ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 03/04/2012

RITROVA LA FEDE STUDIANDO LA SINDONE

Post n°6969 pubblicato il 03 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Barrie Schwortz, il fotografo ebreo della Sindone racconta la sua storia all'Ateneo Pontificio Regina Paostolorum

Barrie Schwortz è stato il fotografo ufficiale per la Shroud of Turin Research Project (STURP), il team che ha condotto il primo approfondito esame scientifico della Sindone nel 1978.

Attualmente svolge un ruolo importante nella ricerca sulla Sindone e nella sua spiegazione e divulgazione. E’ editore e fondatore del sito Shroud of Turin Website (www.shroud.com), noto come il più documentato e approfondito sito internazionale sulla Sindone. Conta più di dieci milioni di visitatori provenienti da oltre 160 paesi. Nel 2009Barrie Schwortzha fondato laShroud of Turin Education and Research Association, Inc..(Stera, Inc.),un'organizzazione non-profit alla quale ha donato il sito e la sua raccolta fotografica sulla Sindone, al fine di preservare e mantenere materiale prezioso per la ricerca futura e di studio.

Schwortz ha condotto conferenze sulla Sindone in tutto il mondo. È apparso in programmi e documentari su ogni trasmissione importante e rete televisiva via cavo, tra cui The History Channel, Discovery Channel, Learning Channel, National Geographic Channel, CNN, PBS, BBC, Fox News, Channel 1 Russia, ecc.. Le sue fotografie sono apparse in centinaia di libri e pubblicazioni tra cui Life Magazine, National Geographic, Time Magazine e Newsweek, e in numerosi documentari televisivi. Ha scritti innumerevoli articoli sulla Sindone. E’ co-autore di un libro con Ian Wilson intitolato "The Turin Shroud: The Illustrated Evidence” pubblicato nell'agosto 2000 da MichaelO'Mara Libri, Ltd., London, e distribuito da Barnes & Noble negli Stati Uniti

In una intervista concessa a ZENIT, ha raccontato come lo studio della Sindone lo ha condotto a conoscere Dio e a essere un uomo di fede.

L’intervista si è svolta a Roma, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum dove Barrie Schwortz ha tenuto delle lezioni all'Istituto di Scienza & Fede nell’ambito del corso per il Diploma di specializzazione in Studi Sindonici (http://www.uprait.org/index.php?option=com_content&view=article&id=793)

Il corso si svolge in collaborazione con Othonia e il Centro Internazionale di Sindonologia di Torino.

Cosa ha significato questa esperienza per lei?

La parte migliore dell'esperienza è stata la calda accoglienza che la facoltà e gli studenti mi hanno riservato. Mi hanno confermato l’importanza della mia esperienza scientifica e di fede. E’ anche abbastanza paradossale che un ebreo insegni in una Facoltà Pontificia.La prima volta che mi hanno chiesto di tenere le lezioni ho detto: "Capita spesso di portare un ebreo a parlare della Sindone ai futuri sacerdoti?” e tutti sono scoppiati a ridere.

E’ stato davvero un grande onoreper me, poter portare la mia testimonianza sugli studi condotti sulla Sindone.

Quanto tempo ha impiegato ad accettare l’idea che la Sindone di Torino fosse il telo autentico in cui è stato avvolto Gesù?

Schwortz: All'inizio del mio lavoro, ero molto scettico sulla sua autenticità. Non provavo nessuna emozione particolare nei confronti di Gesù perché sono stato cresciuto come un Ebreo ortodosso. L’unica cosa che sapevo di Gesù era che anche lui era un ebreo, e questo era tutto.

Esaminando la Sindone, ho capito subito che non era dipinta. Guardandola da vicino è evidente che non si tratta di un dipinto.

Per quanto riguarda la sua autenticità però ci sono voluti altri 18 anni di studio e di prove.
Non era completamente convinto dell’autenticità fino a quando il chimico del sangue Allen Adler, un altro ebreo che faceva parte del gruppo di studio, mi ha spiegato perché il sangue è rimasto rosso sulla Sindone. Il sangue vecchio doveva essere nero o marrone, mentre il sangue sulla Sindone è di un colore rosso-cremisi. Mi sembrava inspiegabile invece eral'ultimo pezzo del puzzle. Dopo quasi 20 anni di indagini è stato uno shock per me scoprire che quel pezzo di stoffa era il telo autentico in cui era stato avvolto il corpo di Gesù. Le conclusioni a cui ero arrivato si basavano esclusivamente sull’osservazione scientifica.

Per quanto riguarda l'autenticità, i risultati della datazione al radiocarbonio del 1988 sono in contraddizione con le sue conclusioni.

Schwortz: Non sono un fisico, quindi non ho capito bene perché la datazione al radiocarbonio è stato così distorta. Per dieci anni avevamo esaminato il panno era eravamo convinti che fosse vero. Dai risultati della datazione al carboniouna parte del mondo ha cominciato a manifestare dubbi sull’autenticità.

Quale secondo Lei il significato della Sindone?

