ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 21/01/2012

SANTO ROSARIO: IL TESTAMENTO DI SAN PIO DA PIETRALCINA

Post n°6617 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

San Pio da Pietrelcina è stato il Frate che più ha amato il Santo Rosario ed anche il Frate che più ha lottato contro le vessazioni del diavolo. Il motivo è dovuto alla recita di molte Corone del Rosario? Non solo per questo, anche se l’amore e l’attaccamento al Rosario lo aiutarono a diventare un grande Santo.

Il Cappuccino più seguito del mondo, Padre Pio, non solo ha parlato ed insegnato molto sul grande valore del Santo Rosario, ma è stato Lui stesso un vero maestro nella recita di questa potente preghiera. Padre Pio scoprì il grande valore del Rosario, dopo averne recitati centinaia. Quando non celebrava la Santa Messa, si vedeva questo grande uomo, sempre con la Corona in mano. Quante Corone ne recitava al giorno? Moltissime, perché si tratta di un uomo che scoprì il valore della preghiera, diventando Lui stesso preghiera, ma soprattutto, comprese chiaramente quale disegno aveva Gesù su Lui. E lo mise perfettamente in pratica. Nel suo ultimo insegnamento diceva a tutti i suoi figli spirituali: “Questo è il mio testamento e la mia eredità: amate e fate amare la Madonna, recitate e fate recitare il Rosario ogni giorno”.

Era così devoto e convinto dell’efficacia, che diceva: “Il Rosario è la sintesi della nostra Fede, l’esplosione del nostro amore, il sostegno della nostra speranza”.

Padre Pio da Pietrelcina, amò solennemente il Rosario, insegnava sempre ai figli spirituali l’assidua recita del Rosario: “La Corona è un’Arma potentissima per mettere in fuga il demonio, per superare le tentazioni, per vincere il Cuore di Dio, per ottenere Grazie dalla Madonna. Amate e fate amare la Madonna. Pregate e fate pregare il Rosario. Questo è il mio testamento spirituale”.

La santità non si improvvisa, nessuno è nato perfetto e ogni Santo lo è diventato per un cammino fatto di preghiere, rinunce e penitenze. Oggi ci sono pochi Santi, perché si prega molto poco, non si è più in grado di rinunciare a qualcosa, non si fanno penitenze. Se questa è la strada indicata da Gesù e che tutti coloro che l’hanno percorsa sono stati esaltati ad una santità eccelsa, non percorrendola si rimarrà sempre in uno stato spirituale molto imperfetto.

I carismi che Padre Pio ricevette, furono il premio che Dio dona alle anime che si dispongono a riceverli. Se Dio decide di dare certi carismi ad un’anima, aiuta e incoraggia quell’anima a compiere un determinato cammino di purificazione per prepararsi interiormente a ricevere quei carismi.

Padre Pio ricevette le stimmate, che lo resero una copia visibile di Gesù e manifestarono l’unione trasformante del Cappuccino con Gesù. Le stimmate sono il sigillo dato da Gesù alle anime che vogliono partecipare alla sua Passione, quindi, anime che vivono per espiare i peccati. Oltre le stimmate, Padre Pio aveva ricevuto il dono della bilocazione, il profumo che emanava, la scrutazione dei cuori. Doni non comuni, che manifestavano la santità di Padre Pio. Ma il Cappuccino fu fortemente aiutato e sostenuto nel cammino di santità, dalla recita giornaliera del Santo Rosario.

Ho toccato l’argomento dei carismi, per indicare che lui vi è arrivato solamente per la presenza della Madonna nella sua vita, come indica la Chiesa ad ogni credente e come l’esperienza e la testimonianza di tutti i Santi confermano. La Madonna lo aiutò particolarmente nel suo cammino, perché la docilità di Padre Pio fu ineguagliabile. Lui aveva capito bene a quale compito era chiamato da Gesù, e solo la vicinanza alla Madonna poteva trasfigurarlo in Gesù. Solo Lei poteva fare con Padre Pio, quanto fece con Gesù. 

Se la Madonna è insostituibile nel cammino di santità, Padre Pio ricorse a Lei con la recita di innumerevoli Corone del Rosario, durante la sua formazione al sacerdozio. Non erano solamente le Corone che recitava a sostenerlo nel cammino, ma le Corone recitate con disposizioni interiori eccellenti ed una vita cristiana e francescana molto coerente, portarono Padre Pio a salire di gradino in gradino verso la più alta santità.

Lui ha sempre sostenuto, che solamente il ricorso alla Madonna per mezzo del grande numero di Corone del Rosario che recitava, gli ha assicurato la pace, la forza, la docilità in tutti i travagliati momenti di persecuzione ed incomprensione che visse. Davanti Gesù Eucaristia adorava, ringraziava, parlava e si sfogava, ma la Corona del Rosario era sempre in mano, per pregare in ogni momento che trovava libero.

Padre Pio era insaziabile nella recita del Rosario, e se da una parte possiamo chiamarlo un particolare dono, dall’altra parte comprendiamo che lui intuì quanto fosse potente il Rosario. Comprese che questa è la preghiera più gradita alla Madonna, la preghiera che viene recitata a Maria, con Maria e per Maria.

La devozione a Maria Santissima è una delle componenti essenziali della spiritualità di Padre Pio. È uno dei Santi che più ha meditato le grandezze di Maria ed ha vissuto alla scuola di Lei, lasciandosi formare dalla Maestra di perfezione e dei Santi.

Nell’Epistolario di Padre Pio si trovano molti scritti sulla Madonna, molte invocazioni a Lei, molti ricordi di riconoscenza alla Madonna. Si rivolge a Lei con vari titoli e assai significativi: cara Mammina, bella Mammina, dilettissima Madre, Santissima Madre, bella Vergine Maria, benedetta Madre, tenera Madre, tenerissima Madre, celeste Mammina, Consolatrice, Regina dei martiri. Sono invocazioni ricolmi di gratitudine verso la sua principale Guida spirituale, Colei che con pazienza e fermezza lo condusse ad altezze meravigliose e straordinarie di santità.

Padre Pio si commuoveva quasi sempre quando pensava a tutti gli aiuti ricevuti e alla tenerezza che la Madonna usava verso di lui. Nei suoi scritti dichiara che tutte le insidie diaboliche, le ha vinte per Grazia di Maria, rimanendo unito a Maria. E più lui prendeva consapevolezza di ciò che gli donava Maria e di quanto gli chiedeva, più aumentava le Corone del Santo Rosario, fino a recitarne al giorno decine e decine. Moltissime ogni giorno. Era il continuo ringraziamento di Padre Pio alla Madonna, perché con il Rosario lui ininterrottamente ringraziava la Madonna.

A chi gli chiedeva per quale motivo recitava tutte quelle Corone del Rosario ogni giorno, con semplicità rispondeva: “La Madonna ha detto a Fatima che bisogna recitare ogni giorno il Santo Rosario, e l’ha ripetuto diverse volte. Se la Madonna ha chiesto il Rosario con insistenza, vuol dire che bisogna recitarne molte ogni giorno”. È la risposta dell’uomo di Fede, di chi ha compreso il suo ruolo in questa terra, di chi non vuole risparmiarsi per obbedire a Gesù e a sua Madre.

“Vorrei avere una voce sì forte per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna. Ma poiché ciò non è in mio potere, ho pregato il mio angiolino a compiere per me questo ufficio”, scriveva il Padre nei momenti in cui pensava alla materna bontà della Madonna e al cuore indurito dei peccatori.

Trascrivo alcuni pensieri dall’Epistolario del Padre: «Quando si passa dinanzi a una immagine della Madonna bisogna dire: “Ti saluto, o Maria. Saluta Gesù da parte mia”»; “Mammina bella, Mammina cara, sì sei bella. Se non ci fosse la Fede, gli uomini ti direbbero dea. Gli occhi tuoi sono più risplendenti del sole; sei bella Mammina”; “O Maria, Mamma dolcissima dei Sacerdoti, Mediatrice e Dispensatrice di tutte le Grazie, dal profondo del mio cuore ti prego, ti supplico e ti scongiuro a ringraziare oggi, domani, sempre, Gesù il frutto benedetto del tuo seno”; “Maria ti converta in gioia tutti i dolori della vita”; “Maria sia tutta la ragione della tua esistenza e ti guidi al porto sicuro della eterna salute. Essa ti sia di dolce modello ed ispiratrice nella virtù della santa umiltà”; “Questa cara Mammina seguita a prestarmi premurosamente le sue materne cure, specialmente in questo mese. Le cure di Lei verso me toccano la ricercatezza… Che cosa ho io fatto per aver meritato tanta squisitezza?”; “Colei che entrò nel mondo senza macchia ci ottenga dal suo Figlio la Grazia di uscire da questo mondo senza colpa”.

