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Persone che non sorridono mai. Variazione 2

Post n°13 pubblicato il 25 Maggio 2009 da marcalia1
Foto di marcalia1

 

Io so che esistono persone le quali vivono costrette dentro la geometria di un cerchio. In tale circolo infinito esse obliquamente corrono sempre, ed al loro principio un’inconfessabile ossessione continuamente le riporta. Prigioniere di un confine circolare che null’altro è se non la propria vita ripercorsa al contrario, disconosciuto il sorriso le abbandona e in un qualunque mattino dice loro addio.

Io conosco persone che pur vivendo scontano un’infelice pena interiore, misteriosa ed ineffabile che non s’affronta. Ché, se è d’estate, un triste novembre di nebbia gli si schioda nell’anima; e ché, se è d’inverno, l’acquoso grigio del gelo vela i loro occhi.

All’interno di questo cerchio impazzito le idee sono sempre le stesse, o anche una sola ma ripensata mille volte. Nel cerchio non si vive, si esiste; chi vi finisce sa per certo che la condanna è un sorriso rapito che non torna ad essere, e il domani null’altro sarà se non un giorno d’angoscia già trascorso: lì dentro il tempo ti sgoccia il sangue dalle vene ma dopo, quando te ne accorgi, ormai sei diventato trasparente; quasi non ti vedi più.

Nel cerchio non si ride, non si parla. Ognuno fissa muto un punto immobile, uno qualsiasi, tanto è tutto uguale. Le persone che ci abitano mandano a memoria il giro spento del loro sguardo, eppure non si voltano mai. Perché c’è un luogo arcano in fondo al cerchio che è un immenso buco nero che t’assorbe ogni residuo di entusiasmo che ti sgorga in corpo; se uno guarda il fondo dell’abisso vuol dire che è già un uomo morto e cammina senza rendersene conto.

Chi percorre il cerchio dal di fuori non sa cosa esso sia davvero. Elabora teorie, ricama assurdi postulati o sviluppa false verità da cui è difficile staccarsi. Certo, si affaccia sull’orlo dell’abisso, ne scopre i contorni maligni, ne traccia un senso anche fisico per dargli un limite, una forma. Pure, è tanto lontano da snaturarne il portato estremo quanto un prigioniero del cerchio di porre una ragione viscerale alla sua vita. Poiché il cerchio è l’essenza stessa del dolore, nel mentre la faccia dell’abisso si smuove con lentezza su di esso facendolo tangibile, pochi sanno ascoltare l’urlo di quelli che vi precipitano dentro. Ecco ciò che serve: sapere ascoltare.

Il cerchio non finge e non mente. Se ti barrica lo spirito, se ti sottrae luce bianca dal corpo lo fa perché ha bisogno che un uomo ci si spenga davvero, lo fa perché prima di mollarti una volta per sempre a te stesso nel pieno del caos vuole spersonalizzarti dal fondamento e da lì poi riformare i tuoi criteri, i tuoi sogni, le tue aspettative per l’avvenire. Il cerchio ha in sé la facoltà di renderti nulla la volontà, di scomporti gli ultimi pensieri e di ricrearli con ossessionante malvagità. Così, quando il cerchio viene incontro ad abbracciarti, cessi di essere un Uomo.

Io so di persone sprofondate nell’abisso oscuro e mai più ritrovate. Alcune le conoscevo anche bene. Alcune parlavano, ridevano, facevano semplicemente cose ma era chiaro che si stavano preparando per andare ad un banchetto di morte; smarrite in loro stesse, cantavano uno splendido inno alla pazzia. Forse le ho viste o forse le ho solo immaginate. Però, sia quel che sia, le ho riconosciute. Solo colui che mai sorride percepisce la perfida via che conduce all’origine del cerchio, e vi si rispecchia nel buio degli altri.

Il cerchio ti scava nello spirito alla ricerca della tua entità più intima con lo scopo di annientarla a poco a poco come succede con un incubo che sfuma dopo un risveglio osceno. Credo che il cerchio sia il macabro disegno di una mente guastata. È lo stato dell’essere di qualcuno che sostiene in sé il senso tragico della solitudine interiore.

Io so di persone fuggite dal confine attorno alla loro esistenza. Lo so perché io stesso sono parte inscindibile del cerchio. Di una linea riavvolta e contorta che scivola lungo il margine del perverso circolo, in un rotondo perfetto. Sono traccia ed architettura pulsante del meccanismo angoscia. Compongo la materia circolare e la mia vita si riduce ad apparire in una noiosa coazione a ripetere.

Ecco il motivo per cui conosco persone che non sorridono mai; perché tutte loro m’appartengono e i sorrisi di quelli giacciono morenti dietro la mia Grande Ombra.

Io e il cerchio scrutiamo la tenebra, respiriamo all’unisono, il mio tremore ed il suo, in un battito inquietante che è orrore. Il cerchio, l’abisso e me siamo tre volti ed organi monchi di qualcuno a cui la vita sembra una costrizione.

Ignoro se io sia capace di fuggire dal cerchio, come dire un giorno da me stesso, da me uomo frantumato; ignoro se io ne sia davvero capace. Però so anche bene che da qualche parte celata del mio essere pensatore c’è una luce fioca che non si è mai spenta e vibra di emozioni. Qualora questo freddo bagliore nascosto cessasse di illuminarmi, il buio resterebbe solo per me.

Dicono che la luce che arde col doppio di splendore bruci per la metà del tempo. Per me è durata molto meno. E se ora il buio decide di scendere sui miei occhi allora sarà la profonda tenebra del Tempo in cui l’altro me stesso vi accorrerà come a ritrovarvi il suo simile Principio, nell’architettura elementare delle cose, lo consenta o non lo consenta il feroce grido della mia insofferenza che ripete: io, IO.

 

nel giorno del rimorso, maggio 2009

 
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