ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 24/12/2011

L'AMORE DI UN DIO BAMBINO CHE SEMBRA DEBOLE E FRAGILE COME UN FILO DI PAGLIA

Post n°6492 pubblicato il 24 Dicembre 2011 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

L'amore di Dio non si può fare a pezzi e buttare via. Anche se sembra fragile e debole come un filo di paglia.

I pastori che erano stati alla stalla di Betlemme a onorare il Bambino Gesù tornavano a casa. Erano arrivati tutti con le braccia cariche di doni, e ora se ne partivano a mani vuote. Eccetto uno. Un pastore giovane giovane aveva portato via qualcosa dalla stalla santa di Betlemme. Una cosa che teneva stretta nel pugno. Gli altri lì per lì non ci avevano fatto caso, finché uno di essi non disse:

Che cos'hai in mano?

Un filo di paglia, rispose il giovane pastore, un filo di paglia della mangiatoia in cui dormiva il Bambino.

Un filo di paglia!, sghignazzarono gli altri. È solo spazzatura. Buttalo via!.

Il giovane pastore scosse il capo energicamente. No, disse. Lo conservo. Per me è un segno, un segno del Bambino. Quando tengo questa pagliuzza nelle mie mani, mi ricordo di lui e quindi anche di quello che hanno detto di lui gli angeli.

Il giorno dopo, gli altri pastori chiesero al giovane: Che ne hai fatto della tua pagliuzza?

Il giovane la mostrò. La porto sempre con me.

Ma buttala!

No. Ha un grande valore. Su di essa giaceva il figlio di Dio.

E con questo? li Figlio di Dio vale. Non la paglia!

Avete torto. Anche la paglia vale tanto. Su che altro poteva stare il Bambino, povero com'era? Il Figlio di Dio ha avuto bisogno di un po' di paglia. Questo mi insegna che Dio ha bisogno dei piccoli, dei senza valore. Sì, Dio ha bisogno di noi, i piccoli, che non contiamo molto, che sappiamo così poco.

Con il passare dei giorni sembrò che il filo di paglia di­ventasse sempre più importante per il giovane pastore. Du­rante le lunghe ore al pascolo lo prendeva spesso in ma­no: in quei momenti ripensava alle parole degli angeli ed era felice di sapere che Dio amava tanto gli uomini da farsi piccolo come loro.

Ma un giorno uno dei suoi compagni gli portò via il fi­lo di paglia dalle mani, gridando: Tu e la tua maledetta paglia! Ci hai fatto venire il mal di testa con queste stupidaggini! Stropicciò la pagliuzza e la gettò nella polvere.

Il giovane pastore rimase calmo. Raccolse da terra il fi­lo di paglia, lo lisciò e lo accarezzò con la mano, poi disse all'altro: Vedi, è rimasto quello che era: un filo di pa­glia. Tutta la tua rabbia non ha potuto cambiarlo. Certo, è facile fare a pezzi un filo di paglia. Pensa: perché Dio ci ha mandato un bambino, mentre ci serviva un salvato­re forte e battagliero? Ma questo Bambino diventerà un uomo, e sarà resistente e incancellabile. Saprà sopportare tutte le rabbie degli uomini, rimanendo quello che è: il Sal­vatore di Dio per noi.

Il giovane sorrise, con gli occhi luminosi. No. L'amo­re di Dio non si può fare a pezzi e buttare via. Anche se sembra fragile e debole come un filo di paglia.

Autore: un pastore- don Borel - donboscoland -

 
 
 

LA VICENDA UMANA E DIVINA DI SAN GIUSEPPE

Post n°6491 pubblicato il 24 Dicembre 2011 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

L'Angelo che convinse San Giuseppe a sposare Maria

Nella vita di Gesù all’angelo dell’annunciazione segue l’angelo che possiamo definire come ammonitore. Nel vangelo questo angelo non si presenta con un nome specifico ma presumibilmente si tratta sempre dello stesso Gabriele. In ogni vita umana infatti non basta annunciare ciò che deve accadere, ma è indispensabile controllare e sorvegliare l’esecuzione di ciò che è stato annunziato. L’angelo dell’annunciazione porta il messaggio di Dio al sacerdote Zaccaria, alla vergine Maria e ai pastori.

