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GUERRA E IPOCRISIA

Post n°16 pubblicato il 19 Gennaio 2009 da semprefrank
 

AUMENTA LA POVERTA’.CHE FARE ?  un inquietante articolo di Jean Fabre, vicedirettore del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo – UNPD, pubblicato negli anni 1997-'98 e ancor oggi di una drammatica attualità)

Esaminiamo con realismo le cause delle guerre commentando l'articolo di Jean Fabre.
La guerra di Gaza, è l'ennesimo tragico capitolo di un conflitto le cui cause sono divenute un groviglio enigmatico inestricabile per le Nazioni Unite e per il mondo intero.
Le radici di questo “eterno conflitto”, di là da quella “biblica” e religiosa che richiederebbe un approfondimento più esteso, ha purtroppo le stesse cause, comuni a tutte le guerre.
Queste cause vanno evidenziate guardando davvero in faccia la realtà.
Si vedrà così che alla radice dei conflitti, sono spesso quegli stessi paesi "evoluti" che predicano la pace e la sacralità universale dei diritti umani.
Sono spesso gli stessi, causa di guerre, distruzioni, morte.
Si tace su queste argomentazioni, per i seguenti diversi motivi.
La complessità e la dimensione di questi drammi spesso non consentono un giudizio equo ed oggettivo, ma solo una presa di posizione spesso di parte.
La realtà politica, in cui per fortuna è il nostro paese in Europa, ci tiene ancora protetti dalla guerra e dal pericolo che succeda, ancorché nulla ci garantisca il futuro.
La cronaca che vediamo davanti al video, quando non è disinformazione, è informazione virtuale che ci coinvolge solo come spettatori, quasi davanti allo spettacolo di un film, e che agisce, al più, solo sul piano dell'opinione.
Malgrado la crisi economica che stiamo vivendo, il nostro tenore di vita, le nostre abitudini e le nostre condizioni generali, ci tengono ancora al riparo dalla miseria e dall’indigenza in cui molti paesi si trovano.
Perché sono argomentazioni scomode e quando dilaga l’anticultura, la perdita dei valori morali e spesso il buon senso, non ci si pensa affatto.

Emergerà così anche qualche “paradosso”.
a)
Molte cause che favoriscono la guerra, sono in molti casi, l'effetto ed il prezzo del  benessere e dei paesi ricchi.
Principalmente, come si sa, perché le guerre, da sempre, nascono dalla squilibrata distribuzione dei beni e risorse nel pianeta e dalle enormi disparità economiche e sociali nel mondo.
Per milioni d’esseri umani, è ancora impossibile accedere alle risorse prime della sopravvivenza come l’acqua ed il cibo. (*)
(*)Il 2% della popolazione adulta del mondo possiede oltre la metà di tutta la ricchezza mondiale: è quanto risulta da uno studio condotto dal World Institute for Development Economics Research delle Nazioni Unite (UNU-WIDER) che ha sede a Helsinki. Il più vasto studio sulla ricchezza personale mai intrapreso indica anche …(ndr)…..La concentrazione della ricchezza all’interno dei paesi, pur variando da nazione a nazione, è comunque anch’essa in generale molto elevata. Il 10% più ricco della popolazione adulta possiede in Cina il 40% della ricchezza nazionale, mentre negli Stati Uniti arriva al 70%. Il rapporto completo è scaricabile dal sito dell'UNU-WIDER.
------------------
Negli ultimi 15 anni il numero dei più ricchi è raddoppiato. Mentre il numero dei più poveri è triplicato…
Esso continua a crescere ad un ritmo spaventoso: 47 poveri in più ogni minuto che passa; 25 milioni in più l’anno. E’ una cosa che bisogna invertire perché la quantità di persone che vive nella miseria oggi rappresenta l‘equivalente della metà della popolazione del mondo di quarant‘anni fa.
……………….la dignità della nostra società che non interviene, eppure, siamo la prima generazione ad avere i mezzi e le capacità per eliminare la povertà.
Nonostante questo, ci sono 35 milioni di disoccupati nei paesi industrializzati, 120 milioni nel mondo, 700 milioni di persone che, pur avendo un lavoro, non riescono a mantenere se stessi e la propria famiglia….
(Jean Fabre)
- lo spreco nei paesi “evoluti” dei soli generi alimentari raggiunge cifre mostruose;
- incredibili ricchezze sono in mano a pochi mentre milioni di persone soccombono nella povertà;
Lo stesso sistema di sviluppo, basato sulla “teologia” del libero mercato, così come finora ritenuto, da tutti i grandi economisti, il migliore, anche se ha portato progresso e benessere, è di per sé causa di enormi squilibri.
La libera concorrenza, difesa quale unico regime a garanzia di libertà e progresso, non controllata da regole etiche, ha provocato negli USA la catastrofe cui stiamo assistendo e che sta mettendo a soqquadro l'economia mondiale.
(ndr)Con la “teologia del Mercato” sembra reggere solo l’idea della competizione. Ma cosa siamo diventati? Delle belve?
Compresa naturalmente la nostra.
Questo sistema crea ricchezza per pochi contro povertà per molti,
malgrado si continui a ritenere che il sacro “libero mercato” metterà a posto tutto….(**)

