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Messaggi di Luglio 2018

 

Siamo tutti razzisti?

Post n°147 pubblicato il 10 Luglio 2018 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

Io non sono razzista, o almeno penso di non esserlo, conosco neri, rom, ebrei, meridionali, gay, lesbiche, grassi, magri, belli, brutti, alti, bassi e non mi sembra di fare delle differenze.

Ma non posso esserne sicuro visto che le politiche nazionaliste e xenofobe sono al governo in mezzo mondo, cavalcando quando non fomentando le paure, le discriminazioni, le violenze.

Il razzismo è un sentimento sottile e diffuso, subdolo, che riguarda quasi tutti, anche quelli che affermano di essere di mentalità più aperta.

Qualche giorno fa il capo della comunicazione di Netflix è stato costretto alle dimissioni, perché in ben due occasioni ha usato la N-word, ha in pratica detto "ne*ro".

In America questo termine è tabù al punto tale da non poter essere usato neanche tra virgolette: pare infatti che Jonathan Friedland abbia detto quella parola all'interno di riunioni con il proprio staff, riunioni riguardanti appunto le parole sensibili e le espressioni da non usare all'interno di sceneggiature.

Capita spesso e a tutti di sperimentare sensazioni incontrollabili, magari sentendosi poi terribilmente in colpa, come sentirsi minacciati, camminando da soli per strada di sera, da un gruppo di persone solo perché hanno la pelle scura o parlano un'altra lingua.

O avvertire una sensazione di inquietudine incontrando uno sconosciuto di colore e magari vestito non troppo bene nelle scale del nostro palazzo, e sapere benissimo che se invece fosse stato alto, biondo ed elegante non ci avremmo nemmeno fatto caso.

Il razzismo è naturale?

Certamente è stato un eccellente alibi che ha consentito il dominio e la sopraffazione.

L’occidente è costruito sul razzismo.

Ma prima ancora, la diffidenza e l’ostilità nei confronti del diverso, dell’altro, è stata una strategia di sopravvivenza.

E' bene però distingure fra pregiudizio razziale e razzismo.

Il pregiudizio razziale è la generalizzazione, come lo svedese è alto, il napoletano è simpatico, l'ebreo è portato per gli affari, l'africano ha la musica nel sangue.

Il razzismo è una ideologia, utilizzata da una classe dominante: prende il pregiudizio razziale, e lo eleva a norma, a sistema.

Il pregiudizio razziale e la xenofobia, come affermano alcuni studi di paleoantropologia sono radicati nell’evoluzione umana da centinaia di migliaia di anni, se non milioni.

E sono parte del nostro DNA.

Una ricerca mostra che le zone del cervello utilizzate per il riconoscimento facciale si attivano di più quando guardiamo persone appartenenti al nostro stesso gruppo etnico.

Per nostra fortuna però l’evoluzione umana non si è basata solo e non tanto sulla sopraffazione tribale, ma soprattutto sullo scambio e sulla cooperazione.

La selezione naturale ha favorito quelli che nei confronti dell’altro, dello straniero, si ponevano con atteggiamento prudente ma aperto, pronti a coglierne i vantaggi: di qui i commerci, le alleanze, la globalizzazione.

Altre ricerche dicono che non c’è nulla di predeterminato nel cervello, nel pensiero e nel comportamento, umano.

Anzi, il cervello si sviluppa e si evolve nell’adattamento, nell’elasticità, nel cambiamento.

Se abbiamo una predisposizione al pregiudizio razziale, non vuol dire che dobbiamo accettarla passivamente.

La risposta alla domanda iniziale non è scontata.

Potrebbe essere sì, siamo tutti razzisti, ma bisogna avere il coraggio di ammetterlo.

E poi la forza per combatterlo.

 

 
 
 

Una foto diversa

Post n°146 pubblicato il 07 Luglio 2018 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

Non è un periodo facile.

Se dici che le paure degli italiani vanno comprese, quelli di sinstra ti danno del salvinista.

Se non fai la ola per i respingimenti «disumanitari», i salvinisti ti danno del comunista.

Se sbeffeggi il potente di turno, sei arrogante e paternalista.

Se ti commuovi per un gesto di cuore, sei retorico e buonista.

Se poi ti azzardi a far funzionare il cervello, diventi prevedibile e noioso.

Internet peggiora la situazione, perché l’assenza di contatto esaspera gli insulti che davanti a un bicchiere di vino si trasformerebbero in pacche sulle spalle.

Per strada si avverte una dose atomica di aggressività e una mancanza sconfortante di curiosità per le opinioni degli altri.

Ormai si può solo essere pro o contro qualsiasi cosa, dai migranti ai vaccini ai vegani, e chi non si schiera a prescindere è complice del nemico.

