ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 08/04/2014

LE MODE MINORITARIE VOGLIONO SOSTITUIRE LE ESIGENZE DI AFFETTO CON ESIGENZE DI ACQUISTO

Post n°8954 pubblicato il 08 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Il tema del fine vita è tornato d’attualità a causa del recente endorsement del presidente Napolitano.

Molto interessante l’intervista di “Avvenire” a Francesco Paolo Casavola, giurista, presidente emerito della Corte costituzionale e dal 2006 presidente del Comitato nazionale di bioetica, autore del recente libro “Bioetica. Una rivoluzione post moderna” (Salerno Editrice-Roma 2014). Casavola ha affrontato i temi eticamente sensibili su cui si sta confrontando la società, offrendo il suo autorevole punto di vista.

Innanzitutto ha criticato il fenomeno per cui per molti anziani «può esserci una scelta eutanasica anche dal punto di vista collettivo, della società, che dice: facciamo a meno di loro, liberiamoli dal peso dell’esistenza. Ci sono fattori oggettivi che spingono verso soluzioni non di fraternità umana ma di calcolo egoistico, come il computare i costi sociali della lunga vita. E gli egoismi collettivi sono più insidiosi di quelli individuali, perché più nascosti».

Molti attivisti parlano “diritto a nascere sani” o a “non nascere come un’aberrazione”, dove «l’aberrazione è innanzitutto nel fatto che questo diritto non è rivendicato dall’interessato ma è una rivendicazione dei già vivi e dei già sani che non vogliono sobbarcarsi la convivenza e le relazione con i figli che nasceranno. Da questa aberrazione può nascere una psicosi collettiva, con la ricerca di rimedi eutanasici non per se stessi ma per gli altri. L’eutanasia in senso stretto è il momento in cui l’essere umano finisce per auto-espellersi dal legame sociale, è la solitudine che assedia e poi finisce per avere ragione della persona. Ma quando i vivi e sani vogliono conservare la serenità della propria esistenza pensando di eliminare chi la potrebbe incrinare, non siamo più di fronte a un problema di autodeterminazione».

Si parla di maternità surrogata e di utero in affitto, attraverso cui «lediamo o non riconosciamo la dignità della persona. Le legislazioni più apparentemente permissive in realtà tengono conto solo di calcoli di opportunità e di egoismo da parte di chi fa scelte improprie, ovvero di chi – usando quel tanto di ironia che le metafore portano con sé – è come se andasse al supermercato a comprare un pupazzo».

Non poteva mancare il tema del gender e dell’omosessualità e delle adozioni per persone dello stesso sesso. «Anche questa è una delle tante incognite del tempo postmoderno, che tende a sostituire esigenze di affetto con esigenze di acquisto. L’affetto è dedizione, l’acquisto è egoismo. Andare oltre le diversità di genere per avere una prole rispecchia una visione di acquisto non di dedizione. Bisogna guardarsi bene da quelle che possono essere mode minoritarie ed elitarie, che non si confrontano con l’universalità delle esperienze umane».

- La redazione uccronline.it -

 
 
 

ANTONIO SOCCI: ORA POSSO DIRLO CON CERTEZZA, LA MIA CATERINA E' RESUSCITATA

Post n°8953 pubblicato il 08 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

"Ragiona, ricorda, parla, ride eppure il suo cuore si fermò per un'ora e mezzo". Lo scrittore Antonio Socci indaga sul mistero dei "tornati dall'aldilà": 3 milioni solo in Italia

Caterina Socci, 24 anni, morì il 12 settembre 2009. Il 24 si sarebbe dovuta laureare in architettura. Quella sera, intorno alle 20, lei e le altre universitarie, con le quali condivideva un appartamento a Firenze, stavano decidendo se cucinarsi gli spaghetti o recarsi in pizzeria. Ebbe appena il tempo di dire: «Oddio, mi sento male». Le amiche la afferrarono al volo, impedendo che sbattesse la testa sul pavimento. Il cuore s'era fermato, il respiro pure. Suo padre, il giornalista e scrittore Antonio Socci, fu avvertito soltanto alle 21.30.