L’angelo ammonitore si presenta a Giuseppe cui, come padre legale, è stata affidata la protezione della vita più preziosa, circondata per questo da agguati e da pericoli sin dall’infanzia Leggendo le prime pagine del Nuovo Testamento si comprendono meglio le ultime pagine dell’apocalisse: “Il drago perseguitò la donna, che aveva dato alla luce il maschio. Alla donna allora furono date un paio di ali della grande aquila per fuggire nel deserto” (Ap. 12,13ss). “La donna”, cioè Maria, ebbe accanto contro le lotte e le afflizioni della vita, il fedele Giuseppe. Ma anche Giuseppe non può gareggiare con il drago cioè con il demonio, perciò con Maria e col bambino viene preso sotto “le ali della grande aquila”, cioè sotto la guida dell’angelo ammonitore che si presentò quattro volte a san Giuseppe durante l’infanzia di Gesù.

La Maestà divina permise che la Santa Vergine ed il suo Santo Sposo provassero la pena interiore del dubbio, affinché oltre i meriti ch'essi acquistavano con un sì lungo martirio, il merito della consolazione divina fosse, in essi, e più ammirabile e più singolare. Maria praticò molte virtù in quello stato, di modo che Ella ci insegnò a sperare nel rimedio dell'Altissimo, nelle più grandi afflizioni. E quale esempio in San Giuseppe! Perché nessuno mai ebbe più grandi soggetti di sospetti, né più discrezione nel sospendere il giudizio quanto lui. Il dolore della gelosia produce delle fitte sensibili in colui che ne é attinto, e nessuno ne risentì così sensibilmente gli effetti come lui, benché, in verità, egli non ne sarebbe stato soggetto se solo ne avesse conosciuto 1a vera causa. Egli era arricchito da una scienza e da una luce singolare per penetrare la santità e le belle qualità della sua Sposa. Ma, aumentandogli la stima per quella ch'egli stava per perdere, il dolore di vedersi nella necessità di abbandonarla era aumentato.

L'Altissimo inviò allora il santo angelo, affinché scoprisse, con una divina rivelazione, a San Giuseppe, che dormiva, il Mistero che si era compiuto nella sua sposa. Accingendosi a questa ambasciata, l'Arcangelo apparve, in sogno, al Santo e gli dichiarò, nei termini riportati da San Matteo, tutto il Mistero dell'Incarnazione e della Redenzione. Vi sono anche altre ragioni del perché l'angelo parlò a San Giuseppe in un sogno, e non mentre vegliava, benché questo mistero sia stato manifestato ad altri in stato di veglia.

La prima, è che San Giuseppe era così prudente e così pieno di stima per la Santissima Vergine, che non fu necessario persuaderlo con dei mezzi più forti, per convincerlo della dignità di Maria e del Mistero dell'Incarnazione: perché le ispirazioni divine penetrano più facilmente nei cuori ben disposti.

La seconda, è che il suo turbamento era cominciato dai sensi, ed era giusto, per ciò, che fossero come mortificati e privati della visione angelica, poiché avevano dato l'accesso all'imbroglio od al sospetto: la verità non doveva essere introdotta dal loro organo.

La terza, è che benché San Giuseppe non commettesse alcun peccato in queste circostanze, avendo sospeso il suo giudizio, i suoi sensi contrassero comunque una specie di sozzura: bisognava dunque che l'Angelo facesse la sua ambasciata in un tempo in cui i sensi, che erano stati scandalizzati, fossero interdetti dalla sospensione della loro operazione.

Vi è, infine, una ragione ben più generale: è che tale fu la Volontà del Signore, che essa è giusta, santa e perfetta in tutte le sue opere.

San Giuseppe non vide, comunque, l'Angelo con le specie immaginarie: egli ne udì solamente la voce e ciò gli bastò per conoscere il Mistero. Egli sentì quello che l’angelo gli diceva , ossia che "non temesse di prendere con sé la sua sposa Maria, perché il suo stato era opera dell'operazione dello Spirito Santo. Che Lei avrebbe messo al mondo un figlio, a cui egli avrebbe dato il nome di Gesù: che sarà lui a liberare il suo popolo dai suoi peccati, e che in questo mistero si sarebbe compiuta la profezia di Isaia, che dice: Una vergine concepirà e darà alla luce un figlio chiamato Emmanuele, che vuol dire Dio con noi ".

