Creato da Solo_Vita il 10/08/2006

Angelo Ribelle

La Via Che Conduce All'Inferno E' Lastricata Di Buone Intenzioni? Piacere, Io Sono Il Pavimentatore...

 

 

La Muta

Post n°206 pubblicato il 02 Novembre 2012 da Solo_Vita

Che poi nessuno lo capisce come va.
 
Cammini per la città, il passo lento di chi pur non avendo una meta intende celarlo al mondo. Gli occhi scivolano sulle inutili vetrine di un'Italia martoriata dalla crisi della terza settimana, ma non vedono oltre il naso.

Nelle narici odore di pizza cotta a legna, il viso è accarezzato dall'aria gentile di fine estate.
Il sole di tarda mattina pare incorniciare Arezzo nelle sue viuzze, nei viali alberati, nei palazzi storici. Con la stessa delicatezza si distende su arcigni figuri in travertino e sulle rughe che solcano il viso dei pensionati sulle panchine.
I temporali sono soltanto cento chilometri più in là, ma qui ancora è terra di shorts e tshirt colorate.

Si rubano baci i ragazzi sulle panchine adesso che è ricominciata la scuola. Alcuni fumano spavaldi sui motorini parcheggiati davanti agli istituti con le facciate rovinate dal tempo e condannate ad invecchiare a dispetto di quel popolo che li abita e rimane eternamente giovane.

Una signora esce dalla panetteria, tra mezz'ora il figlio sarà a casa per pranzo ed è perfettamente consapevole dell'enorme rischio di non potergli far trovare in tavola un bel piatto di spaghetti fumanti. Tutta colpa della vicina che l'ha trattenuta a chiacchiera sulle scale. Ma che brivido regala lo spettegolìo, irresistibile commentare la signora del terzo piano che ha delle corna note a tutti tranne che a lei. Mica serve per forza una vita propria, a volte basta anche quella degli altri.

Nel frattempo i tuoi passi si susseguono. Uguali, cadenzati, perfettamente sincronizzati alla velocità del mondo che trotta attorno. E' un meccanismo di mimetizzazione, perfetto camaleonte urbano.

Un vigile finisce di scrivere un verbale di divieto di sosta giusto un attimo prima dell'arrivo del signor -Lei non sa chi sono io-. Qualche istante dopo Mister Giaccaecravatta salirà a bordo del suv sbraitando e, dopo essere partito sgommando, chiamerà la moglie dicendo che arriverà in ritardo, per poi fare rotta verso il suo fornitore personale di coca. Tutto si risolverà per il meglio, leggero e sospeso come lo sbuffo del gesso sollevato da un bambino di fronte alla lavagna.
Odore di kebab adesso, misto al gasolio incombusto sparato fuori dallo scarico di una vecchia station col proprietario dalla faccia torva.

Anche la provincia delle lasagne alla domenica è diventata multietnica, non è più lei coi money transfer aperti sino alle undici di sera, sabato e domenica compresi.
-Una volta non sarebbe accaduto-, -Era meglio quando era peggio- subito c'è chi spara la sentenza. Echeggia sul lastricato che ricopre il centro storico, ci scivola sopra come una serpe pronta a mordere la lingua di chi osasse dissentire, per poi nascondersi in un capannello di teste poco distante.

Che poi alla fine la città è sempre quella. E poi ci siamo noi. Noi forse non siamo sempre NOI?
Quelli che giocavano a nascondino sino a mezzanotte nelle sere d'estate per poi andare di corsa a casa, delle infinite partitelle al pallone sfidando l'ira di chi aveva parcheggiato la macchina in zona, delle sigarette fumate di nascosto e dei videogiochi al bar della parrocchia con le mille lire scambiate in pezzi da duecento.
Noi che andavamo al mare tutto il mese d'agosto pur essendo in famiglie dove lavorava soltanto uno dei due genitori.
Bei tempi quelli in cui la regola era avere un solo padre ed una sola madre, non una moltitudine di comparse pronte a compensare amore mancante con un carnet di doni senz'anima.

Non siamo forse sempre noi?

Quelli che si emozionavano per una mano che ci sfiorava, che perdevano il sonno per sognare come sarebbe stato il primo bacio, che immaginavano cosa avremmo fatto la prima volta alla guida del motorino, in sella ad un cavallo che avrebbe permesso di dilatare di botto i confini del mondo conosciuto.

Ed ora eccoci.

Abbiamo una trentina d'anni, abbiamo smesso di scroccare le sigarette eppure spesso fumiamo ancora di nascosto.
Qualcuno ha una Bmw, altri un'Audi, molti hanno fatto un viaggio a Cuba e quasi tutti possiedono un Iphone e grandi occhiali scuri pronti a celare stati d'animo sconvenienti e poco opportuni.

Spesso non ricordiamo quanto fossimo belli quando tutte queste cose mancavano, autoconvinti come siamo che senza non potremmo vivere. Senza Visa, senza intimo D&G, senza questo enorme cratere al posto del cuore che negli anni abbiamo riempito di rifiuti come una discarica: letti sfatti, cicche, cravatte dal nodo malfatto, stravecchi bevuti alle dieci di mattina, galoppate autostradali sul filo dei duecentodieci, facce che si dissolvono nei ricordi annacquati di serate sopra le righe.

Ognuno con qualche scheletro dentro l'armadio che nelle sere ventose di novembre pare voler uscire tanta è la rabbia del sibilo sinistro suonato dalle stecche di legno delle imposte sfatte.