Ancora gli vibrano nella testa lo squillo del telefono, il tramestio che d'improvviso scrollò la casa, l'urlo straziato della moglie Alessandra, subito seguito dal suo: «Gesùmionooooooooo!». E poi la folle corsa in auto da Siena a Firenze.

«Aritmia fatale», fu la diagnosi. Nessuna malformazione congenita. Escluse cause virali o tossicologiche. Era semplicemente cessato, senza motivo, l'impulso elettrico che fa contrarre il muscolo della vita. Per tentare di ripristinarlo, i soccorritori del 118 usarono il defibrillatore più e più volte, con ostinazione. Dal momento dell'arresto cardiaco, le probabilità che questa manovra di rianimazione sortisca qualche effetto decadono del 7-10 per cento ogni 60 secondi. Dieci minuti, un quarto d'ora al massimo, e sei spacciato. E se per caso negli istanti successivi riescono a riacciuffarti, i danni al cervello provocati dalla mancata ossigenazione delle cellule nervose sono già irreversibili. È il coma profondo o lo stato vegetativo permanente.

Caterina era morta da un'ora e mezzo quando giunse sul posto don Andrea Bellandi, assistente spirituale degli studenti di Comunione e liberazione. S'inginocchiò sul pavimento e cominciò a recitare il rosario. L'équipe medica gli fece capire che era fiato sprecato, che non c'era più nulla da fare. Ma alla seconda, o terza, Ave Maria, «il miracolo», è così che lo chiama papà Socci: «Il cuore riprese a pulsare di colpo. Un battito forte, regolare, non deboli segnali come avviene subito dopo una defibrillazione. Tornata di botto normalissima anche la pressione arteriosa. Due eventi scientificamente inspiegabili. Perché mia figlia era morta, capisce? Morta».

Antonio Socci non ha paura di scomodare una parola impegnativa: resurrezione. Finora aveva sempre fermamente creduto che questo evento soprannaturale si fosse manifestato solo nei tre redivivi di cui narra il Vangelo, riportati in vita da Gesù: la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain e Lazzaro. Ma oggi che Caterina ha 29 anni, si regge sulle proprie gambe, ragiona, ascolta, capisce, si commuove, ride, chiama per nome i genitori e s'impegna giorno dopo giorno in un lento ma strabiliante ritorno alla normalità, che cosa poteva concludere un padre se non che la sua primogenita è tornata dall'aldilà? E proprio da questa figlia «resuscitata» prende le mosse Tornati dall'Aldilà (Rizzoli), il saggio che Socci, dal 2004 direttore della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia, ha mandato in libreria quattro giorni fa e che si leggerebbe come un romanzo se non si sapesse in partenza che quanto vi è descritto è tutto vero, tutto documentato, a cominciare dalle molteplici testimonianze di quelle che la scienza classifica come Nde (near-death experience), esperienze vicine alla morte. «Quando la sorte mi ha costretto a occuparmene, sono rimasto sbalordito dai numeri: si calcola che circa il 5 per cento della popolazione mondiale abbia avuto una Nde. Quindi 3 milioni di persone soltanto in Italia. Il sondaggio l'ha svolto la Gallup, il più antico e autorevole istituto di statistica statunitense. Io stesso, nella ristretta cerchia d'una ventina di amici, ho scoperto cinque casi, tre dei quali sono riportati nel libro».

Socci, 55 anni, sposato con Alessandra Gianni, docente di iconografia medievale nell'ateneo di Siena che gli ha dato anche Maria, 28 anni, e Michelangelo, 16, è abituato a scavare in profondità. Eredità di famiglia: «Mio nonno Adriano era minatore, estraeva carbone nel Chianti. Mio padre Silvano lo stesso: a 9 anni già lavorava, a 14 scese in miniera. Era un cattolico vero, aveva capito cos'è il comunismo. Restò disoccupato con tre figli a carico, mentre mia madre aspettava me e mia sorella gemella, eppure non perse mai la speranza. È stato il mio master universitario».

Perché «aldilà» nel titolo del libro è scritto con la maiuscola?

