ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 16/10/2009

MILLE ANNI FA: LA DISTRUZIONE DEL SANTO SEPOLCRO

Post n°2505 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

In pochi lo sanno, ma in questi giorni ricorre a Gerusalemme un millenario molto doloroso per la comunità cristiana della Terra Santa: quello della distruzione della basilica costantiniana del Santo Sepolcro ad opera del sultano fatimide al-Hakim. Un fatto destinato a cambiare in maniera radicale la fisionomia dei luoghi cristiani nella Città Santa, dal momento che – anche se poi ricostruita – la basilica non avrebbe mai più ritrovato lo splendore che ebbe nella Gerusalemme del primo millennio. Un luogo – in particolare – sarebbe andato perduto per sempre: il Martyrium, cioè la grande chiesa in cui si faceva memoria della Passione di Gesù. A ricostruire la data esatta dell’anniversario è stato – sull’ultimo numero della rivista Terrasanta – l’archeologo francescano padre Eugenio Alliata. Le cronache dell’epoca raccontano, infatti, che la distruzione cominciò «il martedì il quinto giorno prima della fine del mese di Safar nell’anno 400 dell’Egira». Annota padre Alliata: «L’anno dell’Egira 400 inizia il 25 agosto 1009 ed essendo Safar il secondo mese dell’anno lunare islamico bisogna aggiungere 54 giorni per arrivare a martedì 18 ottobre, secondo il calendario gregoriano (giorno ovviamente estrapolato, trattandosi di una data anteriore all’istituzione ufficiale del medesimo)». Quella che il 18 ottobre 1009 si consumò a Gerusalemme fu una distruzione radicale: lo stesso Santo Sepolcro – racconta sempre il cronista dell’XI secolo – «fu scavato e sradicato nella maggior parte». Ma come mai mille anni fa (e quasi quattro secoli dopo la conquista araba di Gerusalemme), si arrivò a uno scempio del genere? La risposta sta nella figura del sultano al-Hakim, che regnò al Cairo dal 1000 al 1021. Fu lui a imporre una svolta nella politica dei fatimidi, dinastia appartenente alla corrente ismailita degli sciiti, che fino a quel momento aveva mostrato tolleranza nei confronti sia dei sunniti sia delle altre minoranze religiose. Al-Hakim, al contrario, tentò con ogni mezzo di imporre la propria fede. E ad essere più duramente colpiti furono soprattutto cristiani ed ebrei: il sultano, ad esempio, portò all’esasperazione la legislazione. Ma fu proprio la distruzione del Santo Sepolcro il culmine della sua intolleranza religiosa. Un fatto la cui eco rimbalzò molto presto in Europa, divenendo una delle ragioni addotte per la convocazione della prima Crociata. Quella del 1009 fu, dunque, una pagina nerissima nei rapporti tra islam e cristianesimo. Da ricordare, però, tenendo presente che lungo i secoli ce ne sono state anche altre di segno opposto. Proprio la basilica del Santo Sepolcro era stata testimone del gesto compiuto dal califfo Omar, quando nel 638, al momento della conquista araba di Gerusalemme, scelse di non entrare a pregare in questo luogo santo, in segno di rispetto verso i cristiani (un fatto questo molto importante, dal momento che se non si fosse comportato così la «madre di tutte le chiese» sarebbe stata trasformata in moschea, come tanti altri luoghi di culto cristiani