ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 27/11/2009

TRA PEDOFOBIA E ODIO INCOSCIO PER I GIOVANI

Post n°2700 pubblicato il 27 Novembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Nella giornata che celebrava la carta dei diritti dei bambini (20 novembre), ci siamo guardati intorno e abbiamo visto un mondo che semplicemente i bambini non li sopporta. E’ un mondo pedofobico, altro che pedofilia! La pedofilia è un fatto da codice penale, ma la pedofobia è una coltellata al codice morale che abbiamo scritto dentro di noi. E "pedofobi" siamo tutti noi, che non vogliamo figli se non quando siamo vecchi. Che vediamo i bambini come se non fossero bambini, ma piccoli giocattoli, passatempi. Prima che nascano li vediamo come intrusi, appena nati come bambolotti da mostrare agli amici, un po’ più grandi diventano dei giocattoli e cresciuti diventano coloro che devono realizzare i nostri sogni frustrati (volevamo fare i calciatori, le ballerine…); infine quando sono ventenni non li vogliamo più far crescere perché se se ne vanno di casa ci sentiamo vecchi… e allora diventano i nostri bambacioni, degli elisir di eterna giovinezza. Siamo in una società in cui, vedi il caso inglese, il 6% dei ragazzini tra 11 e 17 anni si fa la lampada per abbronzarsi, in cui vige il modello della "gossip-girl" o delle bratz-barbie: tutti modelli scopiazzati dagli adulti che non sanno far altro che trasferire le loro frustrazioni sui ragazzi, che bevono, bevono, bevono quello che noi gli vomitiamo addosso: è la generazione che vive in riflesso, dicono i sociologi, dei desideri della generazione precedente, che credeva di poter cambiare il mondo, non ce l’ha fatta e ora vive per accumulare e rimpiangere gli anni andati (avete presente tutti i revival di telefilm, attori, cantanti di quando eravamo ragazzi?), e trasferisce rimpianti e senso di impotenza ai ragazzi: quale giovane oggi ha minimamente in testa l’idea che non dico il mondo, ma almeno la sua scuola possa essere cambiata o migliorata? E’ la pedofobia. L’odio inconscio per una generazione di giovani da parte di una generazione di frustrati. Esagero? E allora come lo spiegate il richiamo dell’ONU a fare meno figli come rimedio magico al surriscaldamento globale? Non ci credete?

Guardate qui. E come spiegate l’obbligo morale odierno al figlio unico, che in Cina è un obbligo di legge, ma qui in Occidente è un’imposizione non meno violenta e obbligatoria? Certo che è obbligatoria, perché altrimenti non si spiega perché le famiglie con più di due figli siano un’eccezione, che oltretutto viene guardata dagli altri con sussiego, con malizia o con derisione. E che non trova se non pochissimi supporti economici, in una società fatta (appartamenti, auto…) a misura di una famiglia a quattro-max cinque posti. E’ la pedofobia. E i bambini non fanno più i bambini: non sono più padroni della città (chi li vede più nelle strade?), non giocano, ma fanno sport con allenatori, oppure si ritrovano per feste in case e spazi controllati. E non sono più nemmeno padroni della casa, in cui non possono toccare nulla, o quasi. Devono scimmiottare, per la televisione; e assorbire modelli consumistici, che chi fa TV pensa di alleviare dato che in un angolino dello schermo appiccica la scritta cautelativa "messaggio pubblicitario"… per chi non sa leggere! E’ la pedofobia. Il figlio unico, perfetto, ottenuto dopo diagnosi prenatali che lo hanno fatto passare al setaccio del nostro egoismo, che lo ha sottoposto al primo esame della vita e che peserà per sempre perché, se non è stupido/a, saprà che è nato/a perché corrispondeva ai desideri dei genitori. Bambini che non si possono sporcare e dunque fare esperienze orali, tattili, gustative; che non si possono permettere di sapere cosa è un fratello, un cugino, che non vedono più allevare i bambini più piccoli (le mamme non ne fanno più e ne parlano con spavento) e dunque non imparano ad allevarli quando toccherà a loro. Bambini che si ribellano, con le gravidanze adolescenziali, in un mondo che impone una sessualità commerciale precoce, ma che anche impone di non fare famiglia, e li obbliga a giocare prima con qualcosa che non conoscono e li disturba (il corpo all’adolescente sta come una mosca sul naso del gatto), poi a sfogarsi ma castrati moralmente perché tutto impone di fare sesso ma assolutamente non fare figli. E le gravidanze adolescenziali, sono un segno di questa ribellione. Nessuno insegna più (con gli atti e non con le parole) cosa è una famiglia (il 50% ha famiglie disastrate) e l’unico insegnamento morale è "usate il preservativo" e "prendete pure la droga ma non guidate dopo". Insomma, stiamo strappando le radici dei nostri figli, che si stanno preparando alla ribellione. Celebriamo allora i diritti dei bambini sentendoci davvero degli ipocriti, perché il diritto non è solo quello di avere una scuola dove andare, ma anche di avere una famiglia che non ti sveglia alle sette di mattina quando i tuoi ormoni ti terrebbero a letto nel mezzo del sonno REM e ti butta in un ambiente statalizzato (anche quando è una scuola libera) a imparare come essere buoni ingranaggi della società; che non ti lascia tra quattro mura scolastiche per oltre metà della giornata, quando ormoni e olfatto ti porterebbero a correre dietro agli uccellini o ad arrampicarti sugli alberi (uccellini e alberi sono off-limits): già: perché nessuno ripensa al fatto che la scuola dovrebbe essere al servizio del bambino e non il contrario? Insomma, distruggiamo questa razza in estinzione: la fanciullezza e la sostituiamo con i nostri sogni infranti, la terrorizziamo con presunte epidemie che poi si smontano da sé, con visioni catastrofiste climatiche, col terrore del surriscaldamento globale d’estate e delle glaciazioni d’inverno. Un tempo non si parlava di pedofilia solo perché c'era un controllo sociale dei bambini: il ragazzino che andava in strada era conosciuto, e se un pazzo gli si avvicinava tutti sapevano dove era andato e con chi; oggi con l’idea che la libertà è non farsi gli affari degli altri, i bambini sono sempre più soli. E anche noi: ce ne pentiremo. - Carlo Bellieni - Zenit -

