ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 03/02/2012

APPELLO AD ADRIANO CELENTANO: "ORA DIFENDI LA VITA"

Post n°6678 pubblicato il 03 Febbraio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Napolitano e Celentano. Cosa hanno in comune oltre ai suffissi dei loro cognomi? Hanno in comune il fatto di essere stati entrambi destinatari di un appello a mezzo Tv fatto da Giuliano Ferrara. L’appello riguardava la promozione di un progetto pro-life conosciuto come Progetto Gemma che propone anche con aiuti economici alle donne in difficoltà una strada diversa da quella dell’aborto. L’afasia del Capo dello Stato su questi grandi temi di civiltà, che si commuove giustissimamente per le vittime di Auschwitz ma che non spicca favella né versa una lacrima per i bambini mai nati, era prevedibile e dunque l’appello lanciato da Ferrara non è stato raccolto.

Martedì sera il direttore de Il Foglio ci ha riprovato e dai microfoni televisivi di Radio Londra ha chiamato in causa Adriano Celentano. Il cantante parteciperà al prossimo Festival di Sanremo e devolverà il suo compenso in beneficenza: in parte ad Emergency e in parte ad alcune famiglie bisognose individuate da sette sindaci di tutt’Italia. Oltre a ciò pagherà di tasca sua le tasse che lo Stato prevede per le donazioni: la carità nel nostro Paese costa due volte. Giulianone non molla e in modo meritoriamente furbo argomenta così. Caro Celentano ti hanno accusato di qualunquismo: è ormai un clichè che i Vip diano del loro per aiutare gli altri. E poi chi ci assicura che dietro questo gesto di generosità non alberghino interessi un po’ sporchi? Sanremo è sempre una vetrina con milioni di telespettatori: i tuoi dischi ne beneficeranno sicuramente. Queste le critiche a cui Ferrara non dà peso e aggiunge sempre all’indirizzo di Celentano: se davvero non vuoi essere qualunquista fai un salto in avanti. La filantropia – continua Ferrara – deve essere guidata da principi e valori: «la filantropia non è cieca».

Infine la proposta: perché tra gli altri beneficiari non scegli anche i bambini mai nati dando un contributo al Progetto Gemma? Celentano si sa è l’artista anticonformista per antonomasia. Ferrara pare che faccia leva proprio su questo aspetto. Se ti vuoi davvero distinguere anche nel fare il bene, se non vuoi cadere nei vuoti stereotipi, se vuoi passare dalla quaestua ad un atto di bontà coraggiosa allora esci dal coro e canta da solista, dato che è la cosa che meglio ti riesce di fare. Non si gettano i soldi alla cieca, ma si individuano priorità, gerarchie e urgenze. La fortuna è cieca, ma un cuore buono ci vede benissimo. Lo scandalo è implicito nella provocazione di Ferrara: forse che i nascituri debbano avere la pole position nella filantropia (termine che è la versione annacquata perché atea del termine Carità)? Sì, spiega Giuliano Ferrara e cita – al fine di non assumere posizioni troppo confessionali – un radicale duro e puro come Franco Roccella: «l’omicidio è la cancellazione del futuro».

Non si discute che i malati di Emergency e le famiglie bisognose debbano avere tutto il nostro sostegno, ma almeno loro – così non troppo in filigrana pare suggerire Ferrara – hanno avuto un passato che quando sono nati era il loro futuro. Il piccolo che invece è spuntato nel grembo di sua madre ma che da questa non è voluto, è davvero il più povero dei poveri perché non ha passato e non avrà futuro. Prima dei rifugiati curati da Gino Strada in Afghanistan ci sono centinaia di migliaia di figli che si sono rifugiati nel grembo della propria madre per essere accuditi da tutti noi. Il Giulianone nazionale torna quindi all’attacco: parlando di aborto in prima serata, ripetendo senza mezzi termini che questo è un omicidio, non facendo ideologia ma invitando a rimboccarsi le maniche ed invitando davanti ad un pubblico di 4 milioni e mezzo di Italiani ad un gesto politicamente scorretto, che però dovrebbe allettare un outsider come Celentano. «Pensaci» gli ha detto Ferrara. Sì, pensaci Adriano.
 
