ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 28/04/2012

UNA VEGLIA PER RICORDARE LA BEATIFICAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II

Post n°7068 pubblicato il 28 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

A Roma, una fiaccolata e un momento di preghiera per il primo anniversario della beatificazione

Sarà la Croce di Tor Vergata, realizzata in occasione della Giornata mondiale della gioventù del 2000, ad accogliere, lunedì 30 aprile alle 20, i giovani di Roma che parteciperanno alla veglia di preghiera organizzata nel primo anniversario della beatificazione di Giovanni Paolo II, presieduta dal cardinale vicario Agostino Vallini.

L’evento, organizzato dal Servizio diocesano per la pastorale giovanile e dall’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria, vedrà susseguirsi momenti di preghiera e di riflessione, testimonianze e intermezzi musicali.

L’appuntamento è alle 20 presso la cappella universitaria San Tommaso d’Aquino, da cui partirà una fiaccolata che arriverà fino alla spianata della Croce (piazzale beato Giovanni Paolo II), dove sarà allestito il palco con l’icona di Maria Sedes Sapientiae.

«L’immagine - spiega don Emilio Bettini, dell’Ufficio per la pastorale universitaria - è stata regalata da Giovanni Paolo II agli universitari d’Europa durante il Giubileo del 2000». Da allora l’icona è stata pellegrina, viaggiando tra i vari atenei, ed è anche diventata il simbolo, «del legame tra il beato Karol Wojtyla e i giovani universitari».

"La veglia - prosegue don Maurizio Mirilli, direttore del Servizio diocesano per la pastorale giovanile, «sarà un’occasione per riappropriarsi del luogo simbolo della Gmg del 2000 e rilanciare ai giovani di oggi l’invito del beato Karol Wojtyla a "volare in alto" per la realizzazione di una società e di un futuro degni dell’uomo».

Attesa la partecipazione di circa 3mila giovani, tra i quali circa 400 provenienti da tutta Europa, a Roma da oggi per partecipare al secondo Incontro europeo degli studenti universitari, che si apre alle 15 nella facoltà di Economia dell’università di Tor Vergata, per concludersi il 1° maggio.

Tema del meeting, promosso dall’Ufficio per la pastorale universitaria del Vicariato e dalla sezione Università della Commissione catechesi - scuola - università del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa: “Il contributo degli universitari per la costruzione di un nuovo umanesimo”.

- ZENIT -

 
 
 

L'AMORE SECONDO DON KAROL WOJTYLA

Post n°7067 pubblicato il 28 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Dal libro "La famiglia secondo Giovanni Paolo II" in uscita per San Paolo (pp. 64, euro 6,50) pubblichiamo questa preziosa testimonianza su Karol Wojtyla.

Tutta la vita sacerdotale e apostolica di Giovanni Paolo II è ruotata in qualche modo intorno all’amore umano. Questo è quanto testimoniava egli stesso nel 1994 al giornalista Vittorio Messori in un libro-intervista intitolato Varcare la soglia della Speranza: «L’amore non è cosa che s’impari, e tuttavia non c’è cosa che sia così necessario imparare!». E il Papa proseguiva con questa confidenza: «Da giovane sacerdote imparai ad amare l’amore umano. Questo è uno dei temi fondamentali su cui concentrai il mio sacerdozio, il mio ministero sul pulpito, nel confessionale, e anche attraverso la parola scritta».

Attraverso queste parole, è Giovanni Paolo II stesso che disvela il disegno di tutta la sua vita. È ordinato sacerdote il 1° novembre 1946, in occasione della festa di Ognissanti, dal cardinale Sapieha, poi è inviato a Roma per perfezionare la sua formazione filosofica all’Angelicum, l’Università pontificia affidata ai domenicani. Al suo ritorno, nel 1948, è nominato vicario in una piccola parrocchia rurale vicino a Cracovia, ai piedi dei Carpazi, Niegowic, dove rimarrà solo otto mesi. Ma in otto mesi celebrerà tredici matrimoni e cinquanta battesimi! Dopo questo primo incarico, nel marzo del 1949 è nominato vicario dell’importante parrocchia di San Floriano a Cracovia e, dall’anno successivo alla sua nomina, crea il primo programma di preparazione al matrimonio di tutta la storia dell’arcidiocesi di Cracovia. In precedenza, la preparazione al matrimonio si limitava a un semplice colloquio con il sacerdote che avrebbe benedetto le nozze, in modo da mettere a punto i dettagli pratici dell’organizzazione della cerimonia e da adempiere alle formalità giuridiche della dichiarazione.