Allora io posto una foto diversa, tipica per me, che parla di amore, di assenza e di senso della vita.

Una foto scattata a Gaeta dove si vede di spalle un vedovo inconsolabile che ha portato il ritratto della moglie a respirare il mare.

Allora con tutto quello che succede mi sembra molto più interessante vedere un uomo in canottiera che abbraccia teneramente il ritratto della moglie.

Sarò sicuramente accusato di essere retorico e smielato ma forse è ora di scoprire di nuovo i veri sentimenti.

 
 
 

L'Evento di Tunguska

Post n°145 pubblicato il 04 Luglio 2018 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

Nella notte del 30 giugno di 110 anni fa, molte persone nel Regno Unito approfittarono di un insolito e prolungato bagliore in cielo per fare una partita in notturna a cricket o leggere all’aria aperta il giornale, senza accendere la luce.

Non sapevano che a oltre 5.500 chilometri di distanza da loro ci fosse stata da poco una gigantesca e misteriosa esplosione nell’atmosfera terrestre, che fu chiamata poi “l’evento di Tunguska”.

Il Sig.Semenov era a tavola, pronto a fare colazione nella sua casa di Vanavara, una piccola località rurale nella Russia siberiana.

All’improvviso notò un grande bagliore in cielo: era come se si fosse “diviso in due parti”, avrebbe raccontato in seguito, e una metà si fosse incendiata.

Mentre la strana striscia in cielo diventava sempre più grande, Semenov avvertì un’insolita e crescente sensazione di calore, al punto da volersi togliere la camicia per il gran caldo.

Era sorpreso e stava cercando di pensare a cosa fare, quando sentì un forte colpo; balzò di qualche metro e cadde a terra privo di sensi.

Fu la moglie a riportarlo in casa, dove rinvenne in tempo per sentire un’altra successione di colpi molto forti seguiti da un tremore del terreno.

Spaventato, steso a terra con la faccia rivolta verso il pavimento, Semenov cercò di proteggersi la testa nel timore che qualcosa lo potesse colpire.

Quando tutto sembrò essere finito, Semenov si rialzò tra i vetri rotti delle finestre, uscì e fece il conto dei danni nel suo orto.

La testimonianza di Semenov è arrivata fino ai giorni nostri grazie al mineralogista Leonid Alekseevič Kulik, che la raccolse nel 1930 durante una delle sue spedizioni dedicate proprio allo studio dell’evento di Tunguska.

Secondo le ricostruzioni fatte da Kulik e altri ricercatori, il grande bagliore in cielo si produsse intorno alle 7:17 locali del 30 giugno 1908.

Tra i primi ad avvistarlo ci furono alcuni coloni russi, come Semenov, e diverse persone del popolo nomade siberiano dei tungusi.

Il bagliore fu osservato dalle colline a nord-ovest del lago Baikal: era bluastro e molto intenso, al punto da rendere più luminose le prime ore di quella mattina d’estate.

Dopo una decina di minuti si produsse un forte lampo in cielo, seguito da un rumore intenso paragonabile a una fortissima cannonata, avrebbero raccontato in seguito i testimoni.

Come era successo a Semenov, molte persone furono sbalzate a metri di distanza da dove si trovavano, spinte da una ventata molto intensa e seguita da un tremore del suolo.

In un’area di circa 2mila chilometri quadrati intorno al punto dell’esplosione, 80 milioni di alberi furono piegati e abbattuti in pochi istanti dalla forte onda d’urto.

L’effetto fu devastante, ma i danni a cose e persone contenuti, perché la zona era scarsamente abitata.

Un evento di quel tipo sopra una città avrebbe potuto causare decine di migliaia di morti.

Si sospetta invece che nell’evento di Tunguska , morirono due persone ma non furono mai svolti accertamenti adeguati per confermare la circostanza.

Il tremore del suolo fu registrato da numerose stazioni sismiche in Europa e in Asia: alcune rilevarono una scossa paragonabile a quella di un terremoto di magnitudo 5.

Era stato ovviamente un meteorite ma non vennero trovati crateri

Per più di dieci anni non furono svolte grandi indagini sull’evento di Tunguska.

Negli anni Venti, Kulik venne a conoscenza di diversi dettagli sulle circostanze dell’esplosione, concludendo che fosse stata causata dall’impatto al suolo di un grande meteorite.

Convinse il governo sovietico a finanziare una spedizione, raccontando che sarebbe stata utile per recuperare prezioso ferro meteorico da studiare e impiegare nell’industria pesante.

Grazie alle indicazioni dei tungusi, nel 1927 la spedizione di Kulik riuscì a identificare il punto dove l’esplosione aveva creato più danni.