Si vede, dalle parole dell'Angelo, che il santo aveva lasciato la purissima sposa in ambasce, per cui, non appena si risvegliò, informato del Mistero che gli era stato rivelato, ed istruito dal fatto che la sua sposa era la Madre di Dio, egli si trovò diviso tra la gioia della sua felicità e della sua sorte insperata ed il dolore di aver fatto quello che aveva risoluto di fare. Egli rese grazie a Dio per il Mistero che gli era stato scoperto e per averlo fatto sposo di Colei ch'Egli aveva scelto per Madre, non meritando di essere suo servitore.

Il dubbio ed il turbamento ch'ebbe San Giuseppe gettarono, in lui. Le fondamenta di una profondissima umiltà, necessaria a colui cui era stata confidata la dispensa dei più alti consigli del Signore. Il ricordo di quello che era accaduto, gli servì di istruzione durante tutta la sua vita.

La felicità e la fedeltà di questo Santo furono incomparabili, non solamente perché egli aveva nella sua casa l'Arca vivente della Nuova Alleanza, ma perché egli la custodì come un servo fedele e prudente. Così il Signore lo costituì sulla sua famiglia, affinché ne avesse cura nel tempo convenevole, come un fedele dispensatore.

Ma come l'Arcangelo convinse Giuseppe? Ascoltiamo ed ammiriamo con quale sapienza egli parla: "Giuseppe, figlio di Davide - gli dice - non temere di prendere con te Maria, tua sposa".

L’angelo menziona dapprima Davide, da cui il Messia doveva nascere; e così calma di colpo tutti i suoi timori, facendogli tornare alla mente, citando il nome di uno dei suoi antenati, la promessa che Dio aveva fatta a tutto il popolo giudeo. Non solo, ma spiega anche perché lo chiama "figlio di Davide", con l'aggiungere le parole "non temere". Dio, attraverso l'Angelo, parla con infinita dolcezza: il "non temere” sta ad indicare che Giuseppe temeva di offendere Dio tenendo presso di sé una potenziale adultera. L'Angelo, cioé, vuol provare, e lo prova a sufficienza, che egli viene da parte di Dio e, dopo aver pronunciato il nome della Vergine, aggiunge "tua sposa", poiché questo titolo mai si sarebbe dato ad un'adultera. Il termine "sposa" sta, ovviamente, qui per "fidanzata".

"Prendere Maria", non indica altro che Giuseppe continui a tenere Maria nella sua casa, dicendogli in sostanza che é Dio che gliela dona, non già i suoi genitori. Egli gliela dona non per i soliti scopi del matrimonio, ma soltanto perché dimori con lui, unendola a Giuseppe per mezzo dell'Angelo stesso che gli parla. Ella èé ora affidata a Giuseppe, come più tardi, sotto la Croce, Cristo La affiderà al suo Discepolo prediletto, figura dell'intera umanità.

"Darà alla luce un figlio - continua Gabriele - e tu lo chiamerai Gesù" (Mt. 1, 21).

Infatti, gli spiega l'Arcangelo, sebbene questo fanciullo sia stato concepito dallo Spirito Santo, non credere per questo di essere dispensato dal prendertene cura e dal servirlo in ogni cosa. Sebbene tu sia estraneo al concepimento e sebbene Maria sia rimasta perfettamente Vergine, tuttavia io ti do il compito di un padre: il compito, cioè, di dare il nome al neonato. Sarai tu, infatti, che gli imporrai il nome e, sebbene egli non sia tuo figlio, tu gli dimostrerai l'affetto, proprio di un padre.

"Per questa ragione - conclude l'Arcangelo Gabriele - ti permetto di dargli il nome, per renderti subito familiare al Bambino".

Per evitare che ciò gli faccia credere che egli sia veramente il padre del bambino che sta per nascere, ascoltiamo con quanta precisione Gabriele gli parla. "Partorirà", egli dice; non dice: partorirà da te, ma dice genericamente che partorirà, in quanto la Vergine non ha partorito Gesù Cristo con Giuseppe e per Giuseppe, ma per tutti gli uomini.

