Creato da eatcafe il 01/05/2006

SCRITTO SUL CORPO

viaggio negli enigmi e nelle profondità del desiderio

 

 

Post N° 198

Post n°198 pubblicato il 09 Ottobre 2006 da eatcafe

Le temps

Niente di ciò che ci appare è verità.
Al tempo stesso tutto accettiamo come unica verità possibile.
Bandita ogni speranza, ogni sogno.
Nessun angolo dietro il quale scorgere meraviglia.
Non vedo queste righe diritte e ordinate. Scappano verso l'alto, verso destra come onde liquide. Sfumo insieme alla musica.
Insieme a ciò che resta.

 
 
 

Post N° 196

Post n°196 pubblicato il 08 Ottobre 2006 da eatcafe

NEL CERCHIO DI UN PENSIERO

(TEATRO PER SOLA VOCE)

si specano molte parole
sul modo di far poesia
sul modo di credere
sul modo di inventare

La poesia è un petalo
che cade nel vuoto
in bocca
ad un leone
che ruggisce

Alda Merini

 
 
 

Post N° 194

Post n°194 pubblicato il 07 Ottobre 2006 da eatcafe

A Mario, Loris, Antonello, Liubiza, Sonelcecio... grazie.

La marionetta

 

Se per un istante Dio dimenticasse che sono una marionetta di stoffa e mi regalasse un poco di vita, probabilmente non direi tutto quello che penso, però in definitiva penserei tutto quello che dico.

Darei valore alle cose, non per quello che valgono, ma per quello che significano.

Dormirei poco, sognerei di più, capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi, perdiamo sessanta secondi di luce.

Andrei avanti quando gli altri si fermano, mi sveglierei quando gli altri dormono.

Ascolterei quando gli altri parlano, e come gusterei un buon gelato al cioccolato!

Se Dio mi regalasse un poco di vita, vestirei in modo semplice, mi butterei a terra al sole, lasciando allo scoperto, non soltanto il mio corpo ma anche la mia anima.

Mio Dio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio, e aspetterei che uscisse il sole.

Dipingerei con un sogno di Van Gogh sulle stelle un poema di Benedetti, e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna.

Innaffierei con le mie lacrime le rose per sentire il dolore delle loro spine, e l’incarnato bacio dei suoi petali...

Mio Dio, se io avessi un poco di vita...

Non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che gli voglio bene. Convincerei ogni donna o uomo che sono i miei preferiti e vivrei innamorato dell’amore.

Agli uomini proverei quanto si sbagliano quando pensano che smettono di innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi!.

A un bambino gli darei le ali, però lascerei che da solo imparasse a volare.

Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia ma con la dimenticanza.

Tante cose ho imparato da voi, gli uomini...

Ho imparato che tutto il mondo vuole vivere nella cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel modo di salire la scarpata.

Ho imparato che quando un bambino appena nato stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di suo padre, lo mantiene intrappolato per sempre.

Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare un altro dall’alto, solo quando lo aiuta ad alzarsi.

Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi, però realmente a molto non serviranno, perché quando mi metteranno dentro quella valigia, infelicemente starò morendo."

Di sempre ciò che provi e fai quello che pensi. Se sapessi che oggi fosse l’ultima volta che ti vedo andare a dormire, ti abbraccerei forte e pregherei il Signore per poter diventare il guardiano dei tuoi sentimenti.

Se sapessi che questa fosse l’ultima volta in cui ti vedo uscire dalla porta, ti stringerei, ti darei un bacio e ti richiamerei nuovamente a me per baciarti ancora. Se sapessi che questa fosse l’ultima volta che ascolto la tua voce, registrerei tutte le tue parole per poterle ascoltare, una, mille, infinite volte. Se sapessi che questi fossero gli ultimi istanti in cui posso vederti, direi “ti amo” e non darei, stupidamente, per scontato che tu già lo sappia.

C’è sempre un domani e la vita ci offre sempre una nuova opportunità per fare bene le cose, però nel caso in cui mi sbagliassi e oggi è tutto quello che ci resta, mi piacerebbe dirti quanto ti amo e farti sapere che non ti dimenticherò mai.

Il domani non è garantito per nessuno, giovane o vecchio che sia. Oggi potrebbe essere l’ultima volta che vedi le persone amate. Per questo, non attendere ancora, fallo oggi, visto che, se il domani non dovesse mai giungere, potresti facilmente rimpiangere i giorni in cui non ti concedesti il tempo per un sorriso, per un abbraccio, per un bacio, e quelli in cui fosti troppo occupato per prestare attenzione ad un loro ultimo desiderio.