Però, non è facile uscirne totalmente puri, per cui, bisogna purificarsi nel Purgatorio.

Padre Pio non pregava di continuo solo per coloro che chiedevano Grazie alla Madonna, o per la conversione dei peccatori, ma anche per le Anime del Purgatorio. Oltre la Via Crucis quotidiana che faceva alle volte anche di notte per aiutare le Anime dei defunti, dedicava ogni giorno a coloro che si purificano ancora nel Purgatorio, numerose Corone del Rosario. Aveva già offerto la sua vita, accettando su di sé le sofferenze che toccavano a coloro che avevano lasciato questo mondo, senza quella purificazione necessaria per entrare direttamente in Paradiso.

Oltre Padre Pio, c’è stato il Beato Giovanni Massias grande devoto delle Anime del Purgatorio, tanto che recitava decine e decine di Corone del Rosario ogni giorno per la loro liberazione dal Purgatorio. Sul letto di morte gli apparve la Madonna e gli disse che per la sua incessante recita del Rosario, egli aveva liberato dal Purgatorio un milione e quattrocentomila Anime.

Per mezzo del Rosario quanto beneficio ne hanno anche le Anime Sante del Purgatorio. Quante Anime -forse anche persone a te care- aspettano con ansia che si reciti il Rosario e così lasciare il fuoco del Purgatorio ed andare in Paradiso, nella Gloria eterna? Ogni Ave Maria recitata per loro è una diminuzione di pene, quindi, ad ogni Ave Maria ricevono tanto refrigerio e ti sono molto grate. Recita ogni giorno una Corona del Santo Rosario per le Anime del Purgatorio, e prega ogni giorno sempre per le intenzioni della Madonna.

 - di Padre Giulio Maria Scozzaro - gesuemaria.it/i-nostri-libri.htm -

 
 
 

PERCHE' IL MATRIMONIO E' SACRAMENTO?

Post n°6616 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Perchè la Chiesa ha dato al matrimonio la dignità del Sacramento? Che c’entra la teologia con il rapporto sponsale tra uomo e donna? In che modo le relazioni tra familiari rientrano in un discorso sacramentale?

A queste ed altre domande ha voluto rispondere Carlo Rocchetta con il libro “Teologia della famiglia. Fondamenti e prospettive” pubblicato dalla EDB di Bologna.

Carlo Rocchetta è stato docente di Sacramentaria alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e alla Facoltà teologica di Firenze, è socio fondatore della Società italiana per la ricerca teologica (SIRT) e dell'International Academy for Marital Spirituality (Intams) con sede a Bruxelles.

Autore di un numero impressionate di libri e saggi è docente all'Istituto teologico di Assisi e presso le EDB dirige la collana «Corso di teologia sistematica».

Come nasce questo ampio testo sulla teologia della famiglia?

Rocchetta: Dopo più trent’anni d’insegnamento, vivo e opero da oltre un decennio in un Centro Familiare, con una comunità di coniugi, a servizio delle coppie e specialmente di quelle in difficoltà1, e non desidero altro che contribuire - nel mio piccolo – alla proclamazione del progetto di Dio sulla famiglia e all’animazione di una pastorale familiare adeguata alle complesse situazioni odierne. Lo studio si colloca in questo ambito. Sarò felice - e ringrazio fin d’ora Dio - se il volume, frutto di un lungo percorso d’indagine e d’impegno quotidiano con gli sposi e i loro figli, potrà rappresentare un contributo concreto alla riflessione teologica sulla famiglia. Non ho la pretesa – e ne sono ben cosciente - di aver elaborato col mio volume una verifica esaustiva del tema; mi basta averne individuato i fondamenti e le prospettive di fondo, non indulgendo su questioni meramente speculative; fondamenti e prospettive che spero possano rappresentare un itinerario utile per l’oggi della comunità cristiana e la sua missione, a servizio della famiglia e della sua evangelizzazione

In che senso si può parlare di “teologia della famiglia”?

Rocchetta: La dizione “teologia della famiglia” non vanta una lunga storia; risulta anzi piuttosto recente. Fino alla prima metà del XX secolo si usava quasi solo quella di “teologia del matrimonio”. La famiglia era considerata più come una realtà di ordine sociologico, morale o giuridico che propriamente dogmatico. Non esiste, a tutt’oggi, una sintesi organica e sufficientemente articolata di teologia della famiglia. Gli apporti pionieristici, pur meritevoli, si limitavano a combinare tematiche antropologiche con preoccupazioni etiche. Due limiti di fondo sembrano permanere a livello dogmatico: 1°. la teologia continua ad analizzare il matrimonio più nell’atto della sua nascita (in fieri) che nella sua permanenza come comunità sacramentale (in factum esse), insistendo sulla costituzione del sacramento piuttosto che sul sacramento costituito; 2°. la comunità familiare viene pensata più come un allargamento dell’identità della coppia che come una comunione nuziale di persone: comunità di vita e di amore indirizzata a diventare, in forza dell’evento celebrato, comunità di grazia e di salvezza per gli sposi e i figli, “piccola Chiesa” nella grande Chiesa.

Quale l’attualità del suo testo?

Rocchetta: L’attualità emerge dalle sfide che si pongono oggi alla famiglia. Da anni è sempre più accentuata la tendenza a parlare più di “famiglie” che di “famiglia”, quasi che “la” famiglia al singolare non esista più o sia comunque destinata a scomparire, in nome di una pluralità di aggregazioni molto differenziate tra loro, variamente qualificate. Il fenomeno non si presenta come un dato marginale o limitato, ma come sempre più diffuso a livello nazionale e mondiale. A quali esiti può condurre un fenomeno di questo genere? Esiste un’idea comune di famiglia, al di là delle variabili legate alle singole culture o epoche? Come rispondere alle nuove istanze? Quale contributo la teologia è in grado di fornire per motivare la visione cristiana del matrimonio e della famiglia? Sono interrogativi complessi, legati anche a scienze umane come l’etnografia, l’antropologia culturale, la sociologia, la biologia, ma su cui occorre soffermarsi, liberi da pregiudizi ideologici siano essi di stampo marxista o neoliberista, strutturalista o scientista. Il testo “Teologia della famiglia” intende rispondere a questi interrogativi, fornendo una quadro di antropologia teologica e di indigine biblico-storico-dogmatica il più possibile adeguata alle nuove sfide.

Qual è il filo rosso che lega in unità le sei parti del volume?

Rocchetta: Il filo rosso è fornito da una parola chiave di tutta la mia ricerca teologica: la parola “tenerezza”. Dio è tenerezza e col dono della grazia salvifica trasforma la tenerezza dell'uomo e della donna in tenerezza teologale. In tesa in questa ottica, la tenerezza trova il suo centro e il suo nucleo portante nella coppia/ famiglia ed è indirizzata ad allargarsi a cerchi concentrici sempre più ampi, passando per le singole persone, le mini- e macro-aggregazioni, per giungere fino all'organizzazione della vita dei popoli e del “villaggio globale”. Il problema è di essere educati alla tenerezza. Se infatti la tenerezza costituisce una qualità inscritta in ognuno di noi fin dalla nascita, essa rischia di ritrarsi nelle parti più nascoste di noi stessi, fino ad essere sostituita con attitudini esattamente contrarie come la rigidità, la durezza di cuore e l’egoismo.

Approfondire questo orizzonte - oltre a porre in luce una dimensione costitutiva del progetto di Dio - risponde all’emergenza di quel “consumismo degli affetti” imperante nella nostra cultura e dice come senza una matura affettività la famiglia non possa edificarsi come comunione di persone e realizzare la sua identità. Le crisi della coppia, il fallimento di tanti matrimoni e gli stessi disturbi di tanti giovani non hanno forse origine da questo vuoto? Solo la tenerezza come maturità affettiva edifica la comunità familiare come comunità di vita e prima comunità educante. Quanti compongono la famiglia sono chiamati ad andare a scuola di tenerezza, superando ogni forma di analfabetismo in questo campo e imparando ad arricchirsi reciprocamente dei talenti di cui ognuno è portatore, per costruire, insieme, un “noi”, una famiglia che si offra come “casa di tenerezza” per tutti, compresa la comunità ecclesiale e la società.