Non dimentichiamo, infine, che nella descrizione della nascita di Gesù, si legge: "promessa ad un uomo, che si chiamava Giuseppe". Lo chiama dunque "uomo", ossia vir, per dire che egli è, non per essere marito, ma "uomo di virtù", nonché uomo di lei.

Egli doveva essere il "suo uomo", perché era necessario che tale egli fosse reputato; così come anche fu chiamato padre del salvatore, perché fosse creduto che lo fosse, ed infatti anche l'evangelista dice: "Gesù aveva quasi trent'anni ed era creduto figlio di Giuseppe" (Lc. 3, 23). Dunque, egli non era né marito della madre né padre del figlio, sebbene per una certa e necessaria disposizione, per un po' di tempo, tale fosse detto e creduto.

Questi è San Giuseppe, il Testimone cosciente della mantenuta Promessa, l'uomo al quale il Signore riconobbe poter affidare i suoi più grandi tesori, l'arcano segretissimo del suo cuore, ed a cui confidò i segreti della sua sapienza e non vuole che fosse all'oscuro del suo Mistero, mistero che a nessun principe o profeta fu mai rivelato; l'uomo al quale fu dato ciò che questi cercarono di vedere e non videro, di sentire e non sentirono. Solo a lui fu dato non solo di vederlo e di sentirlo, ma di portarlo in braccio, di allevarlo, di stringerlo al petto, di baciarlo, nutrirlo e vegliarlo.

La seconda volta l’angelo si presenta a Giuseppe per salvare la vita del bambino seriamente minacciata. I due santi sposi non erano in grado di sfuggire da soli alla furia di erode; anzi non erano neppure a conoscenza della terribile minaccia. Ma l’angelo si precipita da Giuseppe e lo chiama in sogno: “Sorgi! Prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto! Rimani colà sino al mio avviso! Erode infatti cerca il bambino per ucciderlo”. Egli si alzò che era ancora notte, prese il bambino e sua madre e se ne partì per l’Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode”.

Maria, “la donna fuggì con il bambino nel deserto”, guidata dall’affetto e dalla prudenza di Giuseppe, tutti e tre protetti “ dalle ali della grande aquila”. La fuga della sacra famiglia non sarà stata né comoda né facile. Anch’essa ha sofferto tutta la miseria dei profughi in lotta con la sabbia e col calore del deserto. Ciononostante l’angelo avrà fatto conoscere ai fuggitivi i pericoli, la meta e il tempo. Lo spirito celeste avrà dato loro la forza per cui nel loro animo non albergavano né timori esagerati né nervosismo.

L’ammonimento che l’angelo porta la terza volta, è assai più piacevole: “Morto Erode, ecco che l’angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe, che si trovava in Egitto, e disse: “Alzati! Prendi il bambino con sua madre e va nella terra d’Israele! Poiché sono morti coloro che volevano la vita del bambino. Egli si levò, prese il bambino con la madre e se ne partì per la terra d’Israele”. Gesù doveva rimanere in Egitto non più a lungo di quanto fosse necessario per la sua sicurezza. La scarsa conoscenza della bibbia, ha portato qualcuno dei circoli esoterici ad affermare che egli nei parecchi anni di soggiorno in Egitto, avesse imparato l’antica magia dei faraoni e l’abbia poi utilizzata per i suoi miracoli. In realtà egli si è fermato in Egitto non più di due anni e per giunta nella prima fanciullezza. Gesù doveva crescere nella terra d’ Israele, nella cornice geografica e spirituale della rivelazione dell’Antico Testamento: quale straniero venuto dall’Egitto non avrebbe potuto realizzare la sua missione.