La Sindone non è stata trovata con un libro di istruzioni e, di conseguenza, il significato non si trova sul telo, ma negli occhi e nel cuore di chi guarda. Per me, una volta giunto alla conclusione scientifica che il telo fosse autentico, sono arrivato a capirne anche il significato. Si tratta del documento forense della Passione, e per i cristiani di tutto il mondo è la reliquia più importante, perché documenta con precisione tutto ciò che viene detto nei Vangeli di ciò che è stato fatto a Gesù.

Penso che ci siano abbastanza prove per dimostrare che quello è il telo che ha avvolto il corpo di Gesù. Non si tratta di dimostrare che lui fosse il Messia, non sto discutendo una questione di fede, sto solo dicendo che dal punto di vista scientifico quel telo ha avvolto il copro dell’uomo di cui si parla nei Vangeli.

In che modo la scoperta progressiva dei dati sulla Sindone ha influenzato il suo cammino di fede?

All’inizio dell’indagine, sapevo di Dio, ma non era molto importante nella mia vita. Non avevo pensato a Dio, da quando avevo 13 anni e aveva avuto il mio bar mitzvah,  (il momento in cui un bambino ebreo raggiunge l'età della maturità e diventa responsabile per se stesso nei confronti della legge ebraica ndr). Non ero molto religioso, era quasi un obbligo per la mia famiglia. E 'stato molto importante per loro, ma per me non ha avuto un grande significato. Da allora mi sono allontanato dalla fede, dalla religione e da Dio, fino a quando non ho raggiunto i 50 anni.

Quandonel 1995 sono arrivato alla conclusione che la Sindone era autentica, ho costruito il sito shroud.com. Ho iniziato a raccogliere il materiale e l’ho messo a disposizione del pubblico.

Ho iniziato a parlare pubblicamente della Sindone intorno al 1996.

Quando la gente ha iniziato a chiedermi se ero un credente, non trovavo la risposta.

A quel punto mi sono interrogato ed ho trovato Dio che mi stava aspettando. Quando ho guardato nel mio cuore, lui era lì. È stato uno shock. Ero davvero sorpreso di vedere che dentro di me c’era la fede in Dio. Fino a 50 anni avevo praticamente ignorato la fede ed improvvisamente mi sono trovato faccia a faccia con Dio nel mio cuore.

In sostanzaposso dire che la Sindone, è stato il catalizzatore che mi ha riportato a Dio.

Quanti sono gli ebrei che possono dire che la Sindone di Torino li ha portati di alla fede in Dio?

Quel telo ha avuto un grande significato nella mia vita non solo dal punto di vista scientifico e intellettuale, ma anche da un punto di vista spirituale, nel senso che mi ha ricollegato con qualcosa che è molto importante per me: la fede in Dio.

Quali sono gli obiettivi futuri avete per shroud.com?

Il progetto più imminente è quello di raccogliere i fondi per archiviare digitalmente tutti il materiale disponibile e archiviarlo in un unico luogo, i futuri ricercatori potranno avere accesso a questo materiale, senza alcun costo.

di Andrew Dalton, LC - ZENIT -

 
 
 

SANTA MARIA DELLA CROCE: IL MIRACOLO A CATERINA UBERTI

Post n°6968 pubblicato il 03 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

In Crema una brava ragazza, di nome Caterina Uberti, rimasta ben presto orfana di entrambi i genitori, è sotto tutela del fratello Cristoforo. Unica sua gioia è la devozione alla Madonna alla quale dedica tutto l’affetto che avrebbe voluto rivolgere alla sua mamma terrena. Si sente così non più sola ed abbandonata; ogni giorno mentre recita il Rosario, sente la dolcezza di una amorosa presenza. Il fratello Cristoforo combina per lei il matrimonio con un giovane bergamasco, certo Bartolomeo Petrobelli, di onorata famiglia, ma di carattere impetuoso, espulso dalla città per omicidio. La sera del 3 aprile 1490 Bartolomeo arriva all’improvviso da Bergamo, ed esige che Caterina raccolga le sue cose più preziose e lo segua subito presso la sua famiglia. Partire a quell’ora ed in quel modo è una pazzia, ma lui è in preda a tale impazienza che Caterina intimidita non osa rifiutare. Per volontà di lui, Caterina esce di casa, e lo attende fuori città, dove Bartolomeo giunge a cavallo. Intanto si fa notte e le porte della città si chiudono. Giunti nel crepuscolo al bosco del Novelletto, a circa un miglio da Crema, Bartolomeo scende da cavallo, lo lega ad un albero, ne fa scendere la sposa, le strappa gli anelli d’oro e, tratta dal fodero la spada che porta sempre con sé, l’aggredisce mirando al capo. Caduta in ginocchio, Caterina alza le braccia per difendersi, ma una mano le viene troncata, un gomito spezzato, l’altro braccio fratturato, tre colpi violenti raggiungono la testa ormai indifesa. Improvvisamente la spada si spezza, l’energumeno la getta lontano e, lasciando l’infelice in un lago di sangue, slega il cavallo e fugge via nella notte.
 