Lei parla di famiglia come comunità della tenerezza di Dio. Può spiegarsi?

Rocchetta: Non è comune, in teologia, qualificare la famiglia come comunità di tenerezza. E’ frequente la definizione di famiglia come “comunità di amore”, ma non è esattamente la stessa cosa. La tenerezza costituisce il páthos dell’amore e - come si avrà modo di verificare - mette in evidenza un sentire affettivo che solo indirettamente è contemplato dalla categoria di “amore”. Naturalmente “amore” e “tenerezza” si intrecciano e non possono stare l’uno senza l’altra, ma formalmente si distinguono. La prospettiva della comunità familiare come “comunità di tenerezza” non è solo suggestiva, ma essenziale, e rappresenta uno sviluppo ulteriore per una piena comprensione teologica della famiglia. I motivi dello scarso sviluppo della prospettiva sono molteplici. Uno risiede nel confondere il termine “tenerezza” con un vago sentimentalismo romantico, riducibile a sdolcinature o ad un’attitudine emotiva epidermica; ma non è così: il sentimento della tenerezza, se bene inteso, rappresenta un sentimento forte, non debole, e coincide con la maturità affettiva, e suppone il superamento di ogni forma di superficialità. Un secondo motivo è dato dal ritardo con cui il pensiero cristiano ha affrontato la teologia dei sentimenti; ritardo derivante, tra i tanti fattori, dall’influsso di un medio-platonismo in base a cui tutto ciò che riguardava la corporeità, i sensi e la sensibilità, sarebbe stato di livello inferiore rispetto alla pura spiritualità. Una visione dualista che ha influito più di quanto si pensi sull’acquisizione di una riflessione cristiana in grado di leggere la famiglia come comunità affettiva, con l’assunzione del sentimento della tenerezza quale anima e struttura portante della comunione nuziale che fonda la famiglia. Come un microsistema relazionale, la comunità familiare infatti non nasce, non si edifica e non può durare che sulla base di una concreta, autentica e matura relazione di affetto tra gli sposi, i genitori e i figli.
 - di Britta Dörre - Zenit -

* 1 La comunità è denominata “Centro Familiare Casa della Tenerezza”, con sede a Perugia; per ulteriori informazioni, si veda il sito internet: www.casadellatenerezza.it.

 
 
 

SILENZIO: PARLA “L’ILLUMINATA E DOTTISSIMA” CONCITA DE GREGORIO

Post n°6615 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Siamo alle solite. “Loro” gli esperti, quelli che hanno studiato, i critici d’arte della prima e dell’ultima ora, le menti libere, liberate e illuminate. “Gli altri” (e cioè tutti coloro che non sono in linea con il politically correct e con il pensiero unico et dominante et pervasivo) integralisti e indottrinati; ignoranti che parlano a vanvera di ciò che non sanno. Popolino credulone, insomma. Da guardare con sufficienza dall’alto al basso. Questa però ci mancava. Essere considerati succubi della “censura vaticana a priori”.
E’ così che Concita De Gregorio, in un paginone di Repubblica, oggi liquida “le migliaia di persone che sui blog e sui siti integralisti cattolici scrivono (…) certo per sentito dire, o per aver forse visto su YouTube un frammento dello spettacolo andato in scena ad Avignone”. Per la dottissima, allamodissima, illuminatissima Concita, che – lei sì! – ha assistito, nel 2010, allo spettacolo presso le Officine Marconi della Romanina (periferia sud est della capitale), le migliaia di persone che in vario modo trovano discutibile e/o blasfemo lo spettacolo di Castellucci sono tutte vittime (inconsapevoli perché evidentemente, scontatamente decerebrate) della “censura vaticana a priori”.
E allora – bontà sua – eccolo il pistolotto che per trequarti di paginone (dopo una colonna intera ad ironizzare su chi-parla-per-sentito-dire) propina ai discepoli di Repubblica per spiegare lei, bene, scena per scena e una volta per tutte, il contenuto dell’intero spettacolo, che a questo punto mi verrebbe da dire che, a prescindere, davvero non ha più senso andare a vedere: l’ha raccontato in ogni dettaglio (fetore iperrealista compreso)!
Peccato che la poco informata sia lei. Scrive che la scena dei bambini che lanciano granate sul volto del Cristo di Antonello da Messina “non convinceva il regista ed è stata soppressa”. Forse Concita non sa che Castellucci ha tenuto a specificare più volte che in alcuni teatri, per questioni puramente tecniche, non è stato possibile e non sarà possibile proporre quella parte di spettacolo. Mai ha detto che la scena non lo convince, anzi! Per spiegare al popolino (incolto) il significato simbolico, profondo, psicanalitico, scatologico ed escatologico, dadaista e metafisico della scena, il regista ha specificato che si tratta di “un gesto innocente portato da innocenti”, mentre sedicenti esperti ipotizzano che quei ragazzini sul palcoscenico starebbero a significare come siano altri ad armarli e a far loro compiere gesti che non vorrebbero. Questo abbiamo letto sulla parte di spettacolo soppressa a Roma e a Milano. Questo ed altre cervellotiche corbellerie simili…
Scena non solo innocente ed innocua, dunque, per il regista Castellucci e per i critici à la page, ma addirittura “chiave”, per comprendere appieno il senso (?) della sua pièce. Un vero peccato non poterla proporre ovunque. Altro che “poco convinto”!
Quindi siamo alle solite. Mezze verità e mezze bugie e il pifferaio magico (questa volta al femminile) che suona e canta la sua canzonetta nell’intento di chiamare a teatro più gente possibile. Venghino, signori, venghino…
Ma siccome le parole hanno (ancora) un senso (opinabile, certo, nella melma del relativismo in cui da tempo siamo impantanati – anche, ahimé, all’interno del mondo cattolico – per cui l’opera di Castellucci mò è definita discutibile, mò arte d’avanguardia, mò blasfema, mò messa in scena della Passione e del Calvario, mò sperimentazione, mò, addirittura, “preghiera”…), siccome, dicevo, le parole qualcosa, ancora, vogliono dire, ecco come racconta l’opera la giornalista di Repubblica, che con i suoi occhi l’ha vista e con le sue narici l’ha odorata.
Il figlio, in scena “accudisce il padre con quel misto di amore e rabbia, compassione e collera, pietà e abnegazione che molto bene conosce chiunque abbia mondato gli escrementi di un genitore condannato dalla vecchiaia alla perdita di dignità. (…) Tutto è molto realistico e al contempo insopportabile. Quotidiano e atroce”. Parole sue.
Stamattina alle quattro è morta una mia amica, una mia coetanea. Tumore al cervello. Chi l’ha accudita, chi l’ha seguita in questi ultimi mesi mai l’ha guardata come “condannata alla perdita di dignità”. Non era vecchia ed aveva bisogno di essere aiutata in tutto. Come una bambina. Ma è sempre stata la moglie, la mamma, la figlia, la sorella, la zia, l’amica che era. Per tutti. E il suo lento e consapevole accostarsi alla morte, dignitosissimo, è stato d’esempio per tutti.
Chi l’ha detto, Concita, che i vecchi e i malati sono “condannati alla perdità di dignità”? Lo dice lei, lo dice questo spettacolo, lo dice la kultura che il suo e troppi giornali come il suo spacciano come verità inconfutabile. (E poi uno si chiede come sia possibile che, per una depressione, un uomo salga su un treno, solo come un cane, direzione Pfafficon, venti chilometri da Zurigo, per recarsi alla casa blu di Barzloostrasse, iniettarsi 15 grammi di pentobarbital di sodio, sciolto in 60 centilitri d’acqua; pochi minuti di sonno, coma profondo e… via).
Che idea della vita può dare questo spettacolo, questa giornalista che scrive “tutto è molto realistico e al contempo insopportabile. Quotidiano e atroce”? Se le parole hanno un significato e non servono solo a riempire spazi bianchi, gli aggettivi “insopportabile” ed “atroce” la dicono lunga, anzi corta, perché sbattono la porta in faccia ad ogni spiraglio di umana speranza!
Ma non è finita. Cioè sì, per la giornalista la vicenda si conclude qui. Per lei.
Così infatti scrive: “Fine dello spettacolo. Il quale senza nessun dubbio è un lavoro, che può piacere o non piacere, sul tema della misericordia e della passione, sul mistero doloroso della vita, sulle domande che non hanno risposta, sui figli che pagano le colpe dei padri”.
Con ordine: ammesso che la punteggiatura abbia un senso, la De Gregorio, democratica e tollerante, mette per inciso che l’opera può piacere o anche no, ma nell’ottica del pensiero unico che, per la sua storia, ha inscritto nel DNA, diventa categorica (e non più relativista) quando scrive che “senza nessun dubbio” lo spettacolo è questo, quello e anche quell’altro. L’arcinoto giochetto del “dubito ergo sum ad intermittenza”, nel quale, abilissimi, si muovono i giornalisti d’oggi. Scetticismo ad oltranza quando serve, e diktat quando si chiama a raccolta il popolino pro o contro qualcosa o qualcuno. Pratica talmente diffusa che non servono esempi.
Volesse, poi, cortesemente, l’illuminata, spiegare a noi comuni mortali perché dà per scontato che “le domande non hanno risposta” e come dal “pulire le feci del padre” si passi al “pagare le colpe dei padri” sarebbe un gran bel regalo. Siccome probabilmente l’ex direttrice de l’Unità ritiene che le masse non potrebbero capire (o forse teme che, più intelligenti di quanto non creda, magari non condividerebbero…), glissa e va oltre.
Va direttamente, e senza scorciatoie, alla “censura vaticana a priori” che, si sa, di questi tempi è una frase che si può appiccicare ovunque, perché accontenta tutti. Persino molti sedicenti cattolici che, per un inspiegabile senso di inferiorità e per sentirsi “come gli altri”, in questi giorni impazzano impazziti nella rete, proponendo, a giustificazione della pièce, le ipotesi di lettura più astruse, dimostrando non solo di non saper discernere ciò che è “bello” da ciò che bellezza (nel senso più profondo del termine) non è, ma anche di non avere nemmeno più “naso”. Letteralmente. -  Da un articolo di Saro Luisella - CulturaCattolica -

