ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 18/03/2012

MESSAGGIO DELLA REGINA DELLA PACE DEL 18 MARZO 2012 A MIRJANA

Post n°6894 pubblicato il 18 Marzo 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Cari figli! Vengo tra di voi perché desidero essere la vostra madre, la vostra interceditrice. Desidero essere il legame tra voi e il Padre celeste, la vostra mediatrice. Desidero prendervi per le mani e camminare con voi nella lotta contro lo spirito impuro. Figli miei consacratevi a Me completamente. Io prenderò le vostre vite nelle mie mani materne e vi insegnerò la pace e l’amore affidandole allora a mio Figlio. Vi chiedo di pregare e digiunare perché soltanto così saprete testimoniare il mio Figlio per mezzo del mio cuore materno in modo giusto. Pregate per i vostri pastori perché in mio Figlio possano sempre annunciare gioiosamente la Parola di Dio. Vi ringrazio

 
 
 

L'AMORE DI UNA MAMMA CHE HA FATTO TRIONFARE LA VITA

Post n°6893 pubblicato il 18 Marzo 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

La gioia di una gravidanza e la minaccia di un tumore. La scelta coraggiosa ha salvato mamma e bambina.

Durante l’incontro con il prof Giuseppe Noia - Primario di Ginecologia al Gemelli, da anni impegnato, in prima persona e senza riserve, in difesa della Vita - organizzato a Roma domenica 11 marzo dalla “Famiglia del Cuore Immacolato di Maria”, presso la Parrocchie della Sacra Famiglia, abbiamo ascoltato anche l’esperienza di Francesca, che qui proponiamo.

Era il settembre del 2010. Eravamo appena tornati dalle vacanze, quando scopro inaspettatamente di essere incinta del quarto figlio.

Passati alcuni giorni, i timori iniziali vennero sostituiti ben presto da gioia ed entusiasmo, soprattutto negli altri tre fratellini. Le uniche nostre preoccupazioni diventarono solo pratiche: come sistemare le camere da letto e cercare una nuova auto, adatta a questa “famigliona”.

Passarono due mesi, avevo già fatto alcuni controlli ginecologici e, a parte qualche nausea, la gravidanza stava andando benissimo. Arrivò il giorno della terza visita ginecologica: questa volta, però, era prevista anche la prima ecografia. Come era accaduto per gli altri figli, venne anche mio marito, incuriosito di conoscere dal vivo la nuova creatura.

Anche se per noi era la quarta volta, è sempre una sensazione indescrivibile. Io e mio marito Donato ci guardavamo con gli occhi carichi di emozioni. La crescita era regolare e la ginecologa ci diede la notizia che, con molta probabilità, era una bambina, la terza per noi. Eravamo felicissimi!

Tutto sembrava meraviglioso; ma, da qui a qualche minuto, cambiò la storia della mia vita.

Al termine della visita, la ginecologa, come di consueto, mi visitò anche il seno. Si accorse che avevo un piccolo nodulo sul seno sinistro. Probabilmente una semplice reazione della gravidanza, diceva. Però, non del tutto convinta, decise di mandarmi da un senologo, il quale, dopo pochi giorni, mi diede la triste diagnosi. Il nodulino al seno non era una reazione della gravidanza, bensì un linfonodo duttale infiltrante… in poche parole, un tumore maligno, allo stadio più alto.

Ricordo bene che, quando mi fu data la notizia, rimasi senza reagire per diversi minuti. Il dottore mi parlava con termini medici che per me non significavano niente. Io pensavo solo alla mia bambina, cosa ne sarebbe stato di lei e dei tre bambini a casa. In un attimo era cambiata la mia vita e, ahimè, anche quella dei miei familiari.

Di fronte mi trovai medici che, mettendo al primo posto la mia salute, mi suggerivano di intraprendere la strada più semplice: l’aborto. Ma il Signore parlò per me a quei medici ed io e la mia bambina ci trovammo unite in sala operatoria a difendere le nostre vite.