 
 
 

APRIRE UNA FINESTRA SI SPERANZA SULLA FAMIGLIA

Post n°2699 pubblicato il 27 Novembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

In una società dove la speranza viene meno, perché vede entrare in profonda crisi uno stile di vita basato prevalentemente su valori materiali, è di vitale importanza saper restituire agli uomini e alle donne delle ragioni per ricominciare a sperare”. Con queste parole don Giuseppe Menini, ha spiegato le ragioni per l’apertura di una pagina WEB attenta alle necessità della famiglia. Così per “aprire una finestra alla speranza sulla famiglia”, l’Opera Don Calabria ha realizzato una serie di azioni caritative e pastorali presentate e coordinate in un Forum Famiglia (www.forumfamiglia.it). L’idea è quella di mettere a disposizione dell’utente una serie di figure professionali che rispondono agli interrogativi sulle difficoltà familiari e di relazione. Per comprendere la natura e l’efficacia di questo strumento ZENIT ha intervistato il direttore del Forum, don Giuseppe Menini.

Che cos’è www.forumfamiglia.it?

Don Giuseppe: Di fronte al “grido di dolore” cha proveniva dall’arcipelago della “famiglia” alcuni professionisti dell’Opera don Calabria hanno risposto con un “Centro di Ascolto” gestito da persone preparate e dotato di normali prassi e metodi: telefono, Fax, ufficio, pagina WEB. L’intento è quello di facilitare la comprensione fraterna, un ritorno alle “origini”. Il titolo della nostra “traccia” di partenza era: “una semplice idea da realizzare”, poi, sul campo, è nata la nuova proposta. Il Centro di ascolto calabriano per la famiglia desidera creare, con l’utilizzo delle nuove tecnologie, un Forum che consenta di far entrare in relazione, con il Centro e tra loro, le persone. In questo modo si possono inserire delle tematiche aprendo una discussione libera per coinvolgere chi intende affrontare argomenti, anche impegnativi, confrontandosi con docenti e/o personale qualificato per affrontare conoscere e interagire su tematiche di vario interesse. Nel corso della gestione del Centro di ascolto abbiamo potuto verificare che la prima difficoltà che incontra l’utente è di trovare il coraggio di telefonare, per esporre il proprio problema. Spesso accade che la prima telefonata, “noiosa”, è fatta da un parente, che chiede di conoscere il tipo di servizio che il Centro propone. Solo in un secondo momento si rende concreto il contatto diretto con la persona che necessita dell’aiuto. La difficoltà maggiore è quindi l’esporsi direttamente con il proprio problema. Da qui nasce l’idea di superare la difficoltà utilizzando le nuove tecnologie dell’informatica, con la quale è possibile interagire ovviando in parte a questa difficoltà.

Perchè avete deciso di utilizzare il mezzo telematico?