Nel profondo silenzio del bosco, sfinita da ben quattordici gravi ferite e spaventata a morte, Caterina si rivolge alla Madonna: “O Madonna benedetta, aiutami tu!”. Sentendo che la vita le sfugge, con un filo di voce, sempre più fioca, continua a ripetere l’invocazione alla Madonna. Ad un certo momento un brivido la scuote e quasi presentendo una presenza misteriosa, apre a stento gli occhi. Un soffuso chiarore nelle tenebre le rivela la figura di una donna dal portamento dignitoso. Il viso dolce, gli occhi pieni di bontà, con voce ferma le ordina: “Levati, figlia mia e non dubitare!”. Con tutta l’anima fissa gli occhi in quella figura di donna ed istintivamente chiede: “Chi siete?”. La sconosciuta le risponde: “Io sono colei che hai chiamata. Levati e seguimi senza paura”.
Caterina si trova, non sa come, in piedi e capace di camminare. Come in un sogno obbedisce al comando e segue la Sconosciuta. Escono dal bosco, seguono il sentiero per circa un quarto di miglio e giungono alla prima abitazione, la cascina dei Samanni. La Sconosciuta batte alla porta, chiama con voce chiara, sorride a Caterina, e mentre la casa si ridesta, svanisce.
 
Aperta la porta, gli abitanti della casa si trovano davanti una figura raccapricciante: rivoli di sangue scendono dal capo a mascherare il viso e ad inzuppare i vestiti, una mano pende inerte dal braccio spezzato, l’altra non esiste più. “Non temete – dice la sventurata – sono Caterina, figlia di Bartolomeo degli Uberti”. Accorrono gli altri componenti della famiglia per aiutarla, la introducono nella stalla dove, adagiata sulla paglia, Caterina perde i sensi. Caterina si rende però conto che la vita le sfugge e sta per morire, ed allora sommessamente invoca: “Madonna benedetta! Madre santa! Soccorretemi ancora, non lasciatemi morire così senza i Sacramenti della Chiesa. Fate che io viva fino al giorno, affinché possa venire un sacerdote. Madonna santa, aiutatemi!”. Ed ecco che il sangue cessa il suo flusso, le ferite si asciugano ed il volto riprende la serenità ed i colori della salute. Pieni di meraviglia e di riverenza, i Samanni si raccolgono attorno a lei, e Caterina con volto sereno e voce chiara soddisfa la loro naturale curiosità raccontando la sua vicenda, e poi si assopisce tranquilla.
Alle prime luci dell’alba Caterina viene portata in città dove, prima delle cure del medico, ella insiste per avere il sacerdote che la confessa e le amministra i santi Sacramenti. Al giudice racconta tutto l’accaduto e perdona di cuore al suo assassino. Le ferite intanto tornano a sanguinare.. . ne esce sangue a fiotti. È pallida come cera, ma sul suo volto vi è una grande luce. Chiude gli occhi e muore. La Madonna ha esaudito la sua preghiera.
 
La gente discute; si parla di miracolo, ma molti sono gli indifferenti e coloro che negano ogni fatto straordinario. Intanto nel bosco del Novelletto viene posta una rozza croce di legno per segnare il luogo dell’omicidio. Un mese dopo, un ragazzo di undici anni afflitto da una fistula al piede sinistro, sentendo parlare dei fatti del Novelletto, insiste presso la madre per essere condotto là e chiedere la grazia della guarigione alla Madonna. Per accontentarlo la madre lo accompagna proprio il giorno 3 maggio, festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Giunto sul posto, il ragazzo si inginocchia ai piedi della croce di legno che segna il luogo del delitto, e prega con grande fiducia: “Se la Madonna ha ascoltato la supplica di Caterina, ascolterà anche la mia e mi guarirà”. Il tempo passa in una ansiosa attesa, specialmente per la madre, ma all’improvviso con un grido di gioia, il ragazzo le corre tra le braccia: “Mamma sono guarito” e le grucce rimangono ai piedi della croce.
 
Per questo la Madonna sarà venerata con il dolce nome di Santa Maria della Croce. Molti altri fatti straordinari seguiranno questo primo miracolo e richiameranno devoti da ogni parte.

PREGHIERA

Santa Maria della Croce, ascolta la nostra preghiera. Tu, che fosti vicina a Caterina degli Uberti nell’ora della prova e della morte; Tu, che fosti vicina a Gesù sul Calvario e ci fosti donata come Madre; Tu, che sei tanto vicina al Signore nella gloria del Cielo: veglia sulla nostra vita e su quanti ci sono cari. Cammina con noi per aiutarci e consolarci. O Regina e Madre di tutti, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.

 IdM-Buona giornata! - www.innamorati-di-maria.it  -

 
 
 

DARE NOME AL MALE PER RITROVARE IL BENE

Post n°6967 pubblicato il 03 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Parla la scrittrice sopravvisuta al genoicidio. Yolande Mukagasana ha vissuto sulla sua pelle il male assoluto. Nell'aprile di diciotto anni fa, quando la follia assassina collettiva divampò nella sua terra provocando in cento giorni un milione di vittime, quasi tutte tutsi come lei, si vide strappare per sempre il marito e i tre figli, uccisi dagli estremisti hutu.