«Perché è un posto eminente. Il luogo della realtà vera. Quella attuale è solo un teatro di ombre. Ho ascoltato l'ultima canzone di Vasco Rossi, Dannate nuvole: “Quando cammino in questa valle di lacrime vedo che tutto si deve abbandonare. Niente dura, niente dura. E questo lo sai, però non ti ci abitui mai. Chissà perché?”. Davanti alla fragilità del mondo, dentro di noi sentiamo la certezza d'essere fatti per qualcosa che dura».

I racconti dei «ritornati» non potrebbero essere sogni creati da una residua attività encefalica? In fin dei conti la scienza ignora circa l'80 per cento delle potenzialità cerebrali.
«Non dopo l'indagine dell'équipe olandese coordinata dal cardiologo Pim van Lommel su 344 pazienti rianimati in seguito a un arresto cardiaco, 62 dei quali avevano avuto una Nde nonostante fossero tutti clinicamente morti. Come si può spiegare una coscienza lucida fuori dal corpo nel momento in cui il cervello non funziona più e l'elettroencefalogramma è piatto? Su The Lancet, la Bibbia dei positivisti, van Lommel fu costretto ad ammettere che “si dovrebbe includere la trascendenza, come concetto e come prospettiva, all'interno di un tentativo complessivo di spiegazione di queste esperienze”. E il neurofisiologo John Eccles, premio Nobel per la medicina, ha concluso che non si può ricondurre la coscienza alla chimica dei neuroni: “Dobbiamo riconoscere che siamo esseri spirituali con un'anima che esistono in un mondo spirituale, così come esseri materiali con un corpo e un cervello che esistono in un mondo materiale”».

Fra i «resuscitati» lei cita gli attori Peter Sellers, Elizabeth Taylor, Sharon Stone e Jane Seymour.
«Anche il soldato Er, presente nella Repubblica di Platone, che risale al 380 avanti Cristo: si risvegliò a 12 giorni dal decesso e riferì di aver visitato l'aldilà. E Umberto Scapagnini, che fu parlamentare, sindaco di Catania e medico personale di Silvio Berlusconi. Da specialista di neuroscienze, spiegava che durante la sua Nde incontrò la madre, morta un anno prima, e poi padre Pio, il quale gli ordinò di tornare alla vita terrena, dicendogli: “Guagliò, che ci fai tu qui?”. E Cino Tortorella, il mago Zurlì».

Conosco bene Tortorella. Parla di «un'immersione nella chiarità», avvolto da «una matassa di voci di persone care». E si stupisce molto, lui che è ateo, dello scetticismo altrui.
«Una signora mi ha scritto un'ora dopo che avevo annunciato su Facebook l'uscita di Tornati dall'Aldilà: “Se ci riuscirò, un giorno le racconterò che cosa ho visto”. Molti tacciono proprio perché non trovano le parole per dirlo e temono di non essere creduti».

Qual è la Nde che più l'ha colpita?

«Quella di Vicki. Nasce prematura nel 1951, con bulbi oculari e nervo ottico atrofizzati e incompleto sviluppo della corteccia cerebrale visiva. Totalmente cieca. Nel 1973, a 22 anni, è coinvolta in un incidente d'auto. Tentano inutilmente di rianimarla. “Esce” da sé stessa. Non avendone esperienza, subito non distingue il suo corpo steso in barella. Poi lo identifica dall'anello che aveva conosciuto con il tatto. Al suo risveglio descrive con precisione il furgone Volkswagen contro cui s'è schiantata l'auto su cui viaggiava e i volti di persone defunte, “fatte di luce”, che non aveva mai visto in vita sua: la nonna, due amichette del collegio per non vedenti, due anziani. In pratica una prova scientifica dell'esistenza dell'anima contro coloro che liquidano le Nde come allucinazioni prodotte dall'encefalo. Nel cervello di Vicki non poteva esservi memoria delle immagini che invece ha saputo dettagliare».

Lei pensa che sua figlia sia tornata dall'aldilà?
«Ne sono fermamente convinto. Quando ricevetti la telefonata, il cuore era fermo da più di un'ora: una situazione incompatibile con la vita. Per una frazione di secondo ebbi chiaro nella testa un solo concetto: Dio può tutto. E supplicai i medici del 118 di continuare nei tentativi di rianimarla, pur sapendo che mi avrebbero restituito un corpo in stato vegetativo».