Feti di amori rimasti allo stato embrionale per colpa di aborti determinati dalla paura di lasciarsi andare, pronti a tormentare l'anima non appena qualcosa si allenta nel meccanismo perfetto che mantiene le giornate piene di impegni inutili. Chissà cosa sarebbe successo se...

Rimpinzati di futile da genitori bramosi di colmare nei figli le mancanze patite, eletti principi di case, villette, appartamenti e aziende di famiglia.
Educati ad amare così tanto noi stessi e così poco il prossimo, abbiamo un cassetto con stipate le foto che ci ricordano chi eravamo.
Un cassetto sempre chiuso, come il vaso di Pandora, ma col perpetuo rischio di deflagrare ogni qualvolta la piccola scheggiatura sul parabrezza si allarga un pò e diventa una crepa. Ogni giorno sempre più impercettibilmente grande. Ogni giorno scientificamente ignorata sino al momento dello schianto che travolge e inginocchia, come un'estate che sta per morire ma del cui stato nessuno si accorgerà sino a che non sarà troppo tardi. -Ah, è già inverno...-

Poi, di colpo, girato un angolo, il vuoto intorno.
 
Il silenzio portato dal vento amplificava l'eco della resa di quell'estate ormai esanime.
Gli ultimi rantoli rabbiosi bestemmiavano contro i grandi nuvoloni in arrivo da est, carichi di pioggia e di elettricità, aria fredda e giornate da trascorrere davanti al caminetto.
 
Tutto scorreva perfettamente uguale al giorno  precedente, ogni attore ed ogni comparsa avevano ormai perfetamente imparato il copione, qualcuno ormai addirittura riusciva ad abbozzare un sorriso mentre recitava.
 
Era uno splendido sabato mattino ad Arezzo, l'ultimo prima della fine dell'estate. Ricordo che stavo passeggiando in centro. Poi, il buio.

Giusto un attimo di cristallina felicità. 

Nessuno si era accorto di noi.
 
Buona fortuna.

 
 
 

Acqua

Post n°205 pubblicato il 14 Agosto 2012 da Solo_Vita

E' una giornata di lago grigio a Torri del Benaco.
Il cielo velato si specchia senza vanità sulla superficie di mercurio, con l'aria leggermente increspata da un alito di vento che scende svogliato dal versante trentino.
Aprile, mese di turismo ancora pressochè inesistente. Gli scorci, i borghi, le case, il porticciolo, le piccole barche colorate sono ad esclusivo uso e consumo degli indigeni.
Negozi chiusi, ristoranti e mezzo servizio, giusto qualche station con targa tedesca a ricordare che qui si possono fare già le vacanze, questo è il paese del sole.
Nella quiete che tutto ammanta svetta il piccolo battello che sfida trasversalmente le acque da Maderno sino a qui, col suo carico di facce animate di silenzioso stupore per il bello che le circonda.
Non è tempo di urla, di schiamazzi, di reazioni scomposte. Tutto è ordinato, perfetto, nordicamente sotto controllo.
Le papere si toelettano le piume, impermeabilizzandole col grasso prodotto da una ghiandola che Madre Natura ha amorevolmente fornito, mentre intorno esplodono le prime fioriture dai colori accesi e irriverenti.
Profumo di fiori nell'aria. E' già primavera.
Un signore sulla sessantina sta pittando la staccionata della piccola pensione che si affaccia su un minuscolo attracco e che gestisce da trent'anni assieme alla moglie. Non è difficile immaginare i festaioli dell'estate pronti a sbarcare coi loro motoscafi in legno proprio qui, con le ragazze della gambe lunghissime e lo champagne ghiacciato da sorseggiare accompagnato da una coppa di fragole.
Preso com'è dal suo lavoro l'uomo però non si accorge certo della meraviglia che gli si sta parando davanti.
E' sempre così, "la vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare qualcos'altro" e per questo non può vedere i centoventi batti che, all'unisono, gli rullano davanti come tamburi di una banda in parata.
Non solo i cuori all'unisono, ma anche i passi, i respiri, i pensieri, i sogni.
Una vita passata a convincerci di essere unici, incomprensibili, folli e poi di colpo arriva un'anima che non solo ci completa, ma riesce anche a renderci chiaro tutto quello che sino a quel momento ci era rimasto raggomitolato dentro, come una grossa palla di pelo mai digerita.
Volano sulla piccola passeggiata mentre si tengono per mano i protagonisti del nostro film.
Lei occhi profondi e repentini come un mare tropicale, ha una luce che riesce a squarciare senza fatica alcuna la cortina di piombo e cemento che lui aveva messo a difesa dell'esistere.
Lui, figlio di una periferia agitata, orfano di un'adolescenza amata ed eternamente abituato ad attaccare per difendersi, sente finalmente la voglia di darsi ad un'anima.
Il cielo, le acque placide, i monti, i prati, i mattoni: tutto ruota attorno a loro. Tutto è satellite.
E' così che si crea un momento magico, uno di quelli che si stampa dentro e non ti lascia più: pellicola fatta di vita, col reagente all'amore puro, cristallino, lucentissimo.
Il mondo si fa cornice, tutto si ferma, solo i cuori continuano a pompare, coi diaframmi che attirano l'aria nei polmoni come luci le falene.
Ne serve tanta per sfamare i sogni, le parole, i sorrisi che si alternano ai baci a fior di labbra. Paiono lanciati alla massima velocità come una vecchia locomotiva a vapore, con la caldaia incandescente e la pressione del vapore così forte da far smuovere un treno. -Pare incredibile che possa accadere-
Uno spargere nel vento il desiderio di comunicare al passato, al presente e al futuro che questa alchimia diverrà per sempre parte dell'esistere, cucita com'è al petto col filo da suture fatto di baci e carezze, accada quel che accada.
Ecco cos'è l'amore vissuto con la testa sott'acqua, pensando soltanto ad andare più in profondità possibile in quel mare di gioia tanto perfetta da non sembrare neppure generata da comuni mortali. Trasparente come acqua, salata come vita.
E tu, sempre con me. Incollata alla pelle come polvere di tufo in una Piazza riarsa dal sole.
Buona fortuna.