L’intervento andò bene per la mamma, ma soprattutto la bimba era viva!!!

Poi passò un mese. Erano appena finite le vacanze di Natale, trascorse serene, credendo di aver vinto la battaglia contro la malattia e di dover pensare solo al mio pancino, che entrava nel quinto mese di gravidanza.

Era esattamente il 7 gennaio 2011. Una telefonata inaspettata fece calare il silenzio tra me e mio marito. L’oncologia di Prato mi chiese di presentarmi due giorni dopo, per comunicazioni urgenti sul risultato dell’esame istologico. Insieme ai bambini affidammo le nostre preoccupazioni a Maria Santissima e recitammo il Santo Rosario.

Così arrivo il giorno dell’appuntamento. La diagnosi per me fu devastante…

Il male che mi aveva colpito, benché’ fosse stato tolto, aveva un’altissima percentuale di recidività, ed era accelerato dagli ormoni della gravidanza. Da lì a pochissimi giorni avrei dovuto intraprendere dei cicli di chemioterapia…. E la bambina???!!!

A questa domanda l’oncologa fu un po’ vaga; o meglio, non aveva sul territorio di Prato casi analoghi. In poche parole non si conoscevano gli effetti collaterali per la bimba, ma sapevano i rischi assai gravi per la mamma a non fare la chemioterapia.

Presi un giorno per riflettere, prima di dare una risposta affrettata. In realtà anche quella volta Gesù dentro di me aveva già scelto, ma il mio pensiero era rivolto anche a quei tre angioletti a casa, che avevano il diritto di avere una mamma... ma anche di avere una nuova sorellina!!!

Così tornai dall’oncologa e le annunciai la decisione sofferta di rifiutare di sottopormi alla chemioterapia, finche’ non fosse nata la bambina. Credo di non essere stata trattata mai male, come in quel giorno. Mi fu dato dell’ egoista e mi fu prospettato il peggio. L’oncologa faceva semplicemente il suo lavoro e temeva per la mia salute, ma il mio cuore di mamma diceva no!

Con quegli occhi persi nel vuoto, corsi a cercare rifugio dentro la cappella dell’ospedale di Prato; lì mi immersi negli occhi lucenti di Maria Santissima, fu Lei la mia consolazione.

Con questa fiducia iniziai un percorso di contatti e telefonate con medici di tutta Italia. Uno di loro mi disse delle parole che ricorderò sempre: “Lei deve trovare un medico che le voglia bene! E che abbracci la sua causa!!”. Dopo una settimana, il 19 gennaio 2011, il Signore ha messo nel mio cammino, la persona che diventerà protagonista della nascita della mia bambina: il Prof. Giuseppe Noia, ginecologo del Policlinico Gemelli di Roma. Una persona che vive il suo lavoro realmente come una “missione”, una missione alimentata dalla preghiera e dal completo affidamento a Dio, a 360°. Un medico che tratta i malati come persone da aiutare e da confortare, regalando un sorriso paterno.

Mi spiegò l’importanza di sottopormi a delle chemioterapie leggere, in gravidanza, senza dare danni rilevanti alla bambina; anticipare di un po’ la data del parto, per poi fare terapie più forti dopo. Ho fatto insieme ai miei familiari quattro viaggi a Roma, per monitorare la salute della bimba. Il 4 aprile 2011, a Roma, al Policlinico Gemelli, per mezzo delle mani del Prof. Noia, ma per volontà di nostro Signore, è venuta al mondo MARIA, una bambina meravigliosamente sana e amata da tutti noi!!!

Il Signore si è servito del Prof. Noia come strumento per compiere il Suo disegno. Sono trascorsi più di dieci mesi dalla nascita di Maria. Nel frattempo, io ho continuato le mie chemioterapie e sono tuttora in cura presso l’oncologia di Prato, con risultati al momento positivi.