Don Giuseppe: La comunicazione come modo di relazione individuale e sociale si è modificata sostanzialmente negli ultimi anni. Tempi e luoghi per rendere concrete le relazioni sono venuti meno. La massificazione e l’individualismo hanno privato la persona ma in particolare i giovani della scoperta del piacere di comunicare. In sostanza è cambiata la “velocità” con e in cui si “consumano” le relazioni, che si limitano spesso ad un rapporto superficiale e molte volte precostituito dalle espressioni percepite dalla televisione e quindi private della possibilità d’analisi e di critica dei soggetti. Le persone che lavorano sono impegnate tutta la giornata, anche la condivisione del pranzo ha assunto la definizione “pausa pranzo” e la pausa viene vissuta in un continuo produrre. Sono stati eliminati i tempi di riflessione e di confronto. Spesso con il consorte, i figli, gli amici e parenti non trovano momenti da condividere. Durante la giornata ogni problema è anestetizzato dal “fare” lasciando di sera il momento critico della verifica dei problemi irrisolti, con tutti gli sviluppi che conosciamo. È questo il momento in cui si cerca conforto oppure qualche persona che sia in grado di ascoltare o leggere le nostre problematiche. Abbiamo quindi pensato di creare questo Forum. Al Forum si può accedere sempre, in questo spazio d’intercomunicazione. Si potranno esporre vari temi come la famiglia, i figli, i genitori, le amicizie ecc. Chiunque può scrivere chiedendo consigli, risposte, oppure fornendo consigli e risposte.

La comunicazione digitale non è però come quella interpersonale…

Don Giuseppe: Nella Comunicazione Mediata dal Computer (CMC) la relazione tra emittente e destinatario si svolge in una situazione normativa sociale molto diversa dalla comunicazione faccia a faccia. Non c'è il continuo feedback che consente agli attori coinvolti di effettuare adattamenti e correzioni reciproche, al fine di raggiungere lo scopo della comunicazione stessa. Mancano tutti gli elementi della comunicazione non verbale: le pause, il tono, la voce, la mimica facciale e i gesti del corpo. Nella CMC l'assenza della percezione di tutte queste informazioni crea l'annullamento della percezione dello status sociale degli attori coinvolti, con una conseguente maggiore libertà espressiva (ne consegue che il linguaggio utilizzato è molto più impersonale rispetto ad una conversazione faccia a faccia). Perciò che si tratti di una e-mail, di una chat o di un Forum, certamente la scrittura assume un ruolo preponderante nella comunicazione.

In che modo il vostro Forum può essere oggetto di formazione permanente?

Don Giuseppe: Ci sono delle bacheche elettroniche dedicate ad uno specifico argomento, famiglia, figli, genitori, spiritualità. I membri possono accedere e leggere o rispondere ai contenuti esposti. Si possono inserire delle tematiche aprendo una discussione libera per coinvolgere le persone che intendono affrontare argomenti anche impegnativi confrontandosi con docenti e/o personale qualificato. Questo comporta una lettura attenta degli interventi prima di metterli in rete. Tutti i messaggi che riceve il Forum sono controllati e messi in rete solamente se hanno i requisiti di leggibilità. Possiamo paragonare il Forum ad un incontro tra persone che condividono delle problematiche e decidono di scambiarsi delle opinioni, con un moderatore che verifica che non si oltrepassi il limite del buon senso sia come contenuti sia nell’utilizzo appropriato delle parole.

La rete comporta anche dei rischi relativi alla riduzione dei rapporti sociali. C’è la possibilità che alcuni utenti diventino oggetto delle macchine piuttosto che le macchine strumenti per la promozione sociale. Qual è la sua riflessione in merito?

Don Giuseppe: Ipotizzare l’evoluzione nel rapporto tra giovani e nuove tecnologie può risultare estremamente difficile. Oggi non basta introdurre un computer in ogni abitazione o perlomeno non basta più, bisogna andare oltre. L’aumento dell’informazione diffusa sulla rete, la moltiplicazione dei mezzi di comunicazione, la rapidità del ciclo d’innovazione tecnologica sta, infatti, producendo un divario che si amplia costantemente all’interno delle società, e non solo tra aree ricche e aree povere del pianeta, ma anche all’interno delle nostre società industrializzate. Un divario, una “divisione digitale”, tra la parte tecnologicamente istruita del Paese e quella che non ha accesso all’alfabetizzazione informatica. Una frattura sottile all’interno della società. Il mondo dei multimedia sarà abitato da due popolazioni fondamentalmente distinte: gli interagenti e gli interagiti, ovvero quelli che sono in grado di selezionare i propri circuiti multidirezionali di comunicazione, e quelli cui è offerto un numero ridotto di scelte preconfezionate. Questa riflessione è riferita sia alle persone sia alle istituzioni e/o Congregazioni. Ecco, quindi, la necessità di stimolare la crescita di una cultura “Etico informatica” diffusa, come un Forum, rivolta alla formazione/ informazione, delle giovani generazioni che si trovano a dover subire una miriade di nozioni, spesso prive di formazione.

Perchè un sacerdote, che ha già tanti impegni, ha deciso di occuparsi dei problemi delle famiglie?