Yolande Mukagasana ha vissuto sulla sua pelle il male assoluto. Nell'aprile di diciotto anni fa, quando la follia assassina collettiva divampò nella sua terra provocando in cento giorni un milione di vittime, quasi tutte tutsi come lei, si vide strappare per sempre il marito e i tre figli, uccisi dagli estremisti hutu. Ma Yolande sperimentò anche, nelle tenebre della storia, l'esistenza dei Giusti, persone in grado di opporsi al male in nome della propria umanità. Fu Jacqueline Mukansonera, una donna hutu, a salvarla miracolosamente dalla furia dei machete nascondendola per undici giorni in casa propria, a rischio della vita.

Per questo Yolande è una testimone così importante. E per questo, dopo aver tentato di liberarsi dal dolore raccontando al mondo la sua storia (vedi box), ha trovato la forza di andare alla ricerca di sopravvissuti e carnefici, che oggi vivono fianco a fianco nel suo Paese. Voleva dare un nome all'assurdo di cui era stata testimone, cercare sprazzi di verità in un episodio che resta in larga parte non elaborato, anche dal punto di vista giudiziario: proprio all'inizio di quest'anno il risultato della perizia dei giudici francesi sull'attentato che il 6 aprile '94 costò la vita al presidente ruandese Habyarimana, dando il via ai massacri, ha reso noto che il missile che colpì l'aereo presidenziale partì da una caserma controllata dai sostenitori dello stesso Habyarimana. Si ribalta così la tesi sempre accreditata dalla Francia, che addossava la responsabilità dell'attentato al Fronte patriottico ruandese dell'attuale presidente (tutsi) Paul Kagame. «Agli assassini e ai sopravvissuti ho posto sempre le stesse domande: perché avvenne il genocidio? E come fu possibile che i vicini di casa si trasformassero in aguzzini, che l'odio divampasse nelle famiglie, che madri uccidessero i loro stessi figli? Sul perché non ho ancora ottenuto una risposta».

E sul "come fu possibile" è riuscita a trovare qualche spiegazione?

«Capire come un uomo sia potuto arrivare ad ammazzare la fidanzata o a sventrare una donna che aveva in grembo un bambino tutsi è quasi impossibile. Ma ho compreso che al male hanno concorso diversi fattori: l'educazione, la manipolazione della storia, la situazione socio-economica... Chi ha pianificato il genocidio è stato molto abile, perché ha toccato tutti i settori della vita, ha preparato persino le vittime a restare vittime, e così si è assicurato l'impunità. Si immagini che è stata pianificata la traumatizzazione, in modo che chi fosse sopravvissuto fisicamente ai massacri sarebbe in realtà rimasto annichilito e non avrebbe accettato più la vita. Ho visto traumi enormi, molti casi divenuti psichiatrici perché la società ruandese non era preparata al concetto di psicoterapia: tradizionalmente il proprio malessere veniva confidato ad amici, familiari... ma il genocidio ha stravolto tutto questo».

Che cosa significa "preparare le vittime a restare vittime"?

«I pianificatori del genocidio hanno cominciato con l'umiliazione dei bambini nelle scuole. In classe se eri tutsi sapevi che non valevi niente rispetto agli altri, te ne vergognavi. Così nel mondo del lavoro: se mandavi un curriculum per il settore pubblico, già sapevi che non ti avrebbero mai scelto, e lo trovavi normale, non comprendevi che era un'ingiustizia. Allo stesso modo, non ci stupivamo che un militare hutu non potesse sposare una donna tutsi. Vivevamo nella paura, perché sapevamo che gli hutu ci volevano sterminare, ma non facevamo niente. E alla fine, quando hanno cominciato a distribuire le armi ai nostri vicini, ci siamo appellati alla comunità internazionale, ma anch'essa ha fatto finta di niente: tutto il mondo è rimasto paralizzato, come se ciò che succedeva fosse normale. Non solo. A fianco della preparazione delle vittime, si era proceduto a preparare gli assassini: ogni volta che dei tutsi venivano uccisi - e succedeva spesso negli anni prima del '94 - i responsabili non venivano puniti. Potevi ammazzare un tutsi e il giorno dopo diventare sindaco, deputato, ministro. Non dovevi rispondere del tuo crimine, anzi, venivi ricompensato. Tutta la società viveva così, l'anormalità era diventatanormale».

È vero che furono usate anche credenze tradizionali per criminalizzare i tutsi?

«Non so se si possa parlare di credenze tradizionali, ma ricordo che venivano diffuse voci false per manipolare l'opinione pubblica. Dopo la guerra del 1959, ad esempio, accusarono la moglie di mio fratello, che lavorava nella società idrica, di progettare di avvelenare l'acqua per sterminare gli hutu... come se i tutsi non bevessero dagli stessi rubinetti! Ad ogni modo, le mossero accuse che avevano anche un forte simbolismo, una tutsi che voleva sabotare la distribuzione dell'acqua, della vita... e mia cognata finì in carcere. Queste storie prendevano piede molto facilmente nell'immaginario della gente. Ricordo che incarceravano le più belle donne tutsi con l'accusa di voler rubare i mariti alle altre, come se avessero il potere di am¬maliare gli uomini: alla tv, o alla radio, la donna tutsi veniva sempre rappresentata come "donna fatale"... e tutti ci credevano!».