La nostra bambina, nata di appena 2,2 Kg di peso, oggi ne pesa ben 11.

Spero che questa mia esperienza faccia riflettere alcune mamme, qualora dovessero trovarsi in una situazione analoga alla mia. Non arrendetevi al primo ostacolo, aprite il cuore a Dio e lui vi parlerà e vi condurrà dai medici giusti, come è successo a me!

- P. Mario Piatti icms - ZENIT -

 
 
 

IMPORTANTI E QUALIFICATE RICERCHE SPIEGANO PERCHE' BISOGNA OPPORSI AI MATRIMONI OMOSESSUALI

Post n°6892 pubblicato il 18 Marzo 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Samek Lodovici: Quanto alle coppie omosessuali, è ovvio che esse non possono contribuire mediante la procreazione alla continuazione della società. Si obbietta che potrebbero farlo adottando dei bambini. Ma, in realtà, dare dei bambini in adozione a queste coppie significa, quanto meno, privarli della figura materna/paterna, che non può essere surrogata da chi è uomo/donna.
Xavier Lacroix ha criticato efficacemente l’attendibilità di alcuni dati che vengono citati per sostenere che per un bambino essere adottato da omosessuali è indifferente. Al contrario, i dati che finora abbiamo a disposizione mostrano che i bambini affidati a queste coppie hanno una probabilità molto più alta di soffrire di gravi disturbi psicologici, di avere un’autostima bassa, una maggiore propensione alla tossicodipendenza e ad autolesionarsi (cfr. Deevy, 1989, p. 34), per almeno i seguenti 5 motivi.

1) La già menzionata assenza della figura materna/paterna. E’ vero che ci sono casi della vita in cui i bambini trovano le figure di riferimento femminile/maschile fuori dalla coppia genitoriale; ma ciò è un rimedio che non si verifica sempre e che non intacca l’inaccettabilità della privazione iniziale. Esistono situazioni particolari (per es. in tempo di guerra) in cui alcuni bambini vengono allevati da due donne; ma una situazione eccezionale dà adito a soluzioni eccezionali che non possono essere la norma, né un bene.

2) La brevità dei legami omosessuali, che si infrangono molto più frequentemente di quelli delle coppie coniugate, con o senza figli. D. McWirther e A. Mattison, che sono ricercatori gay (quindi non sospettabili di parzialità), hanno esaminato 156 coppie omosessuali: solo 7 di queste avevano avuto una relazione esclusiva, ma comunque nessuna era durata più di 5 anni. Le relazioni omosessuali durano in media un anno e mezzo i maschi gay hanno mediamente 8 partner in un anno fuori dal rapporto principale (Xiridou, 2003). In un’ampia ricerca di un volume di ben 506 pagine (si noti che questo volume è stato pubblicato dall’Istituto Kinsey, che non è certo ostile all’omosessualità, anzi l’ha fortemente promossa) di A.P. Bell e M.S. Weinberg (Homosexualities: A study of diversity among men and women, Simon & Schuster, New York 1978) svolta su un campione americano, si mostrava che su 574 uomini omosessuali solo l’1 % aveva avuto 3-4 partner, il 2 % 5-9, il 3 % 10-14, il 3% 15-24, l’8 % 25-49, il 9 % 50-99, il 15 % 100-249, il 17 % 250-499, il 15 % 500-999, il 28 % 1000 (mille) e più. Ed un’indagine su 150 uomini omosessuali di età tra i 30 e i 40 anni ha mostrato che già a quell’età il 65 % aveva avuto più di 100 (cento) partner sessuali (cfr. Goode – Troiden, 1980). Ci sono rare coppie omosessuali che continuano a coabitare per più anni, ma tra loro non c’è quasi mai esclusività nei rapporti.