E’ stato un angelo a provocare questa deviazione nella sua vita. L’ultima volta che l’angelo ammonitore appare è per vincere l’indecisione di Giuseppe sulla scelta della località del rimpatrio. Anche la Palestina ha i suoi pericoli. Erode era morto ma il figlio Archelao, avrebbe lo stesso soffocato nel sangue un neonato Re dei Giudei. Il vangelo afferma: “Allorché Giuseppe udì che Archelao era al posto di suo padre erode, ebbe timore di andarvi. Ricevette informazioni in sogno e passò nel territorio della Galilea, dove si stabilì in una città di nome Nazareth”. Nella Galilea, fuori dalle grandi strade di comunicazione, Gesù potè maturare nel silenzio e prepararsi alla sua missione divina. L’angelo ammonitore ha terminato il suo compito. A Nazareth la giovane vita del Messia è sufficientemente protetta da Maria e da Giuseppe.

Dal vangelo non conosciamo più alcun intervento angelico fino alla tentazione. Tuttavia è lecito pensare che anche in quel periodo un angelo speciale avrà steso le sue ali sul fanciullo. Quando Gesù più tardi si ricorderà in modo particolare degli angeli dei bambini (Mt 18,10), vorrà probabilmente esprimere un sentimento di gratitudine verso l’angelo, che con tanta cura aveva vigilato sulla sua infanzia, cioè l’angelo ammonitore. E’ curioso che l’angelo sia apparso a Giuseppe tutte quattro le volte in sogno.

A Zaccaria, a Maria ed ai pastori, si è presentato in forma percettibile ai sensi esterni. Una apparizione visibile sembra più sicura e meno soggetta a illusioni: tanto più che sempre è collegata ad una illuminazione interiore. A Giuseppe invece è apparso solo in sogno: ciò era per lui sufficiente e onorevole allo stesso tempo.

- don Marcello Stanzione - Zenit -

 
 
 

IL SANTO NATALE E LA LEZIONE DEL VILLAGGIO DI BEDDIPALLY

Post n°6490 pubblicato il 24 Dicembre 2011 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

In questi giorni, in tutte le chiese del mondo risuona la Buona Notizia che in duemila anni è sempre nuova: a Betlemme di Giuda è nato Gesù, il Messia, il Salvatore del mondo. Una parola di speranza, di ottimismo sul futuro, a tutti noi che viviamo in una situazione di crisi esistenziale, oltre che economica e morale: non sappiamo più perché viviamo, abbiamo perso il senso, il significato della vita. Siamo immersi in un pessimismo che ci angoscia, ci rende tristi, i nostri discorsi, i giornali e telegiornali diffondono questa atmosfera che tende alla morte.

In un libro dell’Antico Testamento, la Sapienza, c’è la profezia poetica del Natale di Gesù: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale discese in quella terra maledetta” (Sap 18,14-15). Parole forti e drammatiche. Il profondo silenzio e il buio della notte sono il mondo in cui viviamo, di cui tutti ci lamentiamo. Ecco la  Buona Notizia del Natale di Gesù, un lampo nel buio della notte. Dio si è fatto uomo per non lasciarci soli e ha deciso di essere sempre vicino alla nostra miseria per aiutarci.

Oggi dobbiamo ripartire dalla stalla di Betlemme. Il Natale ci invita a ritrovare la fede autentica delle persone semplici, dei pastori che accorrono all’annunzio degli angeli, dei Magi che vengono ad adorare Gesù da una terra lontana.
      
Nelle missioni, dove oggi nasce la Chiesa, si respira ancora questa atmosfera del primo Natale. Vi racconto uno dei tanti Natali che ho fatto in missione. Nel dicembre 1964 ero in India, nello stato di Andhra Pradesh dove dal 1855 lavorano i missionari del Pime. Un popolo a quel tempo molto povero, che soffriva ogni anno due-tre mesi di autentica carestia fra un  raccolto e l’altro. I paria erano ancora pesantemente discriminati nella società indiana (e un po' lo sono anche oggi!): vivevano in villaggetti separati, non potevano frequentare i mercati, i templi, i trasporti pubblici, le scuole. Non potevano sposare persone di casta e soprattutto erano praticamente schiavi dei proprietari di terre e dei saukar, gli strozzini delle campagne indiane, che imprestano riso o rupie col 100 per cento d'interesse annuo.