 
 
 

LA DECISIONE DI ENTRARE IN UN CONVENTO DI CLAUSURA VISTA DAI GENITORI: E SE FOSSE VOSTRA FIGLIA?

Post n°6614 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

«Mamma, papà, devo dirvi una cosa»

Mariangela Pozzi stava lavando i piatti, era gennaio di quattro anni fa. «Ho deciso di entrare in convento». Paola aveva 22 anni, faceva l’Accademia di Belle arti a Como, aveva dato tutti gli esami. «Siamo ammutoliti. Le abbiamo chiesto se ci aveva pensato bene. Abbiamo posto solo una condizione: che discutesse la tesi». Così è stato. Adesso la figlia è diventata suor Paola, vive nel Monastero domenicano di Pratovecchio, in clausura, e tra due anni potrà pronunciare la professione definitiva.

Nell’epoca del laicismo assoluto, dominato dal fare e dell’avere, crea sconcerto una vocazione religiosa in famiglia. Mariangela prova a spiegare il suo smarrimento: «Paola è sempre stata vivacissima, spensierata, le piaceva viaggiare. Non è che la vedessi sposata. Ma la vedevo “libera”. Il punto è che l’amore umano si capisce, quello spirituale no. Quando però ha fatto la sua professione temporanea aveva un sorriso così bello, luminoso, che se fingeva di essere contenta, fingeva proprio bene».

A spiazzare i genitori, oggi, è l’età in cui si manifesta il desiderio di prendere i voti. «Siamo diciannove “sorelle”, dai 26 ai 98 anni: due hanno 31 anni, una 37, una 39, una 41 e poi si sale. L’ultima a entrare era avvocato e il fratello, anche lui legale, alla prima telefonata le ha raccomandato di non firmare nulla!», scherza suor Giovanna, la «maestra» del monastero di Pratovecchio, cioè responsabile delle giovani in formazione. Lei entrò a 25 anni, da segretaria d’azienda.

«Molti vedono la clausura come chiusura, mentre per noi è un mezzo, non il fine. Un padre e una madre stanno male perché per loro carriera e ambizioni sono messe in un pacco e buttate via. Magari era pronto l’abito nuziale. Ogni incomprensione poi però si ricompone».

Così è successo a Diego Nava, 72 anni di Reggio Calabria, che quando la primogenita esordì «papà ti devo dire una cosa», le disse che lo considerava un «tradimento» verso di lui. «Bravissima a scuola, maturità classica, laurea in Scienze biologiche e specializzazione in Patologia clinica con il massimo dei voti: insomma, per me fu uno choc». Superato.

Non sempre va così bene. Ricorda Mariateresa Zattoni, consulente familiare e docente all’Istituto Giovanni Paolo II:

 «Un padre per cinque anni non volle rivolgere la parola alla figlia. Era un piccolo industriale e quell’unica femmina, con la sua laurea in Economia, era perfetta per diventare amministratrice dell’azienda di famiglia. Si sono ritrovati quando lui si è ammalato di cancro e lei per tre mesi, gli ultimi, lo ha assistito in ospedale ogni notte. Le disse infine: “Non ti conoscevo così”».

Curiosamente, i più cattolici sono quelli che vivono con maggiore disorientamento la scelta del figlio. «È un paradosso. Una madre catechista incoraggiò il figlio ad andare prima dallo psicologo, altri si sono informati sui rapporti con le ragazze, come fosse quello il problema. Insomma, ho visto totale impreparazione dove era meno prevedibile», spiega don Mario Aversano, rettore del seminario propedeutico diocesano di Torino. «In alcuni casi l’opposizione dei genitori assume un peso talmente forte da far procrastinare la decisione o addirittura annullarla».

Don Carmine Ladogana per undici anni ha guidato il seminario diocesano di Cerignola-Ascoli Satriano. Una vocazione adulta, la sua. «Lavoravo in Regione Puglia. Mio padre disse che me ne sarei potuto pentire. La preoccupazione sua, e di tanti genitori qui al Sud, è il celibato. Temono la solitudine. Ho sentito le stesse persone che consideravano in astratto una benedizione avere un figlio sacerdote poi disperarsi: “Proprio a me il Padreterno doveva togliermelo!”».

«I miei sono stati perplessi, ma gli riconosco di non aver provato a farmi cambiare idea. E sì che non ho lasciato molto tempo per abituarsi. A luglio 2005 mi sono laureato in Scienze della comunicazione, e già collaboravo con una radio privata; a settembre ho detto che sarei entrato in seminario; a ottobre ero lì», sintetizza don Daniele Antonello, 31 anni, viceparroco a Manzano (Udine).

Nel 2009 in Italia sono stati ordinati 405 nuovi sacerdoti, sette in più rispetto al 2008. Don Massimo Camisasca, da 27 anni rettore al San Carlo di Roma, ha avuto circa 200 studenti, la metà è diventata sacerdote. «Sono generazioni molto diverse, è come se fossero passati 200 anni. La prima reazione in casa è lo sconcerto, ed è naturale, ci sono tante aspettative su un figlio, magari unico, lo hanno visto laurearsi, portare a casa la fidanzata. Non sono assenti i ricatti affettivi, soprattutto da parte delle madri. Ma infine quando vedono il figlio contento e realizzato si placa tutto».

E voi cosa ne pensate? Se vostra figlia o vostro figlio volessero seguire una vocazione religiosa come reagireste?

di Elvira Serra- 27corriere.ora.it - newsletter@gesuemaria.it -

 
 
 

LA VEGGENTE VICKA: RICORDIAMO COSA RACCOMANDA LA REGINA DELLA PACE A TUTTI NOI

Post n°6613 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da diglilaverita
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VICKA intrattenendosi con i pellegrini a Medjugorje [...] ha detto: i messaggi principali che la Madonna dice per noi sono: PREGHIERA, PACE, CONVERSIONE, CONFESSIONE, DIGIUNO. La Madonna raccomanda che noi digiuniamo due volte la settimana: mercoledì e venerdì, a pane e acqua. Poi desidera che noi preghiamo ogni giorno le tre parti del Rosario. Una cosa più bella che la Madonna raccomanda è pregare per la nostra forte fede. Quando la Madonna raccomanda di pregare non intende solo dire parole con la bocca, ma che ogni giorno, piano piano, apriamo il nostro cuore alla preghiera e così noi preghiamo “col cuore”. Ella ci ha dato un bellissimo esempio: voi nelle vostre case avete una pianta di fiore; ogni giorno mettete un po’ di acqua e quel fiore diventa una bella rosa. Così avviene nel nostro cuore: se noi ogni giorno mettiamo una piccola preghiera, il nostro cuore cresce come quel fiore… E se per due o tre giorni non mettiamo l’acqua, vediamo che esso appassisce, come se non esistesse più. La Madonna ci dice anche: a volte diciamo, quando è il momento di pregare, che siamo stanchi e pregheremo domani; ma poi viene domani e dopodomani e allontaniamo il nostro cuore dalla preghiera per rivolgerlo ad altri interessi. Ma come un fiore non può vivere senza acqua, così noi non possiamo vivere senza grazia di Dio. Dice pure: la preghiera col cuore non si può studiare, non si può leggere: la si può solo vivere, giorno per giorno per andare avanti nel cammino della vita di grazia.

