Sangue ed anima

LA TERRA PROMESSA


 Il viso rugoso di Colbain, illuminato dai piccoli raggi obliqui del sole, scivolava lento per il pendio, inciampando in radici e rami altrettanto raggrinziti. Il bosco si faceva più rado ad ogni passo, facendo intravedere in lontananza un lungo fiumiciattolo e una minuscola baita lignea. Era il Canada! Doveva esserlo! Le gambe del fuggitivo cominciarono a muoversi molto più velocemente, infischiandosi degli irti e spinosi cespugli e dei pericolosi sassi posti sul loro cammino. Grant sbatteva le spalle doloranti contro gli alberi posti sulla sua via cercando di non rallentare il passo, sradicando accidentalmente, talvolta, i piccoli arbusti e spostandoli di qualche metro più avanti. Si avvicinava sempre più alla casa. Ormai era lì, a pochi passi. Lì, davanti a lui. Un colpo. Un solo colpo. L’urlo di un grosso fucile a canne mozze risuonò nell’infinità dello spazio forestale, facendo sollevare dai piccoli rami uno stormo di uccelli neri gracidanti. Colbain aveva il viso martoriato dal bruciore procuratogli dai graffi, ma sentì appieno quel dolore, quella lacerazione che gli penetrava le carni. Qualcuno gli aveva sparato. Qualcuno gli aveva sparato alla schiena. Portò lentamente la grossa mano destra sulla ferita, coprendo quindi la zampillante spalla sinistra con più tessuto possibile. Continuò, barcollante, a correre, premendo con forza quella ferita e tenendo il fluido corporeo ben dentro il corpo. Il viso, smascherato nel più grande dolore, gemeva di paura e di pianto. Le grosse lacrime gocciolavano dai piccoli occhi, scendendo nelle ferite e facendole bruciare come roghi. Il proiettile, conficcato nella carne, premeva come una lancia, aprendo un tormentoso varco di vuoto tra i tessuti. Avanzava, comunque, contrastando quell’immenso spasimo con la visione di quella piccola baita. Si annebbiava, diveniva più fioca. Quella baita stava sparendo nell’oblio, ma lui non si sarebbe fermato. Barcollava ancora. Correva ancora. Doveva correre. Un altro colpo. Il corpo sussultò. Il sangue uscì come un rigurgito dalla bocca, piagata dalla rabbia e dal dolore. La testa era balzata avanti, come colpita anch’essa da una botta. La mano destra, appoggiata sulla ferita, ricadde in avanti. Colbain era lì, fermo, con la schiena inarcuata, a fissare il terreno buio. L’altra spalla, quella destra, era stata aperta da una saetta metallica, serrata ora nella rossastra polpa. Portò pesantemente avanti il piede destro, noncurante delle grosse ferite. Le braccia ciondolavano ai fianchi, distrutte da un nemico lontano. Le piccole foglie gialle, sollevate in aria dagli spari e dalla poderosa cadenza del fuggitivo, danzavano nell’aria tutt’intorno al povero Grant. Singhiozzava, mentre i suoi movimenti lenti e pesanti lo portavano verso il fiume. Entrò, con le scarpe, nelle sue acque, cercando un qualsiasi sollievo. I suoi piccoli occhi non vedevano più nulla. Il dolore invalicabile aveva ormai coperto ogni cosa, oscurandola col suo velo di sofferenza. Pativa, ma non si fermava. Avanzava ancora nel liquido freddo e pungente che gli bagnava i piedi, soffocando il pizzicore dei piccoli sassi appuntiti. Le spalle non gli rispondevano più. I chiodi che avevano impuntato ormai nella sua anima incatenata stavano facendo il loro dovere, bloccandone i movimenti e le reazioni. Ma lui procedeva comunque. Nell’aria risuonarono altri boati. Prima uno, poi due, poi tre. Ce ne furono anche un quarto e un quinto. Le saette colpirono il grosso corpo di Grant come fosse un bersaglio predestinato e pronto all’uso. L’obiettivo si piegò sul fiume. Si inginocchiò, fissando il vuoto che non vedeva. La testa oscillava, quasi cadendo all’indietro. Il sangue scendeva dalla bocca martoriata e dalle grosse ferite, ricoprendo la figura di un mantello scarlatto. Il liquido venoso cadeva nel corso d’acqua, tingendolo di un colore opaco. La mente del fuggitivo si accese un’ultima volta, invocando l’aiuto. Era dunque questa la fine?  Si accasciò nel liquido. Il capo sbatté violentemente contro una roccia del letto fluviale, lasciando l’occhio bianco fisso nell’oblio. Era caduto, dopo tutta quella vana corsa. Era caduto.