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« L'INFERNO CHE ATTANAGLIAIL VOLTO DEL SANGUE »

NELL'ANTRO DEL GIGANTE

Post n°7 pubblicato il 09 Agosto 2008 da sangueedanima
 

Effettivamente quel mattino fu molto duro: i compagni lo presero in giro dietro le spalle mentre lui, concentratosi solo su come ripagare l’aiuto del suo angelo, faceva poco caso al chiacchiericcio. Si sa che spesso la gente parla per niente e trova nelle persone difetti che non esistono, ma in questo caso i commenti dei compagni furono più che giustificati dall’olezzo del ragazzo. Uscito da scuola, il ragazzo si decise a far visita alla madre in clinica. Fu il suo stesso tutore a portarlo quasi presso la madre, per poi abbandonarlo a pochi metri da questa. In realtà Williams covava ancora qualche rancore nei confronti di quest’ultima, anche se l’assicurazione che intervenne dopo l’incendio non solo coprì i costi di riparazione, ma consentì anche al povero diavolo di costruirsi la casa che sognava da tanto tempo. Il giovane aprì la porta della sala di ricreazione della clinica dove sua madre passava la maggior parte del tempo tra un pasto e l’altro. La trovò lì, seduta su una sedia a rotelle, lo sguardo perso nel vuoto, le mani appese al duro metallo del sedile. Le si avvicinò lentamente, senza sorprenderla, ma abituandola a poco a poco a un incontro visivo, quasi per non farle paura.

-         Mamma..- disse Grant, colpito dallo stato della donna. La sua anima non era però così dispiaciuta, poiché credeva che senza la follia della madre lui non avrebbe mai trovato l’accoglienza del suo giovane angelo. Si chinò e le strinse la mano, fissandola, inginocchiato, dal basso in alto.

La madre non spiccicava parola. Era muta, come un pesce. Continuava a fissare nel vuoto, a non guardare il figlio prostrato davanti a lei che gli accarezzava la mano. A sua volta Grant si sentiva in colpa per non provare dispiacere per la situazione materna e cercava di comportarsi il più possibile come un figlio amorevole, ma la donna non lo osservava affatto.

-         Mamma. Mi manchi- sapeva che era una menzogna, ma non sapeva che altro dire per togliersi di dosso quel maledetto senso di colpa- Io comunque sto bene. Il signor Williams mi ha accolto in casa sua.

-         Spregevole figlio di un cane- sussurrò la madre nel vuoto, lontano dalle orecchie del figlio, continuando a fissare la vastità aerea della stanza- Se tuo padre fosse qui…se tuo padre fosse qui…

Colbain fu colpito duramente dalla risposta della madre e si alzò di scatto, spaventato dalla reazione inusitata alle sue parole. Che sapesse che non gli mancava? Che era solo una menzogna?

-         Quel farabutto.. farabutto figlio del diavolo- tuonò la donna, con voce crescente- Si è portato via mio figlio! Quell’OMUNCOLO!- gridò, tutt’a un tratto.

-         Mamma- disse Grant, allontanandosi via via dalla madre e dalla sua sedia a rotelle

-         E tu.. tu .. Perché? Perché vai a cena col demonio?- gemette la donna, singhiozzando vistosamente.

Le lacrime cominciarono a scendere e la donna si alzò dalla sedia per precipitarsi sul petto del giovane, che avvinghiò con forza. Grant, intimorito dalla situazione, vedeva il volto degli altri ricoverati seguire sghignazzante il colloquio.

-         Non sederti alla sua mensa, o verrai corrotto! L’Omuncolo ti vuole soggiogare! Il suo impero di carne e tuono è grande e forte, non prestargli attenzione! Scappa! – gridò la donna, appendendosi alle spalle del ragazzo e scivolando lentamente- Se tuo padre fosse qui- gemette, per poi sedersi sul pavimento di fronte al piccolo.

La stanza, bianca ed eterea, era invasa dalle risa dei pazzi che, lontano da loro due, continuavano le loro attività. Grant guardò la madre e pensò a quanta fortuna aveva avuto a perderla. Fu colpito da quel pensiero che lordò ancor più la sua anima, unica cosa sporca in quell’ambiente bianco e pulito. Come poteva disprezzare così la donna che gli aveva donato la luce? Forse perché disprezzava la sua stessa vita, allora doveva necessariamente odiare anche lei? La fissò per l’ultima volta, lasciando cadere la sua mano implorante nel vuoto. Uscì dalla stanza lasciando la donna china sul pavimento, chiudendo la porta senza guardarsi dietro e dirigendosi  verso la reception, dove Cole era comodamente seduto. Fece un segno a Williams sollevando leggermente il capo e se ne uscì dalla clinica. Restò seduto sui gradini dell’uscita mentre il suo tutore sbrigava alcune pratiche burocratiche. Pensò a cosa doveva aspettarsi dalla vita, lui che era già stato condannato dall’infanzia. Suo padre, morto in un incidente stradale, era stato a lungo il suo unico punto di riferimento e il suo decesso portò il giovane in una crisi profonda, acuitasi con gli sfottò dei compagni e il duro rapporto con la madre. Il suicidio, tentato da bambino, non aveva fatto altro che aggravare la situazione, portandolo alla disperazione più totale. Ora era dannato non solo per la vita, ma anche per l’eternità. Era nato dannato e sarebbe vissuto dannato per sempre. Quel mondo, la cui apparenza naturale esteriore era così bella e fragile, non era altro che un camion per il trasporto di detenuti all’ergastolo, una via ricoperta di spine per un campo minato. Come poteva solo pensare di esistere in un mondo basato su queste regole? Nemmeno la morte l’avrebbe potuto fare stare meglio, poiché lo avrebbe portato alla sofferenza eterna, una punizione da cui non sarebbe più potuto scappare. Non poteva neppure godersi la vita lasciando perdere quella dannazione e godendosi gli ultimi momenti di libertà, perché nutriva troppo rispetto per quell’uomo pio e impeccabile che rispondeva al nome di Cole Williams. Fu allora che la sua fede in Dio cominciò a vacillare. Perché Dio lo aveva fatto nascere dannato? Perché il suo destino doveva essere così brutale e meschino? Quale male aveva apportato all’umanità? Era più malvagio dei bulletti della scuola e della gente del paese? Perché? Fu allora che cominciò a concentrarsi sull’uomo e a credere in Dio in modo blando, pacato, indifferente. Credeva nella punizione che si aspettava quanto si crede nell’aspro castigo che i nostri genitori non ci danno mai.

Williams uscì dalla porta e trovò il giovane pensieroso sulle gradinate.

-         Allora, andiamo?- disse Cole, mostrando le chiavi della macchina al giovane.

Grant annuì e s’incamminò di fianco al suo tutore verso la macchina. Quei pensieri lo tediavano continuamente. Le parole della madre gli tornarono alla mente, come i gridi dei marinai in una tempesta. Colbain fissò Williams e gli guardò attentamente la mano, in cerca di un simbolo che il demonio avrebbe potuto lasciargli. Non trovandolo, ripensò che la madre era solo pazza e che questo era ormai chiaro a tutti i medici della clinica.

-         A che pensi?- chiese Cole, sorridendo.

-         ….- esitò il ragazzo- niente. E’ solo.. fa freddo, vero?- rispose

-         Sì. Freddo.

I due salirono in macchina dalle opposte portiere. Il giovane si sedette e fissò la clinica. Pensò a sua madre, che ormai aveva perso. Insieme a suo padre. E insieme a Dio.

 

 

 

 

 

 

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