Tieni vicino a te coloro che ami, non nascondergli che hai bisogno di loro ed esprimigli segretamente fino a che punto sono importanti per te, amali e rispettali, prenditi il tempo per dirgli “mi spiace”, “perdonami”, “per favore”, “grazie” e tutte le parole d’amore che conosci.

Chiedi al Signore la forza e la saggezza per esprimerli sempre. Dimostra ai tuoi amici quanto essi ti interessino e quanto essi siano importanti per te.

GABRIEL GARCIA MARQUEZ

 

 
 
 

Post N° 193

Post n°193 pubblicato il 07 Ottobre 2006 da eatcafe

Ricevo in privato da uno sconosciuto:

Me lo sono letto il tuo blog, Cristina e l'ho trovato claustrofobico con tanto di odore di chiuso. Ci trovo sentenze già scritte e prospettive azzerate di un'anima dolente che non si concede la minima speranza. Fredda e triste la versione di Ofelia dentro la vasca da bagno. Millais si rivolterebbe nella tomba nel vederla. Hai fatto strame di keats e del suo emblema romantico contrapponendogli filosofie orientali. Ti vedo smarrita ed errante in percorsi sempre uguali dai quali chiedi aiuto doloroso e sordo. Più che di questa mia impressione abbozzata dovresti tener conto dei tuoi errori. Ma i popoli e gli individui si determinano da se ed io non ho nessun diritto di toglierti il lusso e la libertà di sbagliare. La mia mano te la porgo lo stesso, però, anche se il tuo orgoglio smisurato la rifiuterà..
Alex

