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Un blog creato da silvy712 il 29/08/2008

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Il sogno di diventare una mamma

Post n°62 pubblicato il 23 Gennaio 2012 da silvy712
Foto di silvy712

Ho sempre SAPUTO che sarei diventata mamma.

Scrivevo lettere a mia figlio. Raccoglievo fotografie, ritagli di giornale, poesie. Immaginavo come avremmo giocato con le macchinine, e la sera avremmo sparecchiato il tavolo e avremmo giocato a Monopoli tutti insieme. Sarebbe stato divertente.

E non posso dire, in effetti, dopo 1 anno di maternità, che fare la madre non sia divertente. Per me lo è stato. Passato il periodo peggiore, adesso fare la mamma è divertente. Ma prima…

Prima io non sapevo che avere un figlio fosse una cosa così difficile. Ho preso precauzioni tutta la vita, sono rimasta incinta subito appena ho voluto, pensavo che questo fosse ‘normale’. Pensavo che la gravidanza fosse solo un momento, un io+pancia, una condizione che avrei potuto vivere continuando ad essere me stessa, senza stravolgimenti. Pensavo che il parto sarebbe stato doloroso, ma accettabile. Pensavo che, sì, in fondo lo pensavo: l’hanno fatto milioni di donne, prima di me, lo farò anch’io.
Ed effettivamente nel mio caso è stato così.

Mi sono goduta tutta la parte bella della gravidanza. Mi sono goduta le uscite con le amiche, il corso preparto, lo shopping per preparare il corredino. Mi sono goduta le code preferenziali al supermercato, gli sguardi della gente e anche la loro invadenza così fastidiosa per molte.

Pensavo a lui, a mio figlio, come un piccolo cuore da proteggere dentro di me. Contavo i giorni, le settimane, i mesi. Ho festeggiato quando il calendario annunciava 35 settimane: mi sentivo felice  di averlo condotto verso quel traguardo che sembrava impossibile, mi sentivo sollevata al pensiero che ce l’avremmo fatta.

Ho provato i dolori del parto, il travaglio, le contrazioni, l’allattamento. Dopo 37 settimane + 2 giorni sono diventata mamma.

Mentre siamo entrati in sala travaglio/parto ero felicissima all’idea di poter conoscere finalmente il nostro bambino. Ero felice e non vedevo l’ora. Non sentivo i dolori, non avevo paura …. Avevo solo fretta di vederlo nascere. Il viso di mio marito, agitato, emozionato ma pronto per la gioia più grande della nostra vita è stato molto incoraggiante.

Poi, lui, ha pianto. Ha pianto di una voce che io ho riconosciuto, una voce che era dentro di me da sempre, la sua voce, la voce che da sempre e per sempre io sapevo essere la sua.
Con un sacco di capelli dritti sulla testa, e gli stessi occhi giganti e intensi di adesso, mi ha guardata calmo, in silenzio, stretto nel suo lenzuolino bianco. Piccolo e minuscolo come un fiammiferino, grinzoso e roseo, e soprattutto calmo. Era già lui, il Federico di oggi, serafico e convinto, curioso, ironico, divertente e divertito. Mi guardava come se dicesse: dai, rilassati mamma, che sarà mai?

L’ho annusato, tenuto in braccio, ho dormito con lui accovacciato sulla mia pancia, e da allora mi sembra di essere un corpo unico, io e lui, così vicini che i nostri respiri si toccano.

Da quel momento mi sono sentita sollevata. Non ho sofferto di depressione post partum e mi sento molto fortunata, per questo.
Il solo fatto di essere viva insieme a lui, mi ha dato la forza necessaria per affrontare i primi mesi. Mi sono divertita. Ho anche pianto molto. Ho avuto paura di sbagliare. In certi momenti non sapevo cosa fare. Ho avuto tanto sonno, tanto da piangere di disperazione, alle volte, per tutta la stanchezza che sentivo.

Ma la vita, essere viva, avere lui vivo accanto a me… la vita era la forza che mi serviva per affrontare tutto, per risolvere i problemi, per trovare una soluzione.

Sono cresciuta. E’ passato un anno da allora. Ho riso molto e lavorato molto e costruito molto.