Don Wojtyla, lui, instaura un autentico e metodico programma di preparazione al matrimonio. Ecco un estratto di una delle sue conferenze di preparazione: «L’istinto sessuale è un dono di Dio. L’uomo può offrire questo istinto a Dio solo attraverso un voto di verginità. Può offrirlo a un altro essere umano con la consapevolezza che lo offre a una persona. Non può essere un atto casuale. Dall’altra parte c’è un essere umano che non va ferito, che si deve amare. Solo una persona può amare una persona. Amare significa desiderare il bene dell’altro, offrire se stessi per il bene dell’altro. Quando, come esito del dono di se stessi per il bene di un altro, nasce una nuova vita, quella donazione di sé deve scaturire dall’amore. In questo campo non si deve separare l’amore dal desiderio. Se rispettiamo il desiderio all’interno dell’amore, non violeremo l’amore… ».

Il risultato di questo genere di catechesi è che, in ventotto mesi di vicariato a San Floriano, celebra centosessanta matrimoni, ossia, in media, un po’ più di uno a settimana… Nel 1951, sempre a San Floriano, dà origine a quello che diventerà lo Srodowisko. Questa parola polacca, tanto intraducibile quanto impronunciabile, significa in qualche modo l’ “ambiente”, la “rete” o il “circolo”. In origine, è un raggruppamento di giovani per i dibattiti intellettuali, ma sempre in contatto con l’esperienza concreta, che molto spesso gira intorno al tema dell’amore, della vocazione, del matrimonio. È qui che don Wojtyla si vede affibbiare, su sua richiesta, il soprannome di Wujek, vale a dire “Zio”, un nome in codice destinato a proteggerlo dalle autorità comuniste, le quali non vedevano di buon occhio il fatto che i sacerdoti si occupassero di giovani.

In questo Srodowisko, ovviamente, prepara i giovani al matrimonio, nel corso d’intere giornate di preghiera e di riflessione con ciascuna coppia di fidanzati. Il suo tema fondamentale ruota sempre intorno al fatto che il matrimonio è un’opera di dono di sé e non affermazione di sé: «L’amore non consiste nel realizzarsi attraverso l’altro, ma nel donarsi a un altro per il suo bene e nel riceverlo in dono», diceva. Questa definizione dell’amore prefigura già la bella proposizione della costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, alla quale contribuirà ampiamente: «L’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per sé stesso, non può ritrovarsi piena¬mente se non attraverso un dono sincero di sé» (GS, n. 24).

Alla fine del 1951, parte da San Floriano per redigere la sua tesi di dottorato in filosofia e, in seguito, sarà nominato cappellano degli studenti dell’Università cattolica di Lublino. Lo Srodowisko diventa allora, in qualche modo, la sua parrocchia “itinerante”. Perché itinerante? Perché i grandi momenti di raduno di questa rete sono i tradizionali campi di kayak d’estate e di sci d’inverno. Karol Wojtyla riteneva che la sua parrocchia fosse questo circolo, questo ambiente, questa rete, poiché non poteva concepire che un prete non avesse parrocchia. Troviamo già, qui, qualcosa del suo approccio nuziale al sacerdozio: il prete, conformato a Cristo attraverso il suo sacerdozio, è, con Cristo, sposo della Chiesa. Per sviluppare il suo cuore di sposo, il sacerdote ha dunque bisogno della “visibilità” della Chiesa, che gli è affidata come una sposa. Non essendo assegnato ad una parrocchia nel senso tradizionale del termine, è lo Srodowisko che ne fa le veci. Ovviamente continua la preparazione al matrimonio dei membri dello Srodowisko attraverso colloqui, incontri, anche scambi epistolari.

