Sacro e Profano

L'officina della parola. Perché nascono oggi le varianze semantiche.


Diciamoci la verità: oggi non parliamo più come una volta. Tutto è mistificato, svuotato, riconsiderato alla luce di nuovi ordini culturali. La parola diventa il detto e il suo contraddetto; l'opposto, in riduzione, di quello che vorrebbe dire. Si edulcora ogni sostantivo, ogni verbo; si parla per eufemismi, perché uno non abbia ad accorgersi di saper usare i termini sbagliati per indicare davvero come stanno le cose. Propongo tre esempi.Escort: una volta si chiamavano prostitute (letteralmente: "coloro che espongono, mettono in mostra"); puttane (in senso etimologico, la radice sanscrita puta vuol dire ciò che è santo: torniamo così al senso religioso della sacra prostituzione antica); meretrici (dal latino merere: guadagnare); troie (le femmine del maiale); in Nord Italia, per le influenze celtiche (cfr. baches, femminuccia), bagascia; a Napoli, invece, sono semplicemente 'e zoccole. Escort invece è parola inglese che vuol dire "guidare, condurre, scortare", dal latino excorrigere[1], affine all'italiano "accorgere", nel senso di trovare, imbattersi. Nel mondo anglosassone, opulento e vizioso, le escort erano e sono tuttora belle ragazze che accompagnano (a pagamento) ricchi uomini d'affari nelle cene di rappresentanza, per il puerile senso d'orgoglio tipico del maschio umano di essere ammirato con una donna avvenente al proprio fianco. Uscire a cena con una escort non implica necessariamente il dopocena in albergo, nelle intimità delle lenzuola, la cui scelta ricade volontariamente sempre sulla donna. Ora, dico questo, perché la stampa di regime vuol farci credere che il Nostro Sempre Caro Presidente S.B. sia stato in compagnia di escort a Palazzo Grazioli, passando il tempo a discutere di politica; che Bertolaso si sia fatto fare i massaggi per la sciatica; e che Tarantini abbia proposto loro un vertice intellettuale con bonazze ventenni. Se fosse così allora io sarei Carlo Marx; ma poiché so di non esserlo nemmeno nelle intenzioni, una escort è quello che è: la donna di tutti. Purché si paghi. In altre parole, si cerca di ridimensionare il problema di un uomo (allora) sposato che va a puttane coi suoi compagni di merenda, un uomo che fonda i suoi valori etici sulla sacralità della famiglia e che, sia detto per inciso, governa il nostro Paese. Che poi se la spassi pure con le minorenni sembra non rappresentare un problema per nessuno. Anzi, il "papi" diventa vittima di un complotto perverso al fine di screditarlo agli occhi della nazione. Meglio una volta, allora, quando il "vaffanculo" era detto per amore della verità e le escort si limitavano ad accompagnare coloro che ci andavano.Burlesque: termine d'origine francese che allude, come per l'italiano burla, ad un genere letterario di marca satirica o celiosa. Oggi spopola in tv, dominata dall'egemonia culturale della destra capeggiata sempre dal Nostro Amatissimo S.B., padrone dell'informazione italiana, nella variante tardiva dello spogliarello da belle époque sotto le pretese dello scherzo. Ma qui non si tratta di uno stesso principio, quello dei vasi comunicanti: ovvero, non è cultura del simile che si rifonda nel simile. Non vedo infatti la differenza d'ordine attiva tra una "ballerina" di burlesque sul Chiambretti Night ed una povera ragazzotta ucraina che si sveste nei più infami locali notturni di Palermo. La sfumatura è tutta linguistico-culturale: ci si spoglia e si ammicca in francese, certo, suscitando il desiderio chimico del Viagra in quei miseri compagni di merende che accompagnano il pasto con cocaina e champagne; ci si illude di assistere ad uno spettacolo che ha la falsa pretesa di emulare il non-seno di un corpo femminile che si sveste, corpo che resta infine solo l'immagine inappagata di una brama erotica mascherata da chili di cosmesi. Un tempo il burlesque aveva la sua storia nei locali londinesi in cui il puritanesimo estenuato obbligava a coprire perfino le gambe dei tavoli; e la gente vi assisteva per dimenticare l'oppressione dei sensi, benché le donne non si spogliassero. Ma quella vittoriana è un'epoca che dista ventimila anni-luce dall'Italietta televisiva di oggi, specchio sudicio di una morale ipocrita che spaccia i sogni dei ricchi per le illusioni dei poveri.Single: sostantivo (celibe, nubile) e aggettivo (solo, unico) da bandire definitivamente, soprattutto dall'italiano. Primo perché in lingua inglese scapolo si dice bachelor e zitella spinster (unmarried va bene per ambedue e per tutti quelli in vista dell'altra metà del cielo, senza il beneplacito ufficiale del "sì"). La seconda ragione sta poi nel fatto che single implica il criterio di scelta esistenziale. Non a caso il termine si è diffuso nel gergo giovanilistico a partire dagli anni Ottanta, quando andava di moda in USA essere uomini e donne in carriera, comprarsi un attico a New York e scegliersi nei locali alla moda uno/una con cui passare la notte. Single non è lo scapolo o la zitella ormai sul viale del tramonto. Single è la volontà di starsene soli, per un criterio consapevole di autoaffermazione. Essere single implica l'idea moderna della dinamicità sociale, delle relazioni promiscue e forse anche il timore di sbagliare quella scelta sentimentale che condizionerebbe un decorso in due. Lo scapolo e la zitella, al contrario, sono le figurine antiche di un'Italia in bianco&nero che sentiva ancora il vento della speranza sulla faccia; in loro dominavano i sogni dell'amore, spesso imposto dalle trame parentelari, a  meno che non si fosse rinunciato a trovare davvero la moglie o il marito. Gli scapoli e le zitelle odoravano di balere paesane frequentate la domenica pomeriggio; sapevano di quella dolce tristezza che coglie gli individui al limite consapevole di una possibilità ancora irrealizzata: era pura poetica della rêverie sotto l'influsso incantato del probabile batticuore. La "singletudine" sta al loro opposto. Si nutre di liturgie effimere, di riti sconsacrati, di sabati sera qualunque, di aperitivi conditi con sguardi ammiccanti, di amplessi forse nemmeno cercati. Ma si resta soli, stringendo il niente nei pugni, privandosi (in fondo) di un abbraccio elementare che disegna a ben vedere l'ipotesi suggestiva di un Amore. Sempre una scelta, d'accordo, che però addossa a sé, condensandola, l'immagine del vuoto su cui poggia un nuovo criterio morale in cui va a finire che l'arredamento della casa nuova diventi più importante della parola, anzi di quel sintagma antico come il tempo, cibo dei poeti morti, che da sempre genera consenso per chi ci crede: "ti amo". Il meglio di tutto.[1] Cfr. Skeat Walter W., An Etymological Dictionary of the English Language, Oxford, Clarendon Press, 1963, sub voce "escort".