A proposito del digiuno dice: quando una persona sta male, non deve fare digiuno a pane e acqua, ma fare solo qualche piccolo sacrificio. Ma una persona che sta bene in salute e dice che non può fare digiuno perché le viene il capogiro, sappia che se si fa digiuno “per amore di Dio e della Madonna” non ci saranno problemi: basta la buona volontà. La Madonna vuole la nostra completa conversione e dice: Cari figli, quando avete un problema o una malattia, voi pensate che io e Gesù stiamo lontani da voi: no, noi stiamo sempre vicino a voi! Voi aprite il vostro cuore e vedrete quanto amiamo tutti voi! La Madonna è contenta quando facciamo piccoli sacrifici, ma è ancor più contenta quando noi non pecchiamo più e abbandoniamo i nostri peccati. E dice: io vi do la mia Pace, il mio Amore e voi portateli alle vostre famiglie e ai vostri amici e portate la mia benedizione; io prego per tutti voi! E ancora: Io sono molto contenta quando nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità pregate il Rosario; sono ancor più contenta quando i genitori pregano con i figli e i figli con i genitori, così uniti in preghiera che satana non può più farvi del male. Satana sempre disturba, vuole disturbare le nostre preghiere e la nostra pace.

La Madonna ci ricorda che un’arma contro satana è Il Rosario nella nostra mano: preghiamo di più! Mettiamo vicino a noi un oggetto benedetto: una croce, una medaglia, un piccolo segno contro satana. Mettiamo la S. Messa al primo posto: è il momento più importante, momento santo! E Gesù che viene vivo in mezzo a noi. Quando andiamo in chiesa, andiamo a prendere Gesù senza paura e senza scuse. Nella confessione poi, non andate solo a dire i vostri peccati, ma anche a chiedere un consiglio al sacerdote, così potete progredire. La Madonna è molto preoccupata per tutti i giovani del mondo, che vivono una situazione molto difficile: li possiamo aiutare solo con il nostro amore e la preghiera col cuore. Cari giovani, quello che vi offre il mondo è passeggero; satana aspetta i vostri momenti liberi: lì vi attacca, vi insidia e vuole rovinare le vostre vite. É questo un momento di grandi grazie, dobbiamo approfittarne; la Madonna vuole che accogliamo i suoi messaggi e li viviamo! Diventiamo portatori della sua Pace e portiamola in tutto il mondo! Prima di tutto però, preghiamo per la pace nel nostro cuore, pace nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità: con questa pace, preghiamo per la pace in tutto il mondo! Se voi pregate per la pace nel mondo – dice la Madonna – e non avete pace nel vostro cuore, la vostra preghiera vale poco. La Madonna, in questo momento, ci raccomanda di pregare di più per le sue intenzioni. Ogni giorno prendiamo la Bibbia, leggiamo due o tre righe e su queste viviamo la giornata. Raccomanda di pregare ogni giorno per il Santo Padre, i vescovi, i sacerdoti, per tutta la nostra Chiesa che ha bisogno delle nostre preghiere. Ma in modo particolare la Madonna chiede di pregare per un suo piano che si deve realizzare. La grande preoccupazione della Madonna, e lo ripete sempre, in questo momento sono i giovani e le famiglie. E un momento molto molto difficile! La Madonna prega per la pace e vuole che anche noi preghiamo con Lei, per le stesse intenzioni. Stasera, quando la Madonna verrà, io pregherò per le vostre intenzioni; ma voi aprite il vostro cuore e date tutti i vostri desideri alla Madonna.

Fonte: Maria a Medjugorje - atempodiblog.unblog.fr -

 
 
 

TRAGEDIA NAVE CONCORDIA:SIAMO TUTTI UN PO' SCHETTINO E UN PO' DE FALCO

Post n°6612 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da diglilaverita
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Il codardo e l’eroe convivono in noi.

Ho un’amica che ha paura di volare, preferisce viaggiare con la nave, dice che le navi sono più sicure - mal che vada ti butti in acqua e speri che qualcuno venga a salvarti . Certo, alla paura non si comanda, vorresti essere diverso, ma a volte l’istinto ha il sopravvento sulle tue buone intenzioni, sui tuoi ragionamenti.

Io sono certa che morirò quando sarà il mio momento, di serena vecchiaia o su un aereo in avaria non mi è dato sapere, sono certa che qualcuno ha già scritto la mia strada, quello che non so e se in ogni caso saprò vivere ogni istante con coraggio.
In questi giorni stiamo vivendo la tragedia della nave CONCORDIA 4.229 passeggeri, 11 vittime, 29 dispersi.
Una tragedia consumatasi "a riva" con l'isola del Giglio che sembrava poter essere sfiorata con una mano.

Un “paese galleggiante” 14 piani di maestosità, sale sontuose, divertimenti, ogni tipo di comfort, ora, se ne sta adagiata come un cetaceo morente davanti all’isola del Giglio, il ventre aperto come una scatola di sardine da uno scoglio con il quale una manovra scellerata l’ha fatta entrare in collisione. Un attimo, un errore, una distrazione e il paese illuminato, pieno di promesse e di sogni è diventato un incubo, per passeggeri ed equipaggio.

Non sono ancora stati trovati tutti i dispersi, identificate tutte le vittime, ma già tanto si è detto e visto che si è passati alla fase “due” la satira. Persino Alessio Vinci il conduttore di Matrix solitamente misurato nei toni, l'altra sera non ha saputo resistere e ha cercato l’appiglio per fare ironia sulla bottiglia che non si ruppe al varo della nave, per fortuna un capitano presente in sala ha avuto più di lui, pudore per quanti ancora stanno sperando e non ha commentato.

Di certo la tecnologia aiuta, abbiamo ascoltato le registrazioni delle voci angosciate dei naufraghi, l’altoparlante che invitava i passeggeri alla calma, abbiamo visto le immagini con infrarossi girate da l'elicottero dei soccorritori, dei naufraghi che cercano posto nelle scialuppe e poi ascoltato sino alla nausea quella telefonata quasi surreale tra il capitano Francesco Schettino che sembrava essere l’unico a non avere capito la gravità della tragedia, quel capitano divenuto per tutti “capitan codardo” che è sceso dalla nave prima che finissero le operazioni di evacuazione dei passeggeri e il comandante della Guardia Costiera di Livorno Gregorio De Falco che da terra ordinava perentorio a Schettino di risalire a bordo, di riprendere il comando. Nessuno può sapere come si sarebbe comportato De Falco se fosse stato sulla nave-

In questa Italia da “tifo” calcistico, l’uno è diventato l’uomo del male, l’altro l’eroe positivo, il capitano che ha fatto il suo dovere.

Ora che i passeggeri si sono asciugati, rincuorati, che la paura è una storia da raccontare saltano fuori tante storie, più o meno eroiche, video amatoriali, mezze parole, ricordi discordanti, tutto dato in pasto alle trasmissioni tv, forse più per un minuto di notorietà che per amore di verità o forse solo per esorcizzare la paura, per condividerla.

Storie di gente semplice, che ha reagito con fermezza e coraggio, di giovani che hanno guidato in salvo i bambini a loro affidati, di persone che hanno ceduto il posto a donne e bambini, ma anche storie di qualcuno che si è fatto largo a gomitate, ha scavalcato la fila, ha strattonato chi c’era prima di lui per conquistare un posto sulla scialuppa di salvataggio.

Vien da pensare che siamo tutti un po’ Schettino e un po’ De Falco, che la paura, l’imponderabile, la tragedia, tirano fuori quello che di più profondo c’è in noi. Così gente semplice ha avuto un cuore grande e gente che pareva grande ha avuto un cuore piccolo, incapace di coraggio, di verità di rispetto del ruolo.

