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VANA RESISTENZA

Post n°22 pubblicato il 24 Agosto 2008 da sangueedanima
 

 

Quella notte era passata lenta, ma ora il pavimento era completamente pulito. Si era presentato al lavoro in perfetto orario, ma, come aveva effettivamente previsto, in condizioni pessime. Aveva gli occhi completamente sbarrati dal sonno e dalla fatica di un riposo non tanto duraturo e confortante, ma si era comunque presentato puntuale. Il capo, contrariamente a quanto pensava, non gli fece alcun rimprovero, anzi, lo elogiò per la perfetta pulizia del locale. La gente tardava ancora ad arrivare, così Grant ebbe il tempo di prepararsi una decente colazione e di preparare i tavoli per il prossimo pranzo. Mise le tovaglie di carta verde pisello, i piatti piani in ceramica bianca e i bicchieri di vetro plasticato, poi collocò su ogni tavolino un vasetto di vetro blu lungo e stretto contenente due o tre fiori colorati. Tornò quindi al bancone e, appoggiando ambedue le braccia sul legno levigato, si fermò ad attendere la clientela.

Verso mezzogiorno, Il Dritto, frequentatore abitualmente notturno del locale, entrò spalancando le ampie porte alla sua famigliola e gettando un’occhiata di saluto verso il barista. I tre si sedettero ad un tavolo lontano sulla sinistra, dove non potevano essere ascoltati né osservati. Il figlio, un casinista di prim’ordine, vociava potentemente gridando insulti ad autisti e professori sconosciuti. La madre, indispettita e innervosita, lo guardava con sguardo punitivo mentre gli tirava forte sul coppino repentine sberle. Mike si sedette, calmo e con un largo sorriso, spostando la tovaglia sopra le gambe e guardando felice e sconsolato la scena. Grant, dal bancone, lo fissava, cercando in lui un qualsiasi bisogno. Era una giornata tranquilla e soleggiata. Le nuvole sembravano essere sparite nel nulla, come se, dopo lo sfogo, il cielo si fosse tutt’a un tratto calmato. La famiglia discuteva pacatamente del più e del meno, aspettando un cameriere che la servisse. Colbain si avvicinò con fare sospetto e infine chiese:

-  Allora.. avete già deciso?

-   Oh, eccolo! – esclamò Il Dritto mostrando il ragazzo ai familiari – Questo è il barista di cui vi

    parlavo.

Grant sembrò un attimo spaventato da tutta quella improvvisa attenzione, poi, abbassando lo sguardo, disse:

-  Beh, piacere.

-  Figliolo, questo giovanotto lavora fino a notte tarda per mantenersi!  Mica come te che passi il

    tempo a cazzeggiare!- disse Mike – Inoltre è un tipo veramente intelligente.. è strano trovar tipi

    così in bettole del genere!

-   Papà! – gridò il figlio – Controllati!

La stanza aveva incentrato la sua attenzione sul trio, svegliata da quell’impropria affermazione. La moglie guardò il marito con aria irritata, poi fissò Colbain e disse, sogghignando:

-   Sai che mio marito torna dal lavoro parlando sempre di te? E’ ossessionato! A volte mi chiedo se

     tu non sia il suo amante!

Il ragazzo arrossì per la vergogna, tra le risa dei clienti, non proferendo neanche una parola. Si ricompose un attimo e quindi disse:

-    Volete ordinare?

-    Ah – rispose la donna, colpita e sorpresa dalla strana reazione – Sì.. vorrei.. una bistecca di

     manzo.. non troppo cotta, mi raccomando – dichiarò, accennando un lieve sorriso. L’imbarazzo e

     la timidezza del barista l’avevano piacevolmente impressionata.

-    Io.. – affermò il figlio di Mike – prendo.. un arrosto con patate. E poi prenderò il dolce, vero

      papà?- chiese al padre.

-    Scegli tu. E’ il tuo compleanno, non il mio – disse Il Dritto, sottintendendo qualcosa verso

      Grant, come volesse uno speciale trattamento per l’erede.

Colbain scrisse tutto sul taccuino, annuì accennando un inchino e si ritirò verso la cucina.

La giornata sembrava calma e normale, ma qualcosa si fiutava nell’aria. La calma precede sempre la tempesta e la felicità precede sempre il dolore. I tre mangiavano tranquillamente, non aspettandosi nulla dal futuro prossimo. Il cibo era buono e scendeva per il palato veloce e dolce come la neve su un prato. Il vetro, accanto al tavolo, mostrava una città tranquilla e allegra, rinchiusa nella celebrazione di quel piccolo cielo blu incastonato tra gli alti palazzi. Le auto passavano lente, quasi calmate dall’atmosfera dolciastra, mentre gli uccelli svolazzavano tra le nuvole. Il dialogo e il pranzo della famiglia era ininterrotti e la sua felicità traspariva nei volti e nell’aria. Mike, con il grosso distintivo piegato nel taschino della camicia, sorseggiava allegramente il vino godendosi il momento in compagnia dei suoi cari.

-    Grant – gridò ad un certo punto il poliziotto – era tutto squisito. Complimenti al cuoco.