Don Giuseppe: Posta così la domanda può essere fuorviante. Possiamo riformularla in questi termini. La famiglia è la cellula fontale della società e della Chiesa e, perciò, ne è oggetto di particolare attenzione. Se la famiglia è malata, la società e la Chiesa corrono un grave rischio. Una società e una comunità “cristiane” non possono non interrogarsi sull’insieme del “corpo” a cui appartengono. Sono stati, infatti, i “sintomi” di sofferenza manifesti nell’arcipelago famiglia ad interpellare, non il singolo, ma una comunità e, contemporaneamente, a suggerire possibili percorsi. E’ vero che gli impegni sono già tanti, per il singolo e per la comunità ma, e proprio per questo, si cercano nella scala le priorità. Non possiamo fare tutto ma, partendo dalle priorità, dobbiamo fare quanto è possibile e con processi efficaci.

Attualmente in Europa c’è un divorzio ogni trenta secondi, in Italia avvengono 200 separazioni al giorno. Come si può fermare questa valanga che sta distruggendo i legami familiari? Cosa propone a tal proposito www.forumfamiglia.it?

Don Giuseppe: Non credo che vi siano ricette preconfezionate a riguardo, esiste invece un problema di comunicazione globale che ha lacerato le convenzioni della convivenza civile sostituendo la ricerca della verità e della felicità dell’uomo rivolta verso la relazione umana, nella anestesia mentale dell’illusorio. Il Forumfamiglia consapevole del mondo della globalizzazione informatica e della sua importanza nella comunicazione sociale, vuole innanzitutto esserci e desidera essere il nuovo pulpito da cui trasmettere il proprio pensiero attraverso un aiuto concreto nella speranza per recuperare valori e contenuti.

In che modo di può invertire il trend delle separazioni? Cosa dobbiamo insegnare ai giovani per sviluppare solidi e duraturi rapporti matrimoniali? Si possono ricucire rapporti e relazioni che sembrano inevitabilmente strappati?

Don Giuseppe: Prima di separare bisogna maturare quel processo che rende la persona capace di vivere in comunione e di unire la sua vita con quella di altri. Anche in questo caso la domanda potrebbe essere proposta diversamente: queste unioni avvengono nella reciproca consapevolezza delle difficoltà che si incontrano in una relazione? Qual è la capacità di sacrificio dinanzi alle difficoltà emergenti dal rapporto? Quale esperienza di vita viene loro trasmessa, quale esempio viene loro fornito dalle famiglie di provenienza e dalla società, attraverso le comunicazioni sociali? In sostanza si tratta di riprendere con speranza la sfida educativa e formativa.

La cultura dominante non si accorge del dramma dei divorzi, anzi c’è ancora una ideologia che sostiene che le separazioni liberano la donna da ogni costrizione. Invece dalle separazioni tutti perdono e soffrono. Qual è il suo parere in proposito?

Don Giuseppe: Ogni separazione è comunque un “fallimento” e comporta un “lutto” da elaborare. Non ci sono separazioni indolori … salvo che non ci sia mai stata un’unione. La separazione può liberare dalle “costrizioni” … che restano il frutto di un sogno di amore infranto. Perciò in ogni separazione tutti perdono e soffrono, soprattutto i figli travolti dalle decisioni di altri.

Esiste una pastorale per le persone separate e/o divorziate che desidererebbero accedere alla Comunione? E come si articola?

Don Giuseppe: Precisiamo subito che separati e/o divorziati non sono in situazioni simili e anche che divorziati e situazioni “irregolari” non sono in situazioni identiche. Fatte queste precisazioni direi, prima di tutto, che accedere al sacramento della “Comunione” non può essere un punto di partenza ma solo un traguardo. Si tratta quindi di ricamare in concreto le molteplici possibilità di vita nella “comunione ecclesiale”. In questa prospettiva le passi realisticamente possibili sono infinite, sia da parte della “Chiesa-comunità cristiana” che da parte delle persone separate e/o divorziate.

In conclusione?

Don Giuseppe: Vorrei segnalare alcuni punti che ritengo fondanti: il cambiamento epocale in atto, per cui viviamo un “nuovo” radicale che toglie tutte le certezze acquisite; l’inflazione delle parole e dell’informazione; la crescita della coscienza individuale con rischio di soggettività; la difficoltà di armonizzare l’oggettivo e il fondamentale con il soggettivo e il particolare. - Antonio Gaspari - Zenit -

 
 
 

