Sacro e Profano

LA VERGINE GITANA. Il vento come amante virile nella tradizione e nella poesia di F.G. Lorca.


          Gli etnologi e in genere tutti gli studiosi di folclore sono concordi nell'affermare che i racconti popolari, così come le fiabe di magia, abbiano una funzione sociale. La tradizione  è infatti nel suo significato più profondo un immenso serbatoio di immagini e di simboli attinenti ad un mondo arcaico e primitivo, di cui il racconto fiabesco ne conserva ancora una fievole eco. A detta di Mircéa Eliade, la letteratura orale si confonde sin dalle origini con la religione perché ne propaga i miti che, nelle società arcaiche, raccontano realmente la storia del mondo e degli eroi.[1] La letteratura orale «raccoglie tradizioni e credenze, assicura, modificandoli profondamente, il ricordo di fatti salienti e il culto degli eroi o degli dèi, fissa il vero e crea il meraviglioso. È il prodotto di innumerevoli coscienze che si interrogano e vogliono spiegare il mondo».[2] L'universo delle fiabe e delle narrazioni magiche popolari non sarebbe quindi solo la semplice iridescenza di pure e semplice fantasie, ma la inevitabile, necessaria denaturazione per opera del tempo di antichissimi miti e rituali che caratterizzavano gli aspetti magico-religiosi dei popoli ai primi stadi della civiltà umana. Analogamente al mito greco di Danae, scoviamo per esempio nella fiaba russa di Ivan Veter (Ivan il Vento) il residuo evanescente dell'antica credenza del potere autofecondante della donna, dove una principessa, rinchiusa in un'alta torre, passando accanto ad una fessura tra i mattoni, s'impregna della forza di un elemento straordinario, il vento, e resta incinta.[3] La fiaba sembra voler dimostrare, mascherata sotto l'aspetto magico della rappresentazione, una sorta di fissità ideologica nel ritenere il maschio, o più elegantemente il principio virile generatore, un aspetto del tutto privo di valore all'interno delle credenze popolari antiche, di cui la fiaba s'incarica di raffigurarne l'aspetto mitico sovrannaturale: non è un uomo infatti a trascendere la verginità della principessa reclusa, ma come in tutti i prodigi delle madri immacolate e dei figli divini il compito spetta ad un criterio esterno che per logica narrativa è del tutto inatteso, ad una specie di intervento miracoloso che s'insinua nella storia attribuendole una valenza fantastica.          Il principio fecondatore meteorologico, ancora il vento in questo caso, è anche il mitema spesso ricorrente della poesia moderna. Il poeta e drammaturgo spagnolo Federico García Lorca struttura ad esempio il suo romance «Preciosa y el aire» intorno al mito antropomorfo del vento che vuole violentare una suadente vergine gitana. L'atmosfera mitica di questa irresistibile possessione si rivela con una serie di metafore che sono reminiscenze inconsce di un passato in cui si pensava che l'amante non fosse il maschio della specie, bensì la magia fecondante di cosmici potenze antiche come il tempo. Si noti la passione erotica con cui l'aria di tempesta, assimilata ad una lasciva potenza virile sotto le spoglie di un San Cristobalón desnudo, tenta di possedere la giovane andalusa in questi versi che reputo significativi: Su luna de pergaminoPreciosa tocando viene.Al verla se ha levantadoel viento, que nunca duerme.San Cristobalón desnudo,lleno de lenguas celestes,mira a la niña tocandouna dulce gaita ausente.-Niña, deja que levantetu vestido para verte. Qui sopra la tensione metaforica si dipana in serie metamorfiche che rivelano il tentativo di possessione del vento (visto come amante, come satiro) sul giovane corpo della fanciulla. E poi, all'improvviso: Abre en mis dedos antiguosla rosa azul de tu vientre.           Preciosa, piena di spavento nel vedersi assediata da un amante così pericoloso che proprio lei, senza volerlo, ha evocato con il battito ossessivo del suo tamburello, inizia a fuggire mentre la bufera lussuriosa la insegue per deflorarla. Preciosa tira el panderoy corre sin detenerse.El viento-hombrón la persiguecon una espada caliente.           Le metafore su indicate a base di luce cosmica del fulmine accentuano il profilo mascolino e aggressivo della figura mitica: lingue celesti, calda spada, satiro di stelle basse. L'amante cosmico così antico come il tempo (dedos antiguos) completa la sua figura smisurata, si è notato, attraverso denominazioni con suffisso accrescitivo (San Cristobalón, viento hombrón). ¡Preciosa, corre, Preciosa,que te coge el viento verde!¡Preciosa, corre, Preciosa!¡Míralo por dónde viene!Sátiro de estrellas bajascon sus lenguas relucientes.