Ricevo in data 26/11/2006

Ed ecco ricomparire pestis68, marchigiano, maschio, solitario e desolato, sardonico mentre dà del maestrino ad efesto68, uomo duro, pragmatico, violento quanto basta che non si sognerebbe mai di chiedere, non ne ha bisogno. Pestis68, taglia la faccia a lupoferito68 che ammonisce efesto68 sul pericolo di innamorarsi delle ofelie che fanno strame di keats contrapponendogli filosofie in salsa orientale. Una domanda sorge spontanea. Ma sarà proprio innamorato di scrittosulcorpo in nostro ineffabile efesto68 che asserisce di conoscerla, ma, certo, se l'avesse incontrata almeno una volta, non avrebbe bisogno di tagliare a fette i suoi invertebrati e improbabili alfieri che pretenderebbero di difenderla opponendo i loro corpi da molluschi alle sciabolate del diabolico efesto68 determinato a fare a fette quella coltre di ragnatele che toglie la luce e l'aria a chi ne avrebbe un grandissimo bisogno. Lo scontro sembra epocale al viandante che osserva distrattamente. In realtà non c'è confronto, come quando tante palline da ping pong rimbalzano contro un'unica palla da biliardo. Che palle! A scrittosulcorpo non resta che ringraziare i suoi generosi eroi incerottati con una preghiera domenicale inneggiante all'amicizia, prima di trasferirsi in un altro blog ovvero morire e risorgere passando dal nero al rosa di fiori novelli. E ammettiamolo pure, c'è molta poesia in questo. Il passato però incombe come questione irrisolta, affare lasciato in sospeso. Certo, è quasi sicuro dallo stile deciso, sferzante, insofferente e violento chi è in realtà efesto68, ma ogni persona che possa dirsi tale un dubbio lo conserva sempre ed è un dubbio feroce ed al tempo stesso affascinante. La nuova nata essereeilnulla prende spunto da Pollicino e lascia i sassolini sulla strada per permettere ad efesto68 che potrebbe essere jeff di trovarla. Così si inventa questi fantomatici marchigiani le cui schede nessuno frequenta, con la stessa desinenza sessantottesca e lo stesso segno zodiacale. Efesto68 non ha fretta, si gode il nuovo coloratissimo capitolo della storia e si presenta come prometeo.f, il primo antropofilo della storia, colui che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini. Il fuoco che illumina e brucia proprio come la verità. Ed ecco comparire scritti in latino da Pico e motti di filosofi tedeschi, come dire che essereeilnulla ha capito l'antifona, non ne è sicura ma, in fondo, non può essere che così. Ed è così. Potremmo di certo inventare altri personaggi, far morire quelli vecchi per poi risuscitarli come in ogni telenovela che si rispetti. Siamo vicini alla realizzazione di quel sogno estivo, ricordi? Scrivere un romanzo a due mani. Sarebbe un successo. C'è tanto di quel materiale per i seguaci di Freud da farne felice un reggimento. E che cavolo, devono vivere anche loro. Però, con la mente sono tornato a quella domenica di fine luglio. Ero così felice quel giorno di averti conosciuto, Cristina, e sentivo dentro come un fiume in piena che minacciava gli argini. E non sono andato vicino a quella panchina. Non ne avevo bisogno, c'eri tu. Ed eri così splendidamente vera mentre ti stupivi degli abiti che indossavo e del modo con cui mi avvicinavo a te. Lo ammetto. Era tutto troppo bello per sperare che fosse vero senza correre il rischio di illudersi. Così ho prudentemente aspettato e tu l'hai scambiata per una strategia. Tanti nick femminili e volgari che danzavano intorno al mio aumentavano i tuoi sospetti. Il tuo telefono che non funzionava e la foto che non ti ho dato quando decidesti per il non luogo a procedere. Così decisi di darmi un mese ti tempo per lasciare che tutto sedimentasse o, meglio, lasciare che lentamente l'olio buono venisse a galla. Ti telefonai dalle Marche, la stessa regione di pestis68 e lupoferito68 (entrambi tori come me.) e fu bello sentire la tua voce e la sua inflessione veneta. Peccato che ora sei diventata emiliana. Però ti sei ritolta quei quattro anni che ti eri aggiunta ed hai di nuovo cambiato segno zodiacale. Bastarono pochi giorni perché quell'incanto finisse. Mi mandasti un messaggio lapidario sulla menzogna che azzera l'amicizia e l'amore. Ti ho cercato al ritorno del viaggio, ma ti sei negata. Il telefono squillava desolatamente a vuoto. Rimanevi rintanata in un luogo che non era un luogo e che era tutto ed il contrario di tutto, cioè niente, tranquillizzante ed inquietante. Eccoti creare questo universo all'incontrario dove le parole, ricavate da un vacuo copia ed incolla, precedono i fatti e non viceversa, come dovrebbe essere.
Avrei voluto semplicemente incontrarti. Mi saresti piaciuta, mi avresti fatto schifo, non lo so e non me ne sono mai preoccupato. I fatti devono precedere le parole. Occorre permettere all'evento di svilupparsi, analizzarlo attentamente e tirarne fuori ogni verità possibile. L'equazione è di una semplicità disarmante, ma solo così è possibile sconfiggere i tuoi numerosi demoni. E questo sì l'avrei tentato a prescindere, ma con molta naturalezza, prendendo i tempi giusti come in guerra, dove le strategie contano sì, ma poi ci si ritrova a cambiare in corsa l'atteggiamento e vince chi si dimostra più elastico e chi prende le decisioni più alla svelta. Vince chi si muove più rapidamente e porta in salvo il culo.
No, non ti amo, Cristina. Mi è sembrato ma non è così. Non potrei amarti. Le tue foto intriganti in minigonna, il tuo corpo da bambina non mi dicono niente avulsi dall'inflessione della tua voce, dal tuo modo di muoverti, di sorridere, dal profumo dei tuoi capelli e della tua pelle. Hai chiuso a tripla mandata uno scrigno temendo che fosse il vaso di Pandora ed il risultato è una manciata di sabbia che ti è scorsa tra le dita. Avresti potuto stringerla e tenerla per te e non lo hai fatto. Lasciamelo dire. Tutto il resto è polvere e non è degno ne di te ne di me. Ogni suo granello andrà ad inceppare altri meccanismi vitali fino a portarci alla paralisi completa. Non soffrirai più allora e neppure potrai dirti viva. Mi chiedo e ti chiedo se è davvero questo che vuoi o se piuttosto preferiresti ripartire da quel pomeriggio agostano e dalle poche ore che lo seguirono, quando ballasti per me e con me dentro la tua carne ed i tuoi pensieri sulle note di Bregovich. Avrei dato la vita per vederti.
Jeff, efesto, prometeo..

Ricevo in data 8/12/2006

Non ti offendere, ma sei stata una sciocca a non rispondere al telefono quando stavi cambiando residenza, età, segno zodiacale e movimento artistico passando dal nero opprimente claustrofobico all' en plein air di questo neo impressionismo veneziano. Infantilmente hai voluto che seguissi i tuoi sassolini, Pollicina, ed io l'ho fatto testardamente non certo per meri bisogni materiali, ma per dirti queste parole che tu volevi sentire, da sempre. Parafrasando Vecchioni, mentre canto ti ho davanti, i mesi sono stati momenti, sei sempre stata qui davanti a me. E mi manchi.
Questo è l'unico modo che conosco per salvarti dalle schiere di mostri che sospettano di non poter amare nessuno.