 
 
 

Salsedine

Post n°204 pubblicato il 28 Maggio 2012 da Solo_Vita

Sanguina la ferita, scorre copioso il sangue inutilmente tamponato col sale grosso da cucina.

Brucia la vita che scorre in quelle vene, come arde soltanto quel fuoco che si alimenta di paura, dolore, sconvolgimento interiore. Trema il diaframma, impazzisce il cuore.

Bloccherà le parole in gola, impastandole con la sabbia e attaccandole alla punta delle dita, così che non possano uscire. Tutto inutile.

Siamo fatti d'istinto e l'istinto non è fatto per essere frenato. Quello che è stato progettato per tutelare la vita non si presta a valutazioni razionali di convenienza, di perbenismo, di tutela del quieto vivere.

La vita, l'odio, la rabbia e l'amore non si prestano ad essere raccolti in invasi artificiali studiati per sfruttarne la forza. Sono fatti per esplodere, travolgere, sconvolgere, mutare il corso degli eventi.
Può essere questione di ore, giorni, settimane, ma lquache  piccola imperfezione verrà trovata e trasformata in una crepa, per poi venire sollecitata, allargata, inginocchiata dall'enorme pressione.

Arriveranno mal di testa terribili, dolori lancinanti allo stomaco, potrai addirittura desiderare che ti scoppi una gomma mentre scendi un passo Appenninico ai centosettanta nel tentativo di toccare il culo alla dea bendata per poi dirle che si, tutto sommato si potrebbe star bene anche sparendo per sempre, purchè in fretta e senza accorgersene. Altro aspetto della fortuna.

Verranno le bugie che si misceleranno alla verità, petrolio iniettato in acqua di fonte, le fughe, i silenzi, poi di nuovo le parole, con un livello crescente di purezza, sino a che diventaranno come il profumo delle viole in maggio.

Guerre, lotte palesi ed altre intestine, pochi colpi leciti e tantissimi bassi, sino alla proclamazione dell'armistizio coi sensi, all'otto settembre che dichiara la vittoria del sentimento, di quel cuore che sovrintende a tutto.

Ho visto persone senza testa, stomaco, occhi. Pallavolisti senza gambe, cestisti senza un braccio. Una volta un arciere privo della vista. Ma mai un uomo che affermi di poter vivere veramente senza un cuore. Ed è a quello che si deve prestare ascolto, sempre.

Checcazzo, in certe sere non mi va proprio giù di non essere nato rockstar. O magari attore.
Sarebbe tutto più semplice: un cambio di palco o di set e via verso la nuova vita tanto sognata.

Buona fortuna.

Quello è il mare- gli dissero.

-Puoi guardarlo, studiarne i sospiri, gustarne le increspature arancio nei mille tramonti, repirarlo a fondo coi polmoni sfondati di Marlboro, ma non c'è altro modo di capirlo se non nuotandoci dentro.

Il sale, l'acqua che si fa di colpo tiepida quando incappi in una corrente benevola, quella sensazione di fare improvvisamente parte di un tutto che è fatto di vita, il farci l'amore quando nelle notti d'estate ti getti nelle acque nere che si fondono con la notte. E tu con lui.

Puoi continuare a rimirarlo dai pontili che ci affondano sino alle caviglie o dai fari che lo scrutano con lo stesso ardore mozzato di chi vuole fare l'esploratore mantenendo il culo al caldo.

Ma non è così che ti farai amare dal mare.

Esso da sempre predilige i navigatori ignoti che si perdono tra i suoi flutti, appesi ad una stella che indica il nord e ad un grecale timido in grado di tendere leggermente le vele col suo alito.
Cacciatori di balene, di piovre, di relitti. Esploratori dei suoi fondali, uomini in fuga da vite troppo ingombranti per poter essere spiegate sulla terraferma, avventurieri in cerca di fama.

Sognatori, criminali, poeti, innamorati, solitari, folli, tutti possono trovare il loro posto.

Ma solo tutti coloro che hanno coraggio di imbarcarsi. Capito Ragazzo?

 
 
 

Piombo ed Oro

Post n°203 pubblicato il 09 Aprile 2012 da Solo_Vita

Che cos'è il dolore?

Provo a riflettere mentre, faccia al vento, mi faccio schiaffeggiare da una pungente brezza di mezzo aprile: sottile, tagliente, bifronte come Giano.
Una carezza a metà, giusto l'idea di potersi illudere, prima di avvertire l'epidermide che brucia, screpolata da un tocco indelicato. Prima di realizzare che fa ancora freddo, ma non per questo si è pronti ad indietreggiare.

La domanda però rimane.

Sterilizzandolo della paura cosa rimane, cos'è il dolore?

