Sangue ed anima

GIUNGERE IN PARADISO


             ‘Guunt Mechior vagava per le lande di Bessarabia quando incontrò un pazzo, un folle di              nome Zarathustra. Egli proclamava la morte di Dio e la sua scomparsa dal mondo. Allora              Guunt gli si avvicinò e disse: - Chi è morto? Dio? Chi è Dio? Non è forse Dio mai esistito?              Non è forse la religione una favola, una mistificazione del nulla cosmico in cui siamo                bagnati? -Il pazzo lo guardò ammutolito e poi si allontanò urlando – Dio è morto, Dio è              morto. E fu così che Guunt incontrò Zarathustra’                                                                       dal Culto di Slaat, di Brian Lodge    Il destino spesso tira brutti scherzi. Forse era a questo che pensava il giovane Grant, intento, dopo essere salito sull’autobus, a raggiungere la sua grande meta. Sedutosi, come suo solito, su uno dei sedili anteriori, aveva subito notato il grosso cappello dell’autista di linea, rinchiuso nella sua caratteristica gabbietta ed estraniato dal mondo. Avrebbe voluto porgli qualche domanda sul tragitto, ma appena si avvicinava al vetro l’autobus si bloccava e il conducente gridava – FERMAATAAA. Quasi fosse un caso o lo scherzo di un destino beffardo, ogni qualvolta che, attraverso il raccoglimento di un po’ di  coraggio, era sul punto di parlare e chiedere informazioni, il bus si fermava, rendendo i suoi sforzi vani e inutili. Quella persona, lontana seppur fisicamente vicinissima a lui, sembrava, in quel momento, la più difficile da raggiungere e con cui parlare. Si stava ormai abituando ad essere interrotto da quell’urlo assordante – FERMAAATAAA- e dal fischio dei freni e sopportava ormai la calca che ogni volta lo spingeva e lo urtava per scendere e che la prima volta lo aveva profondamente stupito e sconvolto, ma ciononostante non era ancora riuscito nel suo intento. Quell’odore di stantio, di gomma, di metallo, di usato e di polveroso pervadeva le sue radici facendogli provare sensazioni da tempo dimenticate. Il chiacchiericcio lo confondeva, lo disturbava, gli faceva dimenticare il suo scopo – ieri sono andata al mercatooooormai è tutto così davvero non pensavo e cosa ai vissssapevo che c’era molta gente, ma che puzza ragazzi che caldo aprite i finestroni bello quel libro fai il mio stesso corso?- Dopo spintonamenti vari e notevoli chiacchiericci, Grant trovò il tempo ed il coraggio di porre al conducente, serrato nella sua bara di vetro, una domanda:- Scusi, per via Alabama quante fermate mancano?L’autista guardò il grosso specchietto retrovisore posto in alto di fronte a lui e, fissando l’immagine di Colbain, sollevò dal volante tre dita.Il ragazzo non capì subito la risposta e riformulò la domanda, a cui stavolta il conducente reagì mostrando con il dito indice un cartello posto proprio di fianco a lui                                  NON E’ CONSENTITO PARLARE AL CONDUCENTE                                                 Possibili pene pecuniarie dai 5 ai 10 $Grant lesse attentamente il cartello e poi si andò a sedere al suo posto, dove il suo sedile caldo attendeva i suoi pesanti glutei. Dopo essersi seduto,si mise a guardare fuori dall’ampio vetro di fronte a lui, come quando era piccolo e fissava dal suo posto a sedere quell’uomo alto e biondo che lo accompagnava alla fermata. Quella situazione gli ricordava ancora il suo passato, i pasti caldi, le risate, le coccole, i vestiti preparati e stirati, l’aiuto che gli era stato dato dopo quell’incubo. Quella situazione gli ricordava Cole. Voleva piangere, eliminare tutta la tristezza che quell’uomo dall’animo tanto buono gli aveva instillato con quel violentissimo gesto, ma non ci riusciva in mezzo a tutta quella gente. Perché aveva trucidato tutta quella gente? Era forse per la ricerca della libertà e della verità? Di quella stessa verità che ora anche lui cercava con tanto entusiasmo? Avrebbe dovuto uccidere anche lui per sapere? Avrebbe