(**)La verità è che il Mercato, pure trionfante, non assicura alcuna redistribuzione equa della ricchezza, non prevede il futuro, non tiene conto dei danni ambientali, ignora le generazioni future. In altre parole il Mercato è miope, e nonostante i suoi lati positivi, non basta a risolvere i problemi... (ndr)...
Anche se inizialmente la crescita sarà accompagnata da un aumento delle disparità, poi le cose miglioreranno e tutti potranno avere benefici della crescita e del Mercato”.
La realtà è molto diversa. Negli ultimi cinquant’anni abbiamo conosciuto un progresso senza precedenti. La ricchezza mondiale è stata moltiplicata per sette. E, siccome nel frattempo la popolazione è raddoppiata, la ricchezza pro capite nel mondo (in termini reali) è triplicata.
Dovremmo, dunque, stare tutti meglio. Ma la disoccupazione va crescendo ed è in testa alle preoccupazioni degli italiani e di tanti altri in tutto il mondo. La protezione sociale si sta smantellando in tutti i paesi. Le assicurazioni sociali, la copertura medica, le pensioni sono tutte rimesse in discussione: mentre le ricchezze sono aumentate e, nei prossimi anni, potremmo produrre ancora di più beni e servizi con meno lavoro.

Paradossale è che, mentre la ricchezza complessiva aumenta, aumenta la povertà!
Questo sistema, fa funzionare il processo economico solo nei paesi dove, la ricchezza (o le basi di essa come l’acqua, l’agricoltura) esiste già e, dove, può essere combinata con la trasformazione in merce di scambio ed in fattori produttivi in grado di rinnovare se stessi.
Cioè, in quei paesi già sviluppati a differenza degli altri dove non esiste nulla, se non carestia e morte.
Molti paesi cosiddetti in "via di sviluppo", (ammesso che questa definizione presupponga un possibile sviluppo) sono, perciò, nell'impossibilità di svilupparsi, o lo saranno forse un giorno ove sussistessero le condizioni.
Nei paesi dove c’è petrolio, si verifica il seguente altro paradosso:
il ricavato della vendita dell’oro nero potrebbe sfamare milioni di persone e potrebbe diffondere il benessere in molti paesi poveri.
Avviene invece che la concentrazione della ricchezza è in mano a pochi ricchissimi (v. Emirati Arabi) e non viene investita nei paesi dove maggiore è il bisogno (per es: di impianti idrici, opere di bonifica e investimenti industriali).
Abbandonati a se stessi diventano a loro volta preda di malattie e guerre fratricide. Plaghe di terrorismo.
.(***) Oggi viviamo nel mondo dell’interdipendenza. Un mondo in cui pretendere di risolvere i problemi nazionali con misure esclusivamente nazionali è un modo inefficace, sbagliato, inadeguato.
Il mondo non si può governare guardando ciascuno al proprio giardino: occorre inserire il proprio giardino nel contesto più generale. Ed è in questo “contesto generale” che vediamo come la crescita della ricchezza mondiale va a vantaggio di un gruppo ristretto di persone. Negli ultimi 15 anni il numero dei più ricchi è raddoppiato. Mentre il numero dei più poveri è triplicato.
Esso continua a crescere ad un ritmo spaventoso: 47 poveri in più ogni minuto che passa; 25 milioni in più l’anno. E’ una cosa che bisogna invertire perché la quantità di persone che vive nella miseria oggi rappresenta l‘equivalente della metà della popolazione del mondo di quarant‘anni fa.

