ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 27/04/2012

CINA/APPELLO DELL'ATTIVISTA CHEN GUANGCHENG: PROTEGGETE LA MIA FAMIGLIA CONTRO LE VENDETTE

Post n°7064 pubblicato il 27 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

L'attivista cieco è "sano e salvo" a Pechino, forse nell'ambasciata degli Stati Uniti. In un video diffuso oggi denuncia i capi locali e i poliziotti che hanno torturato lui e la sua famiglia. Al premier chiede sicurezza e protezione per i familiari.

Chen Guangcheng, l'attivista cieco fuggito dagli arresti domiciliari, ha diffuso oggi un video in cui si appella al premier Wen Jiabao, chiedendo protezione per la sua famiglia e accusando i membri del governo locale che lo avevano costretto alla prigioniae hanno abusato della sua famiglia.

Nel video (postato su Youtube), Chen afferma: "Anche se sono libero ora, sono ancora preoccupato per la mia famiglia - mia madre, mia moglie, mia figlia sono ancora nelle loro mani... Essi li hanno feriti a lungo e potrebbero mettere in atto delle folli vendette a causa della mia fuga. Questa vendetta potrebbe non essere ostacolata [da nessuno]".

Chen era stato messo agli arresti domiciliari nella sua casa a Lin Yi nel settembre 2010, dopo aver scontato una pena di quattro anni e mezzo per aver denunciato gli aborti forzati e le sterilizzazioni ad opera del governo locale dello Shandong.

La notizia della sua fuga si è diffusa oggi. Nel mondo della dissidenza si afferma che Chen è ora "sano e salvo" a Pechino, forse nell'ambasciata Usa, ma che i suoi familiari rischiano la vita. La famiglia di suo fratello è stata visitata da malviventi e polizia la notte scorsa e il nipote di Chen è stato arrestato. He Peirong, un'attivista che ha aiutato Chen a fuggire, è stata arrestata stamane a Nanjing.

Mesi fa, dopo che Chen era riuscito a diffondere all'estero un video sulla sua prigionia, un gruppo di teppisti è entrato in casa e ha picchiato lui, sua moglie e la sua piccola bambina fino a farli sanguinare, proibendo loro di andare all'ospedale a curarsi.

Nel video rilasciato oggi, Chen chiede a Wen Jiabao di punire con severità i poliziotti e i governatori locali che hanno reso miserevole la vita della sua famiglia in questo periodo.

"Tale situazione è davvero disumana e offende l'immagine del Partito", egli dice elencando diverse violenze. Chen cita anche un certo Zhang Jian,il vice segretario del Partito della città sotto cui è il suo villaggio. "Egli - afferma Chen - ha ripetuto di continuo che loro non hanno bisogno di preoccuparsi della legge, o dei regolamenti, perché non hanno bisogno di seguire alcuna procedura legale".

"Sono molto preoccupato - egli dice - e chiedo a tutti gli amici di internet di vigilare... Chiedo anche al nostro governo di garantire la sicurezza della mia famiglia".

(AsiaNews)

 
 
 

LIVORNO: BIMBA DISABILE "ADOTTATA" DALL'OSPEDALE

Post n°7063 pubblicato il 27 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

«Coloro che usano la ragione non la venerano, la conoscono troppo bene; coloro che venerano la ragione non la usano». (G. K. Chesterton)

