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Sangue ed anima

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« NELLA GROTTA DEL DRAGONELL'ANTRO DEL GIGANTE »

L'INFERNO CHE ATTANAGLIA

Post n°6 pubblicato il 08 Agosto 2008 da sangueedanima
 

La prima cena dopo l’apparizione delle larve fu come le altre: calma, calda e profumata. Il dubbio assaliva a ondate l’animo di Colbain, sorpreso a difese abbassate dalla nascita di quel nuovo fenomeno, ma la ragione, il pudore e un poco di viltà bloccavano le sue domande. Il senso di rispetto che provava per quell’uomo che lo aveva accolto nella casa bruciata da sua madre, che vedeva come uno di quei supereroi solitari e misteriosi da fumetto dark e che aveva dato un letto e un sostegno ad un’anima condannata alla dannazione eterna per il tentato suicidio era troppo grande per essere superato da un dubbio così piccolo. Le domande si infrangevano nello sguardo di Grant, intento a fissare il suo grande angelo nero, maledetto dal paese e schernito dalla plebe, ma onorato e glorificato dai media e dal governo. Quella sera il piccolo mangiò più lentamente, quasi fosse distratto da qualcosa di immensamente importante. Il dubbio, nascosto nella profondità del suo istinto, attendeva la notte.

Finita la cena, Grant salì piano le scale, aspettando il momento opportuno per attaccarsi alla grossa finestra senza essere visto da Williams. Vedendo il bambino attendere un evento presso la vetrata, Cole non si mosse dal divano su cui si era seduto e continuò a guardare tranquillamente i programmi televisivi. Colbain dovette aspettare al freddo finestrone di metallo la mezzanotte, prima di arrendersi definitivamente e precipitarsi in camera sua. Vestito di un pigiama corto, aveva ormai tutto il corpo intirizzito dal gelo che ogni notte penetrava in quella casa, rendendola un vero e proprio frigorifero. Battendo i denti vigorosamente si infilò nel letto, coprendosi fino alle orecchie. L’attesa era stata lunga e dolorosa e il silenzio e la solitudine di quei momenti gli aveva riportato alla mente i giorni di scuola solitari e cupi. Il buio che circondava la finestra e in cui si era immerso per non farsi vedere da Cole era penetrato nella sua mente, facendolo, come un racconto di paura, intimorire e rabbrividire. Fu allora che si ricordò di tutte le pastiglie ingurgitate in quello sgabuzzino buio solo pochi mesi prima. Pastiglie che lo avevano portato alla coscienza che ormai la vita, colma di sofferenze, sarebbe stata solo un periodo di passaggio prima di una punizione ancora più grande. Chiuse gli occhi per non pensare a tutto questo, a tutto l’orrore che lo aspettava al di là della vita, al di là del mondo terreno e sensibile. La mente, però, fa brutti scherzi. Difatti quella stessa notte Grant ebbe un incubo tra i più terribili della sua intera fanciullesca vita, una visione colma di urla, vuoto, buio e orrore. Quella notte Colbain vide per la prima volta l’inferno.

Il soffitto, alto e roccioso, pendeva sulla sua testa di fanciullo. Intorno a lui l’oscurità copriva ogni angolo della tetra e vastissima grotta in cui si trovava. Era da solo in un buio assoluto. Una eco fortissima riuscì quasi a bucargli i timpani – CALIMEEEROOO- La voce era roca e sibillina e riempiva l’intero ambiente con la sua stridente potenza.-CAAAAAALIMMMMMERRROOOOOO- Gridava, strideva, si avvicinava. I passi si facevano forti e pesanti. Non era comunque Colbain a muoversi. Qualcosa si avvicinava. Qualcosa di grosso. Grant sentiva il suo respiro asmatico e profondo diventare sempre più forte – CAAAAAAALIIIIIIIIMEEEEEEROOOOOOO- Una brezza caldissima colpì la schiena di Colbain, fermo nel bel mezzo della grotta e madido di sudore. Il piccolo tremava come una foglia – CALIMEROOO- Le stalattiti ferme sulla sua testa cominciarono a vibrare lentamente, mentre il respiro e la voce si facevano più forti. L’oscurità cedeva a un rosso fuoco che stava avvolgendo sempre più la stanza. Grant cominciò a percepire un forte caldo e fissò la sua mano, bagnata dal sudore e illuminata da una strana luce scarlatta. I battiti del suo cuore diventarono più veloci, più forti. Il suo animo era scosso e il suo corpo, solo nell’oscurità più completa, cominciava a non rispondergli più. Il suono di una brezza desolante pervadeva l’intero antro. – CAAAALIIIIMEEEEROOOO- La voce era vicina, la luce sempre più forte e il rosso sempre più caldo e potente – CALIIIMEROOO – Silenzio. Il corpo di Colbain fremeva, ma era bloccato dal terrore. Nulla. La voce era svanita, il buio era tornato all’improvviso, le stalattiti erano ferme e la brezza era tornata calma. La mente di Grant si calmò e il suo corpo, bagnato dal sudore come in una grande sauna, tornò in suo completo controllo. Poi la vide. Una stalattite si muoveva ancora. E la luce. La luce era piccola, ma si espandeva velocemente. E il vento tuonava, più forte che mai. La carne era cotta dal calore di una fiammata calda . Le stalattiti si staccarono dal soffitto. Si avvicinavano allo sguardo terrorizzato di Colbain, fisso a osservare il soffitto che inesorabilmente crollava su di lui. Il corpo non si muoveva. E il caldo spazzava via la pelle, investendo il fanciullo con tutta la sua potente brezza. E ancora il grido                           