[4]           Come nella poesia di Lorca in cui la «espada caliente» del vento, in mitiche sembianze antropomorfe, appalesa la simbologia del potere fecondante maschile, troviamo il medesimo motivo ricorrente nel folclore letterario internazionale, che nella fattispecie della fiaba è proprio quello del caso della spada fra gli sposi (di solito la principessa e l'eroe) nella prima notte di nozze. Al di là di una mera riduzione della spada a simbolo fallico, per gli studiosi l'origine di questo canone «scenico» nel corpo della narrazione fiabesca sarebbe il residuo evidente di un'effigie a carattere totemico che veniva un tempo collocata tra gli sposi: lo spirito di un antenato provvedeva al concepimento, mentre lo sposo, durante la prima notte di nozze, si asteneva dall'aver rapporti sessuali con la moglie. È possibile dunque che questa astinenza debba essere fatta risalire all'idea che durante la prima notte di nozze la donna venisse fecondata dall'antenato totemico, superstizione, questa, che ravvisa notevoli affinità con le credenze sul concepimento da parte della nazione Arunta dell'Australia centrale, ed appartiene indubbiamente al mito norreno del dio degli Asi generato dalle nove vergini all'alba dei tempi, Heimdallr, che, disceso sulla terra sotto il falso nome di Rígr, viene fatto coricare a letto tra i due sposi Fadir e Módrir per mettere al mondo Jarl, il progenitore della stirpe dei nobili e dei guerrieri.[5] Ad ogni modo, pare molto probabile che da questa credenza totemica trovi origine il triste ricordo dello ius primae noctis, o droit du Seigneur, che come si sa era il potere da parte del feudatario di arrogarsi il diritto di deflorare le spose nella notte appena dopo il matrimonio.[1] Cfr. Mircéa Eliade, La nostalgia delle origini. Storia e significato della religione, Brescia, Morcelliana, 1980.[2] Roland Bourneuf e Réal Ouellet, L'universo del romanzo, Torino, Einaudi, 2000, pp. 13-14.[3] I Binhaya dell'India pretendevano di discendere dal vento, e secondo gli abitanti di Lampong le donne della vicina isola di Engano (Indonesia) concepivano i figli solamente attraverso di esso. Un relitto evidente di questa antica superstizione è ancora in voga presso le tribù aborigene australiane degli Arunta, dove le donne si riparano dai vortici d'aria sabbiosi (frequenti in determinati periodi dell'anno) per timore di essere ingravidate. Il vento, rapido e leggero, è stato sempre considerato dagli antichi come un elemento capace di fecondare le donne. Il mondo greco-romano ha professato questa credenza col mito di Era resa pregna dal vento e che partorì Efesto. Si possono comparare ad Era anche la dolce vergine Ilmatar ("primogenita delle vergini dell'aria, l'antica madre della stirpe umana") la quale diede alla luce l'eroe finnico Väinämöinen dopo essere stata accarezzata dal vento dell'Est; o Wenohah, che, fecondata dallo stesso vento, fece nascere Michabo, l'eroe algonchino degli Onondaga mitizzato e annoverato fra gli dèi sotto il nome di Hiawatha. Si ricordi inoltre che alcune delle narrazioni classiche riguardanti le fecondazioni meteorologiche da parte del vento erano un riferimento a Zefiro o Favonio, il vento primaverile che dai Romani veniva considerato figlio di Eos e di Astreo, il quale assumeva nel mito il ruolo del procreatore virile. Si veda in proposito Pierre Saintyves, Las madres vírgenes y los embarazos milagrosos, cit., p. 74 e segg.[4] [Arriva Preciosa suonando la sua luna di pergamena [il tamburello, NdT]. Al vederla si è alzato il vento, che non dorme mai. San Cristobalón nudo, pieno di lingue celesti, osserva la fanciulla suonando una dolce cornamusa assente. / Bambina, lascia che io sollevi la tua veste per guardarti. / Apri nelle mie antiche dita la rosa azzurra del tuo ventre. / Preciosa butta il tamburello e corre senza fermarsi. / Il vento-maschione la segue con una calda spada... / Corri Preciosa, che ti prende il vento voglioso! Corri, Preciosa, corri! / Guarda da dove viene! / Satiro di stelle basse con le loro lingue rilucenti], Romancero gitano 2,17-43. La traduzione è mia. I gitani andalusi affermano di avere una paura quasi morbosa del vento, che essi ritengono essere lo starnuto del diavolo; nei dintorni di Soria il timore per la tormenta deriva originariamente dalla credenza che un forte vento possa ingravidare le donne. Per l'approccio critico alla funzione mitica del vento nell'opera di Lorca si veda, in proposito, Gustavo Correa, La poesía mítica de Federico García Lorca, Madrid, Editorial Gredos, 1970, p. 45 e segg. [5] Cfr. Tersilla Gatto Chanu, Miti e leggende della creazione e delle origini, Roma, Newton&Compton, 1999, pp. 145-146; Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici, cit., pp. 66-68, e p. 223. Fadir e Módrir non sono che nomi generici per Padre e Madre e Rídr significa semplicemente "Re". Il mito di Heimdallr serve a spiegare l'origine delle diverse classi sociali nella tradizione norrena.