3) Gli omosessuali hanno probabilità molto superiori di avere una salute peggiore, di avere problemi psicologici (cfr. Rothblum, 1990, p. 76; Welch, 2000, pp. 256-263), che si ripercuotono sui bambini. Anche in Olanda, dove il clima culturale è molto tollerante verso l’omosessualità, uno studio su 7.076 soggetti ha mostrato che i disturbi psicologici degli omosessuali sono davvero numerosi (cfr. Sandfort, 2001, pp. 85-91). Forse è anche per questo motivo che nell’ambiente omosessuale la percentuale di suicidi è superiore alla media. Infine, il tasso di violenza è assai alto (Cameron, 1996, pp. 383-404).

4) I bambini che vengono adottati hanno alle spalle già una storia di sofferenze e/o violenza: così, alla differenza tra i genitori naturali i genitori adottivi – che già di per sé costituisce una difficoltà – si viene ad aggiungere il fatto che la coppia dei secondi non è analoga alla coppia dei primi” (Lacroix, p. 56).

5) Ancora, “è insito nel bambino un bisogno di divisione dei ruoli, di sapere “chi fa che cosa” e “da chi mi posso aspettare questo atteggiamento e da chi mi posso aspettare quell’altro”" (Lobbia – Trasforini, p. 89).

Le convivenze si sfasciano spesso, ma anche i matrimoni naufragano…

Samek Lodovici: Sappiamo e vediamo tutti che anche un matrimonio può naufragare. Però è certamente l’istituto giuridico che dà le maggiori garanzie di durata perché, mentre per il matrimonio la fragilità è una forma di patologia, per le altre unioni essa è la norma, visto che non si impegnano a restare unite e come si riscontra dai dati poc’anzi riportati. Abbiamo già citato dati americani: 3 bambini su 4 nati da coppie di fatto vedono il naufragio dell’unione dei loro genitori prima dei 16 anni di età.

Ma quante sono le coppie conviventi che naufragano rispetto a quelle coniugate?

In Gran Bretagna il 75 % dei crolli delle coppie che hanno bambini piccoli riguarda genitori non sposati (cfr. http://www.avvenireonline.it/Famigli…/20060112.htm). Se dunque il matrimonio è come una casa costruita per abitarci per tutta la vita e che può crollare, gli altri tipi di unione sono come delle case costruite per stare in piedi solo per un certo periodo, dopo il quale crollano quasi sempre.

Dunque lo Stato dovrebbe proteggere il matrimonio monogamico per il bene dei bambini?

Samek Lodovici: Dunque, se ci mettiamo dalla parte dei bambini, vediamo che il matrimonio monogamico dà maggiore garanzie di stabilità, perché: a) il vincolo giuridico matrimoniale rafforza il legame; b) il diverso atteggiamento dei coniugi (che fanno un progetto di definitività) rafforza l’impegno; c) l’antropologia culturale dimostra che la ritualizzazione (per es. la cerimonia nuziale) di un impegno accresce la capacità di rispettarlo. Inoltre lo Stato deve proteggere il matrimonio monogamico perché è l’istituto giuridico migliore per garantire la continuazione di una società.

 -www.libertaepersona.org -

 
 
 

ECCO PERCHE' L'EURO CI PORTA ALLA BANCAROTTA

Post n°6891 pubblicato il 18 Marzo 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Si sovrappongono all’inizio di quest’anno due anniversari: il ventesimo del Trattato di Maastricht, che fu stipulato nella cittadina olandese l’11 dicembre 1991, ma fu ufficialmente ratificato dai Capi di Stato e di Governo della Comunità europea il 7 febbraio 1992; e il decimo anniversario dell’euro, entrato in vigore il 1 gennaio 1999, ma circolante in monete e biglietti dal 1 gennaio 2002.

L’euro è un elemento portante del Trattato di Maastricht, presentato all’opinione pubblica come un accordo di natura economica, che avrebbe visto, in fasi successive la caduta delle barriere doganali, l’istituzione di una Banca Centrale Europea e poi quella di una moneta unica. Tutto questo per ridurre il debito e risanare l’economia europea.