 
 
 

Post N° 192

Post n°192 pubblicato il 06 Ottobre 2006 da eatcafe

Tu che passi le giornate sui libri
a cincischiare la noia
e ti senti maestro di critica,
tendi il tuo arco
al cuore di una donna perduta.
Lì mi raggiungerai in pieno.

Alda Merini

 
 
 

Post N° 191

Post n°191 pubblicato il 06 Ottobre 2006 da eatcafe

Magnificat

Magnificat anima mea Dominum,
et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo
quia respexit humilitatem ancillae suae.
Ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes
quia fecit mihi magna, qui potens est
et Sanctus nomen eius
et misericordia eius a progenie in progenies timentibus eum.
Fecit potentiam in brachio suo,
dispersit superbos mente cordis sui,
deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles;
esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes.
Suscepit Israel, puerum suum, recordatus misericordiae suae,
sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius in saecula.

Vangelo secondo Luca (Lc 1, 46-55)

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Post N° 190

Post n°190 pubblicato il 05 Ottobre 2006 da eatcafe

Dedicato al ricordo, alla speranza.

Noi moriamo con quelli che muoiono:
vedi, essi partono, e noi li seguiamo.
Noi nasciamo coi morti:
vedi, essi tornano, e noi con loro torniamo.

T.S. Eliot - Little Gidding

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Post N° 189

Post n°189 pubblicato il 05 Ottobre 2006 da eatcafe

 Quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti.

 Apocalisse

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Post N° 188

Post n°188 pubblicato il 05 Ottobre 2006 da eatcafe

Che succederà? Che riserva il futuro? Non lo so, non presento nulla. Quando un ragno si slancia giù da un punto saldo nei suoi punti conseguenti, innanzi a sè vede sempre uno spazio vuoto, dove nonostante i suoi sforzi gli è impossibile trovare appoggio. Così per me: innanzi sempre uno spazio vuoto, e quel che mi spinge è un conseguente che sta dietro di me. Questa vita è spaventosamente al rovescio, è insopportabile.

S. Kierkegaard - Enten-Eller

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Post N° 187

Post n°187 pubblicato il 05 Ottobre 2006 da eatcafe

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Post N° 186

Post n°186 pubblicato il 04 Ottobre 2006 da eatcafe

 «Vedo me nella tua pelle, me nelle tue ossa, me che fluttuo nelle cavità che adornano le pareti degli studi dei chirurghi. E' così che ti conosco. Tu sei ciò che so.»