Ecco l’estratto di una lettera che indirizzava a Teresa Heydel. Se ne percepisce immediatamente il tono:
«Cara Teresa, la gente ama pensare che a Wujek piacerebbe vedere tutti sposati. Ma io penso che sia una falsa immagine. Il problema più importante è davvero qualcos’altro. Ognuno… vive, soprattutto, per l’amore. La capacità di amare autenticamente, non la capacità intellettuale, costituisce la parte più profonda di una personalità. Non è un caso che il più grande comandamento sia amare. L’amore autentico ci conduce fuori da noi stessi ad affermare gli altri: a dedicarsi alla causa dell’uomo, al popolo e, soprattutto, a Dio. Il matrimonio ha senso… se dà l’opportunità di un amore del genere […]. Non basta semplicemente voler accettare un simile amore. Bisogna sapere come darlo, e spesso esso non è pronto a essere ricevuto. Molte volte è necessario aiutarlo a formarsi. Wujek».

Altra lettera alla stessa Teresa, alcuni mesi dopo:
«Cara Teresa, […] dopo tante esperienze e molta riflessione, sono convinto che il punto di partenza (oggettivo) dell’amore è realizzare che un altro ha bisogno di me. La persona che oggettivamente ha bisogno di me è anche, per me, oggettivamente, la persona di cui io ho più bisogno. Questo è un frammento della profonda logica della vita, e anche un frammento della fiducia nel Creatore e nella Provvidenza». E la lettera si conclude: «Non pensare mai che io voglia interrompere la tua strada. Io voglio che sia la tua strada».

Istituisce anche una giornata di raccoglimento per le giovani mamme alla vigilia del parto – una giornata intera, perché dare alla luce un bambino è un atto superiore, una cooperazione insigne all’opera della creazione. Battezza i neonati, va a benedire le loro case… È un’abitudine che conserverà sempre, finché sarà a Cracovia… Anche se arrivava spesso – in verità quasi sempre – in ritardo!

Ecco cosa riferisce un’altra Teresa, Teresa Malecka: «Aveva sempre tempo. Capiva che battezzare significava venire a casa, stare con la famiglia, benedire il bambino che dorme nel lettino. Non dovevamo chiedergli di farlo; era lui a volerlo fare».

di Yves Semen - labussolaquotidiana.it -

 
 
 

BARRIE SCHWORTZ, IL FOTOGRAFO EBREO CONVERTITO DALLA SINDONE

Post n°7066 pubblicato il 28 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

In Ultimissima del 18/05/10 raccontavamo della conversione del famoso documentarista e regista, David Rolfe, dopo aver studiato la Sindone di Torino: «Ateo convinto e consapevole dell’esistenza di numerose reliquie false, ho prodotto il mio primo documentario sull’argomento, “The Silent Witness”, (Il testimone silenzioso) nel 1977, deciso di scoprire e mostrare come e da chi era stata contraffatta la Sindone. Non potevo pensare che ci fosse un’altra spiegazione [...]. Il mio documentario, lungi dal rivelare la contraffazione, è divenuto un argomento affascinante per la probabile autenticità della Sindone [...]. Noterete da come mi esprimo che nel corso della produzione sono divenuto credente e cristiano», ha raccontato.

Un’altra conversione molto simile è accaduta al fotografo ebreo Barrie Schwortz, responsabile della fotografia per il “Shroud of Turin Research Project” (STURP), il team che ha condotto il primo approfondito esame scientifico della Sindone nel 1978. Attualmente svolge un ruolo importante nella ricerca sulla Sindone e nella sua spiegazione e divulgazione. E’ editore e fondatore del sito Shroud of Turin Website (www.shroud.com). Schwortz è apparso in programmi e documentari di tutto il mondo, tra cui The History Channel, Discovery Channel, Learning Channel, National Geographic Channel, CNN, BBC, Fox News, Channel 1 Russia, le sue fotografie sono apparse in centinaia di libri e pubblicazioni tra cui National Geographic, Time Magazine e Newsweek. In una recente intervista, svolta presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum dove ha tenuto delle lezioni nell’ambito del corso per il Diploma di specializzazione in Studi Sindonici, ha raccontato come lo studio della Sindone lo abbia condotto a conoscere Dio e a essere un uomo di fede.