ANTONIO SOCCI: E INFINE LA SUPPLICA DEL 27 NOVEMBRE FESTA DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA

Post n°2698 pubblicato il 27 Novembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Quanto è grande il dolore del mondo… In ospedale, dal letto di Caterina, si vede uno sconfinato e sconsolato panorama di sofferenze. Quanti afflitti da confortare, quante lacrime da asciugare…Si può sostenere tutto questo solo fissando lo sguardo su Colui che davvero sostiene tutta l’afflizione umana sulle sue spalle, che la porta al Golgota e infine vince il Male e asciuga ogni lacrima…Perché davvero Egli ha misericordia di tutti… di tutti… Quanto amore avvolge l’umanità ferita, quanti santi sconosciuti a tutti, quanti piccoli e semplici che fasciano ferite e sono l’abbraccio di Gesù e sono la carezza del Nazareno…E’ specialmente Lei, la Madre di Dio che, oggi come a Cana, vede il dramma di ciascuno prim’ancora che l’interessato se ne accorga… E’ lei che previene e soccorre prima di tutti perché Lei è veramente Madre. Di ciascuno di noi! Sempre! Soprattutto nei momenti che sembrano più bui… Lei non ci abbandona mai! A santa Caterina Labouré infatti disse: "Il momento verrà, il pericolo sarà grande, si crederà tutto perduto. Allora io sarò con voi". Con questo pensiero propongo di concludere la Novena della Medaglia miracolosa con la Supplica che va recitata alle ore 17 del 27 Novembre, in ricordo di quell’apparizione di Rue du Bac (ma anche il 27 di ogni mese e in ogni necessità). Ecco il testo:

O Vergine Immacolata, noi sappiamo che sempre ed ovunque sei disposta ad esaudire le preghiere dei tuoi figli esuli in questa valle di pianto, ma sappiamo pure che vi sono giorni ed ore in cui ti compiaci di spargere più abbondantemente i tesori delle tue grazie.

Ebbene, o Maria, eccoci qui prostrati davanti a te, proprio in quello stesso giorno ed ora benedetta, da te prescelta per la manifestazione della tua Medaglia.

Noi veniamo a te, ripieni di immensa gratitudine ed illimitata fiducia, in quest’ora a te sì cara, per ringraziarti del gran dono che ci hai fatto dandoci la tua immagine, affinché fosse per noi attestato d’affetto e pegno di protezione.

Noi dunque ti promettiamo che, secondo il tuo desiderio, la santa Medaglia sarà il segno della tua presenza presso di noi, sarà il nostro libro su cui impareremo a conoscere, seguendo il tuo consiglio, quanto ci hai amato e ciò che noi dobbiamo fare, perché non siano inutili tanti sacrifici tuoi e del tuo divin Figlio.

Sì, il tuo Cuore trafitto, rappresentato sulla Medaglia, poggerà sempre sul nostro e lo farà palpitare all’unìsono col tuo. Lo accenderà d’amore per Gesù e lo fortificherà per portar ogni giorno la propria croce dietro a Lui.

Questa è l’ora tua, o Maria, l’ora della tua bontà inesauribile, della tua misericordia trionfante, l’ora in cui facesti sgorgare per mezzo della tua Medaglia, quel torrente di grazie e di prodigi che inondò la terra.

Fai, o Madre, che quest’ora, che ti ricorda la dolce commozione del tuo Cuore, la quale ti spinse a venirci a visitare e a portarci il rimedio di tanti mali, fai che quest’ora sia anche l’ora nostra: l’ora della nostra sincera conversione, e l’ora del pieno esaudimento dei nostri voti.

Tu che hai promesso proprio in quest’ora fortunata, che grandi sarebbero state le grazie per chi le avesse domandate con fiducia: volgi benigna i tuoi sguardi alle nostre suppliche. Noi confessiamo di non meritare le tue grazie, ma a chi ricorreremo, o Maria, se non a te, che sei la Madre nostra, nelle cui mani Dio ha posto tutte le sue grazie?

Abbi dunque pietà di noi. Te lo domandiamo per la tua Immacolata Concezione e per l’amore che ti spinse a darci la tua preziosa Medaglia.

O Consolatrice degli afflitti, che già ti inteneristi sulle nostre miserie, guarda ai mali da cui siamo oppressi.

Fai che la tua Medaglia sparga su di noi e su tutti i nostri cari i tuoi raggi benefici: guarisca i nostri ammalati, dia la pace alle nostre famiglie, ci scampi da ogni pericolo.

Porti la tua Medaglia conforto a chi soffre, consolazione a chi piange, luce e forza a tutti.

Ma specialmente permetti, o Maria, che in quest’ora solenne ti domandiamo la conversione dei peccatori, particolarmente di quelli, che sono a noi più cari.

Ricordati che anch’essi sono tuoi figli, che per essi hai sofferto, pregato e pianto. Salvali, o Rifugio dei peccatori, affinché dopo di averti tutti amata, invocata e servita sulla terra, possiamo venirti a ringraziare e lodare eternamente in Cielo. Cosi sia.

Recitare il Salve Regina e tre volte

"O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te".