J. Winterson

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Post N° 177

Post n°177 pubblicato il 04 Ottobre 2006 da eatcafe

- Ah, lo volevo dire! Lei dunque un uomo pacifico è... Ha perduto il treno?
- Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare davanti.
- Poteva corrergli dietro!
- Già. È da ridere, lo so. Bastava, santo Dio, che non avessi tutti quegl’impicci di pacchi, pacchetti, pacchettini... Più carico d’un somaro! Ma le donne – commissioni... commissioni... – non la finiscono più! Tre minuti, creda, appena sceso dalla vettura, per dispormi i nodini di tutti quei pacchetti alle dita: due pacchetti per ogni dito.
- Doveva esser bello... Sa che avrei fatto io? Li avrei lasciati nella vettura.
- E mia moglie? Ah sì! E le mie figliuole? E tutte le loro amiche?
- Strillare! Mi ci sarei spassato un mondo.
- Perché lei forse non sa che cosa diventano le donne in villeggiatura!
- Ma sì che lo so! Appunto perché lo so. Dicono tutte che non avranno bisogno di niente.
- Questo soltanto? Capaci anche di sostenere che ci vanno per risparmiare! Poi, appena arrivano in un paesello qua dei dintorni, più brutto è, più misero e lercio, e più imbizzariscono a pararlo con tutte le loro galenterie più vistose! Eh, le donne, caro signore! Ma del resto, è la loro professione... - «Se tu facessi una capatina in città, caro! Avrei proprio bisogno di questo... di quest’altro... e potresti anche, se non ti secca (caro, il se non ti secca)... e poi, giacché ci sei, passando di là...» - Ma come vuoi, cara mia, che in tre ore ti sbrighi tutte codeste faccende? - «Uh, ma che dici? Prendendo una vettura...» - Il guajo è, capisce?, che dovendo trattenermi tre ore sole, sono venuto senza le chiavi di casa.
- Oh bella! E perciò...
- Ho lasciato tutto quel monte di pacchi e pacchetti in deposito alla stazione; me ne sono andato a cenare in una trattoria, poi, per farmi svaporar la stizza, a teatro. Si crepava dal caldo. All’uscita, dico, che faccio? Andarmene a dormire in un albergo? Sono già le dodici; alle quattro prendo il primo treno; per tre orette di sonno, non vale la spesa. E me ne sono venuto qua. Questo caffè non chiude, è vero?
- Non chiude, nossignore. E così, ha lasciato tutti quei pacchetti in deposito alla stazione?
- Perché? Non sono sicuri? Erano tutti ben legati...
- No no, non dico! Eh, ben legati, me l’immagino, con quell’arte speciale che mettono i giovani di negozio nell’involtare la roba venduta... Che mani! Un bel foglio grande di carta doppia, rosea, levigata... ch’è per sé stessa un piacere a vederla... così liscia, che uno ci metterebbe la faccia per sentirne la fresca carezza... La stendono sul banco e poi, con garbo disinvolto, vi collocano su, in mezzo, la stoffa lieve, ben ripiegata. Levano prima da sotto, col dorso della mano, un lembo; poi, da sopra, vi abbassano l’altro e ci fanno anche, con svelta grazia, una rimboccaturina, come un di più, per amore dell’arte; poi ripiegano da un lato e dall’altro a triangolo e cacciano sotto le due punte, allungano una mano alla scatola dello spago; tirano per farne scorrere quanto basta a legar l’involto, e legano così rapidamente, che lei non ha neanche il tempo d’ammirar la loro bravura, che già si vede presentare il pacco col cappio pronto a introdurvi il dito.
- Eh, si vede che lei ha prestato molta attenzione ai giovani di negozio...
- Io? Caro signore, giornate intere ci passo. Sono capace di stare anche un’ora fermo a guardare dentro una bottega, attraverso la vetrina. Mi ci dimentico. Mi sembra d’essere, vorrei essere veramente quella stoffa là di seta... quel bordatino... quel nastro rosso o celeste che le giovani di merceria, dopo averlo misurato sul metro, ha visto come fanno? Se lo raccolgono a numero otto intorno al pollice e al mignolo della mano sinistra, prima d’incartarlo... Guardo il cliente o la cliente che escono dalla bottega con l’involto o appeso al dito o in mano o sotto il braccio... li seguo con gli occhi, finché non li perdo di vista... immaginando... – uh, quante cose immagino! Lei non può farsene un’idea. Ma mi serve. Mi serve questo.
- Le serve? Scusi... che cosa?
- Attaccarmi così, dico con l’immaginazione... attaccarmi alla vita, come un rampicante attorno alle sbarre d’una cancellata. Ah, non lasciarla mai posare un momento l’immaginazione... aderire, aderire con essa, continuamente, alla vita degli altri... ma non della gente che conosco. No no. A quella non potrei! Ne provo un fastidio, se sapesse... una nausea... Alla vita degli estranei, intorno ai quali la mia immaginazione può lavorare liberamente, ma non a capriccio, anzi tenendo conto delle minime apparenze scoperte in questo e in quello. E sapesse quanto e come lavora! Fino a quanto riesco ad addentrarmi! Vedo la casa di questo e di quello, ci vivo, ci respiro, fino ad avvertire.. sa quel particolare alito che cova in ogni casa? Nella sua nella mia... Ma nella nostra, noi, non l’avvertiamo più per ché è l’alito stesso della nostra vita, mi spiego? Eh, vedo che lei dice di sì...