Oggi l'India ha fatto un buon cammino di sviluppo e di liberazione dei suoi poveri, ma all'inizio degli anni Sessanta le condizioni di vita dei paria erano davvero miserabili. Fra questi poveri l'inizio della redenzione sociale è venuta dalle missioni cristiane, che hanno introdotto la scuola per i paria, l'assistenza sanitaria, hanno creato cooperative, «banche del riso», assistenza legale per i contrasti di terre e varie altre istituzioni di sviluppo. Soprattutto, attraverso il Vangelo, hanno dato ai poveri una coscienza della loro dignità e della necessità di unirsi per ottenere il rispetto dei propri diritti. In queste regioni dell'Andhra Pradesh c'è stato e in parte c'è ancora un movimento di conversione dei paria alla fede cristiana, che rappresenta per loro una crescita sociale e l'ingresso in una comunità rispettata e che aiuta. Naturalmente questa conversione al cristianesimo, che avviene ma per interi villaggi, non è vista bene dagli indù proprietari di terre.

Nel dicembre 1964 ero in visita alla missione di Kammameth e il padre Augusto Colombo di Cantù (Corno) mi aveva preparato il villaggio paria di Beddipally da battezzare. Vi siamo andati un sabato mattino in tre missionari e quattro suore per la cerimonia del Battesimo, preparato da due anni di catecumenato. Il povero villaggio di capanne di paglia e di fango era in festa, i 162 paria raggianti di gioia: danze, canti, pifferi, flauti, tamburelli, festoni di carta colorata alle porte e alle finestre. E poi, naturalmente, il grande pranzo a base di riso e maiale arrostito, nella piazza, nella cappella che serve anche da sala comunitaria e sui prati vicini.

Torniamo a Kammameth la sera, contenti anche noi della cerimonia e della felicità di quei nuovi cristiani. Il pomeriggio del giorno dopo, domenica, giungono da Beddipally tre giovani in pianto: «Venite subito al villaggio», ci dicono, «là è successo il finimondo, ci sono anche feriti e abbiamo perso tutto». Vi andiamo con due jeep e troviamo il villaggio quasi distrutto, la gente piangente e disperata, alcuni feriti e molti acciaccati per le bastonate ricevute.

Era successo questo: gli indù dei villaggi vicini, gente di casta e proprietari terrieri, non avevano visto bene la conversione di Beddipally. Forse c'erano anche altri motivi di rancore, fatto sta che la domenica all'alba sono venuti armati di bastoni e hanno cominciato a bastonare tutti, uomini, donne, vecchi, bambini; poi hanno distrutto numerose capanne e sporcato i muri della cappella-sala comunitaria.

Mentre le suore curavano i feriti e distribuivano i primi aiuti, padre Colombo chiama i capi famiglia e dice loro che il giorno dopo sarebbe andato dal giudice a Kammameth a denunziare l'accaduto. Ma si sente rispondere: «Padre, noi non vogliamo nessuna vendetta. Tu ci hai detto che il Battesimo è il più grande dono di Dio e che la Croce è il segno di chi segue Gesù Cristo. Ecco, noi vogliamo soffrire qualcosa in silenzio per ringraziare Dio del Battesimo. Perciò non andare dal giudice, aiutaci e ricostruiremo tutto noi, ma senza chiedere punizione per i nostri persecutori. Non ci hai detto tu che dobbiamo perdonare le offese ricevute, come ha fatto Gesù?».

Il ricordo di quel giorno ancora mi commuove. Ho pensato tante volte: chissà se noi, cristiani d’Italia, con tutta la nostra scienza e teologia millenaria, avremmo la forza di perdonare come i giovani cristiani di Beddipally! Eppure lo diciamo tutti i giorni: «Perdona a noi i nostri debiti, come noi perdoniamo ai nostri debitori». Ecco la forza del Natale, vissuto come lo vivevano i primi cristiani e ancor oggi lo vivono in tante parti del mondo missionario, dove la Chiesa nasce nella persecuzione.

In Occidente noi cristiani siamo liberi di vivere e praticare la nostra fede, ma abbiamo perso l’entusiasmo della fede e il senso della “Rivoluzione dell’Amore”, portata dal Bambino Gesù nella storia dell’umanità. Auguro a tutti Buon Natale, chiedendo al Bambino di Betlemme di dare anche a noi la Grazia di ricevere lo Spirito Santo che trasformi in senso evangelico tutta la nostra vita.