Colbain stava passando da quel tavolo proprio in quel momento, quindi si fermò a parlare, cercando nel dialogo un po’ di pace e di sollievo dal duro lavoro.

-     Ok, glielo dirò. Volete il dolce? – chiese quindi il barista.

-     Ehm.. – disse il festeggiato, guardando i visi consenzienti dei genitori – sì, vogliamo il dolce.

Il noto cameriere propose quindi i vari tipi di torta, suggerendo caldamente quella speciale della giornata e allontanandosi poi a decisione presa. Il sorriso della famigliola era abbagliante e visibile da lontano, anche da quei posti da cui la suddetta si era nascosta. Il giovane non stava più nella pelle. Era un goloso e attendeva quindi il dolce come una benedizione.

Colbain ordinò la torta, caldeggiando un festeggiamento da parte del locale con canzoncina del personale e candeline. Ad ogni modo, dopo qualche minuto, convinse i colleghi a canticchiare gli auguri portando il dolce fuori dalla cucina e ignorando, per un po’, i commenti degli altri clienti. La famiglia fu perfettamente servita e il compleanno fu celebrato come di norma. Il figlio di Mike, imbarazzato, tornò per un attimo il bambino che era stato a lungo.

-      Soffia! Soffia! Soffia! Soffia! – gridava la gente intorno, esortandolo a spegnere le candeline.

Il giovane preparò un ampio respiro. Poi avvenne. Il vetro si ruppe in mille frammenti. Nel locale risuonò il metallo di uno sparo. Dall’altra parte della strada, un bruto trasandato impugnava una grossa pistola, diretta contro il ristorante. Lo sguardo di Mike era terrorizzato e sull’orlo del pianto. Il sangue era schizzato sui camici e sugli altri tavoli. La testa del giovane giaceva, aperta come un cocomero,  sulla torta tanto voluta e che aveva ora assunto un colore violaceo. Il personale era terrorizzato. Vomitavano, urlavano, correvano. Colbain era stato spinto a terra e giaceva, appoggiato ai gomiti e con lo sguardo svuotato, sul pavimento lavato la notte prima e ora pieno di macchie. La madre stringeva il corpo del figlio piangendo furiosamente. Aveva l’abito della festa tutto macchiato. Il Dritto, preso da una rabbia furiosa, corse fuori dal ristorante lanciando un potente urlo. Cominciò a rincorrere l’omicida con tutta l’ira che aveva in corpo, spingendo le sue gambe oltre ogni limite. Grant era ancora a terra, a guardare il cadavere di quello che fino a poco tempo prima era stato il festeggiato e la madre che cingeva il corpo vuoto disperandosi. Dopo tanto tempo, Colbain aveva rivisto un morto. E non ne aveva visto solo il corpo. Aveva visto l’attimo. Il proiettile era penetrato nella nuca e, fuoriuscendo dall’altra parte del cranio, lo aveva aperto come un caco. I rimasugli erano dappertutto, perfino sulle sue mani, quelle stesse mani che poco prima avevano posato sul tavolo la torta, quella torta che ora faceva da cuscino al capo svuotato.

Mike correva furiosamente dietro al farabutto. Giunsero ad un incrocio. Il pazzo attraversò la strada senza aspettare il semaforo e senza guardare se passasse qualche macchina. Era pomeriggio, e il sole batteva sull’asfalto. I passi furono lesti e inattesi. Nessuna macchina passò, solo un camion, un grosso camion. L’assassino fu colto di sorpresa in mezzo alla strada e preso in pieno. I freni partirono in ritardo, trascinando il corpo a vari metri tra il paraurti e le ruote anteriori. Il Dritto era fermo sul ciglio della strada, in piedi, appoggiato con le mani sulle ginocchia, a vedere l’orribile scena. Aveva fatto la fine che meritava? O forse meritava di peggio? Di certo non fu questo il primo pensiero del poliziotto. Pensò al suo ragazzo morto e stette lì, fermo, davanti al traffico bloccato, a non pensare a nulla, per non soffrire.

Al locale giunse una volante della polizia. Troppo tardi, inutilmente. Portarono via il corpo nella grossa sacca nera e fecero uscire tutta la gente, cingendo il luogo con un nastro giallo e allontanando i curiosi. Cominciarono a giungere i giornalisti. Qualcuno osò pure tentare di intervistare la madre della vittima, cinta da una coperta per sopportare il freddo che era sopraggiunto al calar della sera e da un muro di sofferenza. Aveva ormai finito le lacrime ed ora era lì, a fissare nel vuoto e ad addolorarsi della scomparsa di qualcuno che non meritava di morire in quel modo.

Mike fu recuperato da un’altra volante. Lo trovarono appoggiato su un muro, fermo e con lo sguardo vuoto. Non aveva pianto, non aveva pensato. Il corpo dell’assassino fu raggranellato in varie operazioni, bloccando il traffico imbestialito e i soliti inopportuni curiosi. Grant vagava ormai da ore per la città cercando di capire il perché di una tale tragedia. Quel pomeriggio, le sue speranze di trovare nel bar una risposta erano finite. Erano rimaste lì, a fissare quel cadavere, quel corpo morto e rimpianto. Erano rimaste lì, in quel ristorante, a vagare per l’eternità.

 

 

 
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