Rosa pequeña

Snow


                                                                                                                 Foto di Rebelde85Un passo dopo l’altro, l’aria distratta di chi non ha fretta, di chi ha negli occhi molto più di quel che vede. Così passeggiava, in un pomeriggio qualsiasi, tra i vicoli stretti, vestiti di luci. Lo sguardo le andava spesso al cielo, alle poche nuvole accompagnate dal vento in una danza lenta, accattivante. Guardava il cielo, l’azzurro limpido tutto invernale, le mani in tasca, tamburellanti.Quella piazza le aveva sempre ricordato una nave, una lunga nave da crociera. Le piaceva attraversarla con calma, da poppa a prua, assaporandone i dettagli. I pochi fiori ai balconcini in ferro battuto, il marmo delle fontane, il canto dell’acqua scrosciante. I soffitti delle case, attraverso le alte finestre. Aveva una vera passione per i soffitti: intarsiati in legno, affrescati, con soppalco, illuminati di luce calda…Aveva l’impressione di poter leggere i pensieri di chi abitava quelle case, osservandone con attenzione i soffitti, in religioso silenzio. È lì che lo sguardo si posa, quando la notte fa posto ai sogni, e più non si vorrebbe dormire. Un gatto passeggiava, leggiadro, sul cornicione del secondo piano. All’interno le luci dell’albero tingevano di bagliori colorati le pareti. Più in alto, una sottile lingua di fumo si avviava, sinuosa, a disegnar profili d’inchiostro, sopra i tetti addormentati.Avrebbe dipinto stelle sul suo soffitto, per le notti senza luna, troppo buie per sognare, per lasciarsi amare.Il sogno. Non poteva fare a meno di incantarsi a osservare quella vetrina, gli occhi ricolmi di un candore infantile che ben si intonava con le guance, un poco arrossate dal freddo pungente di quel pomeriggio. Istintivamente aveva sfilato la destra dal cappotto bianco, e aveva sfiorato il vetro, come ad afferrarlo, quel sogno. Riflessa tra luci colorate e tanti peluches la sua immagine le aveva strappato un sorriso, dei più dolci. Le 16. Stranamente in anticipo, aveva pensato. Aveva scelto con cura una panchina, che le permettesse di sbirciare i ritratti degli artisti di strada. Non ne aveva il coraggio, ma anche lei avrebbe voluto essere ritratta. Da lui. Anche una volta soltanto. Guardarsi con i suoi occhi, trovarsi bella, magari. Unica. È così che lui la vedeva. E più che un vedere, era un profondo sentire.In tempo per il tramonto, sarebbe arrivato. Con quel suo strano modo di camminare, l’aria distratta di chi non ha fretta, di chi ha negli occhi molto più di quel che vede. La giostra dorata spandeva musica e voci di bimbi. Carrozze e bianchi destrieri si rincorrevano nello spazio di un giro di danza. Mio cavaliere, portatemi con voi, ch’io sia la vostra dama, anche solo per questo ballo, per una notte soltanto.Le 16.30. Non aveva con sé un orologio, non l’aveva mai indossato. Come se il tempo le andasse stretto. Come chi vuol vivere senza quel rintoccare di secondi, al ritmo mutevole dei respiri. Eppure ne era certa. Di lì a poco l’avrebbe visto arrivare. Dapprima solo gli occhi, tra la folla. A quel pensiero aveva sorriso, le dita alle labbra. Poi aveva rivolto lo sguardo al cielo, ancora una volta. Con l’aria di chi cerca, in quell’azzurro, una risposta. E aveva atteso qualche istante così, col naso in su. Candido, brillante, inatteso. Come solo la vita sa essere. Il primo bianco fiocco aveva baciato la sua piccola mano.