Il vero obiettivo della complessa operazione in realtà non era economico, ma politico. Il progetto prevedeva la liquidazione degli Stati nazionali, sostituiti da nuovi organismi sovranazionali controllati da poteri oligarchici di carattere non solo finanziario, ma soprattutto ideologico, con la “missioneˮ di imporre in Europa la nuova filosofia relativista e i nuovi diritti “postmoderniˮ.

A vent’anni di distanza, il progetto è fallito sul piano economico, ma rischia di riuscire sul piano politico. I fatti sono eloquenti. Sul piano economico l’euro è fallito perché globalmente il debito pubblico della zona euro è aumentato del 26,7% negli ultimi cinque anni. Non si può imporre una moneta unica a Paesi che hanno strutture economiche e produttive diverse, con differenti tassi di crescita e di sviluppo.

Il rischio che ciò che è fallito sul piano economico si realizzi però sul piano politico è dimostrato dai casi recenti dell’Italia e della Grecia, dove due Capi di governo dalle molte analogie, Silvio Berlusconi e Viktor Orban, si sono trovati sotto il medesimo fuoco concentrico. Eletti entrambi con un largo appoggio popolare i due uomini politici hanno cercato di realizzare programmi economici sgraditi agli eurocrati.

Il leader italiano ha subito una serie di attacchi giuridici, mediatici e politici che ne hanno progressivamente eroso il potere. Berlusconi si è debolmente difeso, anche a causa dei suoi interessi aziendali, e la BCE, tra l’estate e l’autunno del 2011, gli ha dato il colpo di grazia, negandogli l’aiuto economico necessario a sopravvivere. Il presidente Napolitano ha chiamato a sostituirlo il prof. Mario Monti, uomo di fiducia delle oligarchie finanziarie ed eurofanatico della prima ora.

Orban, da parte sua, è stato più coraggioso di Berlusconi, perché ha osato affrontare di petto la nomenklatura europea, rivendicando alcuni temi, dalle radici cristiane al diritto alla vita, che Berlusconi si era ben guardato dall’affrontare. L’ira nei suoi confronti è stata maggiore e l’offensiva sarà nei prossimi mesi più violenta.

Gravi tempeste economiche e sociali attendono però i Paesi aderenti all’Unione Europea che, dopo essersi privati dello strumento della politica monetaria, hanno compiuto, nel vertice del 2 marzo, a Bruxelles, un’ulteriore rinuncia alla loro sovranità. Essi infatti, come sottolinea il Andrea Bonanni su “Repubblica” del 3  marzo, «non avranno più veramente voce in capitolo sui saldi di bilancio».

Il compito di sorvegliare il loro debito pubblico è stato affidato alla Corte di Giustizia Europea, le cui sentenze, che prevedono dure sanzioni finanziarie, prevalgono su quelle delle magistrature nazionali. L’unica via di uscita percorribile sarebbe quella di eliminare le cause che hanno prodotto i mali. E le massime responsabilità di questi risalgono proprio a quel Trattato di Maastricht e a quella moneta unica che Mario Monti è stato chiamato a salvaguardare in Italia.

Il caso italiano costituisce un laboratorio in cui i poteri forti sperimentano il futuro dell’Europa. Ma la bancarotta della Grecia è solo una pallida prefigurazione di ciò che ci attende se non si cambierà radicalmente la sciagurata strada fin qui percorsa.

(Roberto de Mattei) - corrispondenzaromana.it -

 
 
 

NELLA PATERNITA' DEL PRETE SI RIFLETTE LA PATERNITA' DI DIO, COME E' SUCCESSO CON SAN GIUSEPPE

Post n°6890 pubblicato il 18 Marzo 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Ti chiamano padre. E a te viene in mente il Vangelo che dice: “E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo”. Eppure è ben chiaro che il sacerdote vive un’autentica esperienza di paternità. Il sacerdote è padre perché genera figli a Dio nel sacramento del Battesimo e li rigenera nella confessione, li nutre nell’Eucaristia, li educa attraverso il fervore di  mille iniziative e mille occasioni di presenza e di incontro messe in atto dalla Chiesa.