E' forse una corsa in moto con le parole che rimangono impigliate per sempre dentro ad un casco?
Una radiografia con una macchia scura?
Un sogno al quale hanno spezzato le ali come foglie secche?

Il cielo nero sopra di me non sembra offrire risposta alcuna.
Impossibile ricorrere agli astri, impensabile il ricorso a divinità che spesso sembrano negare un'auspicabile benevolenza, folle contare sul calcolo probabilistico.

Ci sono solo l'uomo, il mistero, il freddo che scuote le ossa e la mente che prova a decollare disperata da una pista troppo corta. -Ce la posso fare, ce la posso fare-.

Cos'è che attanaglia le viscere, mette in tensione la muscolatura involontaria, accelera i battiti, rende impossibile il sonno?

Cosa può sortire effetti così devastanti sull'animo umano?
Cosa può influenzare pulsioni, pensieri, slanci, determinare imprese?

Cosa se non la vita stessa nella sua più alta ed intensa manifestazione potrebbe tanto? Quale combustibile più nobile e disperato dell'attaccamento all'esistere, del lasciare una piccola orma nel deserto dell'eternità, potrebbe determinare un tremore tanto forte nell'animo umano?

Dolore e vita, vita e dolore.

Probabilmente separare l'uno dall'altro sarebbe la più grande opera di Alchimista, assieme al tramutare il piombo in oro.
Per cosa concludere poi?
Forse davvero meglio il promiscuo, faticoso esistere. Con le ferite che bruciano e la gioia che talvolta scoppia improvvisa nell'anima.

Buona fortuna.

 
 
 

Nebbia

Post n°202 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da Solo_Vita

Questa città indossa la nebbia con la stessa eleganza con cui una giovane donna innamorata veste un abito di seta per il suo uomo.
Il tessuto si accosta perfetto alla pelle liscia, candida, levigata.

I viali costeggiati da alberi spogli si fanno umidi come occhi pizzicati da emozioni forti, mentre ogni lampione pare avvolto nella luce che esso stesso produce, neppure fosse un bastone di zucchero filato.

I rumori sono ovattati, le parole attutite e smorzate come quelle che si trovano sulla punta delle lingue degli amanti.

Ogni figura è sfuocata sino a pochi metri di distanza. Prima di questo momento solo fantasia, è un giocare a capire chi arriverà di fronte: un uomo anziano, una donna bellissima, un bambino.

E' lecito sognare quando si è immersi nell'umida placenta del mondo, annegato in quei miliardi di goccioline d'acqua che celano senza modificare la sostanza delle cose.

Intanto l'esistenza procede, tra un colpo al cerchio ed uno alla botte, col vento debole che sembra impossibile riesca a sospingere la piccola navicella che solca le acque dell'esistere. Eppure va.

Lecito chiedersi se certe improvvise accelerazioni siano esclusiva dei copioni dei film, delle vite ritratte sulle riviste patinate, delle voci dal timbro caldo di certi speaker dei programmi radiofonici notturni.
Difficile trovare qualcosa di magico nel rientrare in un monolocale freddo e silenzioso dopo una giornata trascorsa cedendo le migliori energie ad un lavoro arido che succhia vita con la cinica chimica di un processo osmotico, utopico sperare di animare l'aria con parole che non siano le proprie, scoccate nel tentativo di un'estemporanea conversazione con un interlocutore immaginario, impossibile trovare romanticismo in un piatto di pasta olio e parmigiano e in una scatoletta di tonno al naturale.

Eppure può accadere di amare tutto questo.
Chiedere al Fato niente di meglio che una circolare tranquillità, fatta di giornate dal copione simile, di fine settimana attesi e mai sfruttati sino in fondo, di baci, di carezze, di qualche piccola soddisfazione e di un tranquillo alternarsi di giorni, mesi, stagioni.

Sembra incredibile, ma a volte si arriva a desiderare anche questo: ammainare le vele, non perchè ci si debba arrendere, ma semplicemente per godere di quello che si è raggiunto. O per crogiolarsi nella convinzione.
E' questo forse il punto più difficile da stabilire per un giocatore, specie quando vince: capire quando lasciare la mano, allontanarsi dal tavolo, monetizzare quel gruzzolo faticosamente accumulato.
C'è sempre la tentazione di un altro giro, un'altra sfida alla Sorte che sembra tanto benevola coi giocatori, salvo poi farti rimanere in mutande a maledire il cielo un istante dopo rispetto a quando avevi maturato una consapevolezza -ce l'avevo fatta, dovevo fermarmi-

E allora mentre cerchi la pace nelle note distese e ritmate di Einaudi non resta che meditare sul senso della vita che sembra raggiungerti con una portata variabile come quella del torrente Parma: ora giusto un filo di acqua, ora con un'ondata di piena. Le mezze misure non sono di questo mondo, troppo facile se avessi tutto il tempo per pensare e capire, fare la cosa giusta.

E' sempre una questione di istinto, della propria capacità di dare forma all'urlo che proviene dallo stomaco, di impastare vita e follia per costruire un domani che assomigli a quello che non avresti mai immaginato. Dare forma all'ignoto.

Il bello è sempre lì: nel tutto e nel suo contrario. E tu in mezzo, avvolto nella nebbia eppur felice di esserci, mentre ti guardi attorno alla ricerca del volto che stavi aspettando.

Buona fortuna.