Gli uomini non sono mai solo buoni o cattivi, solo eroi o codardi, solo peccatori o santi.

Certo, vien più facile stare dalla parte di De Falco, che ha alzato la voce, dato ordini perentori, il capitano che ognuno vorrebbe avere al comando in caso di bisogno, ma da questo a diventare tutti esperti di navigazione, tutti giudici implacabili ce ne passa.

Ho l'impressione che la verità sia ancora lontana, che ci siano altre colpe altri silenzi e incertezze che hanno contribuito a trasformare quello che poteva essere solo uno spettacolare naufragio vicino alla costa, in tragedia.

Invece, chiunque con in mano un microfono, una penna, o in fila al banco del panettiere si sente in dovere di dire la sua, su come doveva essere gestita l’emergenza e soprattutto su quello che andava fatto o non è stato fatto. Per il popolo il colpevole è già stato trovato

Nessuno che riesca ad attendere con rispetto che la giustizia come si suol dire “faccia il suo corso” che chi ha sbagliato e forse non ha sbagliato da solo, venga punito.
Oramai i processi si fanno in tv, a suon di “sentito dire”, di mezze parole, d’insinuazioni, incuranti non solo di chi ha sbagliato, delle vittime, di chi ancora attende siano restituiti i loro cari ancora dispersi, ma incuranti anche dei familiari di chi si è trovato a non saper gestire questa tragedia.

Una moglie abituata ad attendere un uomo che va per mare, di una figlia che forse non riuscirà ad incontrare lo sguardo di quel padre che ha sempre visto come un invincibile eroe in divisa bianca.

Siamo tutti un po’ Schettino e un po’ De Falco, e quando la vita ci chiederà di dimostrare nei fatti chi siamo, Dio voglia che il cammino di ogni giorno ci abbia educato a far emergere il buono che è in noi, a guardare al nostro vicino come a una cosa preziosa da custodire, a dare alla vita degli altri e non solo alla nostra un valore inestimabile.

Autore: Buggio Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it -

 
 
 

SPETTACOLO BLASFEMO DI MILANO: A PROPOSITO DI OFFESE ED OLTRAGGI IMMAGINATE SE....

Post n°6611 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da diglilaverita
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Sono ancora fumanti i roghi delle macerie delle chiese in Sudan, in Egitto, in Iraq (dove i cristiani sono diminuiti del cinquanta per cento); sono ancora vivi i gridi di dolore dei cristiani torturati e condannati nei Paesi Arabi, in primis nell’Arabia Saudita. Sì, in molti paesi arabi e africani è in atto una vera e propria “pulizia etnica” nei confronti dei cristiani, anche se molti occidentali non vedono o fingono di non vedere. E le persecuzioni non si fermano qui: in Cina, a Cuba, nella Corea del Nord i fedeli del Cristo vengono ancora inviati nei “confortevoli lager” dei compagni (vedi i famigerati “Laogai” cinesi) dove, se non moriranno, verranno “rieducati”.
Se nel mondo è in atto una persecuzione cruenta nei confronti del Cristianesimo nella vecchia Europa e, segnatamente, in Italia, è in atto una “dolce morte di una civiltà” con la “dittatura del relativismo” che porta a un mondo “chiuso e intollerante che –sono le parole dell’arcivescovo di Firenze, Cardinal Giuseppe Betori- rinunciando alla verità, ne dichiara inutile, e pericolosa, la ricerca, lasciando spazio solo a opinioni che generano confusione e arbitrarietà”.
Sì, giorno dopo giorno, in questa nostra Italia in cui vengono riconosciuti i cosiddetti “diritti” ai gatti, ai topi e alle galline, gli stessi diritti vengono disconosciuti ai cristiani; a Bologna, ma gli esempi potrebbero essere decine, una insegnante delle scuole elementari di religione è stata “sospesa” dall’insegnamento –udite un po’!- perché ha spiegato ai suoi alunni la Lettera di San Giovanni sull’Apocalisse… Come se un docente di latino venisse sospeso per aver spiegato la perifrastica passiva.
Teologi e teologhesse, sedicenti tali, preti progressisti, pitonesse, cartomanti, venditori di acque depurative, epigoni di Mago Merlino, assistenti sociali, venerabili maestri e imam, vogliono insegnare al Papa a fare il Papa e predicano una Chiesa senza celibato, con le sacerdotesse, abortista, eutanasia (se passasse la “Legge Calabrò”, fatta con le migliori intenzoni, l’eutanasia sarebbe legge dello Stato!) sincretista e quindi prona a novanta gradi di fronte al fondamentalismo islamico dilagante. Infatti, sentenzia l’imperturbabile Sergio Romano: “la società che si conforma alle prescrizioni della Chiesa è destinata a essere scavalcata dalle altre” (ipse dixit!). Già, l’Italia è ormai matura per il nuovo papa: Dionigi I da Milano. Del resto, scrive Magdi Cristiano Allam: “l’Europa a cui vorrebbe consegnarci Monti è quella che si prostra al dio Euro ed è sottomessa alla dittatura del relativismo. Esattamente l’opposto dell’Europa Cristiana libera sognata da Schumann, Adenauer e de Gaulle” (Cfr. “Il Giornale” 16-01-2012).
Dunque in questa povera Europa e in questa “serva Italia di dolore ostello” hanno vita facile i ciarlatani che giustificano, ogni loro preghiera, ogni loro ignominia, ogni loro infamia, con la “libertà di espressione” la “libertà di opinione”… per poi imbrattare il volto Santo del Cristo con escrementi. Insomma di fronte a tale “livello artistico” non ci resta che condannare i cattolici che protesteranno davanti al teatro “Parenti” di Milano recitando il S.Rosario…
Perfino Pierluigi Battista, opinionista sempre misurato e mai offensivo, trema al pensiero che “turbe di intolleranti” intimidiscano “quei milanesi che si recheranno al teatro, come già accadde con L’ultima Tentazione di Cristo” di Martin Scorsese, insultandoli con i peggiori epiteti”. A questo proposito posso rassicurare l’editorialista de “Il Corriere della Sera”. Nel 1988 fu annunziato che i cattolici fedeli alla Tradizione si sarebbero recati a Venezia, dove al Festival veniva proiettato il film del regista americano Scorsese, per una “Via Crucis” e “Rosario” riparatori in piazza San Marco.
Apriti cielo e spalancati terra!
I cattolici “ultrà” che a Venezia conculcano la libertà di espressione! La reazione in agguato che minaccia roghi purificatori! A Venezia, poi, in piazza San Marco, un sacerdote, in cotta e stola viola, guidò una “Via Crucis”, lo seguirono una settantina di fedeli –quasi tutti giovani-  che, e lo riconobbe allora tutta la stampa, per un’ora seguirono il cammino della Croce e poi, inginocchiati sul sagrato recitarono il Santo Rosario con devozione, incuranti degli insulti, delle monetine e degli sputi (sì, anche gli sputi) di un variegato, in tutti i sensi, gruppo di “fans” di Scorsese che, con le loro folte chiome al vento, passavano, ma guarda un po’, di lì “per caso”.
Tra i fedeli di quel “pusillox grex”  c’era anche il sottoscritto lieto di beccarsi quegli epiteti irripetibili e di aver potuto, da povero peccatore, aver reso la sua testimonianza a Cristo. Con lo stesso spirito, la stessa fede, lo stesso spirito di sopportazione e di tolleranza, saremo anche  questa volta –martedì 24 gennaio 2012- in chiesa e in piazza per ascoltare la stessa Messa cattolica e recitare le preci a gloria di Dio, in riparazione dei nostri e degli altrui peccati. Almeno questo si potrà concedere ai cattolici? Tutti ricordano quel che accadde in Italia (persino un Ministro della Repubblica costretto a dare le dimissioni) per delle vignette fatte in Danimarca su Maometto!
Ma facciamo un altro esempio: si sono svolti quest’anno i festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario della unità d’Italia. Se qualcuno, durante una cerimonia ufficiale, avesse organizzato una “pièce” teatrale che si svolgesse all’ombra del tricolore e l’avesse poi imbrattato con escrementi, urina e pannoloni usati da un anziano affetto da dissenteria, cosa sarebbe successo? Immaginare i tre colori della “bandiera che è sempre stata la più bella e noi vogliamo sempre quella” imbrattati e deturpati da rifiuti umani…(....)… pensateci un po’… Chi vorrà venire a pregare con noi la sera di martedì non troverà la canea urlante e forcaiola che griderà “viva, abbasso o a morte” troverà soltanto dei cristiani, dei poveri peccatori, che intendono riparare l’infame sacrilegio. E se proprio martedì sera non potrete essere tra noi, in quell’ora (alle 21) siateci vicini con i vostri pensieri, con il vostro cuore, ma soprattutto con la preghiera perché, insieme, possiamo dire al dolce volto di Cristo offeso e lordato: “Cor Jesu, adveniat Regnum tuum, adveniat per Mariam”.