in Oriente). Va inoltre aggiunto che – anche dopo lo scempio ordinato da al-Hakim – sotto il regno del suo successore al-Zahim fu comunque raggiunto un accordo tra il sultano e l’imperatore bizantino Argyropulos in forza del quale già nel 1042 poté iniziare la ricostruzione del Santo Sepolcro. Dettaglio interessante: l’intesa di dieci secoli fa prevedeva qualcosa di molto simile a quello che oggi chiameremmo il principio della reciprocità. L’imperatore, infatti, concedeva contestualmente il permesso di edificare una moschea a Costantinopoli. I lavori di ricostruzione – terminati nel 1048 – si concentrarono solo sulla parte più venerata del complesso costantiniano: la rotonda al cui centro era posto il Santo Sepolcro. Nell’edificio antico, consacrato nell’anno 336, esistevano però anche altri due elementi distinti. Entrando dal cardo maximo, la strada principale della Gerusalemme romana e bizantina, per prima cosa si accedeva al Martiryum, la grande chiesa a cinque navate. Dal fondo di questo edificio sacro si entrava poi in un giardino, circondato da un triportico, dove nell’angolo di sud-est era venerata all’aperto la roccia del Calvario, dove Gesù fu crocifisso. Oltre il giardino, infine, si apriva l’anastasis, la rotonda con al centro il Santo Sepolcro. Per dare un’idea della grandiosità dell’intero complesso basti citare il fatto che insieme queste tre parti sviluppavano un asse di circa 150 metri (tanto per dare un termine di paragone la basilica di San Pietro è lunga 186 metri, dunque non molto di più). La scelta di concentrarsi sulla rotonda del Santo Sepolcro fu confermata dai crociati: quando nel 1099 nacque il regno latino di Gerusalemme si affermò subito l’idea di riportare la basilica all’antico splendore. Ma la struttura rimase comunque più piccola rispetto a quella costantiniana: si decise di allargare l’anastasis, andando però a ricomprendere all’interno della chiesa solo la roccia del Calvario, che prima si trovava – invece – nel giardino. Questo spiega la fisionomia attuale della basilica, consacrata nel 1149 e poi rimasta sostanzialmente inviolata anche dopo la sconfitta dei crociati a Gerusalemme. Il Martyrium, dunque, è il luogo santo che non c’è più. Luogo fondamentale della Gerusalemme bizantina, una comunità di cui oggi in realtà si ricorda pochissimo. Invece era proprio qui che – tra il IV e l’inizio dell’XI secolo – ogni domenica si riunivano i cristiani per celebrare l’Eucaristia. In una chiesa anch’essa ricca di simbolismi: Eusebio, nella sua Vita di Costantino, racconta che l’elemento principale dell’intera opera era «un emisfero collocato sulla parte più alta della basilica, cui facevano corona dodici colonne pari al numero degli Apostoli del Salvatore e ornate in cima con enormi crateri d’argento che l’imperatore aveva offerto personalmente quale bellissimo dono votivo al suo Dio». Era la morte gloriosa di Gesù che nella Gerusalemme bizantina la Chiesa qui celebrava. Fermando lo sguardo sulla sua Passione prima di correre al sepolcro vuoto della Resurrezione. Forse è proprio questa l’idea più importante che un millenario così nascosto ci può aiutare a ritrovare. - Giorgio Bernardelli - Avvenire- noicattolici -