potuto? L’autobus si fermò. Nessuno si alzò per scendere, ma il mezzo non partì. Il conducente era fermo, pacato, ad aspettare. Grant guardò fuori dal piccolo finestrino alla sua destra e vide una casa che ricordava. Quella casa.. quella casa.. era la casa di Lodge! Afferrò il parapetto metallico piazzato davanti al suo sedile e scese impetuosamente dal bus, rischiando di travolgere una vecchietta che stava passeggiando tranquillamente e che cominciò ad inveire violentemente contro di lui. Cominciò a correre lasciando perdere la vecchia alle sue spalle e fermandosi solo davanti al cancelletto della casa da lui conosciuta, evitando ciclisti, cani e postini. Suonò con vigore il campanello e cominciò a fremere dal nervosismo e dall’entusiasmo. Poggiò la mano sulla ferrea inferriata e fissò con sospetto la porta bianca della casa, ornata da una piccola vetrata in stile vintage e incastonata in stipiti candidi come la neve. La villetta, sormontata da un piccolo tetto dalle mattonelle rosse poco spioventi e circondata da alti palazzi, da strade trafficate e da un ampio giardino lussureggiante pieno di alberi dalla vasta chioma e di coloratissimi fiori dal fusto lungo, era dipinta di un rosa pelle. Un viottolo di mattonelle marroni scure levigate collegava la porta al cancelletto a cui Colbain aspettava entusiasta. Ad un tratto la maniglia sferica d’ottone dell’ampia porta bianca si girò e il varco si spalancò davanti allo sguardo di Grant, compiaciuto dall’immediata risposta. Dall’entrata uscì una visione paradisiaca: una ragazza, bellissima, bionda, sorridente, alta, coperta fino al naso da un cappottino bianco sostenuto da due piccole mani che coprivano parte della bocca e delle guance. -  Scusi, fa freddo.. potrebbe dirmi cosa cerca?- disse la ragazza con tono gentile e tentando un     grido aggraziato-  Io.. io cerco il professor Lodge!- gridò Grant, con un sorriso larghissimo dipinto sulla faccia, tenendosi fortemente stretto al cancelletto.-  Bene, almeno non ha sbagliato indirizzo! Ha un appuntamento?- gridò ancora la giovane donna,     portandosi le mani alla bocca a mo di amplificatore e alzando leggermente il capo. -  Nooo.…- rispose, dal settimo cielo, Colbain-  Allora non posso farla entrare!- disse la dama-  Beh.. allora.. sì, ho un appuntamento, me lo sono ricordato..- disse il giovane-  E’ sicuro?- gridò la ragazza-  Siiì, me lo sono ricordato adesso!- gridò GrantLa giovane guardò il viso contento e ammaliato di Colbain e, lasciando la porta aperta, corse all’interno della casa –Tlack-  Il cancelletto era aperto sotto la mano forte del giovane. Il ragazzo abbassò lo sguardo, entrò nell’ampio giardino percorrendo il viottolo di sassi levigati e, voltandosi, richiuse il cancello. Il suo animo fragile, folgorato da tanta bellezza, era rimasto fortemente intontito. Si fermò davanti alla porta e si mise a fissare il tappetino marrone sul pavimento dell’ingresso, composto da tanti peletti irti e duri. Era la casa di Lodge! Che atmosfera calda e accogliente! L’aveva raggiunta! -   Allora, vuol- la ragazza si avvicinò al suo viso, lo fissò bene negli occhi e disse- ma.. ma sei un      ragazzo! Ho capito, sei qui per lo stage! Le sue piccole sopracciglia bionde da gattina si riflettevano nello sguardo di Colbain, sorpreso, dopo tante brutture, da tanta bellezza. Il suo viso, ovale e gioviale, esprimeva una giovinezza incredibile. Doveva avere al massimo una ventina d’anni ed era lì, con quel cappottino bianco, ad aspettare che Colbain entrasse.-   Ehi, parlo con te!- gli disse, scuotendogli davanti alla faccia la mano aperta come per svegliarlo     da un sonno leggero.Grant guardava il piccolo palmo, roseo e netto come le nuvole, e quelle lunghe dita magre, colorate da unghie erose dal nervosismo e dalla noia. Il giacchetto era leggermente sceso sulla spalla destra e Colbain allungò la mano per sistemarlo, stupendo la ragazza e provocando in lei una reazione tale da far partire un vigoroso schiaffo.