- di Pucci Cipriani - riscossacristiana.it -

 
 
 

ECCO SPIEGATO IL PERCHE' I VANGELI SONO UN'OPERA DI GRANDE ATTENDIBILITA' STORICA

Post n°6610 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da diglilaverita
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La rivelazione cristiana ha portato la più radicale rivoluzione etica della storia. L’amore è diventato il sentimento fondamentale. Le discriminazioni sono state superate, perchè ad ogni persona è stata riconosciuta la dignità di un figlio di Dio. Si è aperto per tutti noi un orizzonte di risurrezione, un senso per cui vivere. E’ dunque molto importante conoscere criticamente le fonti storiche di questa rivoluzione, che non si può ridurre solo ad un messaggio morale. Se gli adulti non sanno rispondere ai giovani quando chiedono: “Il Vangelo non è un mito? Una leggenda?” “La Chiesa ci ha imbrogliato?”, diventano responsabili, almeno in parte, delle loro crisi di fede. E’ chiaro che dobbiamo tener distinta la ricerca storica dalla scelta di fede. La fede nel Risorto non è subordinata alle ricerche storiche che saranno sempre approssimative e parziali. Milioni di persone hanno avuto una fede profonda pur senza conoscere niente delle documentazioni storiche che esamineremo. Tuttavia nella società contemporanea è indispensabile confortare la fede anche con una conoscenza razionale, capace di rispondere alle obiezioni ed alle critiche. Il fideismo, cioè una fede senza ragione, è il grande pericolo del nostro tempo. Un credente adulto deve conoscere almeno in sintesi quello che le scienze storiche ci dicono sulla sorgente della fede, che risulterà così purificata, non inquinata dal sospetto di falsificazioni o imbrogli.

Quali sono le fonti storiche su Gesù di Nazareth? Da due millenni i quattro vangeli canonici di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono stati considerati le fonti principali. Solo recentemente è sorta la questione dei vangeli apocrifi. Tuttavia ormai tutti gli storici competenti confermano l’attendibilità dei soli quattro vangeli canonici ed ora vedremo in base a quali criteri oggettivi, laici. Esamineremo in seguito invece i vangeli apocrifi. Un criterio importante è l’antichità delle fonti. La critica storica ottocentesca tendeva a collocare la stesura scritta dei vangeli canonici anche dopo duecento anni dagli eventi. Sembrava che i vangeli fossero “favole popolari”, amplificate e deformate dalla fantasia. Ma le recenti scoperte papirologiche e l’analisi linguistica del greco dei vangeli hanno imposto una datazione anteriore, molto vicina agli eventi, di origine ebraica. Cerchiamo dunque di ricostruire i fatti.

La morte di Gesù è avvenuta intorno all’anno trenta. Dopo di allora, gli apostoli sono rimasti a Gerusalemme circa trent’anni, per costituire la prima comunità cristiana, fedele agli insegnamenti del maestro. E’ la fase della predicazione orale. Nel giudaismo dell’epoca la tradizione orale veniva tramandata seguendo regole precise e rigide di fedeltà, parola per parola. Nelle scuole rabbiniche gli insegnamenti venivano imparati a memoria, con il controllo e l’autorità del maestro. E’ quindi verosimile che anche la prima comunità cristiana, costituita da ebrei, abbia seguito questa prassi di trasmissione fedele delle parole del maestro, fissate dall’autorità degli Apostoli. Fu raccolto così il materiale della cosiddetta Fonte Q, probabilmente scritta in ebraico, anteriore alla redazione scritta dei vangeli. Un passo ulteriore fu la traduzione dall’ebraico o aramaico in greco, la lingua parlata in tutto il mondo antico. A partire dagli anni Cinquanta presero dunque forma scritta i primi tre vangeli, detti sinottici, di Matteo, Marco e Luca. Il lavoro di redazione, in cui venivano collegate insieme le varie raccolte orali per arrivare alla versione definitiva, si colloca tra il 50 e il 70 d. C. Mentre il quarto vangelo, di Giovanni, venne redatto alla fine del primo secolo. Vediamone ora il perché.

Gli scritti evangelici si distinguono rispetto a tutti gli altri testi dell’antichità classica per una straordinaria ricchezza di manoscritti. Tutti i testi dell’antichità sono stati copiati a mano dagli amanuensi lungo i secoli, fino all’invenzione della stampa (nel 1450 circa). Questi manoscritti prendono il nome di papiri, codici, pergamene, rotoli, ecc. Quanto maggiore è il numero di manoscritti, tanto più si dice che l’opera è ben documentata. Ad esempio, dell’Iliade ed Odissea ci sono rimasti circa 600 manoscritti. Si tratta di un record. Infatti tutti gli altri capolavori antichi hanno un numero inferiore di manoscritti. Virgilio ne ha poco più di 100, Platone ne ha solo undici e così la maggior parte dei grandi autori dell’antichità. Tacito ne ha solo un paio e talora un unicum. Quando lo storico si domanda invece quanti siano i manoscritti del Nuovo Testamento (quattro Vangeli, Atti degli Apostoli, lettere paoline, lettere di Giovanni, Pietro, Giacomo, Giuda Taddeo, Apocalisse) rimane stupito dalla loro quantità. Abbiamo infatti circa 5.300 manoscritti greci, 8 mila latini, migliaia di traduzioni in lingue antiche quali armeno, siriaco, copto…! Complessivamente più di quindicimila manoscritti (l’elenco completo dei cinquemila manoscritti greci si può trovare in Nestle – Aland, “Novum Testamentum graece”, 27^ ed. Stuttgart, 1993, oppure nel testo di K. e B. Aland sotto citato). Il fatto più importante è che queste migliaia di manoscritti sono concordanti! Riportano cioè tutti lo stesso testo, parola per parola. Ovviamente ci sono errori ortografici o di trascrizione, come in ogni opera umana, ma questi errori non intaccano mai i contenuti fondamentali. Gli amanuensi hanno voluto rispettare con la massima fedeltà il testo originale, senza aggiungervi niente. Se nessuno dunque ha mai dubitato sull’autenticità di Platone o di Tacito, a maggior ragione nessuno dovrebbe dubitare sulla fedeltà di trasmissione dei testi evangelici che hanno migliaia di copie manoscritte. Si noti inoltre che ai più di 15 mila manoscritti bisogna aggiungere tutto il materiale delle citazioni degli scrittori cristiani dei primi tre secoli (i “Padri della Chiesa”) diffuse in tutto il mondo antico, dall’Europa, al nord Africa all’Asia: circa 20 mila citazioni!