E oggi invece come sta?

«È perfettamente cosciente, ilare, vivace, tranquilla. Ha recuperato la memoria che aveva perso. Pronuncia parole, dice “mamma” e “papà”, si fa capire con i “sì” e con i “no”. È espressiva nel commentare i telegiornali. Sa che la riabilitazione sarà lunga, ma è certissima di uscirne. È impegnata nella logopedia e nella fisioterapia con il metodo Bobath che ridà il giusto allineamento al corpo. E resta incredibilmente bella».

Anche Caterina crede d'essere tornata a vivere per un miracolo?
«Certo, frutto d'una catena di preghiere incessanti che ha coinvolto quattro continenti. C'entra anche padre Pio. Undici giorni dopo la tragedia, cadeva la sua festa. Quella mattina mi aggrappai alla tonaca del santo di Pietrelcina. Dopo 10 minuti ricevetti una telefonata da Marija Pavlovic, una dei sei veggenti di Medjugorje. Venne a trovare Caterina e lì, in terapia intensiva, ebbe la sua visione quotidiana: la Madonna le apparve in cima al letto. L'indomani, mentre mia moglie e io accarezzavamo nostra figlia e le parlavamo, il suo viso avvampò, il cuore prese a galoppare, la pressione sanguigna e il respiro fecero scattare gli allarmi dei dispositivi di monitoraggio emodinamico. Strinse le nostre mani, come le avevamo chiesto di fare. I suoi occhi non erano più persi nel vuoto».

Vi aveva riconosciuto.

«Ma il risveglio cominciò solo verso Natale. Fu agitato, travagliato. Urlava. Nel gennaio 2010, mentre la madre le leggeva una pagina del Giovane Holden, Caterina proruppe in una risata fragorosa, lunghissima, che commosse tutto il reparto. Quattro giorni dopo le fu tolto il respiratore. Ricordava tutto. “Ha spazzato via ogni nostra previsione”, si stupì il professor Roberto Piperno, primario dell'unità di neuroriabilitazione dell'ospedale Maggiore di Bologna».

Vi ha spiegato com'è fatto l'aldilà?

«Sì. Una testimonianza che ci ha molto impressionato. Un giorno sarà lei a raccontarla in prima persona, se lo vorrà».

Ai genitori che perdono per sempre i loro figli che cosa si sente di dire?
«Che nulla è per sempre. Che la separazione è temporanea. Che la comunione dei santi li rende vicini nel tempo e nello spazio. Che tutte le lacrime saranno asciugate. Che siamo nati e non moriremo mai più, come disse Chiara Corbella, la quale rifiutò le cure antitumorali pericolose per la gravidanza pur di mettere al mondo il suo Francesco, sacrificando così la propria vita. Quando sento dire che non vi è niente di peggio della morte, io rispondo che la sofferenza di un figlio è ben peggiore. Chi, padre o madre, non direbbe a Dio: “Prendi la mia vita adesso, ma guariscilo”? È l'esperienza che il Padreterno ha messo nella natura per farci capire che cos'è l'amore vero, quello che non prende, che non possiede, che è pronto a immolare sé stesso».

Perché Dio pretenderebbe di farci credere nella vita eterna senza fornirci un briciolo di prova?

«Di prove ce ne ha date a iosa e la principale si chiama Gesù Cristo. Come ha ben spiegato il filosofo Henri Bergson, se fossimo assolutamente sicuri di sopravvivere, non potremmo più pensare ad altro. I piaceri sussisterebbero, ma offuscati e sbiaditi. Impallidirebbero, perché la loro intensità non sarebbe che l'attenzione da noi fissata su di essi».

Con quale carne risorgeremo? A che età?

«Le modalità restano un mistero. Ma nemmeno i dati biologici sono certi. Nell'arco di sette anni tutte le cellule del nostro corpo cambiano, eppure restiamo sempre noi stessi. Come si spiega?».