- di Piero Gheddo - labussolaquotidiana.it -

 
 
 

E' PIU FELICE CHI CELEBRA L'ORIGINALE SIGNIFICATO CRISTIANO DEL NATALE!!!

Post n°6489 pubblicato il 24 Dicembre 2011 da diglilaverita
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Desideriamo inviare i migliori auguri di un S. Natale a tutti i lettori e alle loro famiglie, ricordando in modo un po’ originale una ricerca svolta nel dicembre 2003 da ricercatori dell’Università di Warwick, secondo i cui risultati «coloro che celebrano l’originale significato cristiano del Natale sono, nel complesso, più felici di quelli che celebrano le feste natalizie nel pieno spirito del consumismo», o di coloro che vogliono trasformarla in una  ”festa delle luci”.

Questo è l’augurio che facciamo, innanzitutto a noi stessi, ed è lo stesso che ha voluto fare Benedetto XVI pochi giorni fa, ovvero di andare al significato originale dei segni esteriori, le luci e i regali, per «celebrare un Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano». Festeggiare il Natale non è il ricordo di un evento passato, ma esso «rinnova la certezza che Dio è realmente presente in mezzo a noi, è vicino a noi. E noi possiamo incontrarlo oggi, in un presente che non ha tramonto».

Qui sotto un “Flash Mob” avvenuto a Redondo Beach (California) il 18/12/11, paradigmatico di come andrebbe vissuto il Natale: in mezzo ai bagliori e alla foga consumistica di un centro commerciale, un canto introduce l’arrivo di un Bimbo davanti al quale non si può che interrompere tutto, rimanere in silenzio e inginocchiarsi.

Dal Sito : www.uccronline.it - Unione Cattolici Razionali  -

 
 
 

IL PANCIONE DI MARIA:OGNI MAMMA SA COSA SIGNIFICA PORTARE "DENTRO" UN FIGLIO

Post n°6488 pubblicato il 24 Dicembre 2011 da diglilaverita
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Forse pensare un po' di più a quei nove mesi condivisi da Maria con tutte le madri della terra ci aiuterebbe a comprendere meglio, padri compresi, il mistero dell'Incarnazione. Conservo rari ricordi della mia infanzia, ma uno è là fisso nella memoria e si ripete a flash-back ad ogni Avvento...

Conservo rari ricordi della mia infanzia, ma uno è là fisso nella memoria e si ripete a flash-back ad ogni Avvento. Non avevo ancora tre anni e la nonna materna, di origini emiliane e maestra vecchio stampo, mi aveva condotto alla chiesa di Santa Maria dei Servi lungo Strada Maggiore a Bologna. Per una bimba in attesa, di lì a poco, della nascita di un fratellino, la vista di quel frammento di affresco sulla Madonna del parto, lungo l'ambulacro, è stata una sorpresa, così indovinata dal punto di vista pedagogico, che mi ha accompagnato negli anni. Non so a quanti bambini bolognesi abbia sortito lo stesso effetto, ma vi assicuro che l'immagine di Maria col pancione, alla stregua di ogni altra mamma del mondo, è quella che si è sempre sovrapposta alle altre. Anche a quella della Pietà di Michelangelo, che pure mi rappresenta il dolore straziante di quelle madri costrette, contro natura, a sopravvivere alla morte di un figlio.

Sono tornata volentieri più volte in quella sede, da grande, a contemplare il dipinto che parla da sé: la Bibbia deposta sulle ginocchia in attesa del Verbo e il germoglio nel vaso accanto a Maria. E il più bel regalo che ho ricevuto in occasione di un ritiro d'Avvento, da fidanzati, presso il monastero delle Serve di Maria ad Arco è stato proprio un cartoncino fatto dalle Sorelle con quell'immagine di Vitale da Bologna e la scritta "Viviamo ogni anno l'attesa antica, sperando ogni anno di nascere ancora, di darti carne e sangue e voce, così che da ogni corpo tu possa risplendere".