 
 
 

Le Petite Princesse

Post n°201 pubblicato il 12 Gennaio 2012 da Solo_Vita

Nella notte immobile della città la piccola stanza, appesa al secondo piano del palazzone popolare, pare una navicella di pescatori che sfida il mare buio di inizio gennaio con la sua lampara pronta ad urlare all'Universo la propria voglia di esistere.
Non  c'è timore nei due cuori che compongono l'equipaggio, non un sussulto per il cielo nero che, fuso col mare, avvolge la materia e neppure per il silenzio sporcato ogni tanto dalle urla sguaiate di qualche avventuriero che cerca di scongiurare il rischio di ritrovarsi tra le mani una pagina bianca alla fine della sua serata di baldoria dal retrogusto amaro del vino da poco prezzo.

Sembra scivolare leggera sulla placida distesa salata col motore che borbotta al minimo la barchetta, direzione acque aperte, mentre all'interno della piccola cabina una lanterna ad olio delimita i confini del mondo necessario ai due occupanti. Al posto dell'orizzonte pannelli di legno consunto dal tempo, metallo mangiato dalla salsedine, vetro che si affaccia a prua, una coperta di lana pressata sopra una grossa asse di legno che diventa un provvidenziale giaciglio per due.

Non serve altro. Non un spiegazione. Non una bottiglia di champagne, nè una porzione di cibo prelibato. Niente.

Il calore della pelle, il suo profumo, mani che carezzano un corpo sino a che il sonno ruba i sensi, per poi riprendere dall'ultimo millimetro non appena Morfeo allenta la presa.
Il gioco degli amanti, un chiaroscuro senza neppure una pennellata fuori posto, ritmato da respiri cadenzati che ora si interrompono paralizzati dell'emozione che brucia le vene, ora accelerano facendo leva sulla passione che travolge.

E' dolce improvvisarsi ladri gentiluomini per sottrarre tempo al sonno e donarlo alla cura dell'altra anima, perdendosi ora occhi negli occhi viola, ora nel gusto sapido dell'epidermide, ora nel cercare di imparare a leggere col tatto la schiena inarcata. Perchè qualcosa ci deve essere scritto su quella pelle se ad ogni passaggio nuove emozioni scuotono il cuore, stringono lo stomaco, fanno traballare il fiato.

Notti di parole che rimangono impigliate sulla punta della lingua, eppure urlate con sguardi dritti che non lasciano scampo ad equivoci, mentre l'oscurità gioca la parte della complice -ammiccante, fredda, altera, insospettabile, meravigliosa- ed attende fuori col motore acceso ed il mondo assopito e con gli occhi stropicciati stretto in pugno.

Notti, altra metà del cielo di giornate assolate che a volte paiono quasi superflue, noiose, indesiderate. Negativi di fotografie che attraggono in camera oscura come nient'altro i cuori di coloro che non resistono al fascino di provare ad immortalare l'esistenza.
Lampi di vita che squarciano il mare dell'esistere come navi di pescatori coraggiosi ed un pò folli.

Impensabile una vita senza qualcosa che scuote e ti ricorda di essere vivo.
Folle una traversata che non conduca verso quegli occhi. I suoi.

Buona fortuna.

"Quello che ci attende dietro ad ogni pagina rimane qualcosa di misterioso ed imprevedibile. Alla coscienza di ognuno spetta determinare se si tratti di condanna o privilegio, resistendo nel frattempo al caldo del sole di luglio e all'erba gelata della mattine d'inverno che rendono la terra dura e compatta come la corazza che a volte sarebbe bello poter indossare per rendersi impermeabili ad ogni emozione.
Cercando una risposta, nel frattempo continuiamo. Un passo dietro l'altro.
Innamorati cronici di quel cuore non nostro che ci pompa la vita nelle vene."

 
 
 

Cristallo

Post n°200 pubblicato il 15 Dicembre 2011 da Solo_Vita

Non chiedete mai perchè scrivo.
 
Il giocare con le parole è qualcosa che non avviene a comando. E' frutto di una misteriosa alchimia, uno strano scontro tra molecole che porta diretto ad un big-bang capace di far nascere un nuovo universo.
E' così che nascono i testi, piccoli esseri viventi plasmati con terra ed anima di chi mette la faccia nell'implacabile confronto con sè stesso e col pubblico, anche quando quest'ultimo è solo immaginario.
 
Parole concatenate per gioco, per una guerra, per un ideale, per gli occhi fuggenti di una donna.
 
Già, quegli occhi. Quante parole hanno fatto sgorgare sulla punta dei calamai, delle penne a sfera, delle stilografiche dall'inchiostro blu chiaro.
Quanto ticchettìo di tasti hanno scatenato nelle notti fredde del dicembre che sembra non finire mai, negli ardenti pomeriggi di agosto col respiro che si fa affannoso per la ricerca spasmodica di ossigeno nell'aria calda ed umida, nel maggio tiepido delle rose in boccio.
 
Un metronomo dentro la testa a dettare i ritmi di lettere, sillabe, parole, frasi. In lui la furia di una capitano di galea nello spronare i vogatori a spingere sempre di più, sempre più forte.
E più le cartelle si fanno piene di parole e più la testa diventa leggera, il fardello che opprime il petto si scioglie e iniziano a spirare i venti ascensionali che portano su, sempre più su.
E' come una droga.
Come il profumo della moka al mattino, lo spaghetto col pomodorino fresco al quale aggiungere la foglia di basilico giusto un attimo prima di servirlo, il bavero della giacca che una volta tirato su ti protegge dal mondo.
Come quegli occhi che ti rubano l'attenzione, distorcendo la tua realtà e convogliandola nello sguardo tanto intenso da capace di crearti un sottile, tagliente, dolcissimo disagio.
 