Ha iniziato parlando della Sindone: «All’inizio del mio lavoro, ero molto scettico sulla sua autenticità. Non provavo nessuna emozione particolare nei confronti di Gesù perché sono stato cresciuto come un Ebreo ortodosso. L’unica cosa che sapevo di Gesù era che anche lui era un ebreo, e questo era tutto. Esaminando la Sindone, ho capito subito che non era dipinta». Dopo 18 anni di studi, la convinzione completa è arrivata quando «il chimico del sangue Allen Adler, un altro ebreo che faceva parte del gruppo di studio, mi ha spiegato perché il sangue è rimasto rosso sulla Sindone. Il sangue vecchio doveva essere nero o marrone, mentre il sangue sulla Sindone è di un colore rosso-cremisi. Mi sembrava inspiegabile, invece era l’ultimo pezzo del puzzle. Dopo quasi 20 anni di indagini è stato uno shock per me scoprire che quel pezzo di stoffa era il telo autentico in cui era stato avvolto il corpo di Gesù. Le conclusioni a cui ero arrivato si basavano esclusivamente sull’osservazione scientifica».

Non ha dubbi Schwortz: «una volta giunto alla conclusione scientifica che il telo fosse autentico, sono arrivato a capirne anche il significato. Si tratta del documento forense della Passione, e per i cristiani di tutto il mondo è la reliquia più importante, perché documenta con precisione tutto ciò che viene detto nei Vangeli di ciò che è stato fatto a Gesù. Penso che ci siano abbastanza prove per dimostrare che quello è il telo che ha avvolto il corpo di Gesù». La verità su Gesù è compito della fede, lui specifica che «dal punto di vista scientifico quel telo ha avvolto il corpo dell’uomo di cui si parla nei Vangeli».

Lo studio della Sindone non lo ha solo convinto dell’autenticità, ma lo ha anche cambiato, evidentemente, anche a livello personale: «All’inizio dell’indagine, sapevo di Dio, ma non era molto importante nella mia vita. Non avevo pensato a Dio, da quando avevo 13 anni [...]. Non ero molto religioso, era quasi un obbligo per la mia famiglia. Da allora mi sono allontanato dalla fede, dalla religione e da Dio, fino a quando non ho raggiunto i 50 anni. Quando nel 1995 sono arrivato alla conclusione che la Sindone era autentica, ho costruito il sito shroud.com. Ho iniziato a raccogliere il materiale e l’ho messo a disposizione del pubblico. Ho iniziato a parlare pubblicamente della Sindone intorno al 1996». Questo dualismo non poteva però continuare: «Quando la gente ha iniziato a chiedermi se ero un credente, non trovavo la risposta. A quel punto mi sono interrogato ed ho capito che Dio che mi stava aspettando. Ero davvero sorpreso di vedere che dentro di me c’era la fede in Dio. Fino a 50 anni avevo praticamente ignorato la fede ed improvvisamente mi sono trovato faccia a faccia con Dio nel mio cuore. In sostanza posso dire che la Sindone, è stato il catalizzatore che mi ha riportato a Dio». Ha concluso divertito: «Quanti sono gli ebrei che possono dire che la Sindone di Torino li ha portati alla fede in Dio?».

 - www.uccronline.it -

 
 
 

SCOPERCHIARE IL TETTO DELLE NOSTRE TRANQUILLITA'

Post n°7065 pubblicato il 28 Aprile 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Di tanto in tanto occorre “scoperchiare il tetto” delle nostre tranquillità, abitudini, facciate, per entrare nella casa del nostro “io” e dei nostri comportamenti e vedervi, con coraggio e verità, l’effettiva realtà.

Una premessa: le riflessioni che seguono offrono una visione della vita religiosa dichiaratamente parziale: molti consacrati non si ritroveranno in esse e molti altri non meritano di esservi inclusi. E a questi chiedo scusa e perdono. Ma credo che tali riflessioni non saranno inutili: parecchi di noi (forse) vi si riconosceranno e potranno (forse) fare un non superfluo esame di coscienza, anche guardando all'interno della propria comunità. Perché credo che - almeno di tanto in tanto - occorra "scoperchiare il tetto" delle nostre tranquillità, delle nostre abitudini, delle nostre facciate, della nostra "sazietà" spirituale, per entrare dentro la casa del nostro "io" e dei nostri comportamenti e vedervi - con coraggio e verità - l'effettiva realtà. E attraverso il tetto scoperchiato si possono intravvedere alcune di queste realtà. Ne ricordo tre.