Al loro arrivo i ricercatori osservarono increduli il panorama: non c’era un cratere, ma alberi privi di chioma e fronde nel raggio di 8 chilometri, attorniati da una distesa a perdita d’occhio di alberi caduti.

Solo molti anni dopo si sarebbe scoperto che l’area di foresta abbattuta era ampissima, con una forma simile a quella di una farfalla con le ali aperte fino a raggiungere una larghezza di 70 chilometri.

Nei dieci anni successivi, Kulik tornò nella zona con altre spedizioni per raccogliere dati e campioni sull’evento di Tunguska.

Trovò cavità nel terreno che ipotizzò potessero essere crateri causati dal meteorite, ma ricerche più approfondite lo portarono a escludere questa circostanza.

Le prime fotografie aeree furono realizzate solo nel 1938 a trent’anni di distanza dall’esplosione in cielo, ma non consentirono di ottenere molte altre informazioni.

L’interesse per l’evento di Tunguska riprese dopo la Seconda guerra mondiale, con nuove spedizioni organizzate questa volta per analizzare il suolo e gli alberi alla ricerca di qualche indizio.

Le analisi portarono alla scoperta di diversi metalli non compatibili con l’ambiente circostante, portando quindi nuovi elementi alle teorie per cui fosse stata una meteora a causare il bagliore e il grande boato sulla Siberia.

Ogni anno sulla Terra cadono circa 40mila tonnellate di rocce spaziali, ma raramente ce ne rendiamo conto perché di solito sono meteore di piccole dimensioni che si polverizzano durante il loro impatto ad alta velocità con l’atmosfera.

In media ogni dieci anni si verificano eventi più consistenti, come quello di Čeljabinsk del 2013, sempre in Russia.

Dato che la porzione della Terra abitata da esseri umani è relativamente limitata, gli impatti avvengono di solito e per fortuna in aree non abitate o sugli oceani e quindi non creano particolari danni.

Un evento come quello di Tunguska è invece molto più raro, secondo alcune stime se ne verifica uno ogni tre secoli, e per questo ha portato a decine di ricerche, mentre ancora oggi a distanza di più di un secolo si discute sulla sua effettiva causa.

L’ipotesi più condivisa dai ricercatori è che la mattina del 30 giugno 1908 un asteroide sia entrato in collisione con la Terra, e sia esploso nel suo ingresso in atmosfera a un’altitudine tra i 6mila e i 10mila metri nel cielo della Siberia.

La forma a farfalla al suolo prodotta dall’esplosione e la posizione degli alberi sembra fornire ulteriori conferme, anche sulla base delle osservazioni effettuate dopo test atomici condotti nelle parti basse dell’atmosfera.

Nel punto direttamente sotto a quello dell’esplosione, si sviluppano onde d’urto in verticale, che lasciano quindi i tronchi degli alberi inpiedi, ma distruggono tutti gli elementi orizzontali come i rami.

A maggiore distanza dal punto dell’esplosione, l’onda d’urto si propaga quasi orizzontalmente e abbatte quindi ciò che trova sulla sua strada.

Il fatto che non sia mai stato trovato un cratere o un pezzo del meteorite (chiamiamo così ciò che rimane e arriva al suolo di un corpo celeste dopo il suo passaggio nell’atmosfera) rende, secondo alcuni, meno solida l’ipotesi dell’asteroide.

Già negli anni Trenta fu ipotizzato che l’evento di Tunguska fosse stato causato non da un grande sasso come un asteroide, ma da una cometa costituita per lo più da ghiaccio e polveri.

Questa si sarebbe completamente polverizzata durante il passaggio

in atmosfera, lasciando un’enorme scia di frammenti luccicanti, che avrebbero poi riflesso i raggi solari portando al fenomeno delle “notti luminose” descritte nel Regno Unito e in altri paesi dell’Europa occidentale.

In quell’estate del 1908 diversi osservatori astronomici segnalarono inoltre una presenza più alta di polveri nel cielo, tali da complicare le loro osservazioni.

L’ipotesi della cometa trovò altri sostenitori nei decenni successivi, con ipotesi su quale corpo celeste si fosse infranto nell’atmosfera in uno dei suoi periodici passaggi ravvicinati con la Terra, seguendo la propria orbita intorno al Sole.

Riprendendo alcune critiche espresse negli anni Ottanta a questa ipotesi, nel 2001 Paolo Farinella dell’Università di Trieste pubblicò insieme ad altri colleghi una ricerca in cui esponeva i risultati di un modello matematico, effettuato valutando la probabile orbita seguita dall’oggetto spaziale e l’inclinazione all’ingresso nell’atmosfera.