E’ una grazia quando una comunità cristiana ritrova il suo centro nella figura del sacerdote, e forse può accadere anche in un quartiere, in un paese di campagna come in una parrocchia di città. C’è la Chiesa, ci sono tutte le prestazioni offerte da una comunità ben strutturata, ma alla fine la gente va in cerca di un volto, domanda una parola, uno sguardo, un’attenzione particolare. Non viene solo a richiedere un documento o un’informazione, ma domanda un rapporto, attende un cenno di dialogo, spesso invoca comprensione, conforto, amicizia, accoglienza libera e gratuita, senza alcun giudizio o condanna.

Accade al sacerdote di prendersi a carico la vita delle persone, accompagnandole in vicende delicate e difficili, nella tormentosa ricerca della propria fisionomia, nella ricostruzione del proprio destino, nella ripresa di rapporti vacillanti o interrotti. Le singole persone che si riferiscono al sacerdote trovano a loro volta un nuovo motivo di rapportarsi tra di loro, perché hanno in comune lo stesso riferimento, la stessa guida e sono avviate a sperimentare una fraternità che supera il livello della carne e del sangue. “Chi sono mia madre e i miei fratelli?”, domandava Gesù; e girando lo sguardo tutt’attorno diceva: “Chi fa la volontà del Padre mio è per me fratello, sorella e madre”. Da Cristo sgorgano una paternità e una fraternità senza confine, che viene a manifestarsi in modo denso e vivo nel cerchio ristretto delle persone che più frequentano la Chiesa, la messa, gli incontri, le attività, ma si dilata continuamente proprio in forza di questo primo cerchio. attraverso le persone vicine si arriva sempre più lontano. Lo spazio si dilata, perché – rimanesse il sacerdote nella stessa parrocchia per decenni – si aprono sempre nuovi spazi umani, nella profondità insondabile del cuore delle singole persone, e nella novità di ulteriori conoscenze.

Questa paternità del sacerdote, che si nutre di libertà e germoglia nella fede, si coltiva nel rispetto e fiorisce nell’amicizia e  nella familiarità, è una pianta che non trattiene chi va a posarsi sotto la sua ombra. Il prete non è una chioccia che copre i pulcini sotto le ali. La gente non ti appartiene, così come nessun figlio appartiene ai genitori. I figli dimostrano una vera maturità quando il rapporto con il padre non diventa una dipendenza pesante, ma si esprime nella capacità di iniziativa e nell’apertura verso nuove imprese. Una paternità matura del sacerdote lancia i figli nella vita, li aiuta a spalancarsi al mondo intero, ad essere ‘universali’ secondo le dimensioni della Chiesa, Corpo di Cristo. Questo dimostra nuovamente la verità della frase del Vangelo: “Non esiste che un solo padre, Dio”.

Il breve frammento di paternità che al sacerdote, per grazia, può essere dato da vivere, è per generare figli a Dio Padre e alla Chiesa Madre. Ed è per imparare nuovamente ad essere padri proprio perché a nostra volta ci riconosciamo e viviamo come figli di Dio e figli della Chiesa. “Tam pater nemo”: Nessuno è così padre come chi genera e fa crescere i figli non per sé ma per amore al loro destino, consegnandoli al Padre che è nei cieli. Anche Papa Benedetto, l’altra domenica, in una parrocchia di Roma si commoveva di fronte alla gente che lo riconosceva come ‘papà’. Nella paternità del sacerdote, come in ogni altra paternità e maternità che abita sotto il cielo, si riflette la paternità di Dio. Non è stata questa la missione che Dio - in un modo straordinario e misterioso - ha affidato a Giuseppe di Nazaret?