Pensa davvero che la scienza possa provare l'esistenza dell'anima e magari darle persino un peso, 21 grammi, come nel film con Sean Penn?
«Dal punto di vista empirico è un'esistenza già dimostrata dal fatto che tutti i desideri del nostro cuore non trovano appagamento su questa terra. Che cos'è il ricorso alla droga se non una ricerca di estasi? E le utopie politiche non sognano forse un altro mondo? Per non parlare del sesso: gli animali lo vivono come un semplice bisogno fisiologico, noi come un'ossessione che sfocia nella maniacalità. Questa può essere solo un'insoddisfazione dell'anima, non certo del corpo. Siamo stati fatti per una felicità infinita, non per qualcosa di meno».

( Continua) - stefano.lorenzetto@ilgiornale.it -

 
 
 

AI MALATI SERVE QUALCUNO CHE LI AMI, NON CHE LI UCCIDA

Post n°8952 pubblicato il 08 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Intervista a Jane Campbell, che si batte dalla sedia a rotelle contro l'eutanasia ed è  in prima fila alla Camera dei Lord nella difesa della vita debole: «Leggi come quella sul suicidio assistito faranno sentire i disabili in colpa per il fatto di esistere, di costare tempo e denaro»

«Se mai cercassi di morire – e ci sono momenti in cui il progredire della mia malattia mi ha sfidata – voglio essere sicura che voi siete con me, a sostenere la mia vita e il suo valore». Fu con queste parole che la baronessa Jane Campbell, membro indipendente della Camera dei Lord, nel 2009 convinse il parlamento inglese a respingere il disegno di legge che avrebbe permesso di aiutare i malati a viaggiare verso paesi dove l’eutanasia è legale. Affetta da atrofia muscolare spinale, diagnosticata quando aveva 11 mesi di vita, Campbell secondo i medici sarebbe dovuta morire presto. Invece, 54 anni dopo, la baronessa è ancora viva. Eccome. All’età di 6 anni venne iscritta in una scuola speciale, ma era una noia per una come lei, che di lì a qualche anno sarebbe riuscita addirittura a concludere un master. Quando fece la sua prima domanda di lavoro, sentendosi rispondere che era «troppo disabile», la baronessa rispose a modo suo: prima fondando la National Centre for Independent Living, un’organizzazione in difesa dei diritti delle persone disabili, poi ingaggiando una campagna elettorale che nel 2007 la portò in parlamento. In prima fila nella difesa della vita fragile, negli ultimi mesi la baronessa ha duellato con i politici inglesi contro l’ipotesi di porre fine alle sanzioni verso chi collabora al suicidio assistito dei malati con attesa di vita inferiore ai 6 mesi.

Lady Campbell, tre giorni fa lei è intervenuta contro i tagli annunciati dal governo al fondo per i servizi ai disabili. Pensa sia ancora possibile per i suoi colleghi, in tempo di crisi e spending review, ragionare in termini non meramente pragmatici?
Fossero almeno capaci di ragionare in quei termini! È buffo, ma la mentalità che ha come unico criterio l’interesse economico non riesce a perseguire nemmeno il suo scopo. Se facessero un bilancio integrale si accorgerebbero che per risparmiare dovrebbero fare il contrario: investire sui disabili, che possono dare un grande contributo alla società, facendo risparmiare lo Stato sui costi delle strutture in cui spesso sono relegati. La mia stessa vita dimostra che la via è questa.

Grazie soprattutto al suo intervento, nel 2009 la legge intesa a sostenere i viaggi dei malati terminali verso paesi che praticano l’eutanasia è stata respinta con 194 voti a 141. Come ha convinto i parlamentari?

Ho raccontato loro di quando rischiai di morire in ospedale: i medici pensavano di fare ciò che era “meglio per me”, volevano alleviare la mia sofferenza uccidendomi. Dissero che ero un caso da non rianimare perché una vita con il respiratore non è degna. Per fortuna mio marito, che era lì accanto a me, li obbligò a intervenire spiegando che già prima, di notte, mi aiutavo a respirare con il ventilatore e che ero felice di vivere. «Se non ci fosse stato lui, cosa mi sarebbe successo?», ho chiesto ai miei colleghi. Ho spiegato loro che la pena peggiore per un malato è la mancanza di qualcuno che ti vuole al mondo così come sei, non la malattia.

A marzo è spuntata l’ipotesi di depenalizzare l’assistenza al suicidio. Come si è battuta questa volta?