Lo studio concluse che fosse molto più probabile (83 per cento) che si fosse trattato di un asteroide proveniente dalla fascia principale, la grande regione del sistema solare tra Marte e Giove densa di asteroidi, e non di una cometa (17 per cento).

I sostenitori dell’ipotesi della cometa e quelli dell’asteroide continuano a confrontarsi ancora oggi, in un dibattito scientifico molto interessante non solo per ricostruire ciò che accadde a Tunguska, ma anche per capire meglio cause, dinamiche ed effetti dell’ingresso in atmosfera di corpi celesti di medie dimensioni.

È l’assenza di un cratere a lasciare interdetti i ricercatori: un asteroide avrebbe dovuto produrne uno al momento del suo impatto al suolo, anche se altri teorizzano che un asteroide intorno ai 60 metri di diametro si sarebbe potuto polverizzare completamente prima di raggiungere il suolo.

Una decina di anni fa un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna guidato da Luca Gasperini ha proposto qualche nuovo spunto, dicendo di avere identificato un lago con caratteristiche compatibili a quelle di un cratere causato dall’evento di Tunguska.

Secondo loro, la maggior parte del corpo celeste che causò l’esplosione si polverizzò in cielo, ma un frammento con una larghezza massima di 10 metri arrivò comunque al suolo nel punto in cui ora si trova il lago Čeko, che si formò proprio in seguito all’impatto.

Si sarebbe riempito d’acqua negli anni seguenti a causa della vicinanza di un fiume.

L’ipotesi è affascinante, ma non ha ancora trovato riscontri e prove completamente convincenti.

L’anno scorso, inoltre, un gruppo di ricercatori russi ha analizzato il suolo e altri campioni prelevati nella zona, arrivando alla conclusione che il lago esista da almeno tre secoli e non da un centinaio di anni come ipotizzato da Gasperini e colleghi.

Alcuni ricercatori non sono però convinti di un’origine extraterrestre dell’evento di Tugunska.

Andando contro i consensi di buona parte degli scienziati che si sono occupati del caso, ci sono geologi che ipotizzano che la grande esplosione del 1908 fu causata da circa 10 milioni di tonnellate di gas naturale, fuoriuscito dalla crosta terrestre: il gas sarebbe risalito negli strati più bassi dell’atmosfera dove si sarebbe acceso a causa di un fulmine.

Le fiamme avrebbero seguito la colonna di gas fino alla fenditura nel suolo e avrebbero portato alla grande esplosione.

Per quanto affascinante, questa teoria è ritenuta poco credibile.

L’evento di Tunguska ha ispirato negli anni decine di autori, che hanno raccontato la misteriosa esplosione nel cielo nei loro romanzi o l’hanno riadattata alle loro esigenze narrative.

Ne parlano, tra gli altri, Isaac Asimov nel racconto Lo scienziato pazzo, Arthur C. Clarke nell’introduzione di Incontro con Rama e Thomas Pynchon nel suo Contro il giorno.

La vicenda è ripresa in molti fumetti di supereroi, è citata in videogiochi come quelli della serie Assassin’s Creed e in Call of Duty: World at War.

Se ne parla nei film Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo e in Ghostbusters, anche se con un riferimento al 1909 e non alla data corretta del 1908.

Valutare con precisione la quantità di energia che fu sprigionata dall’evento di Tunguska non è semplice.

Le simulazioni più caute parlano di 3 megatoni, pari a 200 volte la bomba atomica sganciata dagli Stati Uniti sulla città giapponese di Hiroshima nel 1945.

Le stime variano comunque molto: c’è chi ha calcolato 10 megatoni e chi si è spinto a ipotizzarne 30.

I valori più attendibili, anche sulla base di recenti simulazioni al computer più accurate, collocano comunque l’evento tra i 3 e i 5 megatoni.

Come abbiamo visto, l’evento di Tunguska avrebbe potuto causare danni enormi se fosse avvenuto sopra un’area densamente abitata, ma comunque contenuti e non tali da comportare danni nel lungo periodo per la nostra civiltà.

I ricercatori ipotizzano che un asteroide con diametro tra gli 1 e i 2 chilometri potrebbe invece causare la morte di oltre un miliardo di persone.

Le polveri prodotte in atmosfera offuscherebbero il cielo e potrebbero impiegare fino a 10 anni per dissolversi, impedendo la corretta coltivazione dei campi e modificando le stagioni.

Sull’evento di Tunguska sono state prodotte negli anni più di mille ricerche scientifiche e accademiche, molte di queste ci hanno aiutato a comprendere meglio che cosa accade quando si registra un grande impatto nell’atmosfera.

Nessuna ci ha però ancora spiegato con certezza che cosa interruppe la colazione del Sig. Semenov quella mattina del 30 giugno 1908.

 

 
 
 
 
 

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