E allora vorresti annegarci dentro le parole, tante sono quelle che vorresti scaraventare su un foglio, su uno schermo, su un pacchetto di marlboro che aggredisci senza rispetto con una bic da dieci centesimi.
Un fiume che si fa improvvisamente in piena ogni qualvolta a monte piove anche un solo sorriso, un accenno, un gesto complice. Puoi anche immaginarlo, essere vittima di un dolce raggiro, poco importa: le acque si fanno grosse mentre aumenta la pressione sui fianchi degli argini, capaci di trattenere a stento, e neppure sempre, tanta meraviglia.
 
Ecco, questo è il motivo perchè non ha senso chiedere perchè scrivo.
 
Avreste mai il coraggio di chiedere ad una donna per quale motivo ha deciso di rubare i vostri pensieri mostrandovi uno scorcio del suo mondo segreto?
 
Buona fortuna.
 
La città silenziosa pareva cristallizzata nella notte di dicembre.
Non un rumore, non un passo ad infrangersi sul selciato steso ai piedi delle chiese dalla facciata romanica. Nell'aria immobile solo il sibilo del neon dei lampioni, custodi unici di strade deserte.
E' in questo mondo che i due cuori battono, mentre i diaframmi stirano i polmoni trattenendo il respiro e lasciando intossicare il sangue di anidride carbonica, ma poco importa: il gioco degli amanti è una corsa su una corda sospesa sopra un mare di veleno dolcissimo.
Non un gesto ad infrangere il silenzio, non una parola che non sia indispensabile: nessuno conosce meglio dei cuori in subbuglio il valore del "necessario".

 
 
 

LungoParma

Post n°199 pubblicato il 15 Settembre 2011 da Solo_Vita

La notte della Grande Pianura sembra voler ingoiare tutto quello che si trova al di fuori di questa educata cittadina: così pulita, così pacata, così ben vestita, così dannatamente glamour nei suoi mercoledì di coppie che sfilano agghindate a festa in Strada Farini, con le donne che giocano a fare le ragazzine coi vestiti stretti e l'occhio pronto a giocare coi rugbysti di vent'anni più giovani.

Una tangenziale a proteggerla tutto attorno: a nord, sud, est, ovest. Paiono i bastioni di un forte annegato nel territorio nemico, illuminati ininterrottamente dai fari delle moderne carrozze eternamente in transito.

Ci arrancano sopra camion della Barilla col disco orario manomesso carichi dell'unico oro italiano rimasto, ci sfrecciano le Ferrari dei calciatorini le cui quotazioni salgono e scendono come lo spread btp-bund a seconda del benestare di sponsor che parlano per mezzo di signori dagli elegantissimi completi grigi, ci sbuffano i motorini cinquanta degli studenti che, anche se non potrebbero transitare, nella notte pur di abbreviare il tragitto arrischiano l'infrazione al Codice della Strada -Lei lo sa che stanotte si becca un verbale da mille euro e la confisca del mezzo?-.

In tutto questo, il giovane uomo si muove all'interno del Microcosmo, scalfendo il silenzio che regna su Strada Garibaldi col cigolio cadenzato proveniente dalla sua vecchia bici scassata, l'unica che ha resistito al tempo ed a ben tre tentativi di furto da parte dei soliti nordafricani che bighellonano intorno alla stazione di questo bastione così tranquillo da sbattere i ladri di biciclette in prima pagina sulla Gazzetta di Parma.

Questa città non gli appartiene, nè per nascita, nè per vocazione, eppure stasera gli è facile sentirla tremendamente sua. Non sempre dev'esserci un perchè, non sempre serve l'odore del mosto del Chianti che bolle nelle botti per sentirsi a casa.
Gli pare di trovare complicità nella pavimentazione irregolare che fa sussultare il telaio e tremare le braccia asciutte e nervose, col grosso catenaccio assicurato alla canna che sbatte forte ad ogni buca scrostando quello che rimane di una vernice tossica stesa almeno cinque decenni fa dalle mani di un padre di famiglia che tornava stanco alla sera con addosso un'insana voglia di bere. Una brama tanto grande da portarlo a spegnere la coscienza con un sonno indotto e provvidenziale.

Stringe un patto con le messaggere dell'autunno in arrivo, milioni di foglie gialle e croccanti, spezzate dalle ruote dai raggi sottili che le attraversano senza convenevoli.
Ci passerà sopra senza esitazione, senza pensare, in cambio del loro lasciapassare. Non un'incertezza, non un attimo di indecisione riflettendo sull'estate già cadavere, ormai fantasma in attesa di percorrere il miglio verde che conduce alla stagione delle piogge, dei maglioni, dell'epidermide pallida a cui dare la caccia sotto strati di pesanti vestiti.

Di colpo un semaforo spezza la notte e nell'attesa del verde, settantadue secondi scanditi dal totalizzatore che dà il tempo nei pressi del Ponte di Mezzo, assiste ad una magia.
All'interno della Mini Rossa parcheggiata dall'altro lato della strada, sotto un portone, i due cuori sono sul punto di mescolarsi. Lo si intuisce come si può intuire l'arrivo di un temporale da quelle improvvise sferzate di aria elettrica che si spostano come impazzite contro le finestre, i tetti, i visi.