E’ chiaro che i manoscritti sono tanto più preziosi, quanto più sono antichi. Anche qui il confronto con gli autori dell’antichità classica è impressionante. Si deve premettere che i manoscritti originali, autografi, scritti di propria mano dagli autori antichi, sono andati tutti perduti. Per lo stesso Dante non abbiamo il manoscritto autografo completo della Divina Commedia. L’autore classico che ha il manoscritto più antico è Virgilio; si tratta di una testo copiato circa 350 anni dopo la morte del poeta. Per tutti gli altri autori classici la distanza tra l’originale e il manoscritto più antico pervenutoci è molto superiore. Per Cesare, ad esempio, il codice più antico risale a 900 anni dall’originale. Per Platone ci sono 1300 anni tra originale e codice più antico. Quando invece gli storici studiano i manoscritti del Nuovo Testamento rimangono stupiti di fronte alla loro antichità. Possediamo centinaia di manoscritti che risalgono ai primi secoli. Per numerosi papiri la distanza tra testo autografo e manoscritto più antico si riduce a poche decine di anni. La datazione viene formulata in base a criteri paleografici (si conoscono le tipologie di scrittura nelle varie epoche), comparativi, archeologici e chimici. Per i manoscritti dei vangeli la documentazione risulta dunque estremamente più attendibile rispetto agli autori classici. I manoscritti più antichi sono: Papiro Rylands (P 52): forse il più antico documento dei Vangeli. Risale al 125 d. C. Fu ritrovato in Egitto e venne datato in base a criteri paleografici nel 1950 dal prof. Roberts. La datazione venne confermata dai maggiori filologi successivi. Quindi il Vangelo di Giovanni non poteva esser stato scritto, come dicevano alcuni studiosi, nel 150 o nel 200 d. C. ma fu scritto tra il 90 e il 100, perché per arrivare da Efeso (dove fu scritto l’originale) all’Egitto dovette intercorrere circa una generazione. Il papiro misura 9 x 6 cm, contiene 114 lettere greche. Papiro Bodmer II (P 66): venne pubblicato nel 1956. Contiene quasi per intero il vangelo di Giovanni. La pubblicazione suscitò grande scalpore tra gli studiosi; il papiro risale infatti a non oltre la metà del secondo secolo. E’ stato datato dal prof. H. Hunger di Vienna nel 1960. Questo manoscritto concorda perfettamente con i manoscritti maggiori del quarto secolo (Cod. Vaticano, Sinaitico, Alessandrino…). Dimostra così una fedeltà rigorosa nella copiatura degli amanuensi. Bodmer XIV, XV. (P. 75) del 200 d. C., papiro Chester Beatty II, (P 46, Bibl. di Dublino): 86 fogli, contiene 7 lettere di S. Paolo e risale al 70 circa ma potrebbe anche essere del II secolo. Vi sono poi i “codici maggiori” che contengono quasi per intero il Nuovo Testamento. Fra questi: il Codice Vaticano (B 03, Roma, Biblioteca Vaticana), 759 fogli; metà del quarto secolo. Il Codice Sinaitico, (01, Londra, Brit. Libr.) 346 fogli. Il Codice Alessandrino (A 02, Londra, Brit. Libr.) 773 pagine, metà quinto secolo. 15 manoscritti del III sec. 40 del IV sec. 43 del V sec.

Le ricerche filologiche degli ultimi anni hanno convinto numerosi scienziati che il frammento più antico in assoluto sia il Papiro P. 7 Q 5 (Rockfeller Lib. Gerusalemme), scoperto a Qumram, studiato da O’ Callaghan dal 1972 in poi. Contiene solo 11 lettere alfabetiche complete ed altre 8 parziali, disposte su 5 righe. Dallo studio di tutte le combinazioni possibili (una ricerca computerizzata ha analizzato tutte le combinazioni della letteratura greca del Thesaurus Linguae Graece dell’Università di California Irvine: 3.700 autori, 91 milioni di lettere) risulta che l’unica compatibile è quella di Mc 6, 52-53. Questo papiro risale al 50 d. C. (a soli 20 anni dai fatti), in base allo stile paleografico, che è il cosiddetto ornato erodiano, utilizzato fino al 50 d.C. In ogni caso tutti i manoscritti di Qumram non possono essere posteriori al 68 d. C., anno in cui la comunità essena venne massacrata dalla legione romana Fretensis, per cui le grotte con i testi vennero sigillate per evitare la distruzione dei codici. La decifrazione proposta da O’ Callaghan è stata però contestata da studiosi che non conoscevano ancora la prova informatica.

I manoscritti neotestamentari si trovano sparsi nelle più prestigiose Biblioteche tutto il mondo. Raccolte di particolare importanza si trovano nel monastero del Monte Athos (900 manoscritti), nel monastero di Santa Caterina nel Sinai, (300), a Roma (367), Parigi (373) Atene (419), Londra, San Pietroburgo, Gerusalemme, Oxford, Cambridge, Mosca e in molte altre località. Queste migliaia di manoscritti riportano tutti lo stesso testo evangelico, con una concordanza ammirevole. Essi garantiscono che ci troviamo di fronte al testo di gran lunga più controllato e documentato nella storia. - di Marco Fasol docente di storia e filosofia - www.uccronline.it -

 
 
 

OFFESE AL VOLTO DI GESU': IL SANTO PADRE ZITTISCE IL CORRIERE DELLA SERA

Post n°6609 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da diglilaverita
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Il Papa «auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i Santi e i simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della Comunità cristiana, illuminata e guidata dai suoi Pastori». Recita così il telegramma che la Segreteria di Stato della Santa Sede – con firma dell’assessore Peter B. Wells – ha inviato a padre Giuseppe Cavalcoli, il teologo domenicano che aveva espresso solidarietà e fedeltà al Papa come risposta allo spettacolo teatrale blasfemo di Romeo Castellucci – “Sul concetto di volto del Figlio di Dio” – che andrà in scena a Milano dal 24 al 28 gennaio sollevando grandi reazioni da parte di singoli e gruppi cattolici.

Si tratta di un intervento importante che sicuramente toglie ogni alibi a interventi livorosi e fuori misura come quello di Pierluigi Battista che, il 18 gennaio dalle colonne del Corriere della Sera, si è scagliato contro i cattolici che si sono organizzati per protestare contro la messa in scena di questa opera sia con una manifestazione in piazza nelle adiacenze del Teatro Parenti sia con rosari e messe di riparazione in diverse città italiane. Nessuna minaccia, nessuna manifestazione di antisemitismo, nessuna violenza verso chi vuole andare a vedere lo spettacolo: anche se qualcuno – nei social network – esprime giudizi oltremisura, è evidente che chi sta organizzando le diverse manifestazioni  esprime soltanto quella “reazione ferma e composta” invocata dal Papa.

E la reazione va ben oltre quel mondo tradizionalista che – per Battista ma anche per tanti cattolici – viene semplicisticamente etichettato come "integralista, intollerante, intimidatorio, prepotente". Alle diverse manifestazioni di cui si è già parlato abbondantemente sui giornali vanno infatti aggiunte tante altre messe e preghiere di riparazione che tante comunità in giro per l’Italia stanno promuovendo. Ci permettiamo di indicarne una, a Milano, perché a questa aderisce anche la redazione de La Bussola Quotidiana: martedì 24 alle ore 21, nella chiesa di San Pio X (Piazza Leonardo da Vinci, Città Studi), il parroco don Marco Barbetta celebrerà una messa di riparazione, a cui invitiamo tutti i nostri lettori che potranno.

Nella logica di Battista non si capisce perché solo ai cattolici dovrebbe essere impedito di protestare civilmente – addirittura pregando in riparazione – contro spettacoli che offendono ciò che hanno di più caro. Parlerebbe allo stesso modo Battista se in scena al Parenti andasse una rappresentazione teatrale che metta in dubbio l’Olocausto o che si risolvesse in un lancio di pietre e una colata di m. contro una copia del Corano?

Ma le scarne parole del telegramma della Santa Sede dovrebbero anche  suggerire qualche passo alla Conferenza episcopale italiana che, sulla vicenda, ha mantenuto il più rigoroso silenzio. C’è stato certamente il comunicato dell’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, che – come ha rilevato ieri il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - è in linea con quanto espresso nel telegramma inviato dalla Santa Sede.

Ma quella “guida dei vescovi” invocata dal Papa se, da una parte, può nascondere la preoccupazione per possibili manifestazioni fuori misura, dall’altra è un monito a tutti i vescovi perché intervengano con chiarezza ed essenzialità in casi come quello dello spettacolo di Castellucci, che non può essere considerato un episodio isolato e delegabile a una sola diocesi. Lo aveva già scritto su queste colonne monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, e il Papa ne dà un’ulteriore conferma allargando il discorso a tutte quelle forme di “mancanza di rispetto verso Dio, i Santi e i simboli religiosi” che ormai sono una costante della nostra società, dominata – diceva monsignor Negri – da “una ideologia anticristiana”.

I vescovi dunque non hanno alcun alibi al silenzio, soprattutto dopo averli visti protagonisti negli ultimi mesi su tante vicende politiche e sociali, dalla gestione dell’acqua alle centrali nucleari fino alle manovre per ricreare un partito cristiano. E per quanti continuano a sostenere che le proteste in Francia per lo spettacolo di Castellucci sono state fomentate solo dai gruppi lefebvriani, ricordiamo che l’arcivescovo di Parigi, cardinale Andre' Vingt-Trois, ha guidato una veglia di preghiera di riparazione a Notre Dame.

di Riccardo Cascioli - labussolaquotidiana.it -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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