- Sì, perché... dico, dev’essere un bel piacere, questo che lei prova, immaginando tante cose...
- Piacere? Io?
- Già... mi figuro...
- Ma che piacere! Mi dica un po’. È stato mai a consulto da qualche medico bravo?
- Io no, perché? Non sono mica malato!
- No no! Glielo domando per sapere se ha mai veduto in casa di questi medici bravi la sala dove i clienti stanno ad aspettare il loro turno per esser visitati.
- Ah, sì... mi toccò una volta accompagnare una mia figliuola che soffriva di nervi.
- Bene. Non voglio sapere. Dico, quelle sale... Ci ha fatto attenzione? Quei divani di stoffa scura, di foggia antica... quelle seggiole imbottite, spesso scompagne... quelle poltroncine... È roba comprata di combinazione, roba di rivendita, messa lì per i clienti; non appartiene mica alla casa. Il signor dottore ha per sé, per le amiche della sua signora, un ben altro salotto, ricco, splendido. Chi sa come striderebbe qualche seggiola, qualche poltroncina di quel salotto portata qua nella sala dei clienti, a cui basta quell’arredo così, alla buona. Vorrei sapere se lei, quando andò per la sua figliuola, guardò attentamente la poltrona o la seggiola su cui stette seduto, aspettando.
- Io no, veramente...
- Eh già, perché lei non era malato... Ma neanche i malati spesso ci badano, compresi come sono del loro male. Eppure, quante volte certuni stan lì intenti a guardarsi il dito che fa segni vani sul bracciuolo lustro di quella poltrona su cui stan seduti! Pensano e non vedono. Ma che effetto fa, quando poi si esce dalla visita, riattraversando la sala, il riveder la seggiola su cui poc’anzi, in attesa della sentenza sul nostro male ancora ignoto, stavamo seduti! Ritrovarla occupata da un altro cliente, anch’esso col suo male nascosto; o là, vuota, impassibile, in attesa che un altro qualsiasi venga a occuparla... Ma che dicevamo? Ah, già... il piacere dell’immaginazione... Chi sa perché, ho pensato subito a una seggiola di queste sale di medici, dove i clienti stanno in attesa del consulto...
- Già... veramente..
- Non capisce? Neanche io. Ma è che certi richiami di immagini, tra loro lontane, sono così particolari a ciascuno di noi, e determinati da ragioni ed esperienze così singolari, che l’uno non intenderebbe più l’altro se, parlando, non ci vietassimo di farne uso. Niente di più illogico, spesso, di queste analogie. Ma la relazione, forse, può esser questa, guardi: - Avrebbero piacere quelle seggiole d’immaginare chi sia il cliente che viene a seder su loro in attesa del consulto? Che male covi dentro? Dove andrà, che farà dopo la visita? – Nessun piacere. E così io: nessuno! Vengono tanti clienti, ed esse sono là, povere seggiole, per essere occupate. Ebbene, è anche un’occupazione simile la mia. Ora mi occupa questo, ora quello. In questo momento mi sta occupando lei, e creda che non provo nessun piacere del treno che ha perduto, della famiglia che l’aspetta in villeggiatura, di tutti i fastidii che posso supporre in lei...
- Uh, tanti, sa!
- Ringrazii Dio, se sono fastidii soltanto. C’è chi ha di peggio, caro signore. Io le dico che ho bisogno d’attaccarmi con l’immaginazione alla vita altrui, ma così, senza piacere, senza punto interessarmene, anzi... anzi... per sentirne il fastidio, per giudicarla sciocca e vana, la vita, cosicché veramente non debba importare a nessuno di finirla. E questo è da dimostrare bene, sa? Con prove ed esempii continui a noi stessi, implacabilmente. Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c’è, c’è, ce lo sentiamo tutti qua, come un’angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell’atto stesso che la viviamo, è così sempre ingorda di sé stessa, che non si lascia assaporare. Il sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. Il gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati. Ma legati a che cosa? A questa sciocchezza qua... a queste noje... a tante stupide illusioni... insulse occupazioni... Sì sì. Questa che ora qua è una sciocchezza... questa che ora qua è una noja... e arrivo finanche a dire questa che ora è per noi una sventura, una vera sventura... sissignori, a distanza di quattro, cinque, dieci anni, chi sa che sapore acquisterà... che gusto, queste lagrime... E la vita, perdio, al solo pensiero di perderla... specialmente quando si sa che è questione di giorni... – Ecco... vede là? Dico là, a quel cantone... vede quell’ombra malinconica di donna? Ecco, s’è nascosta!
- Come? Chi... chi è che...?
- Non l’ha vista? S’è nascosta...
- Una donna?
- Mia moglie, già...
- Ah! La sua signora?