E' un istante immaginarsi tutto quello che ha portato sino a quel punto: l'incontro, le battute, lo scambio di un recapito, il timore della non risposta e poi quell'aperitivo strappato e fatto scorrere sulla punte del corteggiamento sino alle due di notte. E poi chiacchiere, tante chiacchiere nelle quali annegare un'attesa con un'onda di piena che quel rigagnolo che chiamano -Torrente Parma-  non vedrà mai.
Riaccompagnata sotto casa, già alla terza marlboro fumata all'interno dell'atmosfera rarefatta ed immobile dell'abitacolo saturo dei migliori anni ottanta di Billy Idol, è facile capire che il tempo sta per scadere.

Poi un lampo, istantaneo come il rosso che ha dato il via a questa unica edizione della divin commedia della vita, spavaldo come la vernice made in Germany della Mini fiammante.
Lei tira forte il fumo prima di smorzare la cicca nel posacenere, per poi fare tre anelli espirando, creando infine una nube che sbuffa fuori dalla fessura lasciata ad arte tra finestrino e tetto.
Gli occhi si girano verso di lui, una mano sibila tra i capelli, gli occhi dritti negli occhi, le gambe ambrate e tornite che si accavallano e si scoprono un pò al salire della gonna a palloncino: è il segnale in codice, è l'attimo che si incastra perfettamente nel presente tanto cercato, è la chiave per aprire il forziere che contiene il tesoro, è il messaggio che fa sganciare la bomba all'Enola Gay.

Il ragazzo alluga la mano, le carezza dolce uno zigomo, giocherella con la ciocca che celava il sopracciglio per poi indugiare pericolosamente sul profilo naso, sino alle labbra. Vorrebbe dire qualcosa, si capisce, ma è bloccato.

Lei nel frattempo immobile, è il cerbiatto al cospetto di un faro che apre la notte, un pò stupita, un pò curiosa di sapere cosa c'è scritto nella prossima pagina. -Chissà cosa farà adesso?-
E intanto il cuore sale sino alla gola. 

Di colpo il verde, ma le gambe non si muovono. Troppa la curiosità di vivere quella vita non sua.
Il ciclista paralizzato, anestetizzato dal veleno che quel predatore non ha certo destinato a lui ma che sembra, per un istante,aver messo il fermo immagine al mondo intero, ben oltre la linea del nulla oltre la tangenziale.

Il tempo di udire una bestemmia strascicata dal vecchio che dietro attendeva la ripartenza e li vede con le labbra di uno che combaciano perfette su quelle dell'altra, nella più bella delle alchimie che gli esseri mortali sanno mettere in atto.

Chissà cosa si stanno sussurando adesso all'orecchio. Le parole degli amanti: nulla di più dolce e mendace.

Un alito di vento freddo scuote i sensi del giovane, destandoli dal torpore onirico: è autunno, è solo e il sogno che sta vivendo non è di sua proprietà.

Nel frattempo però è scattato nuovamente il rosso. Settantadue secondi -solo settantadue- e poi si sentirà pronto per tornare a tagliare la notte con la prua impavida della sua bici.

Lasciategli vivere ancora per un istante un sogno che non gli appartiene. Perfavore.

Buona fortuna.

 
 
 

Duemilaundici

Post n°198 pubblicato il 05 Agosto 2011 da Solo_Vita

Correva quella folle estate duemilaundici.

Quella della tesi preparata nelle notti milanesi, dell'Italia ad un passo dal default, del caldo che non arrivava, di Vasco che smette di fare la rockstar.

Delle parole sospese sulla punta della lingua, degli sguardi carichi come fili per tendere il bucato in una domenica di sole, delle finestre aperte che lasciano intravedere lampi provenienti da vecchie televisioni dal volume troppo alto, degli aperitivi sui Navigli, dello gnocco fritto in via d'Azeglio in una Parma anestetizzata da una bella stagione viva solo nel calendario.

Quella del ritorno sull'Aurelia, a percorrerla tutta d'un fiato da Castiglione a Piombino, a giocarci nelle notti folli, con la luna che si getta nel mare, ora a destra, ora a sinistra della strada, secondo la direzione delle scorribande.

Quella dei pensieri che si attaccano come moscerini al paraurti di quella macchina che sembra non volersi fermare più, un pò come la vita, un pò come un'esistenza eternamente in bilico tra i brividi sedati dallo xanax e la lucidità ritrovata sul bordo di una tazzina di espresso, tra andare alla deriva e solcare il mare sulla spinta dei 240 cavalli del Mercury che umiliano le vele.

Un'estate fatta a mano, come i tortelli di zucca, come il risultato dell'estro di un maestro orafo, come quel piacere solitario che ti concedi equidistante da vergogna e lussuria.

Sogni, così grandi e belli da sembrare veri, da richiedere pizzicotti quando torni in te, mentre il tempo sembra ignorare con eleganza la tua vita, disgregata sotto i colpi di un maglio dalla forza non umana.

Ma non tutto è destinato a crollare. Anche se la vita passa, dopo di noi, qualcosa resta sempre.

Il verde dell'erba rinvigorita dal temporale estivo che accende nell'aria l'odore di terra bagnata, il rosso dei papaveri che si stagliano come eroi  contro il giallo sconfinato del grano, il profumo delle pesche mature, le parole d'amore alla ricerca degli occhi per cui sono state scritte, parole che attendono da tempo una Principessa pronta a leggerle a fior di labbra.

