«Dal ministero indagine su 800 cani morti nel
fango»

Prima cosa: «Chiedo subito un piano di revisione per la
sicurezza dei canili, una mappatura delle strutture per porre rimedio laddove
sono state costruite in riva ai fiumi e d evitare che altre possano sorgere
lungo i corsi d’acqua». Seconda: «Ringrazio Guido Bertolaso e i veterinari della
Protezione Civile con i quali abbiamo seguito gli interventi per evitare il
peggio nei canili romani in questi giorni di piena. Ma resta il fatto che il
grave episodio in provincia di Reggio Calabria, con il decesso per annegamento
di una miriade di piccoli indifesi, ci impone di intervenire per il futuro,
anzi, già ora per il presente, con un’indagine del ministero e dei Nas». Il
sottosegretario Francesca Martini interviene a caldo mentre la pioggia ha
mietuto vittime anche nei canili. Il fatto di cronaca più eclatante è purtroppo
quello che si è registrato al canile di Rizziconi. Ecco le parole con le quali
la volontaria Federica Carratelli, amica de la Padania, ci ha inviato appena è
stato possibile entrare nella struttura: «Mi sono recata al canile Dolly Dog..la
scena che si è presentata ai miei occhi era orribile! Sul posto vi erano alcuni
veterinari dell’ASL di zona tra cui il dottor Marra e il dottor Monea, il signor
Fava gestore del canile rifugio Happy Dog, l’amministratore del canile “Dolly
dog” signor Pentimalli Carmine e l’in - gegnere che gestisce il canile. Tutti
erano lì per dare un aiuto a quei poveri sventurati… o ai pochi sopravvissuti.
Il fango e l’acqua hanno spazzato via il canile. Il fango era ovunque e dalle
foto si può capire l’orrore vissuto da quei poveri cani! Le morti erano ingenti…
cani seppelliti dal fango… alcuni rimasti attaccati alle reti e lì morti
soffocati mentre l’acqua e la melma li opprimevano! Alcuni addirittura sugli
alberi di arance, alberi che avevano lo scopo di dare ombra e refrigerio durante
l’estate! Non posso dimenticare un cane, zoppo, che miracolosamente si è salvato
così come si è salvato Totò (così l’ha chiamato il gestore del canile) cane
tripode… ma tanti altri no… tanti altri sono morti o scappati, per un totale di
800! Perché una tragedia del genere in un questo posto? I cani sopravvissuti al
momento vengono trasferiti nei canili vicini, ma da quando è successa la
tragedia a questa mattina alle 11 nessuno della protezione civile locale o altri
sono intervenuti! Hanno mandato fax a chiunque… prefetto… regione… ma hanno
bisogno della protezione civile perché sono in stato di emergenza!». Ora dal
ministero un’indagine per capire le ragioni di questo dramma.


S. Marco Lamis - Fame e struscio di Don Matteo
Don Matteo
è lì da due anni. Con due zampe davanti che per la legge della fisica lo
proiettano come due leve sul cammino. E con due zampe dietro, che per la legge
di chi lo ha investito e mai soccorso si proiettano sotto il corpo, orpelli
utili per un degno baricentro da randagio. Don Matteo è vivo per miracolo,
miracolato dalle mani che lo avevano persino spinto, in quelle condizioni,
dentro un canale in secca. Avrebbe fatto la fine del topo nel pozzo. Per
misericordia chi l’ha salvato gli ha dato il nome del santo al quale è dedicato
il Santuario cappuccino. Siamo a due passi da S. Giovanni Rotondo, eppure da
queste parti lo spirito francescano aleggia con fatica, alcune anime sono di
piombo. Volano molto basse. E i cani non li accarezzano, spesso li bastonano,
anche sulla pubblica piazza. Don Matteo è la cartolina di San Marco in Lamis, un
comune d el l’entroterra garganico. Il suo sindaco, l’av - vocato Michelangelo
Lombardi, per risolvere il problema del randagismo, «e delle aggressioni alle
persone», come si giustifica a viva voce, ha vietato la somministrazione di cibo
ai cani vaganti. Anche a Don Matteo. Così, in più, non intralciano la strada,
magari non ostacolano i pellegrini, e non sudiciano la strada con gli avanzi.