- Mi sorveglia da lontano. E mi verrebbe, creda, d’andarla a prendere a calci. Ma sarebbe inutile. È come una di quelle cagne sperdute, ostinate, che più lei le prende a calci, e più le si attaccano alle calcagna. Ciò che quella donna sta soffrendo per me, lei non se lo può immaginare. Non mangia, non dorme più... Mi viene appresso, giorno e notte, così... a distanza... E si curasse almeno di spolverarsi quella ciabatta che tiene in capo, gli abiti... Non pare più una donna, ma uno strofinaccio. Le si sono impolverati per sempre anche i capelli, qua sulle tempie; ed ha appena trentaquattro anni. Mi fa una stizza, che lei non può credere. Le salto addosso, certe volte, le grido in faccia «Stupida!» scrollandola. Si piglia tutto. Resta lì a guardarmi con certi occhi... con certi occhi che, le giuro, mi fa venire qua alle dita una selvaggia voglia di strozzarla. Niente. Aspetta che mi allontani per rimettersi a seguirmi – Ecco, guardi... sporge di nuovo il capo dal cantone...
- Povera signora...
- Ma che povera signora! Vorrebbe, capisce? Ch’io me ne stessi a casa, mi mettessi là fermo placido, come vuol lei, a prendermi tutte le sue più amorose e sviscerate cure... a goder dell’ordine perfetto di tutte le stanze, della lindura di tutti i mobili, di quel silenzio di specchio che c’era prima in casa mia, misurato dal tic-tac della pendola nel salotto da pranzo... Questo vorrebbe! Io domando ora a lei, per farle intendere l’assurdità... ma no, che dico l’assurdità! La macabra ferocia di questa pretesa, le domando se crede possibile che le case d’Avezzano, le case di Messina, sapendo del terremoto che di lì a poco le avrebbe sconquassate, avrebbero potuto starsene lì tranquille, sotto la luna, ordinate in fila lungo le strade e le piazze, obbedienti al piano regolatore della commissione edilizia municipale? Case, perdio, di pietra e travi, se ne sarebbero scappate! Immagini i cittadini d’Avezzano, i cittadini di Messina, spogliarsi tranquilli per mettersi a letto, ripiegare gli abiti, metter le scarpe fuori dell’uscio, e cacciandosi sotto le coperte godere del candor fresco delle lenzuola di bucato, con la coscienza che fra poche ore sarebbero morti... Le sembra possibile?
- Ma forse la sua signora...
- Mi lasci dire! Se la morte, signor mio, fosse come uno di quegl’insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso... Lei passa per via; un altro passante, all’improvviso, lo ferma e, cauto, con due dita protese, le dice: «Scusi, permette? Lei, egregio signore, ci ha la morte addosso». E con quelle due dita protese, gliela piglia e gliela butta via... Sarebbe magnifica! Ma la morte non è come uno di questi insetti schifosi. Tanti che passeggiano disinvolti e alieni, forse ce l’hanno addosso; nessuno la vede; ed essi pensano intanto tranquilli a ciò che faranno domani o doman l’altro. Ora io, caro signore, ecco... venga qua... qua, sotto questo lampione... venga... le faccio vedere una cosa... Guardi qua, sotto questo baffo... qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo... più dolce d’una caramella: Epitelioma, si chiama. Pronunzii, pronunzii... sentirà che dolcezza: epiteli – oma... La morte, capisce? È passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca e m’ha detto: «Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!». Ora mi dica lei, se, con questo fiore in bocca, io me ne posso stare a casa tranquillo e alieno, come quella disgraziata vorrebbe. Le grido: «Ah sì, e vuoi che ti baci?» - «Sì, baciami!» - Ma sa che ha fatto? Con uno spillo, l’altra settimana s’è fatto uno sgraffio qua, sul labbro, e poi m’ha preso la testa: mi voleva baciare... baciare in bocca... Perché dice che vuol morire con me. È pazza. A casa io non ci sto. Ho bisogno di starmene dietro le vetrine delle botteghe, io ad ammirare la bravura dei giovani di negozio. Perché lei lo capisce, se mi si fa un momento di vuoto dentro... lei lo capisce, posso anche ammazzare come niente tutta la vita in uno che non conosco... cavare la rivoltella e ammazzare uno che, come lei, per disgrazia, abbia perduto i treno... No no, non tema, caro signore: io scherzo! – Me ne vado. Ammazzerei me, se mai... Ma ci sono, di questi giorni, certe buone albicocche... Come le mangia lei? Con tutta la buccia, è vero? Si spaccano a metà: si premono con due dita, per lungo, come due labbra succhiose... Ah che delizia! – Mi ossequi la sua egregia signora e anche le sue figliuole in villeggiatura. Me le immagino vestite di bianco e celeste, in un bel prato verde in ombra... E mi faccia un piacere, domattina, quando arriverà. Mi figuro che il paesello disterà un poco dalla stazione... All’alba lei può far la strada a piedi. Il primo cespuglietto d’erba su la proda. Ne conti i fili per me. Quanti fili saranno tanti giorni ancora io vivrò. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando. Buona notte, caro signore.