- SCHAFFF-  La botta colpì violentemente il viso del ragazzo che, scosso da tanta forza, si portò il palmo sulla guancia cercando di lenire il dolore – AU!--   Oh, scu-scusa… credevo.. sai com’è, ci sono tanti depravati in giro.. bisogna.. bisogna sempre      prepararsi al peggio- la ragazza guardò il volto arrossato di Grant e fece una smorfia di dolore-      cioè.. io.. non volevo darti del depravato.. ecco.. senti, io sono l’assistente del professore.. la     segretaria..- allungò la mano che poco prima aveva colpito Colbain e, mostrando il palmo     invitante, disse- piacere, sono Claire.Il suo viso pallido era vistosamente colto dall’imbarazzo e le gote si stavano ormai arrossando per il freddo pungente che inondava la stagione da lungo tempo. Il giovane la guardò, sorrise e, stringendo con una mano la gota percossa, agguantò con l’altra il piccolo arto della ragazza.-   Se è piacere non lo so..- disse Grant sorridendo ironicamente- comunque, mi chiamo Grant. -   Bene, Grant- disse la giovane puntando l’accento su quel nome e il dito indice verso il di lui     corpo come una maestrina- Che ne dici se entriamo? Non so tu, ma io ho un po’ freddo. -   Non so- rispose lui con voce scherzosa- sì.. forse possiamo entrare..- aggrottò le sopracciglia      scimmiottando l’espressione di un professore e fissò la giovane.-   Bene- disse lei, afferrando la mano di Colbain e tirandolo dentro casa con grande vigore. Il      giovane sobbalzò e rischiò di cadere, ma riuscì a sfruttare le sue doti d’equilibrismo e stette       perfettamente in piedi. Grant si mise quindi a osservare l’ambiente che lo circondava, notando      che il primo piano della casa era costituito da un ampio atrio pavimentato con un’ampia      moquette marrone scuro, da una piccola scala a chiocciola nera, da un ampio salone e da una        piccola stanzetta semi-aperta in cui un tavolo, una sedia e un mare di scartoffie la facevano da      padrone.- Allora, che mi racconti di te?- chiese la ragazza poggiando il cappottino sul tavolino e        buttando inavvertitamente a terra qualche foglio. -   Nulla di interessante..- rispose Grant fissando i quadri appesi ai muri, imitazioni di grandi opere     d’arte del passato.-    Ah ah! Vuol fare il misterioso, eh?- disse scherzosamente Claire, sogghignando leggermente. I      suoi capelli biondi, lunghi fino alle spalle e striati da qualche linea di castano, si muovevano      sinuosamente nella stanza. -    Solo..- esitò, guardando il viso della dama- vorrei sapere qualcosa dal professore.- disse quindi       Colbain,  adagiandosi delicatamente su un comodo sofà rosso disposto nell’atrio rivolto verso il      tavolo da lavoro della piccola segretaria..-    Ah sì, Brian.. tutti vogliono sapere qualcosa da Brian.. allora non sei un tirocinante?- disse lei,      chinandosi a raccogliere i fogli distrattamente caduti -Immagino di doverti qualcosa per lo      schiaffo di prima.. va bene, ti farò parlare con lui…- esitò anche lei un attimo, poi, fissando      innervosita il proprio viso in uno specchietto, disse- ma cosa avete tutti da chiedergli?      Scommetto che è per quel libro. Il.. Il- disse lei-    Il culto di Slaat. Precisamente.- rispose Grant con tono fermo e intelligente.-    Ok.. dovrebbe tornare tra.. un’ora- disse Claire fissando l’orologio che aveva al polso e        scrollandosi leggermente il braccio per farlo uscire dalla camicetta azzurra.- Tu stai fermo su      quella sedia, che di pazzi come te ne ho già visti troppi..- aggiunse, con un’espressione tra      l’ironico e il serio- io continuo a lavorare, quindi, se fai silenzio ti ringrazio, ok?Si sedette alla scrivania e cominciò, spostando la giacca, a rovistare tra i fogli. Grant, seduto sul divanetto, la fissava sorridente. In pochi minuti tra loro si era già fissata una buona intimità e un piccolo interesse reciproco. Forse Colbain aveva trovato il suo angelo e,dopo tanto purgatorio, forse era giunto in paradiso.