-di Tommaso Scandroglio - labussolaquotidiana.it -

 
 
 

DON ROBERTO, DA TOSSICO LONTANO DA DIO A SACERDOTE VICINO AGLI ULTIMI

Post n°6677 pubblicato il 03 Febbraio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Nel giugno scorso ci siamo occupati di John Pridmore, ex criminale londinese le cui uniche certezze erano la stupidità della polizia e l’inesistenza di Dio. Oggi è cattolico e dedica il suo tempo ad aiutare bambini in difficoltà. In questi giorni su  Oksalute (ripresa stranamente anche da “Il Corriere della Sera”), è comparsa la testimonianza di un’altra conversione sui generis. E’ quella di don Roberto Dichiera, ex tossicodipendente.

Il sacerdote descrive la sua adolescenza spericolata e disperata: «a 12 anni le prime sigarette, per sentirmi grande e per il gusto del proibito. Poi i superalcolici e le canne, a 14 anni erano già un’abitudine. Ero in cerca di sensazioni forti, cercavo la trasgressione e pensavo solo a divertirmi. Non avevo ideali, ambizioni. Dopo le medie ho chiuso con la scuola e mi sono arrangiato con piccoli lavoretti. Aspettavo con ansia il fine settimana per andare in giro a sballarmi. Frequentando i rave-party e le discoteche più eccessive ho iniziato a farmi di altro, gli spinelli non mi bastavano più. Mi sono messo anche a spacciare: ero il punto di riferimento di tanti ragazzi che, come me, cercavano una dose effimera di felicità, lo stordimento, una scarica di emozioni fasulle. Ho provato di tutto: ecstasy, acidi, cocaina, perfino il popper, un solvente che si inala. Mi sentivo forte, padrone del mondo [...] sapevo di essere diventato dipendente, ma avevo la consapevolezza (sbagliata) di poter controllare il consumo e non avevo nessuna intenzione di smettere».

Nessuna intenzione di smettere, nonostante «sono stato male diverse volte [...]. In alcune occasioni ho perso momentaneamente la vista, non riuscivo a distinguere più niente, vedevo solo rosso. Ho avuto allucinazioni tremende, ho vomitato spesso per intossicazione. Una ragazza a cui avevo ceduto degli acidi ha rischiato di morire: me la sono ritrovata per terra, collassata, col volto cianotico. L’ho soccorsa, è vero, ma niente mi scuoteva, rimanevo un incosciente e un menefreghista. Volevo continuare a sentirmi euforico e riempire quel vuoto che mi attanagliava». Tutto si fa per riempire quel vuoto, così descritto bene dai più grandi pensatori della storia. O lo si riempie oppure lo si elimina illudendosi di distrarsi da esso. Per lo meno don Roberto cercò -seppur disperatamente- di colmarlo in tutti i modi, senza successo.

Dopo il militare, in cui ha continuato l’attività con la compiacenza dei commilitoni, la svolta: «In treno, durante un permesso, ho incontrato Manuela. Volevo coinvolgerla nella mia vita di eccessi, ma è stata lei che ha avuto la meglio e mi ha riportato sulla retta via. Per un po’ ho continuato a drogarmi, e a 21 anni ho anche avuto paura, seriamente. Avvertivo dei brividi fortissimi in testa, come scariche elettriche. Per la prima volta mi sono reso conto che l’uso di sostanze rischiava di bruciarmi il cervello. L’amore di Manuela, la sua fede, hanno lentamente fatto breccia dentro di me. Non mi ero mai innamorato, avevo molte compagne, una marea di rapporti occasionali. Lontanissimo dalla chiesa e dalla preghiera, ho iniziato ad accompagnarla a messa, solo per compiacerla, senza alcun interesse. E dire che bestemmiavo in continuazione e disprezzavo i preti». Nel giro di un anno le cose sono cambiate, «ho cominciato a pregare, a riavvicinarmi a Dio. Ho scoperto una forza di volontà che non pensavo di avere e ho smesso di assumere sostanze». Quel “vuoto” dell’animo, evidentemente cominciava ad essere per la prima volta davvero “riempito”.

Ma non finisce qui: «A 22 anni la vocazione, leggendo il Vangelo: il calore di un abbraccio paterno e una luce piena d’amore. Ho sperimentato una pienezza di gioia traboccante, di contro al paradiso artificiale prodotto dalla droga, e ho scelto di dedicare la mia vita al Signore, come prete di strada. L’incontro con la Comunità Nuovi Orizzonti è stato l’occasione per mettermi a servizio degli ultimi, di testimoniare la gioia autentica, di coinvolgere i giovani, proponendo loro un modo nuovo di intendere la vita. Lontano dall’autodistruzione, in cerca della vera libertà». - uccronline.it -

 
 
 

LA SOLITUDINE DEI NOSTRI FIGLI

Post n°6676 pubblicato il 03 Febbraio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Attraverso sette racconti esemplari vengono analizzati il rapporto tra genitori e figli e la sofferenza dei ragazzi all'interno delle famiglie di oggi. Troppe volte le storie che i ragazzi raccontano oggi parlano di solitudini, di giorni trascorsi in attesa. Di stanze vuote, in cui campeggia solo un grande orologio. Rosso, immenso, con le lancette puntate sulle sette.