- Angelo Busetto - labussolaquotidiana.it -

 
 
 

LA PRIMA GENERAZIONE INCREDULA: IL DIFFICILE RAPPORTO TRA GIOVANI E FEDE

Post n°6889 pubblicato il 18 Marzo 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

«Perché in Chiesa di giovani se ne vedono sempre meno e spariscono anno dopo anno i gruppi parrocchiali giovanili? Perché i ragazzi si dileguano dagli oratori appena diventano giovani?» Già queste domande iniziali rivelano il timbro e l’indubbio interesse del libro di Armando Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, edito da Rubbettino. L’autore, in una lettura acuta e con uno stile incantevole, guarda il disincanto della gioventù che perde con una velocità vertiginosa il contatto con il grande codice di senso della Bibbia e del cristianesimo.

L’autore denuncia l’atteggiamento contraddittorio della nostra società che parla di continuo dei giovani e dei loro problemi continuando però ad accumulare privilegi nelle mani degli adulti «persi nei loro riti e nei loro miti, ben saldi ai loro posti di potere, incapaci ormai non solo di prendersi cura del mondo giovanile ma più semplicemente di guardarlo in faccia». Questa sordità, alla quale la Chiesa non è immune, genera nella gioventù una corrispondente sordità, una situazione di «assenza di antenne» per ciò che la Chiesa è e compie. L’incomprensione e l’emarginazione consegna i giovani – secondo Galimberti – al temibile «ospite inquietante» del nichilismo.

Nel primo capitolo l’autore dipinge con attenzione ed equilibrio il profilo della prima generazione incredula la quale non si pone contro la Chiesa o la fede, ma – con puerile disinteresse, per usare un’immagine nietzscheana – si disinteressa altamente ed egregiamente di quanto la Chiesa possa offrire. È una generazione che va al di là dell’antiteismo o l’anticlericalismo per accomodarsi in uno spazio senza Dio (ateo nel senso strettamente etimologico del termine) arredato dal una coscienza accuratamente e pacificamente secolarizzata.

L’apatia e l’analfabetismo religioso delle giovani generazioni si deve a vari motivi tra cui «l’anello mancante» della trasmissione della fede in famiglia. Il deficit domestico della comunicazione della fede non può più essere colmato dalla società postmoderna che ha assunto nuovi codici di lettura dell’esistenza umana lontani – e ostili – alla lettura credente. Matteo analizza questi nuovi codici passando al vaglio «momenti» significativi di mutamento della percezione sociale e dell’autopercezione antropologica, come Darwin, Marx, Freud, Henry Ford, Picasso, Kafka, i totalitarismi, Auschwitz, il ’68, il crollo del muro di Berlino…

Il secondo capitolo dedica l’attenzione a una lettura autocritica della realtà ecclesiale, specie quella italiana. L’autore denuncia la scarsa recezione nell’ambito parrocchiale dell’interesse «macro» della Chiesa verso i giovani. Le giornate mondiali della gioventù, le agorà dei giovani e i documenti episcopali dedicati ai giovani trovano scarso seguito nelle micro-realtà delle parrocchie. Le chiese si presentano più come «un luogo specializzato per il mondo dell’infanzia», ma poco attrezzato per camminare assieme ai ragazzi quando diventano giovani. Il sacramentalismo assoluto della proposta di fede fa un doppio torto: sfigura, da un lato, l’immagine della Chiesa riducendola a una sorta di «stazione di servizio dello spirito» alla quale si ricorre per avere il sacro a facile-prezzo; dall’altro lato, rende la realtà ecclesiale insignificante al di fuori del periodo delle vaccinazioni sacramentali.

Dopo l’analisi della situazione ecclesiale e la diagnosi dell’affinità/avversione tra giovani e chiesa, Matteo si dedica ad analizzare il conflittuale rapporto tra giovani e adulti. Un rapporto segnato da paradossali tentativi di osmosi, dove la generazione adulta vuole accaparrarsi l’elisir della giovinezza e realizzare il sogno del forever young, ma allo stesso tempo nutre una serpeggiante invidia verso le giovani generazioni. Un’invidia che si concretizza nell’ostinato tentativo di tenere i giovani in uno stato di «minorità», minando continuamente le loro possibilità di inserimento e realizzazione sociale e politica.