La "feroce" autorealizzazione

L'aggettivo toglie la legittimità di una conquista di per sé valida per la persona umana, nel suo cammino verso la maturità. Ma l'accento è sull'aggettivo. Lo analizziamo per la vita religiosa.
L'idea stessa di comunità dovrebbe implicare la consapevolezza che occorre operare per obiettivi comunitari, quindi irriducibili al proprio "io", anche se perseguibili con le proprie capacità e specifiche competenze. Ora se un religioso - e anche ogni lavoratore di un'azienda - esplica il proprio io non al servizio del bene comune e senza alcun rapporto con gli altri, in una separatezza più o meno orgogliosa, potrà forse realizzare i propri obiettivi, ma non a favore, forse spesso a scapito, della comunità che dice di servire e a cui dice di appartenere.

L'impostazione fortemente individualistica di intendere l'autorealizzazione non serve la comunità, ma soltanto, appunto, il proprio io e l'egoismo. Spesso non si pensa più in termini di comunità: vengono meno le basi comunitarie e anche carismatiche (il carisma ha sempre un orizzonte comunitario). Resta la "storia del singolo", il "trionfo del privato" e la "morte della comunità".

Non soltanto: in questa effervescente "logica dell'io" nascono talvolta una non tanto latente competitività e dei confronti umilianti - se non sfacciati - e insulsi. In tal modo la comunità diventa una "somma di individui" con esistenze separate in casa. Con quale beneficio e testimonianza per la natura e missione della vita religiosa è facile da vedere. Si rimane facendo al minimo i "doveri canonici" della regola, ma la testa è altrove: dentro il proprio io. Ci si mette la coscienza a posto con queste osservanze e poi ci si dedica con entusiasmo alla ricerca della propria realizzazione, in un'ottica privatistica. L'amore autentico per la realizzazione comunitaria non c'è.

Una diffusa conseguenza degli egoismi imperanti è la solitudine. Di tutti: dei ricercatori dell'autorealizzazione assoluta perché si chiudono - di fatto - in una torre d'avorio nella quale nessuno può entrare, ma dalla quale neppure loro sono capaci di uscire; degli altri, perché non vi è intesa, comunione, comunicazione, condivisione e vero dialogo. Ci si parla, ma la voce non raggiunge il cuore; ci possono essere tanti progetti singoli, separati e gelosamente custoditi e difesi dall'intrusione degli estranei. La vita scorre su binari paralleli, in eterno.

Un'altra conseguenza: la "feroce" autorealizzazione finisce per chiudere in una camera blindata anche intellettuale: vi si coltivano le proprie idee, ritenute le sole giuste e considerate definitive, alle quali non necessita alcun apporto di altre concezioni e visioni. Alcuni credono che il loro spesso supposto carisma sia in grado di oscurare l'effettiva assenza quasi totale di idee e progetti. E qui non vi è spazio per la complessità, la novità. L'anestesia auto-realizzante addormenta le facoltà del ricercatore dell' "io assoluto".

Le "appaganti" parole

Anche qui l'accento è sull'aggettivo. Noi religiosi, talvolta, ci presentiamo come persone piacevolmente intente a discutere delle nostre "virtù nazionali": discettiamo volentieri e con convinzioni teoriche ineccepibili sulla vita consacrata, sulla comunità, sulla fraternità. E poi viviamo in una beata, intoccabile "zona di individualismo", di "fuga all'esterno". È un modo beatamente quotidiano di sentirsi, nonostante tutto, a posto con la propria coscienza, inattaccabili dall'illogicità del nostro comportamento-. Abbiamo "parlato", e spesso anche bene, e quindi…
Il "potere della parola" è tutto: l'esame teorico della vita religiosa - in tutte le sue espressioni e diramazioni - assorbe tutte le energie e non resta più molto per vivere in modo coerente e decente. L'analisi è tutto. Poi ci si dimentica di agire. E l'analisi troppo spesso non spinge allo sforzo di condurre una vita coerente alle abbondanti parole dette. Inoltre la nostra "fedeltà ai principi" è viziata dalla superficialità della stessa analisi e dall'inconsistenza della coerenza.

