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Riconoscenzae


La riconoscenza può essere un peso o trasformarsi in un valore, dipende da come la si esercita in maniera più o meno spontanea. Ricordavo a mia madre, nei suoi amorevoli atti di generosità, che era necessario infatti non ricordare troppo spesso ai "beneficiari" di quali e quanti sacrifici era stata capace per amore: il valore dei suoi atti si sapebbe annullato, la riconoscenza se richiesta come corrispettivo affettivo, sarebbe diventata un "peso".La rassicuravo però sull'evidenza di quel suo operare per il mio bene e sul mio devotissimo e riconoscente affetto. Mi sono esercitata perciò sempre all'attenzione ed all'ammirazione; capisco quando è necessario ringraziare, ricordarsi di qualcuno, sostenere con una gratificazione. Non sono perfetta, ovviamente, neanche in questo: per eccesso di zelo, rifuggo qualsiasi ringraziamento e tendo a sminuire la fatica che mi costa operare per il bene comune. Così per mia colpa, come sempre, autorizzo gli altri alla superficialità, al mancato esercizio di ammirazione, alla concetrazione narcisistica  sul sè. La riconoscenza è autentica quando è spontanea e nasce dalla capacità di osservare l'operato altrui nel tempo, immaginarne i frutti, riconoscerne l'altruismo. La riconoscenza ha un valore, inestimabile, tanto più importante quanto più è indipendente da ogni richiesta di risarcimento affettivo. Ma alla riconoscenza bisogna saper educare e bisogna saperlo fare con la leggerezza della maieutica, con dialoghi e tempo.Quello della richiesta di riconoscenza è un atto pesante che ne annulla il valore. Essere riconoscenti spontaneamente è quasi una "celeste dote". Non esserlo affatto è un esercizio grave di volatilità del fattore umano e la colpa risiede comunque sempre nel benefattore che non aiuta e non guida, di fatto, che infantilmente sminuisce, che, di fatto, non educa .Mannagggiammè