Una bimba senza voce parla. E’ la sua storia a parlare per lei.
Nata nel 2009 con una grave forma di cerebropatia genetica, affidata dai genitori nomadi, non in grado di accudirla, al reparto di pediatria dell’ospedale di Livorno, questa bimba che non può alzarsi, non parla e si nutre grazie ad un sondino è stata “adottata” da tutto il reparto, che amorevolmente se ne prende cura da quasi mille giorni. “Le carezze che riceve sono quelle dei medici e degli infermieri, che – si legge in un articolo pubblicato oggi su Repubblica – le fanno compagnia con la loro voce, le portano giocattoli sonori, vestiti, tute, pigiami. La accudiscono, la tengono in braccio, le fanno fare ginnastica”. Quale futuro per questa bambina? Il tribunale di Firenze a breve dovrà decidere se potrà essere assegnata ad una famiglia disposta ad adottarla o a prenderla in affidamento, fornendole l’assistenza di cui necessita.
Questa la conclusione dell’articolo: “La storia si intreccia con il dibattito in corso in Italia sullo Ius Soli, la concessione della cittadinanza italiana ai figli di stranieri nati nel nostro Paese. Se questa legge ci fosse stata avrebbe accelerato le procedure”.
Una bimba senza voce parla, ed ha mille altre cose da dirci. E’ la sua storia a parlare per lei. Eppure non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e non esiste peggior cieco di chi non vuol vedere.
Parla e parla chiaro, la storia di questa bimba tracheotomizzata e senza voce. Prima e più che di una riflessione sullo Ius Soli, racconta di genitori che all’epoca erano adolescenti e, nomadi che vivono di carità, avrebbero potuto decidere di non portare a termine la gravidanza. Racconta di un padre che quando può passa in reparto e, pur sapendo che la legge non gli consente di vederla, chiede come sta la sua bambina. Racconta di una vita che da molti, oggi, verrebbe considerata “indegna” e di uomini, donne, bambini che, da più di due anni, irresistibilmente sono attratti dalla cameretta in cui vive. Da lei. “Tutti quelli che sono passati da quella cameretta – scrive la giornalista – le hanno organizzato feste di compleanno, ogni tanto le famiglie di altri piccoli pazienti ricoverati le portano regali e disegni”.
Racconta di Simona, una delle infermiere che non passa giorno senza che si prenda cura di questa piccolina e di tanti, come lei, che sentono questa bimba parte della loro vita. Racconta di un essere umano che per la mentalità dominante è un vegetale e che – come afferma il primario del reparto, il dottor Edoardo Micheletti – “sorride appena, però sa piangere e riesce in qualche modo ad interagire con l’ambiente: si esprime con la mimica del volto. Determinate posture e atteggiamenti fanno capire quando gradisce o meno qualcosa e se vuole essere presa in braccio”.
Parla, questa bimba senza voce. Racconta il miracolo di una vita che potrebbe non esserci e invece c’è. Una vita che da quasi mille giorni dona e riceve amore.
Provoca tutti, quel lettino che poteva essere vuoto e vuoto non è, perché ospita una “presenza” che interroga anche noi che leggiamo. E le domande che pone, in-evitabili, sui doni legati alla vita (ogni vita!), sulla sofferenza, sulla grandezza dell’amore gratuito salgono dal profondo del cuore.
Questo e tanto altro ancora racconta questa bimba senza voce. Basta aver occhi per vedere e orecchie per sentire questa storia, così straordinariamente grande da oltrepassare ogni schema, ogni griglia, ogni riduzione ideologica. Occorre però un cuore disposto ad accogliere la provocazione di questa “presenza” e una ragione senza pregiudizi, spalancata alla realtà: antenne tese a coglierne tutte le preziose sfaccettature. Se alla vita e alle circostanze ad essa legate non ci si accosta con questa disponibilità, inevitabilmente si perde “il meglio”, e cioè che cresca ciò che abbiamo di più prezioso: la nostra umanità.

Saro, Luisella - CulturaCattolica.it -

 
 
 

MENO PARTITI, PIU' SOCIETA'

Post n°7062 pubblicato il 27 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Tutti dicono che sta montando nel Paese l’antipolitica. Il presidente Giorgio Napolitano invita a distinguere tra le mele marce e i partiti come tali che, a suo dire, ospitano anche tanti militanti onesti e, soprattutto, sono una struttura fondamentale della democrazia perché fanno transitare le istanze dalla base alle istituzioni. Però il quadro delle malversazioni, sia nell’utilizzo anomalo dei finanziamenti pubblici sia per i casi di corruzione e concussione, è talmente vasto e trasversale da motivare un senso di scoraggiamento. Che però non dovrebbe diventare impolitico o antipolitico e cadere nel moralismo populista, ma elaborare riflessioni e nuove idee.

Una nuova legge sul finanziamento dei partiti può essere utile. La via della trasparenza e dei controlli è senz’altro condivisibile. Rimborsi ridotti e oculati, autorità di controllo, sussidiarietà fiscale, ossia possibilità che i singoli cittadini possano destinare ai partiti quota del loro gettito di tasse secondo la modalità del 5 per mille o altre che in questi giorni vengono proposte, sono strade da perseguire. Sarebbe però ingenuo pensare che tutto si risolvesse solo con nuove regole. La prima risposta dei partiti è stata questa, adoperata anche per motivi di immagine, ma non può essere la sola. A riprova di ciò essa si è presto incagliata nelle resistenze a dare pubblica dimostrazione di virtù rinunciando all’ultima tranche di rimborsi e nelle difficoltà incontrate in Parlamento dalla proposta di legge di Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini. Sulla scia del momento si fa poco di buono, mentre sale nella società il moralismo di ritorno che pretende di mettere tutti sotto accusa in un clima da caccia alle streghe.