Quella ricchezza si accumula nei paesi già straricchi e potenti (es. Emirati Arabi e altri) che controllano poi l’economia e la politica mondiale, mentre nulla va in favore delle plaghe depresse del mondo che vedono aumentare la propria povertà.
La mancanza d'acqua e d'industria è l'equivalente della mancanza d'ossigeno per una fiamma e sono requisiti essenziali per ogni sopravvivenza prima ancora che di ogni sviluppo.
Eppure, è convinzione diffusa che quei paesi (in via di sviluppo), riusciranno a svilupparsi e raggiungere il benessere, senza peraltro indicare come e senza mettere in atto provvedimenti di investimento.
La realtà, quindi, è completamente diversa e molto distante da come la immaginiamo e da come viene dipinta nelle enunciazioni ufficiali e nei mass-media.
A parte l'India e la Cina, che sembrano seriamente impegnati nella via del progresso, in senso più equo e meno speculativo di quello che ha portato alla bancarotta la prima potenza mondiale, in molti paesi cosiddetti "in via di sviluppo", la situazione è semplicemente tragica.
Si può forse rendersene conto considerando l'ecatombe in cui vivono paesi (Darfur, Ghana, Burundi e altri dell’Africa sub-sahariana) dove regna solo fame guerra e violenza.
Non diversa è la situazione di molti paesi del mondo islamico dove persiste arretratezza e fanatismo (Afganistan, Iran ecc.).
Altre cause, non certo minori, sono determinate dalle differenze ed ingiustizie che impediscono il superamento di altri bisogni e la conquista di successivi livelli di benessere.
Vanno aggiunte le diversità culturali, etniche e religiose, e l’uso violento dell’ideologia contro l’altra, abbiamo davanti un quadro decisamente sconfortante sul piano della speranza in una pace mondiale duratura.

Tutto il mondo vive, in questi giorni, la speranza che l’insediamento e la politica preannunciata dal presidente Obama, riesca nell’immane impresa che dovrebbe risollevare le sorti economiche degli U.S.A. e del mondo intero
La sua proposta politica è certamente “epocale” e, proprio perché recepisce molte delle considerazioni qui contenute (e nell’art. di Fabre), dovrebbe essere  l’unica  giusta .
YES WE CAN vuole significare che:
Il “dovere di cooperare” non si può rispettare con le briciole. Ci sono solo due cose che misurano le priorità che abbiamo nella nostra vita individuale come nell’azione delle istituzioni: il tempo e i soldi che dedichiamo ad una cosa. Tutto il resto è puro sentimentalismo. (ndr)
Un patto internazionale di governo delle situazioni, e non delle istituzioni non comincia con una manciata di quattrini. Ci vuole l’espressione di una volontà politica e quindi di cospicui bilanci. E chi non vorrà pagare oggi, pagherà di più domani.
Come ricordava all’ONU un ambasciatore: “Non dimentichiamo mai che le Nazioni Unite, concepite per evitare il ritorno della guerra, non sono nate da un sogno, ma da un incubo”. Negli anni ’20 o ’30, il mondo ha perso varie occasioni di organizzare la pace. Il risultato è stato: l’invasione della Manciuria, la conquista dell’Etiopia, il tradimento di Monaco, gli orrori dell’Olocausto e le distruzioni della seconda guerra mondiale. Stiamo attenti a non assumerci oggi una simile responsabilità.

 

 

 

 
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