRAND CHE FINI SEMBRA NON AVER CAPITO

Post n°2328 pubblicato il 12 Settembre 2009 da diglilaverita
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In un crescendo rossiniano si intensificano le esternazioni “laiche” del Presidente della Camera Gianfranco Fini. Peccato che, per la sua storia personale, esse stridano come le clamorose stecche di un tenore sfortunato. Ultimamente, quello che fu un tempo il segretario del MSI – oggi corteggiato dalla sinistra laicista e anticlericale – sembra essere preda di una sorta di eccesso di zelo nell’assecondare le pulsioni liberal dell’area culturale soi-disant laica. Dalla fecondazione assistita alla morte dignitosa, dal multiculturalismo allo Stato Etico, dai silenzi di Pio XII alle ingerenze vaticane, dal caso Englaro alle unioni civili. Tutti i piatti forti del classico menù offerto dal politically correct. Una delle ultime uscite – in attesa che si pronunci anche in favore della sentenza del TAR Lazio sugli insegnanti di religione – riguarda l’autorizzazione dell’AIFA all’utilizzo della pillola abortiva RU486. «È originale pretendere che il Parlamento si debba pronunciare sull'efficacia di un farmaco». Questa è la sarcastica e lapidaria battuta con cui il Presidente della Camera ha liquidato la richiesta di un dibattito parlamentare inoltrata da un suo (ex?) colonnello, Maurizio Gasparri. Anche questa volta, però, l’uscita del Presidente della Camera non convince. Fini meglio di tutti dovrebbe conoscere quel triste fenomeno chiamato iperlegislazione – male endemico che affligge il nostro Paese –, ovvero la smania di normare tutto (persino l’ora legale è fissata con un provvedimento normativo), fenomeno grazie al quale è possibile trovare la risposta a qualunque domanda. Persino cosa sia un farmaco. Infatti, proprio dal Decreto Legislativo 24 aprile 2006, n. 219, avente per oggetto l’«attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE», si può ricavare una chiara definizione di quello che secondo il nostro ordinamento giuridico si può definire farmaco, ovvero: «1) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane; 2) ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica». Ora, che alla pillola RU486 si possano riconoscere «proprietà curative o profilattiche delle malattie umane» è affermazione che farebbe arcuare le sopracciglia anche al più incallito clown dei paradossi logici. E a meno che il Presidente della Camera non consideri la gravidanza come una seria patologia e l’embrione come l’agente patogeno da estirpare (cosa che ci sentiamo – almeno finora – di escludere), davvero è difficile immaginare come Fini possa attribuire alla kill pill proprietà medicinali. Sarebbe come considerare farmaci il Pentotal ed il Pavlon utilizzati nell’iniezione letale propinata ai condannati a morte in alcuni Stati degli USA. In realtà, la pillola RU486 non rappresenta altro che una modalità di esecuzione del processo di interruzione volontaria della gravidanza e come tale soggetta alla Legge 194/78. Sarebbe davvero difficile, oltre che singolare, impedire un dibattito parlamentare in materia. Ancor più difficile se si pensa che le Camere possono dibattere, ad esempio, di «misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza del randagismo nel territorio nazionale», del «divieto delle macellazioni effettuate secondo particolari riti religiosi» delle «norme per la tutela degli equini e loro riconoscimento come animali di affezione». Davvero non ci sarebbe spazio per dibattere delle modalità di esecuzione e soppressione dell’embrione umano? Ci permettiamo di dubitarne. Il fatto è che ormai Gianfranco Fini è condannato a recitare il ruolo di primo alfiere istituzionale della Laïcité Républicain, imprigionato nell’angusto spazio che si è voluto ritagliare. Un consiglio al Presidente della Camera, però, ci sentiamo di darlo. Lui che è un’abile animale politico e fine diplomatico (ha pure avuto l’incarico di dirigere la Farnesina) prenda lezioni da Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, cui sembra ogni giorno di più assomigliare. Talleyrand nella vita riuscì a recitare un numero incredibile di ruoli. Fu principe, vescovo, ministro, diplomatico, ma soprattutto finissimo stratega, e campione assoluto del camaleontismo. Un raffinato trasformista che riuscì a fare dell’ipocrisia una risorsa intellettuale. Ma tra le sue règle d'or ve n’era una, in particolare, che egli non esitava a propinare sempre a propri collaboratori: «Surtout, pas trop de zèle». Soprattutto, niente zelo eccessivo. Il Presidente della Camera farebbe bene a raccogliere l’aureo suggerimento. (Gianfranco Amato -  "Scienza e Vita" di Grosseto) - ilsussidiario - 