Una delle strade maestre da perseguire nel prossimo futuro è un ridimensionamento dei partiti. Qui da noi i partiti hanno troppo potere, penetrano in troppi ambiti, sono lo snodo di troppe nomine. In questi giorni  è in atto in molte città italiane la campagna elettorale per le prossime amministrative. Molti candidati che hanno occupato, per nomina dei partiti, posti chiave nelle aziende partecipate ora promettono, se eletti, di porre fine al sistema delle nomine politiche. Molti investono fior di quattrini nella campagna elettorale in modo ingiustificato se si valuta il compenso di consigliere o di assessore, segno che l’investimento non è tanto sulla poltrona nell’amministrazione locale ma per l’ingresso  in un mondo che può aprire tante porte. Per i partiti passano le nomine negli  enti locali, le fondazioni da loro partecipate, le aziende municipalizzate o partecipate, passano i rapporti degli enti pubblici con le cooperative e tutta una fitta serie di reti e collegamenti. Non che i partiti siano sempre e solo i potenti in questo gioco, talvolta fanno anche la parte dei deboli nei confronti di altri poteri forti, ma non c’è dubbio che essi sono un snodo fondamentale del sistema di posizionamento nei luoghi che contano nella società locale.

I partiti sono, in altri termini, troppo pesanti e in un’epoca di pragmatismo e di carenza di riferimenti ideali questo può diventare ancora più pericoloso. Stupisce, per esempio, il gran numero di liste civiche alle prossime elezioni amministrative. Non è, come potrebbe sembrare, segno della vitalità della società civile, ma indice che il partito fa ormai da traino anche a queste liste di appoggio per drenare meglio i voti della società civile e tenerla sotto controllo. In un’epoca postideologica e di voto che migra in modo più facile che non nel passato, le liste civiche sono le reti che i partiti gettano nella società civile piuttosto che l’emersione di istanze e proposte dal basso.

I partiti vanno quindi alleggeriti, diminuendo il peso del settore pubblico, favorendo incontri diretti tra amministrazione e società civile senza la mediazione dei partiti, incentivando l’aggregazione di gruppi che nella società civile liberamente si associano per contare qualcosa. Il processo dovrebbe essere aiutato dal venire meno delle condizioni sociologiche stesse dell’esistenza dei partiti, che solo in Italia resistono con particolare accanimento: internet, la fine delle sezioni territoriali, la cultura postideologica.

Ridurre lo spazio del pubblico per ridurre quello dei partiti non vuol dire ”privatizzare” e basta, perché le aziende partecipate dagli enti pubblici che vengono privatizzate possono essere lo stesso terreno di nomine a sfondo politico. Si tratta di ritirare lo Stato per far emergere la società civile, le categorie, le associazioni, i movimenti, le fondazioni.

Se però non cresce la tenuta morale dell’intera società anche questo non sarà sufficiente. Già molte volte in passato abbiamo pensato che i partiti fossero il male e la società civile il bene. In realtà il bene e il male ci sono nell’uomo, sia esso semplice cittadino, membro di una associazione o militante di un partito. Ecco perché serve una ripresa di moralità pubblica molto forte, che tuttavia nascerà prima di tutto dalla società civile – anche se i partiti in questo momento potrebbero dare una testimonianza più efficace - in quanto è lì che si elaborano e si vivono primariamente i valori e gli orientamenti ideali. A questo l’antipolitica alla Grillo non serve, proprio perché accusa senza assumersi responsabilità e rimane vittima della demonizzazione della politica e della identificazione dei cittadini e della società civile come il bene assoluto.

di Stefano Fontana - labussolaquotidiana.it -

 
 
 