Più volte ci si è chiesti com'è possibile che la violenza sia divampata all'interno di una società fortemente cattolica: vittime e carnefici erano fratelli nella fede...

«Mi sono posta tante volte questa domanda. Penso che i ruandesi, in realtà, dessero più importanza alla religione tradizionale che al cristianesimo: mi sono resa conto che le persone che avevano condiviso il rito di iniziazione tradizionale si proteggevano a vicenda, mentre, purtroppo, l'aver ricevuto il battesimo non ha impedito a tantissimi ruandesi di trasformarsi in assassini. Sono convinta che la Chiesa cattolica in Ruanda abbia compiuto un grosso errore, e cioè abbia battezzato molte persone senza verificarne la reale conversione. Si è ceduto al proselitismo, e i ruandesi troppo spesso si sono fatti battezzare per opportunismo: perché la Chiesa aveva le scuole, o perché il battesimo era un mezzo di emancipazione sociale. E così abbiamo assistito a un fallimento. Ne ho parlato molto con Jacqueline, la donna che mi ha salvato la vita: entrambe siamo convinte che se i ruandesi avessero creduto davvero al Dio cristiano, all'amore per il prossimo, non avrebbero mai fatto ciò hanno fatto: si sarebbero rifiutati di assassinare, semplicemente».

Lei è religiosa?

«Io credo a un Dio, ma dopo quello che ho visto non riesco a credere in una religione. L'orrore è andato troppo lontano, è stato sublimato. Nel mio Paese molte chiese sono diventate cimiteri, luoghi dove i carnefici hanno ammazzato, violentato. Gli assassini giravano con la Bibbia in mano, ammazzavano con il rosario al collo, dicevano che il Dio dei tutsi era morto. Ma il Dio che loro pregavano per uccidere bene era lo stesso che le vittime pregavano affinché le proteggesse. Io sono stata battezzata e ho imparato valori molto buoni dai miei genitori, che erano cristiani, ma ci sono cose che oggi non posso accettare. Un aspetto che ha disgustato molti ruandesi è che, dopo il genocidio, i religiosi implicati nei massacri sono stati spesso protetti, la giustizia verso di loro in molti casi non è stata, né è, possibile».

Può una società sopravvivere a un genocidio?

«Sì, i ruandesi sono sopravvissuti da un punto di vista economico, ma anche sociale: dopo il '94 la società era dilaniata dall'odio, avevamo visto persone uccidere i propri parenti, eppure oggi la gente vive insieme, malgrado una ferita profondissima che per guarire richiederà secoli. Ma la sopravvivenza riguarda soprattutto le prossime generazioni, ed è una questione di volontà e di buona politica».

In Ruanda erano già avvenuti massacri, ma ciò non ha impedito di cadere nell'orrore assoluto: come si può non ripetere la storia?

«Io ho vissuto tutti i massacri dei tutsi, e ogni volta ho visto ripetersi gli stessi meccanismi: le stragi rimanevano impunite, non c'erano mai responsabili. Ricordo che non usavamo nemmeno la parola "massacro", si diceva "la bufera è passata": era più facile, non c'erano colpe. Dopo il 1994, per la prima volta, abbiamo dato un nome al male, e questo è stato un inizio: dal momento in cui abbiamo accettato che nel Paese era avvenuto un genocidio, ci siamo assunti la responsabilità di impegnarci per evitare che possa succedere di nuovo. Perché sappiamo che la storia può ripetersi: dopo la Shoah l'antisemitismo non è scomparso, mentre in Turchia lo Stato si ostina a non riconoscere il genocidio degli armeni. I giovani non accettano le colpe dei loro antenati, ma il rischio è che così il male ritorni, perché le radici dell'odio non sono state estirpate».

E come è possibile estirparle?

«Bisogna cominciare dai valori umani. Lo sviluppo economico e la giustizia sociale sono necessari, ma non sufficienti. Importante è il riconoscimento dei poteri politici che hanno partecipato agli stermini, così come la riconciliazione tra carnefici e sopravvissuti: un aspetto che nel caso del Ruanda è per certi versi più facile, visto che gli assassini e le vittime facevano parte delle stesse famiglie e dunque vivere insieme è una scelta umana, oltre che una volontà politica. Il fattore più importante di tutti, però, è quello dell'educazione. A scuola noi abbiamo studiato su libri del periodo coloniale, che riportavano una storia inventata: ci hanno insegnato la nostra stessa storia, ma era falsa. Ecco perché oggi in Ruanda stiamo riscrivendo tutto il materiale scolastico, affinché i bambini imparino la nostra storia reale».

Quanto conta fare giustizia? Per ora il Tribunale Onu per il Ruanda ha condannato solo qualche decina di persone...