Se pure conosciuta come immagine, insieme ad altre successive molto meno austere, o a tante Madonne che allattano - più nel passato che ai giorni nostri, a dire il vero - non mi è mai sembrato che l'idea di Maria col pancione sia così diffusa, neppure fra le donne che dovrebbero esserle più vicine come sensibilità. Altre sono immagini, o concetti, della Madonna, che strillano in prima pagina, primo fra tutti la verginità. Eppure, almeno in occasione del Natale, è la maternità, meglio la gravidanza, che dovrebbe accompagnarci lungo i giorni che precedono l'avvenimento di Betlemme.

Un significativo proverbio dei berberi del deserto recita così: "Quando una donna ha in grembo suo figlio, il suo corpo è come una tenda quando soffia il ghibli". Nella Bibbia sono tante le espressioni che fanno riferimento ad una vita prenatale, peraltro sconosciuta nelle sue modalità. In testa il Salmo 139, 13.15 "Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra".

O alle gravidanze quasi parallele di Maria e della cugina Elisabetta, quando il bambino di lei sussulta in grembo al saluto di Maria che diventa "Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!".

E anche se crediamo a quel participio passivo, che definiscono "teologico", secondo cui si esprime la totale ed esclusiva iniziativa di Dio al momento dell'annunciazione, è profondamente significativo il pensare a quell'altrettanto totale formazione umana di Gesù, giorno dopo giorno, nell'utero di Maria esattamente come ogni altro bambino che viene alla luce sulla terra. Ed è questo che deve aver pensato la Chiesa delle origini - prima in Asia poi a Roma - quando, sovrapponendo la solennità del Natale alla festa preesistente del dio Sole (25 dicembre) e a quella delle strenne romane, ha poi retrodatato di nove mesi collocando al 25 marzo quella dell'annunciazione.

"La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo" sono le parole di Gesù raccontate da Giovanni (Gv, 16, 21).

Se alcuni mariologi nella storia erano arrivati ad escludere le doglie del parto e simili, perché non compatibili con Maria, io penso invece alla delusione di alcune mamme-amiche che affermano di non aver potuto viverlo fino in fondo per necessità di un cesareo.

Credo che non ci sarebbe miglior catechesi per i nostri bambini di quella che associa Maria col pancione a tutte le altre mamme in gravidanza. In alcune parrocchie si fa festa per quante sono in attesa di un figlio e si preparano ad un prossimo battesimo. In altre si suonano le campane quando nasce un bambino all'interno del proprio territorio, di qualunque credo sia la sua famiglia. Ma non sono ancora usanze diffuse.

Eppure "in nome del padre si inaugura il segno della croce, in nome della madre s'inaugura la vita", scrive Erri De Luca in quel bellissimo breve racconto sulla storia di Maria fra l'annunciazione e quella notte a Betlemme. Con le benpensanti che la dileggiano proprio per quel pancione e lei felice di "essere piena, crescere come la luna, contare le settimane come per il travaso del vino ...", con il cuore che canta di gioia insieme ad ogni fibra.

Ogni mamma sa cosa significa portare "dentro" un figlio, parlargli come se fosse già "fuori", ascoltare insieme una musica che può cullarlo, scandire i versi di una ninnananna. Mi chiedo se forse il pensare un po' di più a quei nove mesi condivisi da Maria con tutte le madri della terra non ci aiuterebbe a comprendere meglio, padri compresi, il mistero dell'Incarnazione. Che, al di là di ogni disputa teologica del passato, è la straordinaria avventura di un Dio che si è fatto completamente uomo e ha scelto di farsi carne nell'utero di una donna "sgusciato sano in mezzo all'acqua e al sangue".

"Dopo il tempo dell'attesa, adesso è il canto, la pienezza della gioia. L'Immacolata Donna ha dato al mondo Dio": è quello che canteremo alla messa della notte di Natale. Un bel canto di Daniele Ricci che nel ritornello recita: "E' nata la speranza". La speranza di ogni madre che porta un figlio per nove mesi. La speranza dell'umanità per un Dio, potenza del creato, signore dell'universo, che ha scelto di prendere corpo come un bambino fragile, uomo fra gli uomini, povero fra i poveri, emarginato e respinto fin dalla nascita. E la catechesi continua.

 - autore: Maria Teresa Pontara Pederiva - vinonuovo.it - donboscoland.it -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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