GLI "SCISMI SILENZIOSI" E IL RICHIAMO DEL SANTO PADRE ALL'ESSENZIALE DELL'ANNUNCIO CRISTIANO

Post n°7061 pubblicato il 27 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Anche se molta (comprensibile) attenzione mediatica in queste settimane è incentrata sull’esito del dialogo tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X, la realtà fondata dall’arcivescovo Marcel Lefebvre che potrebbe presto rientrare nella piena comunione con Roma, non c’è dubbio che proporzioni ben più vaste e diffuse, nella Chiesa cattolica, abbia al giorno d’oggi un altro tipo di dissenso. Quello che si diffonde nell’Europa del centro e del nord – in Austria, Germania, Belgio, Irlanda – e che vede gruppi di sacerdoti firmare appelli alla «disobbedienza» manifestando posizioni fortemente critiche verso la linea «romana», in materie che riguardano la sessualità, comunione ai divorziati risposati, il celibato sacerdotale, il sacerdozio femminile, il ruolo dei laici nella Chiesa. Mentre fa discutere negli Stati Uniti l’intervento della Congregazione per la dottrina della fede nei confronti della «Leadership Conference of Women  Religious» l’organizzazione che raccoglie la grande maggioranza delle Superiore maggiori delle congregazioni delle suore americane, messe sotto vigilanza per le loro posizioni non in linea con quelle della Chiesa su temi quali l’aborto, l’omosessualità e il sacerdozio. Esistono «scismi» silenziosi in atto, che le cronache necessariamente e impietosamente riferiscono, e che contribuiscono a infrangere l’immagine di una Chiesa sempre trionfante. «Scismi» che non possono essere facilmente liquidati come singulti della contestazione post-conciliare o delle vecchie frange progressiste destinate all’estinzione.

Di fronte a quanto sta accadendo, si assiste spesso alle difficoltà da parte dei vescovi di affrontare e «governare» queste situazioni, in attesa che sulla questione «intervenga Roma». D’altra parte è pure innegabile la difficoltà di mettere veramente a tema le questioni sollevate dai dissenzienti, affrontandole in un confronto aperto. Un esempio di come questo possa essere fatto è stato rappresentato dal passaggio dell’omelia della messa crismale che Benedetto XVI ha dedicato alla protesta dei preti austriaci, parlando della loro richiesta di discutere il sacerdozio femminile. Il Papa è intervenuto ponendo – a loro come a tutti quelli che lo ascoltavano in San Pietro – delle domande su che cosa significhi conformarsi alla volontà di Cristo e seguirlo. L’approccio che ha seguito – e ciò è avvenuto anche nel caso dei «dialoghi dottrinali» con la Fraternità San Pio X – è stato quello di chi, pur rivestendo il ruolo di «roccia» e di autorità suprema nella Chiesa, non rinuncia a dare continuamente, e con un linguaggio adatto ai tempi, le ragioni profonde che soggiacciono a certe posizioni dottrinali.

Benedetto XVI è un Papa che ha guidato il dicastero dottrinale facendo quotidianamente i conti con tutti i problemi sopra esposti. Così si esprimeva in proposito, ancor prima di essere chiamato a Roma da Giovanni Paolo II: «Il magistero ecclesiale protegge la fede dei semplici; di coloro che non scrivono libri, che non parlano in televisione e non possono scrivere editoriali nei giornali: questo è il suo compito democratico. Esso deve dare voce a quelli che non hanno voce». «Non sono i dotti – diceva in un’omelia pronunciata a Monaco nel dicembre 1979 – a determinare ciò che è vero della fede battesimale, bensì è la fede battesimale che determina ciò che c’è di valido nelle interpretazioni dotte. Non sono gli intellettuali a misurare i semplici, bensì i semplici misurano gli intellettuali. Non sono le spiegazioni intellettuali la misura della professione di fede battesimale, bensì la professione di fede battesimale, nella sua ingenua letteralità, è misura di tutta la teologia. Il battezzato, colui che sta nella fede del battesimo, non ha bisogno di essere ammaestrato. Egli ha ricevuto la verità decisiva e la porta con sé con la fede stessa...».
 
Nella stessa omelia, l’allora cardinale Ratzinger aggiungeva: «Dovrebbe essere finalmente chiaro anche che dire dell’opinione di qualcuno che essa non corrisponde alla dottrina della Chiesa cattolica non significa violare i diritti umani. Ciascuno deve avere il diritto di formarsi e di esprimere liberamente la propria opinione. La Chiesa con il Concilio Vaticano II si è dichiarata decisamente a favore di ciò e lo è ancora oggi. Ma ciò non significa che ogni opinione esterna debba essere riconosciuta come cattolica. Ciascuno deve potersi esprimere come vuole e come può davanti alla propria coscienza. La Chiesa deve poter dire ai suoi fedeli quali opinioni corrispondono alla loro fede e quali no. Questo è un suo diritto e un suo dovere, affinché il sì rimanga sì e il no no, e si preservi quella chiarezza che essa deve ai suoi fedeli e al mondo».