                                                    - DANNNATOOOOOO -

 

     

      Il mattino dopo si svegliò. Il letto era bagnato e non solo dal sudore. Si era orinato addosso dalla

      paura e la vergogna di doverlo dire al suo tutore lo assalì potentemente. Prese le coperte e il   

      copriletto e le strappò dal  materasso per poterle gettare nel secchio del bucato sporco. Notò che

      anche la branda era sporca e venne tentato dall’idea di gettarla dalla finestra. Faceva più caldo

      del solito, forse perché l’urina aveva riscaldato in parte il suo piccolo pigiama. Era confuso sul

      da farsi e, profondamente indeciso, si buttò sul pavimento in parquet abbracciando le coperte.

      Restò in quella posizione a pensare per parecchi minuti. L’incubo aveva sconvolto il suo animo

      debole. Quelle sensazioni non potevano essere solo mentali: lui le aveva percepite, le sentiva,

      cercava di soffocarle, ma le ricordava perfettamente. Andandolo ad avvisare che la scuola

      apriva fra pochi minuti, Williams lo trovò coricato sul pavimento, avvolto dalle gialle coperte

      bagnate. Il cuscino era a terra poco distante da lui. Cole lo raccolse e lo porse a Colbain, il cui

      sguardo era perso nel vuoto più totale. Williams lo prese da sotto il braccio e lo sollevò con

      forza, per poi adagiarlo sullo stesso materasso a cui Grant lanciava ora le maledizioni più

      disparate.

-         E’ normale avere incubi, non ti preoccupare –sussurrò il tutore al suo affidato.

Quasi come gli avesse letto negli occhi, con queste parole Cole riaprì totalmente le porte dell’animo di Grant, il cui sguardo tornò vispo e vivo. Colbain prese le coperte e si diresse verso il bagno,  chiudendo fragorosamente la porta per poi appoggiarvisi. Il suo angelo nero lo aveva salvato un’altra volta dall’oblio, dalla cancellazione dell’essere e dell’esistere. Come aveva potuto dubitare di lui, pensare solo per un attimo che lui avesse qualche relazione con quei vermi? Come aveva potuto far parte, anche se per pochi istanti, della plebaglia giudicante del villaggio? Si sentì profondamente sporco, infangato da quella sporcizia che ti attanaglia l’anima. Pensò che forse l’inferno era il giusto luogo per un’anima macchiata come la sua, che avrebbe raggiunto l’intero villaggio negli antri abissali e che, per giunta, se lo meritava. Grant pensava che il suo sogno sarebbe divenuto reale e che Dio avrebbe operato bene facendolo scendere nell’oscurità in cui in fondo si trovava dalla nascita. L’inferno era il suo luogo e l’obbedienza e il rispetto di un angelo terreno come Cole lo avrebbe portato ad alleviare, anche se di poco, la sua pena. 

-         Ti ho portato un paio di mutande pulite. I vestiti te li potrai prendere da solo,no?- disse la voce di Williams al di là della porta- Fai pure con calma. Ti porterò a scuola quando te la sentirai.

I passi di Cole si allontanarono dalla porta e risuonarono per l’antro delle scale. Grant socchiuse la porta e prese le mutande che trovò subito di fronte a sé, appoggiate sul corrimano. Infilò gli slip dopo aver riposto la biancheria sporca nel cesto e restando nudo per qualche attimo, giusto il tempo di sentire di nuovo la fredda brezza della casa. Appoggiò per  un momento le lenzuola alla grossa vasca e poi le spinse facendole cadere nella stessa. Aprì il rubinetto dell’acqua calda e fece riempire la conca fino all’orlo, in modo che le macchie si smollassero completamente. Il liquido che circondava i tessuti diveniva sempre più giallognolo, rendendo la vasca una piccola pozza di stagno. Grant fissò per un attimo le lenzuola, osservò il suo sguardo ambiguo allo specchio e infine, con tutto il ribrezzo che provava per sé stesso, sputò dentro il lavandino. Fissò nuovamente lo specchio con aria furiosa e quindi si allontanò dal bagno, cercando nei cassetti della sua camera i vestiti per la giornata. Buttò sul letto una maglietta pesante presa a caso nel mucchio ed un paio di jeans blu regalatogli dalla madre il giorno del suo decimo compleanno. Dopo essersi vestito, uscendo dalla camera, fissò la finestra a cui tante attenzioni aveva dedicato la notte precedente, quindi scese le scale e si avviò verso la cucina, dove una sontuosa colazione lo attendeva. Una dura giornata lo aspettava a scuola: si era scordato di lavarsi e togliersi di dosso quel fetore di piscio prima di cambiarsi d’abito.

 

 
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