 
 
 

IL CURATO D’ARS E LE ANIME DEL PURGATORIO

Post n°2697 pubblicato il 27 Novembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Nato l’8 maggio 1786 a Dardilly, la risposta alla chiamata divina ad essere prete, Giovanni Maria Vianney la matura in un contesto ostile alla Chiesa e ai valori cristiani. Ciò invece di affievolire il suo entusiasmo lo porterà all’età di 17 anni a confidare alla madre: "Vorrei guadagnare delle anime al Buon Dio". Solo a 20 anni comincerà la sua preparazione al sacerdozio presso don Balley, curato di Eculy. Ebbe difficoltà ad arrivare al sacerdozio perché era molto ignorane ed allora tutta la teologia si studiava in latino ed il povero giovane a stento parlava il francese. Ma la sua genuina fede, il suo spirito di penitenza, il suo desiderio sincero di servire Dio fecero si che i suoi superiori chiudessero un occhio sulla sua formazione teologica. Il vescovo, a corto di parroci, gli affidò la cura pastorale di Ars, un paesino sperduto a nord di Lione. Raggiunse a piedi la sua parrocchia, incontrando subito una grande indifferenza religiosa del popolo ma egli la sua missione trascorrendo lunghe ore inginocchiato in preghiera davanti al tabernacolo mentre la chiesa rimaneva sempre deserta. Negli intervalli dalla preghiera ripuliva la chiesa e prendeva contatto con i suoi fedeli in realtà poco fedeli che incontrava nelle ben quattro osterie del piccolo centro con relative balere, contro le quali egli senza paura tuonava dicendo:" Il ballo è la corda con la quale il demonio trae molte anime all’inferno…Le persone che entrano in un ballo lasciano il loro angelo custode alla porta ed è un demonio che prende il suo posto". Purtroppo i tempi non sono migliorati anzi con le moderne discoteche il demonio marcia alla grande…! Ma dopo alcuni anni, la popolazione di Ars dapprima insofferente per il suo rigorismo morale cominciò ad accorgersi di quel sacerdote che faceva sempre digiuni e penitenze e dava ai poveri anche le sue scarpe. Per ascoltare le sue catechesi e le sue omelie furono organizzati da ogni parte della Francia dei veri e propri pellegrinaggi , cui tutti, dal contadino al nobile e all’alto funzionario partecipavano sia per essere presenti alla sua Messa sia per confessarsi da lui, dal momento che il curato stava sempre in confessionale, anche per intere notti di seguito, senza mangiare e senza dormire. Giovanni Maria Vianney divenne il confessore dei più ostinati peccatori che giungevano da ogni parte e che bivaccavano davanti alla sua Chiesa in attesa di incontrarlo per riconciliarsi con Dio. Morirà il 4 agosto 1859 alle 2 di notte, stremato dalla penitenza e dalle dure fatiche pastorali. Ri guardo al Purgatorio nella sua biografia leggiamo diversi episodi. Un giorno del 1855 o 1856, faceva visita ad Ars l’abate Guillaumet, che fu per lunghi anni superiore dell’Immacolata Concezione a Saint-Dizier nell’Alta Marna. Una povera donna in lutto, che durante il viaggio era stata sempre seduta vicino a lui, ascoltando in silenzio i discorsi di meraviglia su Ars ed il suo Curato, gli rivolse, per la prima volta, la parola quando giunsero alla stazione di Villefranche: "Signore, mi permettete di seguirvi fino ad Ars? Vengo là come andrei in un luogo qualsiasi: viaggio perché ho bisogno di distrarmi". L’abate Guillaumet si accordò subito, ed accettò anche di farle da guida. Giunsero ad Ars quando il Curato Vianney, che ancora indossava la cotta, avanzarsi tra la folla e dirigersi verso questa povera donna che in quel momento, per seguire l’esempio dei pellegrini, si era inginocchiata. Il