Sogno e realtà

Vita di Donna - Dora Maar


Figlie, mogli, amanti, sorelle e persino cugine. Spesso, ancora oggi,  le Donne nel quotidiano sono etichettate in base ai rapporti di parentela o dei legami affettivi con i maschi. Quando il legame è con una figura come quella di Picasso anche la caratura d’artista delle immagini di Dora Maar viene offuscata da questa presenza che ha segnato la vita stessa di Dora attirata nella “trappola” della disistima e schiacciata dalla definizione dell’Amante di Picasso, quella musa inquieta che ha ispirato il maggior numero delle sue opere defraudata dell’amore di sé stessa. Henriette Theodora Markovich (1907-1997) in arte Dora Maar. Splendida Donna. Grandissima Fotografa di talento smisurato inseparabile dalla sua rolleifex, dotata di curiosità intellettuale che le permetteva di muoversi con sicurezza  in ogni ambito culturale, indipendente, anticonformista. Di Lei scriveva James Lord “Si avvertiva immediatamente quando ci si trovava in sua presenza che quella non era una donna comune. Non era bella in senso classico, ma era un tipo che non si dimenticava facilmente. C’era nei suoi occhi una luce, uno sguardo straordinariamente luminoso, limpido come il cielo di primavera. Aveva una bella voce, una voce singolare, unica. Non ho mai conosciuto nessun altro con una voce come la sua. Era come un gorgheggio nel canto degli uccelli.” Le foto pubblicitarie le servivano per il sostentamento, ma nel tempo libero amava  sperimentare nuove tecniche d’avanguardia per l’epoca e con i mezzi a disposizione. Montaggi di immagine ad effetto: tagli prospettici e deformazioni, doppie esposizioni e collages, insieme con una serie di immagini a sé, in cui ritrae angoli di città e scene di degrado urbano e sociale, strade ove la povertà è evidente, a portata di sguardo: clochards, vecchi mendicanti, volti segnati dalla miseria e dalla fame. Questo sarà un versante sempre aperto della sua personale e continua ricerca.Il suo amante genio crudele diceva: “Le sue fotografie mi ricordano le tele di De Chirico. Rappresentano spesso un lungo tunnel con in fondo la luce e un oggetto piuttosto difficile a identificarsi perché in controluce”L’incontro con Picasso è ad effetto. L’ingresso di Dora Maar è ad effetto. La donna indossa dei guanti neri, ricamati con dei piccoli fiori rosa, che sfila per prendere un coltello appuntito; lo pianta sul tavolino tra gli spazi delle sue dita, ma manca il colpo per una frazione di millimetro, e ricopre di sangue una delle due mani. Questo basta a Picasso per innamorarsi di Dora Maar e custodire gelosamente i suoi guanti in una vetrina.Ma che fosse amore o ossessione reciproca nessuno può capirlo, di certo una simbiosi di energia che sfocia in un lavoro febbrile. Lui riprende la sua opera e la ritrae continuamente. Dora ama fotografare Picasso a lavoro, e forse inconsapevolmente riesce a realizzare nella storia dell’arte moderna il primo reportage fotografico di un’opera d’arte in corso di esecuzione “Guernica”, una dei più importanti capolavori del XX secolo di cui segue con precisione ogni fase di lavoro, e ci suggerisce la spiegazione dei forti contrasti di luce che costituiscono la violenza dell’enorme tela. Ma Dora Maar non ha cambiato la storia dell’arte come Pablo Picasso a nessuna donna sarebbe stato concesso all’epoca uno spazio abbastanza grande e un’autorevolezza abbastanza solida per farlo. E nonostante sia passato così tanto tempo neppure oggi figuriamoci in un'epoca in cui i surrealisti esprimevano la contraddizione tra l’essere (e vivere) all’avanguardia e considerare le donne in modo retrogrado e conservatore calpestando dignità e stima delle loro compagne. André Breton, in particolare, teorizzò la differenza tra femme fatale e femme-enfant. Entrambe, secondo lui, godevano della prerogativa di esprimere le forze primordiali della natura, l’inconscio individuale e collettivo. Ma la prima coincideva in qualche modo con la strega, ed era pericolosa per l’uomo perché aveva il potere di soggiogarlo. Quindi andava tenuta a distanza. Se guardassimo i registri dei manicomi vedremmo quante donne erano rinchiuse perché osavano rivendicare il loro diritto ad essere femmina. La seconda, la donna-bambina, era la musa per eccellenza: ispiratrice inconsapevole, giocattolo erotico e bambola perversa, canale passivo per permettere al maschio creatore di accedere alle fonti dell’energia creatrice. E forse per questo Picasso volle tirare nella trappola Dora, facendole lasciare l’attività a lei più congeniale della fotografia in cui poteva brillare ai suoi livelli per convincerla a diventare una mediocre pittrice così da poterla distruggere psicologicamente e ridurla a sua bambola soffocandola ogni giorno di più fino a farle dire  : “Solo io so quello che lui è (…), è uno strumento di morte, (…) non è un uomo, è una malattia” Da Malamore esercizi di resistenza al dolore di Concita De Gregorio  “Tutti pensavano che mi sarei uccisa dopo il suo abbandono. Anche Picasso se lo aspettava. Il motivo principale per non farlo fu privarlo della soddisfazione.” La casa è buia, le persiane sono chiuse. Fredda, i pochi mobili sono addossati alle pareti come se ci fosse stata una festa da ballo, lì, secoli fa. Alle pareti solo ritratti di lei. Che piange, che verde ha la pelle, che guarda con occhi accecati da spilli, che ha mani lunghe di uccello e artigli scarlatti. Che sta composta con le mani sul grembo, incrociate, della testa manca una parte come se un chirurgo l’avesse asportata, disturbava, era piena di buio e di dolore, mezza testa di meno e labbra tese, lo sguardo diritto e preciso che non sorride mai. Il chirurgo – Lui. …… … “ho migliaia di ritratti. Me ne ha fatti migliaia… non era me che disegnava… … vedeva qualcosa oltre me, qualcosa di sé. Ho migliaia di ritratti fatti da lui. Nessuno è Dora Maar. Sono tutti Picasso.” Dora é una sopravvissuta al femminicidio morale, alla distruzione dell’io perpetrata ai suoi danni con continuità. Ma Dora è una Donna che si rialza e benché solo al termine del percorso psicanalitico, ritrova la forza di riprendere in mano la propria esistenza. L’aspetta un altro mezzo secolo di vita. Solo molti anni dopo, già anziana, a settant’anni, si riavvicina alla fotografia, e con un rinnovato spirito di ricerca, utilizzando materiali sempre diversi. Eppure basterebbe una foto agghiacciante, scattata da Dora del 1936, Père Ubu, che raffigura un cucciolo di armadillo come simbolo del potere dittatoriale, o quelle impronte sulla sabbia come impronte incise nell'anima per riflettere sulla complessità e profondità delle sue intuizioni. Autonome.
Per Ubu
Empreintes de pieds sur le sable 1931Il mondo urbano con le sue dissonanze di un silenzio assordante
      Silence  1935  
           Garcon avec un chat dans les bras,  appuye contre une vitrine         I corpi e i nudi artistici visto con la sensibilità dell'occhio femminile
Femme de dos assise devant un miroir 1938
Male Nude with Orb 1935La doppia esposizione di nuove immagini dove l’elemento inconscio la fa da padrone anche con invenzioni metafisiche
  Assia  1934           
 
Portrait of Picasso