 
 
 

SUDAN: SETTE CRISTIANI CROCIFISSI

Post n°2504 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da diglilaverita
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Si parla di crocifissione dei cristiani, al Sinodo per l’Africa che si sta riunendo in Vaticano. E non è una metafora: «Il 13 agosto i ribelli sono entrati nella chiesa della mia parrocchia ed hanno preso tante persone in ostaggio. Mentre fuggivano nella foresta, ne hanno uccise sette: li hanno crocifissi agli alberi». Monsignor Hiiboro Kussala è vescovo della diocesi di Tombura Yambio, nel Sud del Sudan. Il suo racconto a Radio Vaticana , la voce dolente e ferma, testimonia come l’odio e i massacri non siano certo finiti con l’incriminazione del presidente Al Bashir decisa in marzo dal Tribunale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità, il genocidio nel Darfur. Le violenze continuano anche su un altro fronte, quello che divide «un Nord prevalentemente arabo che ha imposto la legge coranica», il governo di Al Bashir a Khartoum, «e un Sud cristiano animista», riassume l’emittente della Santa Sede. Le elezioni politiche, previste dagli accordi di pace del 2005, dovrebbero svolgersi entro il 2010, mentre nel 2011 si attende il referendum per l’autodeterminazione del Sud. Appuntamenti messi in pericolo dai «ripetuti attacchi contro i cristiani», violenze «perpetrate da gruppi ribelli legati a Khartoum»: non soltanto «stanno ricevendo aiuti dal governo del Nord», accusa il vescovo, ma «alcuni di loro sono stati istruiti da Al Qaeda in Afghanistan: sono contro la Chiesa, il progetto è intimidire i cristiani». La crocifissione dei sette parrocchiani di monsignor Kussala non è un orrore isolato, «si verificano tanti drammi come questo», e d’altra parte «tutti questi gruppi hanno fucili, armi: credo ci sia la volontà di lasciare il Sud Sudan in difficoltà perché non abbia quella pace necessaria per preparare il referendum». Quando gli si chiede se testimoniare il Vangelo, in Sudan, significhi rischiare il martirio, il vescovo non ha esitazioni: «Sì. Noi viviamo proprio in questo senso, perché stanno uccidendo la gente, bruciano le loro case, le chiese: questo è martirio». Andare in parrocchia, partecipare alla messa, sono cose che fanno paura: «Paura, sì: perché i ribelli continuano ad uccidere la gente. Ma noi non vogliamo morire: tutto questo rafforza la fede della gente, la gente continua a venire in chiesa». Del resto la situazione non nasce ora, spiegava al sinodo il cardinale Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo di Khartoum: «Il problema tra il Sud e il Nord del Sudan è vecchio quanto il Sudan stesso: una rete di questioni complesse, dalle disuguaglianze nello sviluppo alle disparità nelle opportunità concesse dal governo centrale, cui si aggiungono le differenze etniche e religiose tra i due popoli». La stessa complessità del Darfur, raccontava la settimana scorsa ai vescovi Rodolphe Adada, già rappresentante congiunto Onu-Unione africana della missione di pace: «La situazione è cambiata radicalmente rispetto al 2003-2004. Ma questo non significa assolutamente che il conflitto, assai più complicato della descrizione manichea comunemente diffusa, sia concluso». E pensare che l’assemblea per l’Africa, fino al 25 ottobre, riunisce 244 padri sinodali «a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace». Non è facile. Monsignor Kussala allarga le braccia: «Questo è il nostro motto. Dopo sei secoli, il cristianesimo è stato praticamente distrutto nel Nord del Sudan, e noi ne soffriamo in nome del Signore » . Certo, ieri i vescovi esortavano l’Africa a «prendere in mano il proprio destino». Ma lo stesso Benedetto XVI si rivolgeva agli «uomini e donne » della Terra perché «volgano i loro occhi all’Africa». Così il vescovo di Tombura Yambio sospira: «Vogliamo i Buoni Samaritani: i nostri fratelli, i nostri amici nella comunità internazionale possono venire in nostro aiuto. Ma più ancora di questo, chiediamo preghiere, tante». - Gian Guido Vecchi - Corriere della Sera -

 
 
 

L'EDUCAZIONE SESSUALE NELLE SCUOLE DI OGGI: SIAMO SICURI CHE E' VIETATO AVVELENARE I FIGLI?