Attaccate come superstiti della sciagura all'ultima trave galleggiante, col respiro compresso dall'acqua, il battito flebile, la mente appannata...eppur vive.

Correva la folle estate duemilaundici, quella delle parole in attesa della loro Bella, cucite su una bandiera pronta ad essere issata per sventolare sostenuta da venti sconosciuti ed affascinanti, da consumarsi all'aria come un mantra buddista.

La vita, cos'altro se non un soffio in attesa di un soffio, giusto un istante prima dell'esplosione della tempesta di acqua e sale.

"Il mondo ruotava attorno ai suoi occhi, io con lui. Mi girava la testa quando mi guardava dritto dentro, frangendosi contro tutti quei filtri creati nell'arco di una vita intera, frantumandoli.
Il suo profumo era acqua di mare, sole e cannella.
La sua voce vibrazione, come la corda di un'arpa.
Il tocco scossa elettrica, il bacio un viaggio a ritroso verso una felicità che pareva smarrita ed impossibile.
Ancora non la conoscevo eppure sapevo perfettamente quale fosse il suo sguardo." 

Buona fortuna.

 
 
 

Il Santo

Post n°197 pubblicato il 01 Maggio 2011 da Solo_Vita

In quest'area di servizio, qualche anno fa è stato ucciso un ragazzo. Un colpo di pistola sparato da un agente della Polstrada ha attraversato quattro corsie di marcia e due di emergenza, poi un cappellino si accasciato su una felpa e una piccola ed un'anonima località è diventata il nocciolo fuso di una altrimenti trasparente domenica di novembre.
E' il destino delle cittadine di provincia senza gloria, nominate soltanto in ocassioni di disgrazie, ruberìe o fatti delittuosi. Miserere Arretium.
Mi sembra di sentirlo ancora echeggiare nell'aria il tonfo dello sparo immediatamente inghiottito dell'eterno movimento dell'A1, mentre in questa notte, fermo alla colonnina del rifornimento, immagino di prendere la mira con la mia pistola fatta di indice e pollice.
E penso che per fare quello che ha fatto quel proiettile serve davvero un miracolo, se pensi all'aria che si sposta, alle auto che passano,  a tutti i sogni che sono sospesi sulla corsia di sorpasso dell'Autostrada del Sole.
Un nodo stringe la gola, gli occhi si fanno lucidi pensando che poteva essere un altro me di due anni fa a cadere a terra, al dolore delle persone che ti vogliono bene, al fatto che a volte esci di casa rimandando alcune cose che hai da dire e poi mica torni più.

Qualcosa però intossica i polmoni, un colpo di tosse, e rieccomi nel presente fatto di luci al neon e slogan pubblicitari a caratteri cubitali. Succo + caffè + cornetto due euro e ottanta, solo per oggi.

C'è puzza di gasolio incombusto nell'aria, sparato fuori così com'è dallo scarico del vecchio motore di un pullman Mercedes con targa polacca che avrà almeno trent'anni.
Mi cade lo sguardo sull'autista che confabula qualcosa con l'addetto al rifornimento: avvolto in una camicia troppo grande per la sua taglia, i venticinque anni che si e no avrà sembrano ancora più grotteschi.Il resto lo fanno la brillantina un pò posticcia e le grandi gore di sudore sotto alle ascelle. Non riesco a capire se mi fa tenerezza o mi infastidisce, ma qualcosa nella scena mi attrae in maniera quasi morbosa.

Nella notte che precede la beatificazione del Papa Polacco si sforza di parlare italiano, cerca di spiegare che nonostante il divieto non può spegnere il motore per fare rifornimento perchè altrimenti rischia di non ripartire.
Sia chiaro, amo farmi i cazzi miei, però la voce è talmente alta che è impossibile non seguire la conversazione. Partito sedici ore prima da Cracovia, 1400 chilometri senza un cane a dargli il cambio, deve arrivare a Roma entro tre ore per non perdere il pass -ma che cazzo vorrà dire- per far entrare la sua gente in Piazza.

D'istinto ora lo sguardo va ai passeggeri del bus dalla vernice scrostata e le scritte sulle fiancate incomprensibili.
All'interno una cinquantina di persone illuminate da una tenue luce di servizio azzurrina, in gran parte anziani, non battono ciglio e attendono l'evolversi della vicenda. Mi pare di sentire qualcosa, una voce all'unisono, all'inizio penso sia la radio ma soltanto dopo capisco che è un rosario recitato da quelli che non hanno ceduto al sonno.

Occhi provati dalla stanchezza, eppure felici, si incrociano col mio sguardo tagliente e scoglionato.
Ognuno ha il suo appuntamento, chi col sacro e chi col profano, ma io sono foderato nella certezza che le fighe che mi attendono vengano prima di tutto.
E' un attimo però sentire la forza di chi Crede, un qualcosa che mi attraversa e mi rivolta come un calzino in pochi istanti.Un brivido corre lungo i fasci nervosi e mi sento nudo nonostante i vestiti firmati, il profumo francese, la macchina tedesca.

Io, con la mia vita blindata di certezze, colpito e perforato dallo sguardo di chi ancora spera. Io, vittima della limpida Fede di uno sconosciuto pellegrino polacco con le scarpe sfondate ed il cuore grande così.

I miracoli sono tra noi, basta poco per vederli. Tu ci riesci ancora?

Buona fortuna.

 
 
 

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INFERNO, CANTO V, VV. 127-138

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lanciallotto, come amor lo strinse:

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser baciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante.

 

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