«Fare giustizia è fondamentale, ma il nostro sistema giudiziario non è in grado di affrontare decine di migliaia di processi. Per questo ho rivalutato il ruolo dei tribunali tradizionali gacaca, che all'inizio avevo rifiutato perché queste istituzioni puntano a far emergere la verità e non a punire i colpevoli: non capivo come potessimo usarle per giudicare i crimini di sangue. Ma quando ho partecipato ai gacaca mi sono resa conto di quanto sia importante sedere di fronte agli assassini e poter dire loro faccia a faccia: "Sei stato tu a fare questo, a uccidere mio padre, a violentarmi". E solo così possiamo sapere dove hanno gettato i corpi dei nostri cari, e offrire loro una sepoltura. Una consolazione che nel caso della Shoah è stata impossibile.

Ma questo è sufficiente?

«No. Resto convinta che non possiamo fare nulla per opporci al male futuro se non proteggiamo i sopravvissuti al male passato. In Ruanda molte donne violentate durante il genocidio hanno contratto l'aids e non hanno accesso alle cure, mentre i loro stupratori ricevono assistenza medica nel carcere del Tribunale penale per il Ruanda... questa è una giustizia al contrario! Bisogna proteggere le vittime, guarirle dai traumi, ri-umanizzarle per permettere loro di tornare a vivere. E insieme dobbiamo educare le nuove generazioni ai valori umani, non trasmettere loro l'odio ma fare conoscere le storie dei Giusti, che al male hanno detto no. Solo così nei giovani potrà rinascere la speranza».

CHI E': Infermiera, attivista e donna di pace

Nata nel 1954 a Butare, in Ruanda, da una famiglia tutsi, Yolande Mukagasana a 5 anni viene ferita nel corso della rivoluzione hutu. Infermiera anestesista, nel 1992 apre a Kigali un piccolo ambulatorio, che la espone a invidie che esploderanno durante il genocidio del '94. Nei massacri Yolande perde il marito e i tre figli e riesce a salvarsi con l'aiuto di una donna hutu. Dopo il genocidio, si rifugia in Belgio: qui inizia la sua attività di scrittrice e attivista, per la quale ottiene diversi premi. Più volte candidata al Nobel per la pace, le è stata intitolata una targa nel Giardino dei giusti di Genova. Fra le pubblicazioni italiane La morte non mi ha voluta (1998) e Le ferite del silenzio (2008), con Meridiana.

Il Male e la Grazia

A distanza di 18 anni, il genocidio pesa ancora come un macigno. La Chiesa cattolica, che in Ruanda contava (e conta) percentuali di battezzati da record, ha dovuto affrontare la tremenda domanda sulla qualità e la profondità dell'evangelizzazione, posto che molti di coloro che hanno imbracciato il machete o il mitra si dicevano cristiani. Ma è giusto altresì ricordare qui che, nei terribili mesi del genocidio, molti cristiani hanno dato testimonianza di santità ed eroismo, salvando dalla morte persone di etnia diversa, spesso esponendosi a rischi enormi. Il genocidio ruandese, dunque, rappresenta uno specchio nel quale si sono riverberati, contemporaneamente, il Male e la Grazia. Per questa ragione, Mondo e Missione ha dedicato diversi servizi a questo tema (ottobre 1994, pp. 546-548; aprile 2004, pp. 60-64; aprile 2009, pp. 28-30). E continuerà a farlo.

Una giornata per i Giusti

Chiedere al Parlamento europeo l'istituzione di una giornata dedicata ai Giusti, gli uomini e le donne che hanno lottato e lottano per impedire i genocidi e in difesa dei diritti umani. L'appello, sottoscritto tra gli altri da Yolande Mukagasana, è stato lanciato dall'associazione Gariwo - La foresta dei Giusti. Lo scorso 16 gennaio, grazie al sostegno di numerosi parlamentari europei e in particolare dei cinque firmatari (Gabriele Albertini, Lena Kolarska-Boninska, Ioan Mircea Pascu, Niccolò Rinaldi e David Maria Sassoli) è stata presentata al Parlamento europeo la Dichiarazione per chiedere l'istituzione della Giornata europea dei Giusti da celebrare il 6 marzo. «Abbiamo voluto lanciare questo appello perché il concetto di Giusto, impiegato per la prima volta dal memoriale di Yad Vashem, ha assunto negli anni un valore universale», spiega lo storico e saggista Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, che ha promosso l'iniziativa con Marek Halter, scrittore e attivista per i diritti umani, e Pietro Kuciukian, Console onorario d'Armenia in Italia. «Ricordare i Giusti in Europa non significa avere gli occhi rivolti al passato, ma trasmettere un forte messaggio educativo alle nuove generazioni». I promotori hanno lanciato una raccolta di firme a sostegno dell'iniziativa. è possibile firmare l'appello sulla pagina ufficiale di Facebook, "Gariwo - la Foresta dei Giusti".