Post n°2503 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da diglilaverita
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Si sa, quando si è giovani si va un po’ dove si vuole. E anch’io, nel mio piccolo, quando fui giovane e certe cose erano ancora legali, me ne andavo in compagnia di altri studenti universitari a racimolare qualche soldo all’ospedale Vialba. Può darsi che la cosa capitasse anche altrove, ma per quel mi riguarda, sapevo - e ci organizzavamo all’uopo per questo - che al Vialba (e in Svizzera) si era pagati lautamente per testare pilloline per sole donne. Che poi fossero solo maschi quelli che in cambio di un tot di lire prendevano una nuova pillola per le mestruazioni e ne verificavano gli effetti in una serie di autoprelievi di sangue, non ho mai capito perché. Mi torna in mente questa storia d’altri tempi (fine anni Settanta), pensando al laboratorio di pillole e sperimentazioni che è diventato oggi il corpo umano, e specialmente quello della donna. In secondo luogo, mi è venuta in mente pensando a come i cosiddetti corsi per l’affettività - o educazione sessuale che dir si voglia - sembrano fatti apposta per preparare i nostri figli e le nostre figlie a diventare modelli acritici di questi corpi-macchina, corpi-laboratorio, corpi-miniera, dove si sperimenta ogni sorta di pillolame e prodotti farmaceutici. Come è noto è vietato avvelenare fiumi e sorgenti naturali. Ma siamo sicuri che è vietato avvelenare i figli e le sorgenti dell’uomo? Prendete le informazioni che si passano nel mondo della scuola e, soprattutto, nel mondo della scuola media inferiore (ragazzini e ragazzine di età compresa tra i 10 e i 13 anni) su come è importante vestire il preservativo e come siano importanti le pillole del giorno prima, del giorno dopo, di dopo domani e, se proprio non funziona né la prima né l’ultima, la pill kill Ru486. Direte: esagerato! Ma insomma, cari genitori, se non ci credete provate a informarvi, come abbiamo fatto noi di Tempi, su cosa e come insegnano la cosiddetta "educazione sessuale" o "educazione all’affettività" nelle scuole di stato. Anzi. Quasi sempre fuori dalle scuole. Nei progetti pagati dalle amministrazioni pubbliche e, come succede in Toscana, sotto la direzione di ginecologi tipo - cito il sito radicale LiberaPisa - l’«interlocutore prezioso, il dottor Massimo Srebot dell'Ospedale di Pontedera, che ha "ideato" un percorso alternativo a quello della sperimentazione portato avanti dal dottor Silvio Viale a Torino, ossia il ricorso all’importazione dall’estero del farmaco RU-486». Insomma, i fan dell’aborto chimico oggi salgono in cattedra e sono pagati con i soldi pubblici per "educare all’affettività e alla sessualità" i nostri ragazzi. Ringrazio gli autori de "L’Italia sul 2" che martedì 13 ottobre (attorno alle 14:30), su questo tema mi hanno concesso di fare una "provocazione" agli ospiti in studio. E la provocazione, detta in soldoni, si risolve nei seguenti interrogativi: vi sembra normale, giusto, intelligente, che nella scuola italiana di oggi l’educazione all’affettività e al sesso sia medicalizzata e sottratta all’alleanza insegnanti-genitori (poiché questi corsi prevedono l’esclusione di ogni adulto che non sia l’esperto ginecologo o Asl)? Vi sembra logico che a un/a ragazzino/a di 10 anni venga spiegata l’importanza del preservativo e della fellatio? Dico che mi parrebbe una stupidaggine che l’Italia finisse come la Gran Bretagna, dove il ministero della Sanità invia ai teenager depliant in cui spiega quanto fa bene alla salute del miocardio fare sesso e masturbarsi un certo numero di volte la settimana. Farà pure bene al miocardio, ma anche l’occhio, la mente e il cuore vogliono la loro parte. O no? La realtà umana, infatti, pare ancora dimostrare che l’affettività non coincide automaticamente col sesso e che, d’altra parte, il sesso è una dimensione della persona umana che non è immediatamente tecnica, né moralistica, ma è nell’ordine di un fenomeno che genera attrattiva verso l’altro, fa piacere e, nell’unione tra sessi diversi, produce anche quel fenomeno che, se si vuole stare ai dati di realtà, non si dovrebbe ritenere propriamente secondario e che si chiama procreazione. Capiamo bene tutti, a causa della confusione e della promiscuità che oggi regnano incontrastati da ogni pulpito, le esigenze dell’igiene e della profilassi sociale. Ma limitarsi all’igiene e alla profilassi sociale non è un po’ poco? L’ha capita così una mia amica professoressa. L’ha capita a tal punto che quest’anno, nella scuola media inferiore della periferia di Milano dove insegna, ha proposto al Consiglio dei docenti che i corsi di educazione sessuale non fossero più appaltati all’Asl, ma ad adulti, insegnanti, medici e persino a persone del Movimento per la vita. A sorpresa il Consiglio dei docenti ha accettato la proposta. Indovinate chi si è opposto e, forte dell’appoggio di un certo sindacato, sta raccogliendo firme contro questa iniziativa? La professoressa di religione. Perché? «Perché gli esperti sono neutrali, mentre così si discriminano gli studenti». -da un articolo di Luigi Amicone - ilsussidiario -

 

 
 
 

L’APOSTOLA DEL SACRO CUORE: AI PIEDI DEL MAESTRO (Santa Margherita Maria Alacoque, 16 Ottobre)

