Creato da rugiadadellasera0 il 28/07/2006
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Benvenuti nel mio piccolo mondo ...

 

 

Letture magiche

 

 

Dagli occhi delle donne derivo
la mia dottrina  :  essi brillano
ancora   del   vero   fuoco    di
Prometeo,  sono i libri,  le arti,
le  accademie,  che  mostrano,
contengono   e   nutriscono  il
mondo.

(Shakespeare)

 

 

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Messaggi di Marzo 2013

Tantissimi Auguri ...

Post n°1009 pubblicato il 27 Marzo 2013 da rugiadadellasera0

 

PER UNA BUONA E ........

 

 

 

Rugiada

 
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Abbracci ...

Post n°1008 pubblicato il 24 Marzo 2013 da rugiadadellasera0

 
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Papa Francesco ..

Post n°1006 pubblicato il 13 Marzo 2013 da rugiadadellasera0

 

un nome semplice, bello ed umile ....

 

Caro Papa Francesco, quando ti sfuggirà ancora un saluto nella tua lingua, non correggerti...  Avrei voluto sentirlo dire in Argentino il tuo " buona notte ".

 

 

 
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Mitologia Greca ... Lettura

Post n°1005 pubblicato il 08 Marzo 2013 da rugiadadellasera0

 

 

.....   Mentre à gustare il suo dolce liquore
L’avide, e secche labra il fonte tira,
Una sete maggior gli cresce al core
Di se, che l’ombra sua ne l’onda mira.
Come guardar ne l’onda il vede Amore,
La saetta dorata incocca, e tira,
El cor d’un van desio tosto gl’ingombra,
E fa, che s’innamora di quell’ombra.

La vaga, e bell’imagine, ch’ei vede,
Che ’l corpo suo ne la fontana face,
Che sia forma palpabile si crede,
E non ombra insensibile, e fallace.
In tutto à quello error si dona, e cede,
E di mirarla ben l’occhio compiace.
E l’occhio di quell’occhio acceso, e vago
Gioisce di se stesso in quella imago.

Come statua di marmo immobil guata
Il bel volto ne l’onda ripercosso,
E loda ne la guancia delicata
Il ben misto color candido, e rosso.
Gli par, ch’al Sol la chioma habbia levata,
Et à Venere il viso, à Marte il dosso.
E loda, essalta, et ammira in colui
Tutto quel bel, che fa mirabil lui.

Loda di se medesmo il degno aspetto,
Mentre quel di colui lodare intende.
E se ’l desio de l’ombra gli arde il petto,
Un gran desio di lui ne l’ombra accende.
E di ciò vede un evidente effetto,
Che gli atti, che le fa, tutti gli rende.
Se ’l volto à lei pietoso inchina, e porge,
La medesma pietà ne l’ombra scorge.

Mosso da una speranza vana, e sciocca,
Che gli dà quell’imagine divina,
Accosta in atto di baciar la bocca,
E quei tende le labra, e s’avicina.
Ecco, che quasi già l’un l’altro tocca,
Ch’un alza il viso in su, l’altro l’inchina.
Vien questo al caldo, e dolce bacio, e tolle
Di semplice acqua un sorso freddo, e molle.

L’acqua mossa da lui turbata ondeggia,
E fa mover l’imagine, e la scaccia.
Egli, pensando, che fuggir si deggia,
Stende per ritenerla ambe le braccia.
Quel moto fa, che l’ombra più vaneggia,
E move in modo il viso, che minaccia.
Ei nulla stringe, e torna à mirar fiso,
E teme le minacce del suo viso.

Non sà quel, che si veda, ò che si voglia,
Non trova quel, che cerca, e pure il vede.
E questo è, che ’l consuma, e che l’addoglia,
Che ’l perde allhor, che d’acquistarlo crede.
Accresce il cupido occhio ogn’hor la voglia,
E dona sempre à quell’error più fede.
L’ombra è già ferma, e non minaccia, ò fugge,
Ei mira, e più, che mai si sface, e strugge.

O misero, e infelice, che rimiri
Più ’l simulacro tuo vano, e fugace?
Non vedi, che colui, per cui sospiri,
L’ombra è, che ’l corpo tuo ne l’onda face?
Non vedi menticato, che t’aggiri,
E che folle desio ti strugge, e sface?
Ben puoi veder se sei insensato, e cieco,
Che vai cercando quel, c’hai sempre teco.

Tu ’l porti sempre teco, e mai nol lassi,
E starà sempre quì, fin che ci stai,
E se quindi ritrar potessi i passi,
Ti seguiria senza lasciarti mai.
Io veggo gli occhi tuoi bagnati, e lassi,
Ma non satij però de i finti rai.
Tu lagrimi per lui, quei per te piange,
E d’ambi il pianto in un s’incontra, e frange.

Hor l’ infelice innamorato, e stolto
Vedendo pianger lui sì caldamente,
Ne gli amorosi lacci il crede involto,
E c’habbia anch’ei per lui calda la mente,
Di novo apre le braccia, e china il volto,
Quel con atti scambievoli consente,
Questo da ver si china, ei s’alza, e finge.
Questo di novo abbraccia, e nulla stringe.

Non la cura del cibo, ne del sonno
Distorre il può dal radicato errore.
Quel pensier nel suo cor già fatto donno
Tutto il dà in preda à quel fallace amore.
E gli occhi innamorati più non ponno
Levarsi dal gioir del lor splendore,
E di se stessi son vaghi di sorte,
Che condurran quell’ infelice à morte......

 

"Le Metamorfosi - Ovidio"

 
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