Ho spiegato che questi disegni di legge sono pericolosi. Una volta che la vita viene messa ai voti non è più possibile fermarne la relativizzazione. Leggi simili non possono che essere piani inclinati. Basta guardare agli altri paesi come il Belgio, che dall’eutanasia per i malati terminali è passato a quella sui bambini. Cerco di far capire che approvare una norma simile equivale ad avallare e promuovere una cultura che istiga i deboli al suicidio. Arriveranno a sentirsi in colpa per il fatto di esistere, di costare tempo e denaro. Ma noi vogliamo davvero vivere in un mondo di solitudine e disperazione, un mondo privo di compassione?

I suoi discorsi in aula in passato hanno spostato voti dalla sua parte. Cosa le dicono i suoi colleghi che cambiano idea?

Quando vengono a parlarmi, capisco che molti sono ingannati dall’ideologia. Partono da fatto che non vogliono che il malato soffra, ma poi prendono la scorciatoia che va per la maggiore e non si accorgono di buttare il bambino con l’acqua sporca. Io sono lì per indicare loro che c’è una strada che non elimina nulla: la chiave che può alleviare la sofferenza dei malati è la stessa che può ridurne i costi sociali. Bisogna solo amare i malati. Tanto che vedendomi felice e realizzata anche la loro paura del dolore, nutrita da un immaginario distorto dall’informazione, si riduce.

Lei parla di un inganno nascosto dietro il linguaggio della compassione. Qual è l’essenza di questa bugia?

La bugia sta nell’idea che dipendere sia una cosa terribile. Le persone spesso si fermano all’apparenza e per esempio quando guardano me non vedono quello che io sono. Mi riducono a una donna in carrozzina che scrive con un dito e che si nutre con la peg. Se solo avessero il coraggio di guardare oltre vedrebbero che sono una donna felice. Che dipendere da qualcuno che ci vuole bene, come me che sono aiutata in tutto, è bello. Se ci si accorgesse di questo non saremmo qui a discutere.

Lei ha avuto anche il coraggio di sfatare il mito moderno dell’autodeterminazione. Ha detto ai suoi colleghi: «Se mai mi volessi uccidere, voglio che mi fermiate».

Sono cresciuta in una famiglia che mi ha amata e incoraggiata. Così le difficoltà si sono trasformate in occasioni per trovare vie nuove, sviluppare la mia fantasia, fortificarmi nella lotta. Ma gli altri disabili? Chi ci pensa a loro? Tutta la società dovrebbe guardarli e capire chi sono, incontrarli e non nutrirsi di immagini e idee fuorvianti. Io che sono fortunata ho il dovere di dare voce a chi non ne ha e ricordare che i malati vogliono che qualcuno li ami, non che li uccida. Se il governo taglia i fondi per aiutarli, li spingerà verso un isolamento ulteriore, che ne porterà molti verso la depressione e la morte prematura.

Il premier David Cameron si è espresso contro la depenalizzazione dell’aiuto al suicidio, ma ha lasciato libertà di coscienza al partito. Cosa pensa di questa decisione?

Che è viziata: non si possono fare battaglie politiche e poi dire che non lo sono. Qui c’è in ballo la concezione di società e di bene comune che si vuole perseguire. Credo che prendere posizione su questi che sono i fini ultimi della politica sia un imperativo per ogni partito. I partiti non possono non avere e non dare una visione del mondo. A maggior ragione un leader deve essere capace di rendere ragione di ciò in cui crede.

Dove crede che arriverà questa escalation legislativa?

Basta guardare la storia, quando ancora la mentalità efficientista non era così pervasiva la Germania nazista cominciò a usare i disabili come cavie. “Impossibile! Siamo in una democrazia avanzata”, ti dicono scandalizzati. Non si rendono conto che questo sta già accedendo nei laboratori con gli embrioni scartati perché malati.

Come si fa a sperare in un cambiamento della politica? Vede leader pronti a difendere la vita debole?

Potrebbero sempre farmi primo ministro.

È con questa ironia che conquista tanto consenso?

Guardi che non sto scherzando.

- frigeriobenedet - tempi.it on Facebook -

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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