Post n°2502 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da diglilaverita
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Santa Margherita Margherita Al coque fu la grande apostola della devozione al Cuore di Gesù. Tale devozione le fu rivelata attraverso apparizioni del Signore stesso ed esperienze mistiche intime. Benché afflitta dalla povertà e dalle malattie, a 24 anni entrò nel monastero della visitazione di Paray-le-Monial dove ebbe doni carismatici straordinari. Nonostante tante amarezze, ebbe la gioia di veder riconosciuta e celebrata nella Chiesa la festa liturgica del Sacro cuore. Appassionata di Cristo, morì a 43 anni, il 17 ottobre 1690. La liturgia della memoria della santa ha scelto un versetto del Cantico dei Cantici per esprimere la dolce pietà di Margherita Maria, l’umile religiosa della Visitazione di Paray-le-Monayl, verso il suo Signore e Maestro Gesù che doveva farne la confidente del suo Divin Cuore, l’apostola del suo Messaggio di Devozione Riparatrice. Nella cappella della Visitazione, sotto il nocciolo del giardino del convento, nel piccolo cortile detto dei Serafini, le Apparizioni del Sacro Cuore si sono moltiplicate. L’anima umile, pia, paziente della visitandina, detta il suo atteggiamento in una comunità dove ella gioisce della stima, della fiducia ed all’occasione del sostegno delle sue superiori, della venerazione delle sue novizie, di cui ella è maestra, della meraviglia e talvolta delle opposizioni di talune delle sue consorelle. Noi situiamo facilmente le prove della santa, le sue gioie, la sua fretta nel rispondere alle richieste del suo Dio, la sua timidezza di carattere, la sua umiltà nella virtù. Due parole sembrano ben evocatrici della sua persona e della sua opera : Ai piedi del Maestro. Non è una traduzione del pensiero della Chiesa applicandole nella sua festa liturgica il versetto del Cantico dei Cantici : "Mi sono seduta all’ombra dell’albero verso il quale si portavano i miei desideri ed i suoi frutti sono stati per mio gusto, pieni di dolcezza ?". L’albero mistico non è Gesù stesso? Il frutto non è la sua rivelazione, il suo Cuore Amante e contristato, il suo Richiamo alla Riparazione attesa dalle anime sante, le sue Promesse spirituali per i cristiani e più ancora per le anime consacrate che comprenderanno e praticheranno il culto del Sacro Cuore. Parliamo meno di novità che di una presa di coscienza più esplicita del popolo cristiano, sotto l’effetto della Rivoluzione di Margherita Maria, dell’amore di Gesù per noi sotto forma della devozione al Sacro Cuore di carne di Gesù con la pia pratica dei primi nove venerdì del mese. È in questa strada nella quale la Chiesa ci ha impegnati ed ha espresso il suo pensiero con la liturgia quando ella ha approvato la devozione verso il Sacro Cuore. Ai piedi di Gesù ! Queste parole ricordano Betania ed il colloquio di cui Maria, sorella di Marta, si mostrava avida di raccogliere le parole di vita eterna del Signore. A Paray, nel monastero della Visitazione, Margherita Maria ha anch’essa ricevuto "la migliore parte" delle confidenze del Cuore di Gesù e la testimonianza ch’Egli reclamava da lei per il suo Messaggio d’amore per gli uomini. Le nostre anime cristiane, per essere più ferventi, devono tenersi in orazione ai piedi di Gesù che solo così potrà parlare loro, far loro sentire i suoi desideri per ognuna di esse, dar loro i suoi incoraggiamenti, sostenerle nella loro lotta quotidiana per la santità. Le tue grazie date ai Santi ci insegnano, Signore, la strada della santità ed i mezzi per seguirla nell’unione permanente al Cuore di Gesù, secondo l’appello di Margherita Maria e della Chiesa. - don Marcello Stanzione - Pontifex -

 
 
 

CHE COSA DICE ALLA CINA L'ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE"?

Post n°2501 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da diglilaverita
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Pubblichiamo di seguito le riflessioni di una laica cattolica dell'Hebei che - su invito di "Mondo e Missione" - ha promosso un Forum tra studiosi cinesi sull'ultima enciclica di Benedetto XVI. Teresa Enhui Xiao è una cattolica cinese, laica, che ha compiuto studi di letteratura ed è membro dell'associazione degli scrittori della provincia dell’Hebei. Dopo alcuni anni di studi teologici a Roma, è tornata in Cina. Opera a Shanghai a stretto contatto con l’editrice cattolica locale.