Si può comprender meglio, alla luce di queste parole, il perché Benedetto XVI abbia voluto istituire un nuovo dicastero dedicato alla nuova evangelizzazione e abbia proclamato l’Anno della Fede. Il richiamo all’essenzialità della fede battesimale, il cui «a-b-c» è spesso ignorato anche nel cuore di quell’Europa che fu cristiana, è considerato da Papa Ratzinger un’urgenza. Ma sarebbe un errore giudicare questo richiamo come indirizzato soltanto a «strigliare» un certo dissenso. Si tratta infatti di un appello più vasto e più profondo, che dovrebbe mettere in discussione anche quel mondo ecclesiastico più in linea con il pontificato. Richiamare all’urgenza dell’annuncio della fede, e dell’approfondimento dei suoi contenuti, dovrebbe infatti distogliere tanti prelati dall’interessarsi troppo e troppo da vicino della politica, degli schieramenti, delle nomine negli enti pubblici, dei mass media, come pure dall’intervenire spesso o spessissimo in materie dove ciò potrebbe essere fatto con maggiore libertà dai laici cattolici. Uno dei frutti sperati del Concilio Vaticano II, iniziato cinquant’anni fa, riguardava proprio il ruolo dei laici nella Chiesa. E non è fuori luogo osservare come proprio il decreto a questo dedicato, Apostolicam actuositatem, appaia mezzo scolo dopo il documento meno realizzato nella pratica concreta della vita ecclesiale, di fronte all’emergere in diversi Paesi di un neo-clericalismo che sembra considerare i laici soltanto come il «braccio secolare» di una gerarchia che tutto indirizza o tutto vorrebbe indirizzare, ben al di là degli ambiti di sua competenza.

Andrea Tornielli - vaticaninsider.lastampa.it -

 
 
 

"SE CRISTO NON FOSSE RISORTO........."

Post n°7060 pubblicato il 27 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Linda che ha conosciuto Cristina e non vuole più prostituirsi. Una donna brasiliana che scopre di essere «una cosa bellissima». E una moglie che vive accanto al marito malato di Sla. Tre storie di vite "fatte nuove".

La notte che ho visto le stelle

Un mercoledì sera, come tanti altri. Cristina sta tornando a casa in macchina, dopo la Scuola di comunità. Ad un tratto i fari illuminano una donna, in mezzo alla strada. Inchioda: «Che cavolo fa?!». Scende. Grazie al cielo non s’è fatta niente. È scura di pelle, molto probabilmente una prostituta. Non è l’abbigliamento a farglielo pensare, ma la zona e le “colleghe” poco distanti. Le chiede un passaggio fino a un paese vicino. Cristina decide di caricarla.

Dopo un momento di impasse, iniziano a parlare. La donna si chiama Linda, è nigeriana. Racconta un po’ di sé, della vita che fa. Cristina ci aveva visto giusto. La lascia finire, un attimo di silenzio e poi: «Ma non ti arrabbi mai con Dio?». L’altra scoppia in una grassa risata: «Ma se è Lui che mi protegge! Per esempio, Gli ho chiesto di mandarmi qualcuno e sei arrivata tu. Ho solo da ringraziare!». Arrivate a destinazione, scende. Cristina le dà il suo numero di cellulare: «Chiamami quando vuoi». «Ma chissà se la rivedrò...», pensa quando Linda chiude la portiera dietro di sé.