santo, chinatosi al suo orecchio disse: " Egli è salvo". La sconosciuta ebbe un sussulto, e Vianney ripetè: " Egli è salvo". La risposta a queste parole fu un gesto di incredulità da parte della donna straniera. Allora il santo sacerdote, scandendo ogni parola, aggiunse: " Vi dico che egli è salvo, si trova in Purgatorio, e si deve pregare per lui. Tra il parapetto del ponte e l’acqua ha avuto il tempo di fare un atto di contrizione. E’ la santa Vergine che gli ottenne questa grazia: ricordate le devozioni del mese di maggio nella vostra camera. Qualche volta il vostro sposo, quantunque irreligioso, si è unito alla vostra orazione, e questo gli ha meritato il perdono". L’abate Guillaumet non comprese nulla di queste parole; e solo il giorno seguente seppe della meravigliosa luce che aveva illuminato il servo di Dio. Quella donna passò tutta la notte in preghiera, e ne uscì con la fisionomia trasformata, simbolo della pace, di cui era ripiena la sua anima. Prima di partire da Ars, com’era naturale, ringraziò l’abate Guillaumet, a cui disse: " I medici mi consigliarono di viaggiare per distrarmi dall’atroce disperazione che seguì il mio animo alla tragica morte di mio marito, che era incredulo e che io speravo di condurre alla fede. Disgraziatamente egli annegò con un suicidio volontario. Non potevo rassegnarmi al pensiero che fosse dannato e che non lo potessi veder più. Ebbene, voi avete sentito la parola di conforto che mi è stata detta: " egli è salvo. Quindi lo rivedrò in cielo. Signore, qui ho trovato la guarigione". Il Curato d’Ars avrà anche un ruolo di primo piano nella fondazione delle Suore Ausiliatrici delle anime del Purgatorio fondate da Eugenia Smet che prese il nome di suor Maria della Provvidenza e che il papa Pio XII beatificò nel 1957. Nell’Agosto del 1855, un’amica di Eugenia Smet si reca in pellegrinaggio ad Ars, è semplicemente incaricata di parlare di lei a don Vianney e di riportarle una parola da parte sua. La risposta orale che riporta è breve ma incoraggiante. Allora il vescovo di don Vianney, mons. Chalandon, che la segue, le consiglia di scrivere all’abbè Toccanier, vicario della parrocchia e segretario di un curato arcioberato di lavoro pastorale. Il 23 ottobre la Smet gli invia una lunghissima lettera in cui espone la sua storia e tutte le domande che la inquietano. Poiché ha ricevuto da Dio il "pensiero" della fondazione il 2 novembre, formula questa domanda: " desidero che il Curato si occupi davanti a Dio della mia vocazione alla vita religiosa e dei miei importanti progetti il 2 novembre, giorno delle anime del Purgatorio. Perché il buon Dio gli faccia conoscere la sua volontà, pregheremo uniti e ci rivolgeremo soprattutto alle anime del Purgatorio". Nella sua risposta l’abbè Toccanier racconta brevemente che il giorno dei morti del 1855 il Curato prega più di un’ora in ginocchio e si rialza commosso dicendo: " Ecco l’opera che Dio chiedeva da tanto tempo!". Il Curato dichiara pure: " Ditele che per quanto riguarda un ordine per le anime del Purgatorio, lo fonderà quando vorrà", e che " la fondazione si farà e si svilupperà, poiché fa parte del disegno di Dio". L’abbè Toccanier conclude: " Può esser certa di due cose: egli approva la sua vocazione alla vita religiosa e la fondazione di questo nuovo ordine, che a parer suo prenderà un rapido sviluppo nella Chiesa". In seguito il Curato d’Ars seguirà da lontano lo sviluppo delle Suore Ausiliatrici del Purgatorio e sempre tramite l’abbè Toccanier avrà occasione di dare altri consigli alla madre fondatrice. - don Marcello Stanzione - Pontifex -