1. La ricezione dell’enciclica in Cina

L’enciclica Caritas in veritate ha due punti cruciali: il primo è la giustizia e il bene comune nello sviluppo di un mondo in via di globalizzazione; il secondo riguarda il posto di Dio nel mondo. Il secondo è principio e garanzia del primo. Se paragoniamo il primo al corpo, il secondo ne sarebbe l’anima, mentre la Caritas in Veritate è il suo spirito. Ebbene, l’Enciclica tocca alcuni temi di discussione nel mondo cinese. In Cina, i temi caldi attualmente: sono sviluppo, giustizia, disparità, corruzione, disoccupazione, bene comune, la libertà di parola, e soprattutto la relazione interpersonale, cui si riferisce il progetto di "società armoniosa" avanzato dal Presidente Hu Jintao due anni fa. In Cina si respira una tensione, un’attesa; ci si chiede quale sia il punto di vista cristiano sulla stessa "società armoniosa", quasi una luce che la illumini. Questo è stato mostrato da molti sia campo ecclesiale sia accademico sia governativo. Ebbene, sull’Enciclica Caritas in Veritate, tutti media i ecclesiali in Cina hanno parlato, sia giornali sia internet sia riviste; oltre che a Taiwan e Hong Kong, questo è accaduto anche in Cina continentale. Tutti i membri della Chiesa (preti, religiosi e religiose e laici), ne hanno sentito e parlato. Anche alcuni funzionari del governo sugli affari religiosi e alcuni professori universitari hanno avuto cenni di quel documento. Però tutti costoro sono rimasti toccati solo a livello informativo: una notizia, anzi solo alcune parole, su "una nuova enciclica", "sulla morale sociale"… Forse hanno sentito anche di una "calorosa riflessione in Europa e negli USA". Penso che quando la versione cinese dell’Enciclica sarà pubblicata, questo "calore" giungerà lontano con il vento. Nonostante ciò, la riflessione non è mancata, così come alcune voci di lettori entusiasti, perché tocca proprio il cuore dei cinesi.

2. Società armoniosa e sviluppo cristiano

Negli ultimi anni, la "società armoniosa" e il "mondo armonioso" sono ormai diventati i due grandi concetti di valore del pacifico sviluppo della Cina. Il termine "società armoniosa" indica lo sviluppo della Cina con una società democratica e basata sulla legge, su giustizia e parità, sincerità e fraternità, capace di eccezionale dinamica, di stabilità ed ordine, e di coesistenza armoniosa fra uomo e natura. L’Enciclica Caritas in Veritate, fa riferimento a tutte queste questioni, riguardando la giustizia e il bene comune nello sviluppo di una società in via di globalizzazione. Dello sviluppo l’Enciclica offre una visione articolata, spiegando che significa "far uscire i popoli anzitutto dalla fame, dalla miseria, dalle malattie endemiche e dall'analfabetismo. Dal punto di vista economico, ciò significava la loro partecipazione attiva e in condizioni di parità al processo economico internazionale; dal punto di vista sociale, la loro evoluzione verso società istruite e solidali; dal punto di vista politico, il consolidamento di regimi democratici in grado di assicurare libertà e pace."(21). Nello stesso tempo l’Enciclica non dimentica di vedere la situazione concreta che noi viviamo attualmente. Le capacità tecniche e lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra, la crescita di ricchezza che aumenta disparità e nuova povertà, la disoccupazione, la corruzione e l'illegalità sono presenti da per tutto, il non rispettare i diritti umani dei lavoratori, eccessi di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, troppo rigido diritto di proprietà intellettuale, l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale, l’egoismo nella economia e finanza, la necessità delle organizzazioni sindacali, la carenza di alimentazione, il diritto alla libertà religiosa, l’esasperazione dei diritti e la dimenticanza dei doveri, la tutela dell'ambiente e problematiche energetiche, un maggiore accesso all'educazione, questione delle migrazioni, dialogo interculturale, le nuove forme di schiavitù della droga e la disperazione... L’Enciclica sottolinea i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale, ricordando che non è sufficiente progredire solo da un punto di vista economico e tecnologico o istituzionale. Solo l'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale; la solida base di una società è la dignità della persona, la giustizia e la pace. L’uomo non deve essere ridotto a mezzo per lo sviluppo. Lo sviluppo vero, l’Enciclica afferma, è una vocazione: "Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione"(16). Tale sviluppo vocazionale "nasce da un appello trascendente". L’uomo "è incapace di darsi da sé il proprio significato ultimo" (16). Lo sviluppo come vocazione comporta la centralità in esso della carità (19), che renderà uno sviluppo vero e integrale, perché comporta una libera e solidale assunzione di responsabilità da parte di tutti. Un tale sviluppo ha bisogno di Dio: "senza di Lui lo sviluppo o viene negato o viene affidato unicamente alle mani dell'uomo... L'uomo non si sviluppa con le sole proprie forze, né lo sviluppo gli può essere semplicemente dato dall'esterno."