Chiara, diretta, lucida, essenziale. Isabella Bossi Fedrigotti non fa sconti. E quando si tratta di famiglia la sua lucidità è quasi accanimento, la sua acutezza, brutalità.
A chi è venuto ad ascoltarla parlare di famiglie e solitudini di oggi, ad Alba, in occasione della Settimana della comunicazione, ha tolto subito ogni dubbio sul suo pensiero: «Chi vi ha raccontato che conta la qualità del tempo trascorso con i figli e non la quantità, ha mentito. Si tratta di una bugia. Pietosa, auto convincente, consolatoria. Ma è una falsità.

«Conta anche - non dico solo, ma certamente anche - la quantità. Perché troppe volte le storie che i ragazzi raccontano oggi parlano di solitudini, di giorni trascorsi in attesa. Di stanze vuote, in cui campeggia solo un grande orologio. Rosso, immenso, con le lancette puntate sulle sette. "Che è l'ora in cui mamma ha detto che torna dal lavoro. Torna quando le lancette sono così. E io aspetto". Questo me lo ha raccontato una bimba di una scuola vicino Roma, mimando la posizione delle lancette con le braccia, quando le ho chiesto che cosa rappresentava il disegno che aveva fatto a scuola, in preparazione all'incontro con me. Ero stata invitata in quella scuola da un gruppo di insegnanti e genitori. Una scuola di periferia, affatto disagiata, bella, pulita, discretamente sobria, con molti genitori, apparentemente attenti ai figli e ai loro bisogni. Ma che lavoravano e stavano via, entrambi, fino al pomeriggio tardo. E i bambini stavano spesso soli in casa».

Quelle ore di solitudine, mercanteggiate a fatica dai più grandi come spazi di libertà, non solo non erano amate dai più piccoli, erano anzi temute, come responsabilità troppo grandi per le loro spalle ancora fragili. «I genitori, tuttavia, sembravano non capire e chiedevano ai figli di adeguarsi alle necessità di casa: .. A nove, dieci, anni li si può lasciare qualche ora soli in casa, no? Così i soldi della baby sitter si possono risparmiare, ché di questi tempi tutto aiuta ad arrivare a fine mese". Così dicevano quei genitori, che la crisi ha costretto a riunire tre, a volte quattro, lavori precari per riuscire a portare a casa uno stipendio accettabile.

«E la società ha costretto a fare a meno di quella rete di rapporti che la famiglia, fino a qualche anno fa, rappresentava. Con nonni che non erano impegnati in giovanilistici tourbillon d'impegni per esorcizzare l'invecchiamento, con zii che stavano vicini, con madri a casa, che avevano tempo (e voglia) di stare con i figli. Padri che rimproveravano, ma che c'erano. Genitori che non abdicavano al loro ruolo, perché fare gli amici dei figli "è più moderno" (ed è pure più facile). Con cortili e strade che erano luoghi dove stare, fermarsi senza paura, giocare insieme. Con oratori che erano pieni, sport che non erano competizione estremizzata, impegni extrascolastici sostenibili e non "parcheggi" dove lasciare i figli mentre si è al lavoro.

«Come non capire le difficoltà di quei genitori? Le preoccupazioni che li fanno tornare a casa silenziosi, incupiti, a volte arrabbiati con il mondo, dopo ore di bocconi amari, ansie da prestazione e traffico? Ma a casa ci sono i figli. Troppo spesso soli, a guardare le lancette "fino a che non arrivano così", come diceva quella bimba. E le ragioni dei figli, le storie dei figli, la solitudine devastante che taluni si portano dentro chi la racconta?».

Invitata alla Settimana di Alba, Isabella Bossi Fedrigotti se lo è chiesto e ha risposto. Con Se la casa è vuota (Longanesi 2010, pp. 136, € 15,00). Sette storie, sette nomi e una riflessione finale: 136 pagine di incomprensioni, proiezioni, genitori egoisti e vanitosi, incapaci di accettare l'altro e, prima ancora, forse anche il sé. E di amori, a volte, e amicizie che vincono il malessere. E un denominatore comune: la solitudine. Sentimento "da vecchi", si pensa di solito. Che, invece, oggi, è diventato più che mai incubo dei bambini.

