Creato da: piccodgl il 29/04/2006
AFFERMANDO LA MARGINALITA' DELLA META; A PATTO CHE SI PERCORRA ONESTAMENTE LA STRADA.

 

 
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Post N° 298

Dalla finestra, qui al quinto piano, oggi il sole gioca con i profili e con le antenne dei palazzi.
Filtra dagli spiragli.
Ombreggia le tegole, allunga le forme e si posa leggero sulla brina delle aiuole.

L’importante, come cantano i Modena, è non cadere dal palco... anche perché niente di diverso è rimasto intentato: ho cercato di parlare, ho fatto finta di non vedere, ho provato a sentire più di quanto il mio istinto mi suggerisse di provare.
Ma non sei entrato davvero, e così stamattina esali dalla condensa delle auto: non ci sei più.
Non ci sei praticamente mai stato.



Mi viene in mente il diablo.
La sigaretta perennemente fra le labbra. Le mani asciutte, le piume ad infastidire la pelle nuda.
Provo a ricordare come mi sentivo fra le tue braccia, ma viene alla mente solo l'ardenza del desiderio che stava nascosto nel silenzio del mio stringerti: desiderio che non fossi tu. Che non fossimo lì. Che non fosse quell'istante.

Rincorro un paio d’occhi neri, unica costante negli anni che si accavallano.
E quei tuoi occhi verdi, bellissimi, oggi non li metto a fuoco perché il sole si trastulla nelle fessure. Anche nelle mie.
Quei tuoi occhi che dipingevano i cieli d’Irlanda mi lasciano muta, non ho più parole per i loro colori, non ci sono strade da battere e niente passeggiate che aprono i polmoni inondandoli d’aria profumata. C’è rimasto quel ricordo, di un bacio sfiorandomi il collo, e quella notte di caffè e di biscotti.

I "miei" occhi neri nella scia delle luci, dal finestrino dell'auto, nel profumo della pizza, sui marciapiedi gonfiati dall'umido della pioggia.
Imbizzarrisco all'idea di non sapermi liberare dalla loro intensità ma, come ho già detto; mi sento meno incoerente nel realizzare che qualcosa di costante c'è in questo mio smazzare le carte ad ogni soffio di vento.

Anche stamane avevo sulle labbra il tuo sapore ma era la fine di un sogno a prendermi la mano alle otto del mattino. E la mia panchina, affogata di pioggia, gelata di neve, abbandonata e voluta dimenticare; torna prepotentemente ad affacciarsi nel tempo che passa.
Sedere ed attendere, tacere e sperare.
...trattengo il respiro: tutto questo m'è innegabilmente familiare.

 
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