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L'INIZIO DELLA COLLABORAZIONE

Post n°17 pubblicato il 19 Agosto 2008 da sangueedanima
 

 

Conoscere sé stessi, come disse un filosofo, è difficile. Se aggiungiamo alla conoscenza del proprio io quella degli altri, la cosa si fa ancor più difficile. Se asseriamo inoltre di voler conoscere e verificare con certezza l’origine di tutto ciò che abbiamo precedentemente confutato, cioè di tutto ciò che ci circonda, allora la cosa si fa impossibile.

Era di certo a questo che pensavano Grant Colbain e Brian Lodge, intenti a cercare attraverso mezzi non perfettamente consoni quali libri, riviste e internet una prova per le proprie ipotesi. I due, conosciutisi e incontratisi nella casa del secondo in un piccolo attimo fuggente, stavano cominciando a cementare un rapporto che li avrebbe portati fino alle profondità del mondo sensibile. Odiatisi ed evitatisi per lungo tempo, il ragazzo e il professore avevano trovato nella stessa ricerca e nelle stesse supposizioni un mezzo comune per avvicinarsi e scoprirsi. In realtà ciò che aveva scatenato la curiosità e la morbosità dell’uno e la pronta risposta dell’altro non era stato altro che un foglio, un piccolo foglio di fibre di carta, un comunissimo foglio da disegno. Ma, come si dice, ciò che conta di una lettera è il messaggio, non la carta su cui è scritta: quel foglio, quel piccolo foglio di fibre di carta, quel comunissimo foglio da disegno, riportava una frase che avrebbe sconvolto le fondamenta del mondo immaginato fino a quel momento dal professore. Quella frase, quell’insieme pittoresco di parole, immagini e suoni, avrebbe totalmente cambiato la ricerca del grande e famigerato storico Brian Lodge. Dipinta su quel foglio da un giovane ragazzo appena uscito dal collegio – Grant Colbain -, quella locuzione avrebbe iniziato una ricerca nuova, estranea e diversa da tutte le precedenti per contenuto, input e conseguenze.

E pensare che quella frase, come tutte le più grandi scoperte dell’umanità, era stata trovata per puro caso. Grant era ancora in istituto quando, annoiato dalle poco interessanti letture, aprì l’ Atlantide di Platone, trovandovi un mondo lontano, fantastico e chimerico. Un’utopia, uno di quei posti dove avrebbe sognato vivere, dove avrebbe potuto esprimere il proprio talento senza ostacoli e dove avrebbe avuto modo di dimenticare ogni cosa lo assillasse. Quel demonio di Cole, la madre pazza, il padre morto, la solitudine, la voglia di fuggire lontano, tutto sarebbe scomparso in quell’incredibile regno. Purtroppo le fantasie sono tali perché raramente si realizzano e Colbain dovette accorgersi subito che questa era una delle tante irrealizzabili.

Passarono i mesi e il tormento provocato da questa idea svanì nel nulla, come le poche idee da lei scatenate. Dal nulla, su un lungo scaffale bianco della biblioteca dedicato ai misteri, apparve un trattato, ‘Il Culto di Slaat’, un libro già celebre all’epoca, ma del tutto sconosciuto alla pur larga conoscenza di Grant. Il ragazzo lo vide lì, abbandonato con la sua bella copertina nuova tra grossi libri polverosi, e decise di salvarlo una volta per tutte dai tarli che lo minacciavano dal suo arrivo in biblioteca. Preso da una curiosità morbosa per il nuovo e lo sconosciuto, Colbain riuscì a finire il volume in poco più di tre giorni. Quel tomo non era certo leggero e fruibile a lettori della sua età, ma il ragazzo vi trovò comunque un motivo di interesse: il libro, ambientato nell’isola tedesca dell’Helgoland, trattava di discorsi teologici e filosofici che non lo interessavano, ma si soffermava, nella descrizione dell’ambientazione, su un particolare curioso. Quel particolare, quello specifico particolare, aveva lasciato Grant di stucco. Descrivendo un’immersione subacquea del protagonista, il libro così parlava:

                                                                  

                                                  ‘ Oh, quant’era bello rimirar

                                                    le grosse pietre rosso, giallo e nere

                                                    che in fondo al mar coprivan i fondali’

 

Conoscendo alla perfezione l’Atlantis di Platone letta solo qualche mese prima, nella mente di Colbain riaffiorarono scaglie di ricordi incredibili: nel libro il filosofo greco forniva frequenti descrizioni di grandi palazzi dipinti dei colori dei massi dell’Helgoland, tinti per l’appunto di giallo, di rosso e di nero.

Le due informazioni combaciavano perfettamente e avrebbero portato Grant ad una conclusione drastica: Atlantis era lì, e lo aspettava. Tutto combaciava: le pietre, la caduta del più grande stato dell’Occidente Classico nei fondali marini, la vicinanza dell’isola alla grande patria degli antichi Celti, famosi frequentatori del mondo greco e del suo mercato, come testimoniano alcuni ritrovamenti in tombe celtiche. Tutto era perfettamente incastrato in un enorme mosaico che stava ormai incastrandosi nella mente del giovane ed inesperto ragazzo. Fu per questo che il fanciullo aspettò impazientemente l’uscita da quella falsa prigione chiamata collegio; fu per questo che appena ne fu uscito corse a cercare il professore. E fu per questo che l’assoluta mancanza di risposte da parte del suo idolo lo scioccò profondamente, trascinandolo nel buio totale della depressione. Quel rifiuto, quella noncuranza, quella delusione avevano riportato per un momento Grant a quel momento, quell’istante di profondo smarrimento che era seguito alla sconvolgente scoperta del segreto di Cole Williams.

Fu per questo motivo che lasciò alla piccola Claire quel minuscolo foglio, quell’appunto veloce e istantaneo che tanto avrebbe sconvolto la sua vita. Fu per questa ragione che, con un grande pennarello nero, scrisse su quel foglio una frase piccola, quasi innocua a prima vista, ma che avrebbe subito colpito Brian fin nel profondo.

 

                                                             HELGOLAND = ATLANTIS

 

Il professore, leggendo svogliatamente l’appunto, credeva di avervi trovato un confronto tra la sua filosofica opera, Il Culto di Slaat, e quella di Platone, L’Atlantis. Credeva, in un primo momento, si trattasse solo di un complimento, di un altro comune riconoscimento, di un innalzamento del suo sapere filosofico verso quello del grande greco. Non pensava che quell’uguaglianza, quell’espressione logica, quella comparazione, dovesse essere presa alla lettera. Riuscì a comprenderlo solo più tardi quando, leggendo un articolo di un giornale specializzato, trovò un ampio paragone tra i fondali dell’Helgoland e le descrizioni di Platone. Riuscì a comprenderlo solo per caso, come Grant tanti anni prima. Per caso, come tutte le più grandi scoperte.     

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