Sacro e Profano

"Pizzica e taranta" non è "pizze e foje".


Certe volte penso davvero che Nanni Moretti abbia ragione: "le parole sono importanti". Su Facebook mi sono imbattuto in un volantino elettronico sulle offerte coreutiche nostrane - che ometto di riportare - scovandovi una grave ingenuità. "Pizzica e taranta" non sono un sintagma che implica per logica consequenziale due attanti nominali, come "prosciutto e melone", "pizze e foje" o "Gianni e Pinotto". La pizzica-pizzica è invero l'espressione profana della tarantella liturgica, appunto la "danza della piccola taranta". Ma, di fatto, la taranta è il mitico ragno che morde e rimorde alle pudenda sotto la canicola, non la danza di per sé: a meno che chi si propone il corso di "taranta" non obblighi i suoi allievi ad imitare i contorcimenti convulsivi e il grido rituale dei tarantati, ad eseguire "l'arco isterico", a far vorticare su se stessi fino allo sfinimento a terra, nonché a vomitare l'acqua benedetta di san Paolo attinta (si spera) a Galatina. Cioè, in altre parole, sarebbe corretto parlare di "taranta" come ballo se si imponesse di eseguire la pantomima storica del ragno immaginato che pizzica e costringe a ballare. Eppure, altro ancora, è che mentre "pizzica" suppone tarantismo (ovvero tutto l'apparato culturale del morso e della sua terapia risolutrice), "taranta" implica tarantolismo  (a dire il morso reale come caso clinico appurato) e i due sostantivi, benché assonanti, rinviano a due aspetti differenti dell'aracnidismo così come esso è stato notato in Terra d'Otranto. Persino sul piano etimologico ci muoviamo su due piani differenti: pizzica è, secondo Rohlfs, lemma sacro legato alla Pizia oracolare, che in stato di trance forniva i responsi nel tempio di Apollo a Delfi; taranta, all'opposto, richiama il radicale indeuropeo *tar, da cui anche l'italiano "tremare". Ci troviamo davanti a due criteri pertinenti alla stessa isotopia antropologica, è vero, ma che in realtà non necessariamente si rapportano. Scrivere pertanto su quel manifesto che ci sarà un corso sulla "pizzica e la taranta" sa tanto di piaggeria, di autocompiacimento del nulla, che si esprime nella immagine critica di una impreparazione di fondo risolta in quattro e quattr'otto per esigenza della domanda commerciale o della moda che si consuma in fretta. Nel peggiore dei casi è - absit iniuria verbis - una presa per il culo somministrata da qualche insipiente che vuole spillare (cosa e per cosa non è dato sapere) soldi a degli ingenui improvvisati di danza, fulminati come tanti Frattazzi sulla via di Velletri da quello di cui tutti (s)parlano, ma nessuno sa bene in fondo cosa sia: ovvero "il rimorso che ti viene da piangere", e che trova la sua illusione di guarigione nella tarantella, la danza che toglie la maledizione dell'inquietudine. Meditate, gente. Meditate.