 
 
 

MARGINALIZZARE MARIA, COME QUALCUNO VORREBBE, SIGNIFICA RINNEGARE IL MISTERO DELLA SALVEZZA

Post n°2327 pubblicato il 12 Settembre 2009 da diglilaverita
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La Chiesa cattolica ha da poco celebrato la festa della Natività di Maria ed ecco la memoria del Nome di Maria. Un’altra tappa mariana da non sottovalutare e da onorare. Di questa memoria abbiamo parlato con padre Stefano De Fiores, insigne mariologo. Padre De Fiores, che origine ha questa memoria del nome di Maria?: “ le sembrerà strano,ma il motivo è davvero molto concreto e quasi spicciolo. Si deve al fatto che questo nome,fortunatamente, è molto popolare tra le donne,ma anche tra gli uomini e dunque si è sentita l’esigenza di onorarlo con una apposita memoria. Va detto che dopo la riforma liturgica post conciliare il nome di Maria venne incorporato alla Natività,poi saggiamente si è deciso di scorporare le due giornate”. Si ferma un attimo e riprende: “ consideri che in settembre si celebra la memoria della Madonna dei dolori e quella della Madonna della Mercede. Insomma, settembre ha una sua connotazione mariana”. Maria colei che ci indica la salvezza: “ infatti, Maria è una potentissima arma contro le seduzioni e le tentazioni di Satana che diventa furioso davanti a lei. Satana non la sopporta proprio perché la Madonna, con la sua dolcezza e la sua umiltà, è l’opposto di Satana, configge con lui. Insomma, Satana soffre la Madonna”. Talvolta vi è la tentazione, piuttosto saccente, di relegare Maria nel dimenticatoio, quasi fosse cosa da robetta di devozione popolare e niente altro: “ effettivamente questa tentazione esiste, ma è sbagliata. Maria, invece, è il fondamento della salvezza, colei che ha dato vita al Figlio di Dio. Senza di lei non ci sarebbe stato Cristo e neppure il mistero della Incarnazione. Insomma, Maria è la chiave per capire la salvezza dell’uomo che passa anche da lei”. Ma per quale motivo si tende talvolta a marginalizzare la figura di Maria?: “ le sembrerà strano, ma dico per banale invidia. Talvolta riesce difficile, se non impossibile riconoscere che esiste  una creatura superiore a noi e Maria lo è, si tratta di un sentimento pseudo democratico. Maria invece ha saputo dare una risposta plenaria ed esaustiva al mistero della salvezza. Lei è il prototipo della umanità dolente e che soffre. Del resto, e me ne darà atto,nella consuetudine della gente comune, quando sono in difficoltà e preoccupati, si rivolgono alla Madonna che è sinonimo di Madre con la sua infinita tenerezza e dolcezza”. Piuttosto,una curiosità. Da dove deriva il nome di Maria?: “ anche su questo non vi è uniformità di idee e di dottrina. Per alcuni il nome significa stella del mare, derivante da mare amaro. Ma la preferibile, specialmente se la si legge nel contesto dei Vangeli e della loro formulazione letterale, è quella di Maria, amata da Dio data da studiosi egiziani. Credo davvero che questa sia la più esatta, e certamente la preferibile, vista la beatitudine di Maria,madre nostra e madre della Chiesa. Onoriamola con il rispetto che le si deve”. - Bruno Volpe - Pontifex -

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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