 - www.missionline.org - donboscoland.i
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94 EMBRIONI MORTI IN "CAMPI DI STERMINIO": COSI' DICEVA ORIANA FALLACI

Post n°6966 pubblicato il 03 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

«Si disumanizza la Natura, massacrando le creature più inermi e indifese». Lo scriveva la giornalista nel 2005, appena prima del referendum sulla procreazione assistita. Una lettura attuale anche in questi giorni, in cui ci troviamo a contare gli embrioni morti dell'ospedale di Roma. Ma una via d'uscita c'è. Basta ascoltare Ratzinger.

«Referendum? Ma che vuoi referendare. Lo stesso termine procreazione assistita evoca il gesto di alzare bandiera bianca, di finire in un mondo contro natura. Senza contare che, comunque vada, questo referendum si concluderà come quello sulla caccia. Cioè coi cacciatori che continuano a sparare sotto le nostre finestre e ad ammazzare gli uccellini». È il profetico intervento che Oriana Fallaci il 3 giugno 2005, a dieci giorni dal voto sulla procreazione medicalmente assistita, pubblicò sul Corriere della Sera, nell'articolo titolato “Noi cannibali e i figli di Medea”.

La scrittrice cercò di spiegare perché la pratica della fecondazione e del congelamento degli embrioni era un danno in sé: «Il proposito di sostituirsi alla Natura, manipolare la Natura, cambiare anzi sfigurare le radici della Vita, disumanizzarla massacrando le creature più inermi e indifese. Cioè i nostri figli mai nati, i nostri futuri noi stessi, gli embrioni umani che dormono nei congelatori delle banche o degli Istituti di Ricerca». La Fallaci metteva sullo stesso piano i congelatori, dove solo sette anni dopo sarebbero morti 94 embrioni, e i campi di sterminio nazisti, perché «se al posto di Birkenau e Dachau eccetera ci metti gli Istituti di Ricerca gestiti dalla democrazia, se al posto dei gemelli vivisezionati da Mengele ci metti gli embrioni umani che dormono nei congelatori, il discorso non cambia».

E a chi la attaccava, chiamandola «integralista, baciapile e oscurantista», dichiarando l'embrione "non vita", la Fallaci domandava: «E se l'infinitamente piccolo contenesse molto di più dell'infinitamente grande? E se il cervello anima dell'embrione misurasse ancor meno di un centomiliardesimo di millimetro e la miopia morale (nonché intellettuale) non riuscisse a individuarlo?». Ma la giornalista sapeva bene che nemmeno queste domande sarebbero bastate a mettere in crisi quel pensiero che definiva «malato». C'era l'obiezione di chi la vita dell'embrione la riteneva (e la ritiene) meno degna di altre, quindi ad esse funzionale: «Non me ne importerebbe nemmeno se le staminali servissero a guarire il mio cancro anzi i miei cancri», ribatteva lei. «Dio sa se amo vivere, se vorrei vivere più a lungo possibile. Sono innamorata, io, della vita. Ma a guarire i miei cancri iniettandomi la cellula d'un bambino mai nato mi parrebbe d'essere un cannibale. Una Medea che uccide i propri figli».

Chi è colpevole di questo abominio?
I politici, «che per ritrovare il potere perduto consentono che i nostri (e i loro) bambini mai nati finiscano nei nuovi campi di sterminio».
Gli intellettuali, «che per opportunismo o profitto o smania di influire sul futuro approvano e propagandano le malefatte dei Frankenstein».
I giornali, le televisioni, i media, «che quelle malefatte le presentano con compiacimento, anzi col cappello in mano».
E la «cosiddetta gente comune», «la gente che per sentirsi moderna, lanciata verso il futuro, si adegua. Per non andare controcorrente, non perdere i vantaggi della cosiddetta modernità (vantaggi che alla fine si riassumono in un telefonino sempre appiccicato all'orecchio) grida al miracolo. Si piega, anzi applaude, anche se ciò significa massacrare i propri figli come Medea».
E poi la Chiesa. Scandalizzata dalla decisione di alcuni cattolici e un vescovo di votare per una risoluzione del Comitato Nazionale Bioetica a favore dell'uso dei tessuti dei bambini abortiti, la giornalista scriveva: «Ho fatto un balzo a leggere la notizia. E sia pur sapendo che il suo era stato un voto molto sofferto, mi son detta: possibile?!?». E, sempre profeticamente, si chiese: «Non c'è rimasto che Ratzinger a tener duro?».

La Fallaci riconosceva un'unica via d'uscita. Quella richiamata dallo stesso Ratzinger, la sola che a parere suo poteva riscattare tutti: «“La scienza non può generare ethos”, ha scritto Ratzinger nel suo libro Europa . “Una rinnovata coscienza etica non può venire dal dibattito scientifico”. Naturalmente Ratzinger lo dice in chiave religiosa, da filosofo anzi da teologo che non prescinde dalla sua fede nel Dio Creatore. Un Dio buono, un Dio misericordioso, un Dio che ha inventato l'universo e creato l'uomo a sua immagine e somiglianza. (Tesi che a volte gli invidio perché risolve il rompicapo chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, ma nella quale il mio ateismo vede soltanto una bellissima fiaba. Se Dio esistesse e fosse un Dio buono, un Dio misericordioso, perché avrebbe creato un mondo così cattivo?). Però a dirlo difende la Natura, Ratzinger. Rifiuta un Uomo inventato dall'uomo cioè un uomo prodotto di sé stesso, della eugenetica mengeliana, della biotecnologia frankensteiniana. Ciò che dice è vero. È giusto. È raziocinante».