L'autocritica - questa sì necessaria - è esclusa tassativamente dalla nostra esistenza e il troppo benessere - dato dalle appaganti parole - non provoca ripensamenti. In questa situazione si spengono subito anche gli "alti ideali" da cui si era partiti e i " futuri progetti" che erano balenati alla mente: non è opportuno lanciarsi in terreni che smuovono il proprio benessere e la convinzione di avere tutto il desiderabile. L'orizzonte resta limitato e il camminare non porta lontano: ci si muove come su un tapis roulant: stando fermi allo stesso posto.

Sfoggiamo eleganti, e a volte anche erudite, posizioni "moderne", condite di idee brillanti - meglio se alquanto eccentriche - e poi viviamo nella tranquilla "volgarità" di sempre, timorosi di uscire dal bozzolo che ci siamo costruiti e nel quale ci sentiamo sicuri. All'orizzonte non si delineano mai prospettive nuove e allettanti, non perché non ci siano, ma perché non si vedono tra le proposte che la cultura e la pastorale oggi offrono.

La "freddezza della rettitudine" (esteriore) genera l'incapacità di sentire lo "sfrigolio" del bisogno, dell'effettiva adesione al mondo degli altri. Tante volte sono le parole che "dicono" la nostra partecipazione ai problemi - soprattutto a quelli dolorosi - degli altri: noi, in fondo, ne siamo e ne restiamo fuori. Abbiamo la "beatitudine", non proprio evangelica, del "vedere" e del "parlare".
La spirale della condiscendenza verso se stessi porta sempre più in basso: non si sente più il desiderio di agire, sognare, scavare. Si è contenti di "essere". Per tanti di noi esiste un altrove che ci interessi seriamente, direi caparbiamente? O piuttosto esiste soltanto un qui e un adesso che assorbe completamente il nostro interesse? L'animo umano dispone di eccellenti meccanismi di protezione e noi siamo ben lieti di approfittarne, magari inconsciamente. Con le "armoniose parole" proclamate ci sente già realizzatori di oasi di pace e di campi di missione.

"L'eccessiva" frammentazione

La ricerca del proprio io tende a eliminare la complessità, che dice sempre altre concezioni, ramificazioni oltre la mia visuale, esistenza di altri mondi al di fuori e al di là del mio. L'autorealizzazione "feroce" non accetta una "comunità di idee", certo da vagliare e discutere, ma comunque sempre da prendere in considerazione e non da rigettare a priori. Nella migliore delle ipotesi l'auto-realizzatore assiste con degnazione, con il sorriso sulle labbra, al discorso comune. Pronto comunque a non tenerne conto. La ricchezza della molteplicità va così perduta e il dinamismo comunitario è spento e le diverse forze esistenti si disperdono. Rimane la frammentazione, la polverizzazione degli interventi: ma sono efficaci? Senza una comune visione restano soltanto individui portatori di un privato progetto di presenza.

In questa polverizzazione le differenze - in sé una ricchezza - sono in realtà deleterie, perché non amalgamate in un progetto condiviso. Allora non è "l'insieme" che agisce, ma la frammentazione, condita di indifferenza per quanto l'altro fa. Si dimentica che la propria, sacrosanta autenticità, si esprime in relazione ad altre, altrettanto sacrosante, autenticità. Quanto non sia "religioso" tutto questo è evidente, ma non sempre l'evidenza è evidente per chi non la vuole guardare.

Oggi si sottolinea con forza e insistenza che senza comunicazione non vi è società civile e una vera concezione della realtà, che resta parziale senza contatto e scambio con altre visioni. Questo è naturalmente valido anche per la comunità religiosa: se prevale l'egoistica e compiaciuta ricerca di se stessi, la natura della vita comunitaria è falsata. Rimane un insieme di scapoli o di nubili che condividono le "spese" della casa, ma per il resto in proprie nicchie, alle prese con i propri affari.

La comunità non si costruisce quando ciascuno vuole essere "tutto" - esiste solo lui: è la comunità - o quando uno solo vuole essere tutto - guida, voce, viva espressione della comunità. Soltanto tutti insieme possiamo essere la comunità.

La "feroce" autorealizzazione, "l'eccessiva" frammentazione, le "appaganti" parole: tre elementi che - in modo diverso, ma egualmente dannoso - impediscono la creazione di un'autentica comunità religiosa. Possiamo scoperchiare il tetto del silenzio e dell'indifferenza?

( Bianchi Ennio - vocazioni.net ) - donboscoland.it -

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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