Il giorno dopo, Cristina racconta tutto alla sua amica Rita che sbianca di colpo: anche a lei è successa la stessa cosa, forse era la stessa persona. «Cerchiamola», si dicono. Così partono insieme all’amico Francesco, a una chitarra e a un mazzo di fiori. Chiedono a tutte le nigeriane di quella zona, ma niente, nessuno sembra conoscerla. Rinunciano, fiori e canzoni decidono di darli alla prima “signorina” che incontrano. Si imbattono in Ros. Non capisce cosa vogliano, ma poco dopo si ritrova con un mazzo di mimose in mano ad ascoltare La notte che ho visto le stelle di Claudio Chieffo: «... la notte che ho visto le stelle/ non volevo più dormire,/ volevo salire là in alto per vedere.../ e per capire...».
La storia sembra finire qui. Ma Linda si fa viva, Ros deve averle raccontato della strana serata: «Quando ci vediamo?», chiede a Cristina. Detto, fatto: la sera successiva si organizza una cena. Poi iniziano i canti e anche Linda ne intona uno della sua terra, che dice: «Dio è buono. Ha mandato Suo Figlio che è morto per il mio peccato e per il tuo. Il nostro debito è stato riscattato. Cantiamo con gioia». L’ora di andare arriva presto, il lavoro la attende. La accompagnano a un incrocio e si salutano.
Passano pochi minuti e il cellulare di Rita squilla. È Linda. Chiede di riaccompagnarla a casa, ha freddo. Rita fa inversione, torna a riprenderla, ma una volta in macchina Linda la guarda: «Non è per il freddo. Dopo una serata così bella, non posso tornare al lavoro. Aiutatemi a trovarne un altro».


«Tu gli vuoi più bene a tuo marito?»

Il medico lo guarda: «Non faccia programmi a lungo termine. Non faccia mutui di dieci anni. E se vuole farsi una corsa, vada oggi. Perché forse domani non potrà più». Ugo ha saputo così di avere la Sla. Silvia era lì, seduta accanto al marito con il pancione di sei mesi. Aspettava la seconda figlia, Letizia, che oggi ha la stessa età della malattia: due anni e mezzo. Quando è nata, è uscita dall’ospedale in braccio al padre seduto nella carrozzina, spinta dalla madre: «Sembrava avesse partorito lui!». La risata di Silvia è limpida ed è uno squarcio. Ti fa vedere meglio tutto, la prova che vivono ogni secondo della giornata e la grazia che li visita.
La diagnosi è del 2009, dopo quattro anni di matrimonio. Ugo ne aveva quarantaquattro, e ha iniziato ad avere una stanchezza esagerata. Poi ad incespicare con un piede. È ingegnere, lavorava in un’azienda di componentistica per elettrodomestici. «E ha continuato a farlo imperterrito, come se nulla fosse», dice Silvia. Ma un mese alla volta si è fermato qualcosa. Prima le gambe, poi il diaframma, poi la lingua. Ed ogni colpo era un aiuto in più a cui cedere: la carrozzina, poi il ventilatore per respirare, poi la peg, il tubicino che lo alimenta. Ora il comunicatore, perché Ugo muove solo gli occhi. Guarda le lettere e il computer riproduce le parole. Una lettera alla volta, pianissimo, in silenzio. E Silvia attende, tutto il tempo che ci vuole. Anche solo per un ciao.

«Ogni passaggio, ogni peggioramento, ha significato una scelta, e quindi immense discussioni tra noi. Lui non accettava». E tu? «Ho fatto quello che fa una moglie: stargli accanto per farlo ragionare. Per cercare di scegliere insieme il bene». I muscoli di Ugo sono sani, cioè sente tutto, il dolore e le carezze. È che non può controllarli. Non può abbracciare i figli, e il suo volto ha perso l’espressività. «È un dolore anche questo», dice Silvia: «Non sai se sta ridendo o se è arrabbiato. Ma generalmente è arrabbiato…», ride. Lei sta imparando ad amare questa arrabbiatura. «Ho dovuto imparare tutto. Innanzitutto a chiedere aiuto. Come lui, che ha dovuto accettare di dipendere. E di vedere che la vita ti scorre intorno come prima e tu non puoi partecipare come vorresti». Ma la vita che gli gira intorno non è proprio come prima. È molto di più. «È esplosa». Negli ultimi due anni, in questa casa saranno passati almeno duecento ragazzi, con cene di dodici alla volta. E gli amici, senza tregua. «Per aiutarci in tutto. È vero che io ho imparato a chiedere, ma la cosa incredibile è stata la risposta. Innanzitutto dalla comunità di Dergano, che è stata qui, ogni giorno». Vengono anche le classi intere di catechismo, ché il prete le porta a vedere che cos’è la Comunione nell’Eucaristia a un malato: i bambini si mettono qui per terra, stanno a lungo fermi in silenzio. Poi le chiedono «ma tu gli vuoi più bene a tuo marito?».