Ma devo essere sincera ho sviluppato una consapevolezza che io prima non avevo avuto, un pensiero che non avevo capito prima: che diventare madre non è automatico, non è scontato,  a volte non è neppure possibile. Credo che in me ci sia anche un bambino-non-nato.

Il mio bambino-non-nato è la paura, l’aver capito che diventare mamma è stata solo una fortuna, e che la mia gravidanza tutto sommato semplice non era che una piccola insignificante goccia nel mare del dolore di chi non ha avuto figli, non ha potuto averne, ne ha cercati senza trovarli.

Federico mi ha insegnato con forza l’amore per la vita, ma il  mio bambino-non-nato ha saputo insegnarmi il rispetto, la compassione, l’amore incondizionato per tutti coloro che non hanno potuto ricevere il dono di diventare genitori.

E’ cambiato tutto, da allora, per me. Capire di essere una privilegiata mi dà la responsabilità di fare il meglio possibile, di fare di più, di vivere la maternità come un dono che mi è stato fatto e che non era affatto scontato.

E in me oggi, ogni giorno, grazie a questo bambino-non-nato, c’è il pensiero per le madri che non sono ancora diventate madri, la speranza per la loro vita, il desiderio di condividere con loro la buona notizia che sembra non arrivare mai.

Oggi vivo con la speranza di sapere che questo dono è stato fatto anche a loro, e che presto arriverà un bambino nella loro vita, e che la vita le chiamerà a vivere, e che la storia finirà come devono finire tutte le storie: vissero per sempre felici e contenti. Per sempre felici e contenti.

 
 
 

DA KAKA’ A ROONEY …. LE STELLE STANNO A GUARDARE

Post n°61 pubblicato il 16 Giugno 2010 da silvy712
Foto di silvy712

Chi li ha visti? Eppure c'erano.

Dovevano luccicare, brillare, lasciare scie nei cieli del Sudafrica.

Nessuna traccia. Le stelle stanno a guardare. I fenomeni se la prendono con calma. Saranno le vuvuzelas che stordiscono. O quel freddo pungente che t'entra nelle ossa. Oppure solo la stanchezza e i calcioni di una stagione logorante.

Di  certo, il buio.

Gol, dribbling, guizzi, giocate da clip mondiali, non s'è visto niente. Un turno completo o quasi e neanche un'emozione. Classe operaia in paradiso, per ora.

I talenti verranno.

L'ultimo flop, Kakà ieri. Sostituito per disperazione.

Un album di figurine mancanti.
Cristiano Ronaldo è rimasto al palo.
Drogba  c'ha messo solo la voglia. Con quel braccio così è limitato. I bomber steccano, i fantasisti stentano.

Messi più bello che utile: solo parate del portiere.
Il nostro Gila triste
e
solitario in area. Gourcouff ha giocato sulle punte. Rooney non ha salvato la Regina.
Eto'o s'è perso, Stan
kovic e gli olandesi li stanno ancora cercando.

 
 
 

Vuvuzelas, uno sciame eto-sconvolgente

Post n°60 pubblicato il 16 Giugno 2010 da silvy712
Foto di silvy712

 

 

Nella storia delle patologie auricolari, il Mondiale di calcio disputato in Sudafrica nel 2010 resta un’esperienza sconvolgente, in cui effetti catastrofici, a distanza di decenni, continuano a segnare il destino dell’umanità.

In quell’anno, infatti, le partite vennero seguite negli stadi sudafricani da un pubblico che manifestava la sua partecipazione soffiando a più non posso nelle “vuvuzelas”, trombette monotubo variamente colorate.

Va subito detto che quegli strumenti facevano parte della cultura di quella terra e, dunque, meritavano il rispetto che si deve a usi e tradizioni di un paese.

Il fatto è che negli stadi le “vuvuzelas” erano suonate da innumerevoli spettatori e che, dunque, ne sortiva un effetto sonoro continuo, un rumore sordo senza variazioni di intensità, qualunque cosa accadesse sui campi di calcio.
Il problema che subito si manifestò è che le partite erano trasmesse attraverso la tv e, dunque, arrivavano in milioni, forse miliardi di case sparse per tutti i continenti. Con il risultato di trasferire nel salotti e nelle cucine del mondo quel frastuono no-stop, quell’onda sempre identica a se stessa, quello stordente e reiterato spartito di mille e mille trombettieri.