L. Pirandello - La morte addossoimmagine
 
 
 

Post N° 176

Post n°176 pubblicato il 04 Ottobre 2006 da eatcafe

'Ciò che conosciamo di noi stessi - scrive Pirandello - non è che una parte di quello che noi siamo. E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza che sono veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente".
La tragedia della ragione.  E’ questo il tema che accomuna i due atti unici, vale a dire, la consapevolezza da parte del personaggio dell’impotenza della ragione e tuttavia l’accanimento nel continuare ad usarla tanto da portare ad un uso disperante del ragionamento.
E' a questo punto che nasce il dramma dell'individuo, nel momento cioè in cui egli si rende conto di vivere una vita che non è la sua e passa dal semplice "vivere" al "vedersi vivere". Una vita simile è "una molto triste buffonata; perché abbiamo in noi ,senza sapere né conoscere né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi, con la spontanea creazione di una realtà la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria. Chi ha capito il gioco non riesce più ad ingannarsi; ma chi non riesce più ad ingannarsi ,non può più prendere né gusto né piacere alla vita". Da questa situazione tragica e dolorosa dell'individuo che inutilmente tenta di infrangere la "maschera" per scoprire il "volto" nascono le situazioni strane, assurde paradossali che si incontrano nell'opera del Pirandello e in particolare nel teatro. La impossibilità dunque dell'individuo e della società di fissare una verità assoluta, conduce l'uomo ad annaspare nel buio del mistero che l'avvolge, senza possibilità di raggiungere alcuna certezza.
Tanto dai personaggi de “L’uomo dal fiore in bocca” che da quelli de “La morsa”, si può cogliere l'amarezza, sempre viva in Pirandello, di dover constatare l'incomunicabilità degli uomini fra di loro, questo dover vivere così, estranei e sconosciuti l'uno all'altro, soli nel mondo, in un continuo, inappagato ed irrealizzabile desiderio di approdo alla vita altrui, di attacco con gli altri, di comprensione ripudiata. Nasce così l'incomprensione tra noi e coloro che ci stanno attorno, poiché ognuno parla un linguaggio diverso da quello degli altri, per cui è impossibile stabilire un colloquio. Incomunicabilità, solitudine, incomprensione, aridità sono i caratteri comuni a quasi tutti i personaggi dei drammi pirandelliani
.
Questa posizione di disgusto e di disprezzo del mondo e della vita umana porterebbe irrimediabilmente alla follia e al suicidio, se l'uomo non tentasse in qualche modo di reagire, di trovare una soluzione agli inquietanti interrogativi che la vita gli pone.
"...se mi si fa un momento di vuoto dentro... lei lo capisce, posso ammazzare come niente tutta la vita in uno che non conosco...cavare la rivoltella e ammazzare uno che, come lei, per disgrazia abbia perduto il treno... No, non tema, caro signore: io scherzo! Me ne vado. Ammazzerei me se mai...ma ci sono, di questi giorni, certe buone albicocche... Come le mangia lei? con la buccia, è vero?"

 
 
 

Post n°175 pubblicato il 02 Ottobre 2006 da eatcafe
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Ofelia

Post n°174 pubblicato il 01 Ottobre 2006 da eatcafe

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Post N° 173

Post n°173 pubblicato il 01 Ottobre 2006 da eatcafe

immagineGrigio. Fuori, dentro.

La mia dote è il camaleontismo. Opportunismo?

Grande capacità di autodifesa, direi.

Sono ancora lontana dallo scoprire da cosa e dove derivi questa mia personalità/maschera.

Niente e nessuno ancora ha potuto districare i fili di questa matassa.

Salute cagionevole, paura di morire, separazioni, abbandoni, lutti?

La vita ci porta esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.

Sofferenza come dono?

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Post n°172 pubblicato il 01 Ottobre 2006 da eatcafe
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Mâyâ


L’illusione, il sogno ad occhi aperti che tutti viviamo quasi sempre identificandolo con la
realtà. Vedere, sentire, toccare, gustare, odorare: il funzionamento dei nostri
sensi è retto da operazioni mentali. Quando guardiamo, inconsciamente scegliamo
che cosa vedere, quando ascoltiamo, scegliamo, a un livello subliminale, che
cosa sentire...

È sulla base di queste scelte, determinate da una morale inconscia e meccanica,
che costruiamo il nostro modello del reale.

I Veda affermano che «La mente è il grande distruttore della realtà »



 
 
 

Post N° 171

Post n°171 pubblicato il 01 Ottobre 2006 da eatcafe

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Buonanotte...

 
 
 

Post N° 170

Post n°170 pubblicato il 30 Settembre 2006 da eatcafe

immagineGiorgio De Cesario

 

“Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: “Tu sia benedetta”,
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.

Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e – Dio mio! – tu eri mia.

Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tu svelò
il proprio nuovo significato: zar.

Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.

Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo…

Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.”

Primi incontri

(Pervye svidanija, in A. A. Tarkovskij, Poesie scelte , Milano 1989), traduzione di G. Zappi

 
 
 

Post N° 169

Post n°169 pubblicato il 29 Settembre 2006 da eatcafe

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