Dato che il rapporto intergenerazionale è la cartina di tornasole della salute di una collettività, diventa urgente e inderogabile l’impegno per instaurare una rinnovata alleanza tra giovani e adulti. In questo contesto, l’autore invita questi ultimi a una coraggiosa conversione, quella di «smettere di fissare come Narciso la nostra bellezza di plastica per scorgere il volto ferito dei nostri giovani, lasciandoci afferrare da un sussulto di amore per essi».

Il quarto capitolo del libro del teologo calabrese costituisce la proposta operativa e stilistica per affrontare l’emergenza «giovani». L’autore prende spunto dalla «duplice giovinezza della fede cristiana». La fede cristiana è relativamente una fede giovane sulla scena mondiale; d’altro canto, essa è un’esperienza giovane, in quanto ha saputo sempre declinarsi come lievito in varie forme di presenza storica. Matteo è convinto che la prima generazione incredula ha qualcosa da comunicare e da insegnare alla comunità credente. D’altronde, nel confronto con le varie urgenze, la Chiesa è uscita sempre più sensibile e più saggia.

All’attuale generazione di giovani, la Chiesa è chiamata a imparare nuovi modi per iniziare alla compagnia di Gesù. Essa deve fissare e insegnare a guardare il volto di quel Gesù «che non sbaglia mai colpo nello stigmatizzare ciò che appesantisce e abbruttisce l’esperienza umana e nell’indicare ciò che invece la alleggerisce e la destina alla sua originaria bellezza».

L’appello è quello di riscoprire e far scoprire ai giovani in modo rinnovato «la grammatica delle fede» che si declina come un genitivo dell’amore di Dio (l’amore con cui Dio ci ama, e che è nostra risposta in secondo luogo) e del prossimo; la fede che è una scuola di libertà, proprio quella libertà che i giovani postmoderni, colpiti da una «generale fragilità nell’esecuzione» non riescono ad esercitare appieno.

La proposta dell’autore, in sintesi, è quella di una riscoperta dell’essenziale e della gerarchia delle priorità del messaggio cristiano, una riscoperta suggerita dalla simpatica immagine del «mettersi a dieta» per una stagione: la stagione attuale che si presenta comunque come un tempo propizio, un kairos, per annunciare il Vangelo. L’attuale kairos invita i cristiani a un cambio di vedute, al passaggio da un modello cronologico scandito dai riti a un modello kairologico costellato da iniziative personalizzate (e personalizzabili), affinché ogni persona – ogni giovane – possa sentirsi familiare e contemporaneo del volto di Dio.

In conclusione, il libro di don Armando Matteo è un affresco realista che si fa proposta e prospettiva non nell’ingenuità utopistica ma attingendo all’immanente genio del cristianesimo, sempre da riscoprire. L’opera è impreziosita da un accostamento multidisciplinare che evita le letture facili e spicciole. Il prospettivismo giostrato con maestria dall’autore permette ai lettori di percepire la complessità e la polivalenza del quadro che accomuna i giovani e la fede. Matteo, infatti, è assistente nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e la sua esperienza lo mette in una situazione privilegiata per guardare il panorama giovanile con le sue gioie e speranze, tristezze e angosce. Il suo libro è un intelligente vademecum per imparare a raccogliere e interpretare il grido di speranza dei giovani.

di Robert Cheaib - robert@zenitteam.org - È possibile acquistare il libro, cliccando su: http://www.amazon.it/generazione-incredula-difficile-rapporto-Problemi/dp/8849825617/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1331899846&sr=8-1&tag=zenilmonvisda-21 - ZENIT -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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