- Twitter: @frigeriobenedet - tempi.it -

 
 
 

LO STATO, IL GRANDE PREDATORE

Post n°6965 pubblicato il 03 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Nella sua edizione di venerdì 30 marzo il quotidiano torinese La Stampa ha pubblicato una lettera con cui Attilio Befera, direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, difendeva l’ente da lui diretto nonché la società Equitalia, che ne è il braccio operativo, dall’accusa di essere in certo modo moralmente responsabile del gesto disperato dell’artigiano edile oppresso da un ingente debito nei confronti del fisco che si è recentemente dato fuoco per protesta nel Bolognese dinnanzi a un ufficio dell’Agenzia stessa.

Questo tragico gesto, che resta per il momento un tentato suicidio (essendo la persona che si è data fuoco ancora in vita mentre scriviamo), è stato preceduto nelle scorse settimane da altri gesti simili in altre parti d’Italia, mentre in precedenza, a partire dal dicembre 2011, si sono dovuti lamentare alcuni attentati con pacchi bomba contro uffici di Equitalia poi rivendicati da sedicenti gruppi anarchici-insurrezionalisti. Equitalia non brilla di certo per cordialità e sensibile attenzione verso il contribuente in buona fede, e anche noi come tanti avremmo da raccontare qualche nostra esperienza personale al riguardo. Tuttavia Befera ha ragione a scrivere nella sua lettera a La Stampa che non sta né all’Agenzia delle Entrate né a Equitalia di decidere quando e a chi si possano in tutto o in parte condonare imposte che risultano dovute a termini di legge. In questo senso - diciamo facendo un paragone un po’ brusco ma che ha il vantaggio di essere efficace – sarebbe come dare al boia la colpa della pena di morte.

Al di là infatti delle responsabilità immediate dei dazieri il nocciolo della questione è un altro: la pressione fiscale spropositata che fa dello Stato italiano il grande predatore delle risorse del Paese. Anche se oggi tale situazione ha raggiunto livelli senza precedenti è giusto ricordare che la sua voracità è ab origine. Risale a quando il Regno Sardo scaricò sul nuovo Regno d’Italia il grande debito pubblico che aveva accumulato per finanziare le sue guerre contro l’Austria. Da allora ad oggi la pressione fiscale relativamente sempre eccessiva non ha mai smesso di accompagnare la storia dello Stato italiano. Nessun governo o regime è mai comunque riuscito a risolvere il problema innanzitutto perché nessun governo ha voluto o potuto affrontarlo in modo radicale. Ciò implicherebbe:

a) una rigorosa riforma dell’amministrazione centrale dello Stato che è di gran lunga la prima fonte di spese pubbliche improduttive (un ministero inutile, e ce ne sono diversi, costa molto di più di migliaia di piccoli comuni, i quali notoriamente costano pochissimo);


b) la rottura del circolo vizioso costituito da aliquote iniquamente elevate che inducono all’evasione fiscale da un lato, e dall’altro da un controllo di polizia esercitato da un corpo ad hoc, la Guardia di Finanza, unico caso al mondo di polizia tributaria con carattere di forza armata e competenze anche in tema di controllo del territorio e persino di ordine pubblico (una particolarità da cui viene conferma ipso facto che lo Stato italiano mette in conto l’eventualità di forme di resistenza al prelievo delle imposte che potrebbero giungere fino alla rivolta).

Come dimostrano anche i “blitz” di questi giorni, la lotta a tale evasione indotta (che perciò diviene di massa ovunque ciò sia materialmente possibile) può avere successo solo nella misura in cui le attività per così dire “a rischio” vengono sottoposte a un controllo militare che al momento le soffoca e che poi in ogni caso non può diventare permanente. Se poi si considera che nel nostro tempo i suicidi col fuoco per  protesta e le bombe contro gli uffici pubblici hanno in più occasioni preannunciato l’esplodere di grandi insurrezioni, il fatto che episodi del genere stiano accadendo nel nostro Paese dovrebbe indurre sia l’attuale governo che il ceto politico a qualche seria riflessione.

Sarebbe finalmente il caso di rendersi conto che oltre all’evasione fiscale dolosa e ingiustificata – che va perseguita come qualsiasi altro delitto - c’è anche quella per necessità se non per disperazione. Pertanto, ci si permetta di osservare concludendo che il richiamo al dovere morale dei cittadini di pagare le imposte non accompagnato da un analogo richiamo al dovere dello Stato di non depredarli, rischia di essere farisaico o quantomeno di risolversi in un indebito omaggio a un potere che non se lo merita.

- Robi Ronza - labussolaquotidiana.it -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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