 
 
 

PERCHE' IL CROCEFISSO FA SCANDALO?

Post n°2696 pubblicato il 27 Novembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Ora che le polemiche sulla presenza del crocifisso nelle scuole si sono stemperate, occorre forse riprendere il discorso per cercare di cogliere il significato profondo di questo simbolo. Cominciamo dall'aspetto più elementare: il crocifisso rappresenta un uomo che muore su una Croce. La Croce era uno strumento di morte. E la morte, il problema della morte, è all'origine del sacro e della religione in qualsiasi cultura. Già nella preistoria gli uomini seppellivano i propri morti e invocavano le forze soprannaturali. C'è chi ha scritto che se gli animali seppellissero i propri morti non sarebbero più animali, ma uomini. Il bisogno disperato di dare un senso alla propria morte e a quella dei componenti del proprio gruppo è fondamentale in qualsiasi esperienza religiosa, a partire da quella più arcaica. Se l'uomo riuscisse un giorno a vincere il dolore e la morte, forse non avrebbe più bisogno di alcuna religione. Perché è solo la consapevolezza della propria finitezza e insufficienza che gli apre l'esperienza del sacro. Senza la consapevolezza della propria finitezza, il sacro si inaridisce. La rappresentazione della morte che ci dà il crocifisso tocca quindi al cuore l'essenza di qualsiasi esperienza religiosa ed esistenziale. E' quindi simbolo religioso per eccellenza. La specificità di quel simbolo cristiano sta però nel fatto che quell'uomo che pende dal legno è anche Dio. E' il Dio che si è incarnato, che si è fatto uomo e ha voluto condividere il destino di tutti fino alla morte, e la morte più brutale e crudele. Così facendo, ha dato un senso universale alla propria morte, e alla propria vittoria sul nulla eterno tramite la resurrezione. Qui incontriamo un altro significato profondo che la Croce esprime. E' quello del sacrificio della vittima innocente. La crocifissione di Gesù, nella prospettiva cristiana, è il sacrificio per eccellenza, perché è il sacrificio del Dio incarnato che prende su di sé i peccati dell'uomo. Questa è la teologia della Croce, di cui la prima e massima espressione, nel cristianesimo delle origini, si trova in San Paolo. E' stato infatti "l'apostolo delle genti" a ritenere abolita la Legge ebraica grazie al sacrificio e alla resurrezione del Cristo. Anche qui, però, oltre alla dirompente novità, vi è anche una manifesta continuità con l'elemento comune di tutte le esperienze religiose antiche, ebraismo compreso, che davano al sacrificio di uomini o animali una straordinaria importanza. Su questi temi si è soffermato moltissimo il grande antropologo René Girard, che rileva la novità del sacrificio di Cristo: il punto di vista della vittima prende il posto di quella del carnefice. Il sacrificio è ancora centrale, e si tratta di un sacrificio umano. Ma l'attenzione si sposta completamente sulla vittima, che è colei che redime l'umanità intera. E' un sacrificio di tipo nuovo, che vale una volta per tutte. Vale per sempre e non deve essere ripetuto, se non sotto forma di commemorazione, durante la messa. Non vi saranno nuovi sacrifici, non vi saranno più capri espiatori. L'agnello sacrificale, l'uomo-Dio, muore una volta sola. Basta commemorarlo nella messa per renderlo sempre presente nella vita di ogni comunità. E' questa una vera rivoluzione culturale di incomparabile importanza, nella storia delle religioni. La fede in Cristo - individuale e comunitaria - diventa quindi sufficiente per la salvezza, al posto della Legge mosaica, le numerosissime norme e prescrizioni che il monoteismo giudaico aveva stabilito. Quando Paolo di Tarso sostiene in maniera decisa che le differenze etniche, sociali o tra uomo e donna non sono più essenziali di fronte alla fede in Cristo, fonda su basi teologiche l'universalismo cristiano. Lo fa riprendendo fedelmente lo spirito della predicazione di Cristo. Non solo del Cristo risorto che invita a portare la buona novella a tutte le genti, ma anche del Cristo predicatore che ha colpito al cuore il legalismo giudaico. Quando sostiene che l'impurità non viene da quello che si mangia o che si tocca, ma dalle intenzioni del nostro cuore, Cristo rivoluziona il concetto di purezza, interiorizzandolo. Mortificando la presunzione del fariseo, meticoloso legalista, rispetto all'umiltà del pubblicano, sottolinea la totale insufficienza della Legge. Così, sfida i legalisti a proposito del Sabato come giorno dedicato al riposo assoluto, e li sfida ancora nel caso della condanna dell'adultera, che salva dalla lapidazione. Paolo riprende, nella sua teologia della Croce, il senso profondo della lotta antilegalista che Gesù ha ingaggiato con farisei e dottori della legge. E' quindi proprio il simbolo della Croce che permette di cogliere meglio di qualsiasi altro la continuità profonda, ma al contempo la grande differenza con le altre religioni, anche monoteiste. L'ecumenismo spinto di questi decenni non può essere stato concepito se non a prezzo di un occultamento di questo simbolo che porta "scandalo", secondo la definizione di Paolo. Lo scandalo della Croce di cui parla Paolo è rimasto tale infatti per il giudaismo, ma è altrettanto forte per l'islam. Il corano sostiene che sulla Croce non è finito il profeta Gesù, chiamato Issa, ma un sosia. Lo ha ripetuto anche Gheddafi pochi giorni orsono. Non a caso l'islamismo, pur ispirandosi all'universalismo cristiano, negando la Croce ritorna al legalismo giudaico. La lapidazione delle adultere è solo l'esempio più eclatante di questo ritorno. Manuele Paleologo, l'imperatore-teologo di Bisanzio, fu tra i commentatori cristiani che insistettero maggiormente sul ritorno dell'islam alla mentalità mosaica. Così l'impurità torna ad essere, per i musulmani, qualcosa che riguarda più il corpo del cuore umano. E' questo legalismo la forza dell'islam, la ragione della sua coesione al di là delle differenze nazionali o etniche. E' uno dei motivi principali per cui non vi è stato e forse mai vi sarà un protestantesimo islamico. Ma ciò che l'islam ha guadagnato sul cristianesimo in fatto di coesione dottrinale potrebbe però averlo perso autocondannandosi al formalismo, trascurando l'adesione profonda del cuore umano a una verità che lo trasforma. La Croce, quindi, continua ad essere "scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani". Però colpisce che non siano gli ebrei e i musulmani (a parte il grottesco Abel Smith), bensì i laicisti, atei ed agnostici, a volere la rimozione dei crocifissi. Come mai la Croce continua a scandalizzare? Il suo scandalo perenne non ha la sua origine in ragioni strettamente giuridiche e politiche. C'è dietro qualcosa di più profondo. Il regista porno Lasse Braun, protagonista anche politico della prima legalizzazione statuale della pornografia, quella della Danimarca nel 1969, elogiando in un'intervista le "orge pazzesche" della corte di Caligola, definì epoca felice quella romana, in cui "non c'era il peccato, non c'era il crocifisso". Ecco. Interroghiamoci sulle motivazioni profonde e nascoste di certe battaglie, di certe sentenze. - di Martino Mora - Il mascellaro -

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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