Va detto che le proteste montarono. I calciatori erano furiosi perché non riuscivano a parlarsi in campo. Quanto agli spettatori, all’inizio si chiesero cosa mai fosse quel magma audio che s’infilava nelle orecchie dal primo all’ultimo minuto di un match. Un immenso sciame di zanzare. Un protratto mugugno di insofferenza collettiva. Un disturbo sul canale internazionale delle comunicazioni. La vicinanza di un aeroporto in cui non cessavano di partire e atterrare aerei. Non ci volle molto a scoprire di cosa si trattava. Le vuvuzelas.

Allora, dagli angoli più remoti si levarono furibonde lamentazioni. Basta, cacciatele vie, mettete la sordina alle trombette e il bavaglio ai trombettisti. Si aggiunsero anche gli otorini. Spiegarono che quei decibel illimitati comportavano una strage delle cellule sensoriali dell’orecchio interno.

Ma il Comitato organizzatore non volle sentirci. Non è possibile, replicò, siete ospiti, rispettate please la nostra cultura e il nostro modo di festeggiare. E’ così che il mondo diventò sordo. Per sempre.

 
 
 

OBAMA E QUEI CALCI AL SEDERE

Post n°59 pubblicato il 09 Giugno 2010 da silvy712
Foto di silvy712

Deve aver perso proprio le staffe.

L

umore nero presidenziale doveva avere raggiunto il troppo pieno che precede lesplosione quando allintervistatore della Nbc ha saettato: «voglio sapere esattamente di chi è il sedere che devo prendere a calci».
Maniere spicce, senza giri di parole, perché le parole non bastano più e neanche gli appelli, gli inviti e la speranza fiduciosa in un tappo che arresti finalmente quella pernacchia
della terra che irride al progresso, alle multinazionali e purtroppo anche alle promesse elettorali. 

Obama sente che la marea più scura della storia delle eco-catastrofi sta per ridipingere e ricoprire la Casa Bianca, sogna milioni di barili sulla Pennsylvania Avenue e non ce la fa più a tenersi.

Anche perché di tempo ne è passato, gli esperimenti per controllare lo sbuffo micidiale nel fondo dell’oceano dopo campane, iniezioni, seghe collassate, solo adesso, forse, cominciano a dare qualche risultato. Ma Obama non si fida. Davanti a lui ci sono i pennuti oliati dallo sguardo perso e incredulo, la folla dei pescatori di quattro o cinque States, che non si rassegnano a tirar su bitume per i prossimi anni e così gli albergatori che guardano in lacrime pari alla stizza le beach asfaltate.
E allora ecco il tono da spezzeremo le reni alla Grecia, che nemmeno un
John Wayne da 
berretto verde.
Perché Obama lo sa, se lui non scopre presto di chi è quel sedere, toccherà al suo.

 
 
 

Elio Germano e il Premio a Cannes

Post n°58 pubblicato il 27 Maggio 2010 da silvy712
Foto di silvy712

Pochi giorni fa un premio di grande importanza quale il Prix d'Interprétation Masculine è stato assegnato durante il Festival di Cannes al miglior attore dei film nella selezione ufficiale, ai due migliori, in realtà: Javier Barnem (ottimo attore di fama internazionale) e il nostro Elio Germano.
Durante la premiazione, l'attore italiano ha rilasciato una dichiarazione su cui non entro nel merito, che di politico in senso stretto aveva ben poco ma che evidentemente era sufficiente a scatenare un caos mediatico, a mio parere senza senso.

La dichiarazione di Germano è stata tanto grave da occupare tanto spazio in tutti i media, dimenticando (o tralasciando) la vera notizia?
Che dopo 23 anni un italiano ha vinto il premio per miglior attore del più importante festival di cinema del mondo.
Che dopo Tognazzi, Mastroianni (2 volte), Giannini e Gassman, un altro grande attore del nostro paese è stato riconosciuto come tale.
Non è forse questa la notizia?

 
 
 
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