Silvia, quando parla di lui, sembra parlare di "un'opera". E come chi porta avanti una grande opera, chiede preghiere. E ciò di cui ha più bisogno. «Io sono certa alla mattina, perché so che c’è qualcuno che sta pregando per me. Questa è la compagnia più grande: si è scatentata, proprio scatenata, una catena di preghiere impressionante. C’è una quantità di preghiere per noi che ci sostiene fisicamente nella fatica del quotidiano, che non passa, anzi è sempre più critica. Ma questa apertura l’ho imparata da Ugo, che è un uomo di fede, grande».

Il mutuo l'ha fatto lo stesso. Di trent'anni. E ieri sera è stato lui a volere che la Scuola di comunità si facesse a casa loro, «con una pizzata», ha fatto dire al computer. «È sempre disponibile, dentro tutta la sofferenza che porta», continua Silvia. «Del resto, quando senti dire da chi viene qui: “Ugo io ho bisogno di vederti, e di vedere come ti guarda Silvia, per imparare a voler bene a mia moglie”… Quando senti questo, capisci che porti qualcosa di grande e non puoi rifiutarlo». Dice di aver capito che è vero che il Signore non ti chiede niente di più di quello che puoi portare. «Ma neanche niente di meno. Bisogna imparare a dare tutto. E io ho una grazia grandissima, perché voglio bene a Ugo proprio come uomo, perché c’è, perché mi è dato. Come i miei figli. Ma se questa prova non fosse accompagnata come lo è, non potrei vivere così. Se Cristo non fosse risorto, se non fosse vivo oggi, tutto ciò che è accaduto negli ultimi due anni e mezzo in questa casa non sarebbe possibile».


Quell'ora che sostiene le altre ventitré


Canto, danza, ricamo, pittura. Sono le ultime attività che ti aspetteresti di incontrare in un quartiere brasiliano, periferia di San Paolo. E invece proprio questo è il modo con cui Cleuza Ramos da anni tenta di «togliere la favela dalla testa di chi ci vive». Aiutando la gente ad avere una casa, ma soprattutto a riconquistare la dignità. Come? Attraverso la bellezza, che soprattutto per una donna vuol dire aver cura del proprio corpo, dei capelli, degli abiti. Potersi esprimere attraverso la musica, il canto. O la pittura. È proprio in un corso di questi, in uno dei locali comuni del quartiere, che Mariella (insegnante toscana) si imbatte, alcuni mesi fa, accompagnata da Cleuza: «Entro in questo stanzone», ci racconta. «Ci sono una dozzina di donne, stanno dipingendo. È evidente che sono molto povere. Do uno sguardo alle tele, sono molto belle, ma una, in particolare, mi incuriosisce. Mi avvicino: la bellezza del quadro stride con il contesto. “Fatti raccontare la sua storia”, mi dice Cleuza». Mariella si siede con discrezione accanto alla donna. Ha 50 anni ma ne dimostra molti di più. Da sempre una vita difficile, la sua: il marito è un uomo violento. Più volte ha pensato di lasciarlo, non l’ha fatto per i figli, poi per la possibilità di avere una casa. Sono 36, ormai, gli anni di matrimonio. Certe volte è davvero dura. L’incontro con i trabalhadores è un grande aiuto, ma è la proposta che le fa Cleuza a dare la svolta: «Vieni a dipingere tutte le volte che puoi».

Mariella - ci racconta - ascolta, ma sembra perplessa: «Quando ho visto che nelle case dei Memores Domini ognuno dedica del tempo al silenzio», le spiega Cleuza, «ho capito che in un momento difficile uno ha bisogno di tempo per sé: un’ora basta a sostenere le altre 23 della giornata. Lei aveva bisogno di un luogo così».
«Per dipingere ho dovuto guardarmi intorno», continua a raccontare la donna. «E mi sono accorta che ci sono cose bellissime. Prima vedevo solo la vita in casa mia. Quando ho visto che ero in grado di dipingere, l’ho capito: anche io ero una cosa bellissima».
La svolta è arrivata lì: «La violenza di mio marito non è più arrivata in fondo a me stessa. Ho smesso di essere le botte che prendevo».

Un giorno porta a casa una delle sue tele e la appende al muro. «Dove hai comprato questo quadro?», le chiede il marito. «L’ho fatto io», risponde. Da quella sera il marito non ha più alzato le mani su di lei. «Mi ha guardata in faccia per la prima volta».
Altri quadri sono stati appesi in quella casa. E i muri non sono più scrostati. Sono bianchi.

- Paola Ronconi, Alessandra Stoppa - tracce.it - donboscoland.it -


 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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