I Miei Racconti

Titano, la luna ghiacciata di Giove


    Manca ancora qualche anno alla partenza di Dragonfly, la missione Nasa che esplorerà per la prima volta Titano.Il lancio è previsto per il 2027, l'arrivo non prima del 2034.Solo allora sapremo se i sogni di biologi e astrobiologi, che vedono nella luna ghiacciata di Giove uno dei luoghi più promettenti del nostro Sistema Solare per studiare l’origine della vita terrestre e (magari) extraterrestre, si trasformeranno in realtà.Nel frattempo, comunque, continuano ad emergere nuove informazioni sulla missione.Un recente studio internazionale, ad esempio, ha mappato la zona in cui si poserà la sonda americana, confermando la presenza di diverse caratteristiche che la rendono ideale per l'esplorazione.La zona scelta per la prossima missione su Titano è conosciuta come Selk Crater, ed è un cratere di origine geologicamente recente formato dall'impatto di un grosso meteorite in un'area equatoriale della luna, nota come Shangri-La.A rendere appetibile la zona sono diverse caratteristiche: si ritiene che sia composta da dune sabbiose, che dovrebbero rendere più semplice l'atterraggio, e sembra che in un passato relativamente recente (almeno in termini geologici) abbia ospitato acqua allo stato liquido, prodotta nella collisione che ha dato origine al cratere.Nel nuovo studio, i ricercatori della Cornell University, della Johns Hopkins University e dell'Università di Parigi hanno deciso di approfondire la questione utilizzando le immagini radar catturate dalla sonda Cassini durante la sua visita del 2005.“A volte piove metano liquido, ma l'area è più simile a una deserto terrestre, con dune, qualche piccola montagna e un cratere”, spiega Léa Bonnefoy, giovane ricercatrice della Cornell University che ha collaborato allo studio.“Stiamo studiando con attenzione l'area dell'atterraggio, la sua struttura e la sua superficie.Per farlo esaminiamo le immagini radar raccolte dalla missione Cassini-Huygens, studiando come cambiano i segnali radar da punti di vista differenti”.Per ora, le indagini hanno permesso di ricostruire la topografia dell'area con la massima precisione consentita dalla risoluzione delle immagini.Confermando l'assenza di particolari pericoli o ostacoli lungo la traiettoria di discesa di Dragonfly, e fornendo diverse altre informazioni preziose per preparare nel dettaglio la missione.Come ad esempio l'altezza dei bordi del cratere, leggermente superiore a quella calcolata in precedenza: le nuove stime dicono che varia dai 200 ai 600 metri circa.A parte questo, il cratere dovrebbe essere coperto, come previsto, da alte dune di sabbia, inframezzate da fiumi e torrenti.Le temperature estreme, che raggiungono i meno 180 gradi centigradi, non permettono ovviamente di trovare acqua allo stato liquido.E infatti fiumi e laghi di Titano sono composti da metano ed etano liquidi, che piovono dal cielo in un ciclo molto simile a quello dell'acqua sul nostro pianeta.Trattandosi della prima visita di una sonda mobile su Titano (e probabilmente l'unica, almeno per i prossimi decenni), alla Nasa sono intenzionati a trarre il massimo dall'impresa.Per questo motivo, a differenza dei rover che esplorano da decenni la superficie di Marte, è stato scelto un differente tipo di veicolo: un quadricottero, simile (per potenzialità) al piccolo drone Ingenuity utilizzato nel programma Perseverance, ma dotato di otto rotori, pesante quasi 500 chili, capace di spostarsi alla velocità di 36 chilometri orari e di raggiungere i quattro chilometri di quota.In questo modo, sarà possibile sfruttare al meglio le condizioni presenti sulla superficie, dove la bassa gravità (neanche il 14% di quella terrestre) e l'alta densità dell'atmosfera permettono di far volare un oggetto utilizzando una potenza 40 volte inferiore a quella necessaria sul nostro pianeta, e renderanno le prestazioni di Dragonfly (che ha le dimensioni di una piccola macchina e sul nostro pianeta avrebbe non pochi problemi di mobilità) simili a quelle di un drone.Utilizzando un veicolo volante sarà quindi possibile coprire grandi distanze, e spostarsi con agilità da un sito d'interesse all'altro, analizzando un'area molto più ampia di quella che sarebbe stata possibile con un rover tradizionale.La missione è stata quindi pensata in modo molto diverso dal passato: il drone potrà effettuare voli di esplorazione di circa mezz'ora ogni giorno, e farà poi ritorno al campo base per ricaricare la sua batteria con una piccola batteria nucleare, mentre sulla Terra gli scienziati decideranno il nuovo obbiettivo scientifico da raggiungere l’indomani, utilizzando le informazioni raccolte.Ad incuriosire tanto gli scienziati, è il fatto che le condizioni presenti su Titano ricordano da vicino quelle che si potevano trovare sul nostro pianeta nel lontano passato, quando hanno fatto la loro comparsa le prime forme di vita terrestri.Per questo motivo, studiare da vicino la superficie di Titano offrirà un'occasione imperdibile per approfondire le conoscenze relative ai processi che possono aver portato alla nascita della vita sulla Terra.Il cratere Selk dovrebbe rivelarsi il luogo più adatto per portare avanti queste ricerche, visto che in passato si ritiene che vi sia stata la presenza di acqua liquida, e dovrebbe quindi essere possibile studiare gli effetti della sua interazione con gli idrocarburi e le molecole organiche complesse di cui dovrebbe essere coperta la superficie.Un mix da cui si ritiene che siano state prodotti gli elementi necessari per lo sviluppo delle prime forme di vita organica sul nostro pianeta.Non che sia impossibile immaginare che anche su Titano sia avvenuto qualcosa di simile, e che questa luna sia quindi abitata da qualche forma di vita aliena, magari microscopica (qualcosa di simile a virus o batteri).Anzi, la maggior parte degli astrobiologici ci spera di cuore, anche se le temperature bassissime delle superficie e l'assenza di acqua la rendono un ambiente piuttosto inospitale per la vita, almeno per come la conosciamo sulla Terra.C'è però un'area di Titano dove virus e batteri alieni potrebbe prosperare con una certa facilità: il gigantesco oceano che si ritiene presente al di sotto della superficie ghiacciata.In questa occasione, Dragonfly non potrà purtroppo approfondire direttamente la questione.Ma con un po' di fortuna, se davvero qualche forma di vita abita nelle profondità del pianeta, una qualche firma chimica della sua presenza potrebbe essere individuabile anche sulla superficie.Se così fosse, e se Dragonfly dovesse riuscire a trovarle, la missione non solo sarebbe un successo, ma inaugurerebbe probabilmente una lunga serie di visite della nostra specie sulla luna di Giove. Da Internet