Come ben ha ,espresso la scrittrice: «Ѐ un incubo perché è un sentimento da cui i bambini non si sanno difendere e al quale finiscono o per cedere, svaporando l'energia loro propria, o per ribellarsi. A loro modo: chi con la violenza, chi con il rifiuto del cibo, chi fuggendo in una realtà virtuale e più soddisfacente, chi rifugiandosi nelle droghe, chi pretendendo di arginarla con comportamenti maniacali o attaccandosi con spasmo ai "primi venuti", che magari non sarebbero le persone più adatte, ma sono quelle più disponibili. A volte anche ad avviarli lungo strade da cui è difficile tornare indietro. Per tutte queste ragioni avrebbero diritto, i bambini e i ragazzi, a non essere lasciati soli».

Il tema delle solitudini serpeggianti nelle famiglie rispondeva con così dolorosa precisione all' appello all'autenticità di vita nell'era digitale, lanciato dal Santo Padre per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che il comitato organizzatore della Settimana della comunicazione albese ha invitato la giornalista e ha realizzato diversi laboratori in due istituti superiori, a cui hanno partecipato 220 studenti dai 15 ai 18 anni.

A raccogliere le loro impressioni la psicologa Alessandra Borgogno e la presidente della Consulta albese delle pari opportunità Orsola Bonino. «Ne è emersa una fotografia di giovani di buon senso. A volte molto più dei loro genitori», sostiene Borgogno. «Giovani che hanno chiesto come ricucire rapporti familiari interrotti, manifestato difficoltà a comunicare i loro bisogni ai genitori (solo un 6% ha dichiarato di sentirsi ascoltato e sostenuto), che si interrogano sul perché i genitori impediscano loro di scegliere in autonomia, perché impostino le conversazioni sui risultati scolastici e chiedano poco o anche mai come si sentano. Giovani che hanno come punti di riferimento ragazzi poco più grandi, a volte fratelli, amici, coach sportivi, capi scout, più raramente insegnanti, con i quali, ammettono, è più facile confidarsi, perché non sono subito pronti a tagliare giudizi col coltello». Giovani che, il l° giugno, hanno riempito l'auditorium della fondazione Ferrero e hanno portato con sé, in molti casi, i genitori. Per metterli di fronte a una verità che loro, forse, non avevano il coraggio di dire.
Storie vere, lancinanti, segrete

Isabella Bossi Fedrigotti li ha tolti dall'impaccio. Perché quelle del libro sono storie di tutti. Vere, lancinanti, segrete. Che non appartengono a realtà disagiate, ghetti sociali, contesti poveri moralmente.

«Spesso i genitori del libro sono persone degnissime, intelligenti, colte, preparate, impegnate. In quanto persone, appunto. Non così come genitori. Nel contesto familiare qualcosa, a un certo punto, è andato storto», ha raccontato la scrittrice. C'è stata una nota stonata che non si è chiusa nell'attimo in cui, per sbaglio, è stata emessa, ma ha continuato a vibrare. Ha fatto danni. Ha rotto l'armonia. Dall'interno, con sottile, lenta ma inesorabile pervicacia.

«Il libro è nato una notte. In redazione [Bossi Fedrigotti è giornalista del Corriere della sera, nda] eravamo rimasti in pochi. La notte facilita le chiacchiere libere, le confidenze. Un collega raccontava preoccupato del figlio, della lama di luce sotto la sua porta, fino a tardi, delle mani che si spostavano precipitose dalla tastiera al libro di testo, in un penoso tentativo di giustificazione, dei giochi di ruolo e dei filmini pomo che lo tenevano incollato al video giorno e notte. Tanta notte, dimentico di mangiare, di dormire.

«Nel giro di qualche giorno si sommarono alcuni fatti di cronaca nera che avevano come protagonisti dei giovani di buona famiglia che avevano sbandato. Storie diverse di bullismo, droga, dipendenze, un suicidio. Si era "creato il caso" e il direttore mi affidò un fondo. Il primo fondo femminile del Corriere. Riflettei, raccontai. Arrivarono lettere, storie di madri, di padri che non sapevano come uscire da situazioni che erano sfuggite di mano, incancrenite dal silenzio, piagate da distanze emotive che erano diventate profonde come baratri. Mi accorsi che il malessere era diffuso, il mio editore mi chiese di farne un libro. Accettai, a patto di raccontare soltanto.