3. La centralità della carità

L’Enciclica afferma all’inizio: "La carità nella verità è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera"(1). La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.(2); la carità è "espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica"(3). Caritas in veritate è il principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa. L’Enciclica afferma che chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. La giustizia è inseparabile dalla carità, intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità, la misura minima di essa, parte integrante di quell'amore. La carità esige la giustizia. Essa s'adopera per la costruzione della "città dell'uomo" secondo diritto e giustizia (cf 6). Facendo un passo avanti, il Papa indica: " Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel ‘noi-tutti’, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale" (7). D'altra parte, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono. Senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia. La "città dell'uomo" "non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione.". Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità, il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione di «veritas in caritate », ma anche di «caritas in veritate ». "La verità va cercata, trovata ed espressa nell'economia della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità" (2). "Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori — talora nemmeno i significati — con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all'uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà e della possibilità di uno sviluppo umano integrale." (9) L’Enciclica approfondisce due grandi verità cristiane: "La prima è che tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell'uomo. ...La seconda verità è che l'autentico sviluppo dell'uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione" (11). L’Enciclica sottolinea che la verità dello sviluppo si trova nell’integrità, e il vero sviluppo consiste nello sviluppo di tutto l'uomo e di ogni uomo. Lo sviluppo in fondo è lo sviluppo delle persone. Non ci sono sviluppo pieno e bene comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone. Quindi il Papa osserva: "Lo sviluppo non sarà mai garantito compiutamente da forze in qualche misura automatiche e impersonali, siano esse quelle del mercato o quelle della politica internazionale. Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l'appello del bene comune" ( 71). L'Enciclica esprime molta concretezza: "Non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale"(2). Ci chiede di dare il nostro contributo alla credibilità della verità, fare di noi stessi testimonianza alla verità, come Cristo, Egli stesso è la Verità (1), perché Egli "s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione" (1) alla verità. Egli è Cristo, Salvatore, che ha innalzato noi a una dignità sublime i (GS 22), svela pienamente l’uomo a se stesso, in quella vocazione ultima e divina, di diventare figli di Dio. Il Papa ci chiede di essere cristiani veri, piccoli cristi noi stessi, piccoli salvatori del mondo. Gli uomini retti sono coloro che sanno "non vedere nell'altro sempre soltanto l'altro, ma riconoscere in lui l'immagine divina, giungendo così a scoprire veramente l'altro e a maturare un amore che diventa cura dell'altro e per l'altro"(11). Ciò è permesso solo dall'incontro con Dio. Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l'amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l'autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato.

4. Il futuro è "guardare in alto"

Nel 2007 il premier cinese Wen Jiabao ha scritto una poesia per gli studenti universitari: "Guardare al cielo" nella quale agli studenti che un popolo avrà speranza solo quando avrà persone che sono attente al cielo. Un popolo che guarda solo ai propri piedi, perderà il futuro. Invita gli studenti a guardare spesso al cielo, contemplarlo, cercare il senso dell'essere umano, non solo studiare scienza e tecnologia, ma tenere conto del destino del mondo e del Paese. L’insegnamento dell’Enciclica va nella medesima direzione: "Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza e alla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace."(79) - Zenit -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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