«Non sono una saggista», ha ammesso, «non pretendo di insegnare come evitare certe derive. Ma penso che raccontare serva. Per riflettere, per riconoscere nella storia, magari estrema e borderline dell'altro, il germe di male che si sta innestando nella propria. E ammetterlo con sé stessi, cercare di porvi rimedio. Finché si è ancora in tempo».

- dimensionesperanza.it - Valeria Pelle - donboscoland.it -

 
 
 

GUERRA ALLA CHIESA?

Post n°6675 pubblicato il 03 Febbraio 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Siamo in guerra: anche se non è mai stata dichiarata apertamente, sembra che le bordate, le cannonate, gli attentati siano oramai all’ordine del giorno. Già il salmo 143 (144) ricorda: «Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia.» Che venga questo tempo in cui ci si prepara all’unica guerra degna di questo nome, e che non è cruenta e genera frutti di civiltà: la guerra contro la menzogna e l’odio alla Chiesa, preludio dell’odio alla libertà di tutti.
Quali i sintomi di questo scenario drammatico? Leggiamo i giornali, guardiamo i diversi canali televisivi, ascoltiamo i discorsi che si fanno tra la gente: “Chiesa corrotta, sacerdoti indegni, ricchezze e abusi anche ai vertici, sprechi e privilegi… 8 per mille, ICI, pedofilia… e poi una presenza pubblica esagerata, soprattutto nelle scuole…”
Che sia tutto vero? O basta un sussurro per accreditare qualsiasi genere di notizia? Certo c’è il grave problema della informazione, di una responsabilità per la verità che manca in molti addetti della comunicazione (così come ricorda spesso il Papa, secondo cui «non manca, … il rischio che essi [i media] si trasformino … in sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento. E’ il caso di una comunicazione usata per fini ideologici o per la collocazione di prodotti di consumo mediante una pubblicità ossessiva. Con il pretesto di rappresentare la realtà, di fatto si tende a legittimare e ad imporre modelli distorti di vita personale, familiare o sociale. Inoltre, per favorire gli ascolti, la cosiddetta audience, a volte non si esita a ricorrere alla trasgressione, alla volgarità e alla violenza. […] Si constata, ad esempio, che su talune vicende i media non sono utilizzati per un corretto ruolo di informazione, ma per “creare” gli eventi stessi. Ricordato questo, credo però che l’urgenza, oggi, sia una corretta educazione del popolo: bisogna che la Chiesa ritorni ad essere quella Mater et magistra che abbiamo imparato a conoscere ed amare. Che sia il luogo di una vera testimonianza della Vita buona del Vangelo che sola può ridare all’uomo speranza e rispetto.
Ateismo razionalista e materialista, consumismo sfrenato, libertarismo relativista schiacciano l’uomo e ne umiliano la dignità. Per questo vale il richiamo della Scrittura: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. E' meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male.» (I Pt 3, 15ss)

Possiamo dire anche, col Card. Ratzinger:

«Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» [Joseph Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture]

Allora diciamo basta ad uno stile di vita cristiano che non abbia a cuore il bene della Chiesa, che non si accorge che lo scandalo (e non solo quello ‘morale’ – a volte schifoso –, ma una riduzione mondana della fede) non edifica nulla, anzi, rende fragile la presenza cristiana nei diversi ambienti in cui si vive e si opera; diciamo di sì alla testimonianza della santità, fatta di carità e verità, che molti, nel popolo cristiano, sanno dare. Abbiamo a cuore che trionfi il Regno di Dio nel mondo, e per questo siamo disposti a dare tempo e risorse, fino alla vita.
In una lettera della Segreteria di Stato vaticana si legge: «Sua Santità auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i santi e i simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della comunità cristiana, illuminata e guidata dai suoi pastori». Saremo capaci di reagire in maniera ferma e composta di fronte alla guerra contro Cristo e la sua Chiesa? E sapranno i Pastori guidarci in questo impegno, come già il Papa Benedetto sta facendo dall’inizio del suo Pontificato? Come sempre, noi di CulturaCattolica.it non ci tiriamo indietro di fronte al compito che ci attende, e ci mettiamo al servizio di questa nobile causa.

Mangiarotti Don Gabriele - CulturaCattolica.it -

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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