Un’ordinanza sullo stile di quella del suo collega Di Fabio, a Campobasso,
sospesa dal Tar. Un’altra eccezione alla legge 281 del ’91 per la quale il
sindaco è il responsabile del destino, della cura, del benessere degli animali.
«Ma anche della sicurezza dei cittadini», ribatte il sindaco. Lei difende l’o
rdinanza, nonostante tutto? I cani vanno catturati, non affamati. «Infatti non
abbiamo multato nessuno -ribatte -. L’ordinanza era necessaria perché i cani
stazionando nello stesso luogo dove vengono cibati, diventano territoriali e
aggressivi con gli estranei». Perché allora non li catturate e portate in
canile? «I canili in zona non hanno disponibilità. Speriamo nell’ap ertura di
quello di S. Giovani Rotondo». Mi parli del piano sulle sterilizzazioni. Le
fate? «Le realizziamo nell’uf - ficio ecologia». Microchip ai cani? «Pur e». Sta
di fatto che S. Marco è un pezzo di quella Puglia sotto la lente d’in -
grandimento per l’inca - pacità di controllare e annullare il fenomeno del
randagismo. La pensa così Antonietta Torelli, una volontaria che del braccio di
ferro col Comune ne ha fatto una missione. Denuncia di essere stata estromessa
dal rapporto di collaborazione con l’Asl. Denuncia l’inesistenza di un vero
piano di sterilizzazioni. Denuncia che i volontari continuano a far tutto. L’Asl
sta a guardare. Don Matteo, il bipede, è l’emblema del fallimento. Antonietta
Torelli lo accudisce assieme ad altri branchi dimenticati dal mondo civile. Ma
quel maremmano è accudito con pietà anche cristiana da un coraggioso cappuccino,
padre Francesco. Racconta con timore e rispetto gerarchico verso le sue
autorità, il suo “peccato” francescano: dà cibo ai derelitti che anche Francesco
il santo accudiva. D’altra parte, se un santo avvicinava i lupi, potrebbe un
cappuccino temere dei randagi affamati più che la reazione degli uomini? Il mite
e molto sensibile francescano invita al rispetto di tutte le creature, e nel
silenzio del cuore giudica assurde le leggi umane che negano i diritti degli
animali. «Troppi cattivi esempi», si limita a commentare il frate buono. Che
invita a soluzioni di «conforto». Che prega anche affinché il sindaco si prenda
a cuore la situazione. Padre, le stiamo facendo fare uno strappo alla regola?
«Posso solo invitare proprio i cristiani, i religiosi, tutti, a dare il buon
esempio. È un invito a riscoprire la bellezza dello spirito francescano ».
Inattaccabile. Un invito ad amare e a dare voce ai senza voce non può essere
motivo di richiamo. «Lei, sa, fa una bella cosa a scrivere di queste cose. Ci
vuole più umanità verso gli ultimi. L’ha visto il filmato di quel cane, in Cile,
che cerca di portare in salvo il suo compagno investito? Come si fa a rimanere
insensibili quando si vede un cane che trascina un altro cane per tutte e tre le
corsie dell’auto - strada incurante del rischio? Lui si è fermato per dare
soccorso, mentre gli esseri cosiddetti ragionevoli, raziocinanti, perché non
sono “be - stie”, non si sono fermati ». Padre Francesco è una voce che rompe
l’in - differenza delle soluzioni spicce. Sulla stampa locale suoi sono gli
scritti sulla rivista locale Spe - rone Nuovo a commento di poesie dedicate agli
animali. «È un elogio alle anime francescane che si prendono cura degli animali
abbandonati», spiega. Un ulteriore suo intervento uscirà sul giornale dei frati
minori di S. Michele Arcangelo, Azio - ne francescana. S. Marco in Lamis, è lo
specchio di un disastro: in Puglia ci sono 120 canili con una media di 330 cani
a testa. I cani randagi sono più 70mila, che prolificano decine di migliaia di
cuccioli l’an - no. In Puglia, ogni anno, vengono spesi 50 milioni per mantenere
l’incapa - cità dei sindaci di combattere l’abbandono. Di recente il Cicto, il
comitato internazionale svizzero contro il fenomeno dei maltrattamenti, ha
effettuato il suo tour in Puglia, in cerca di adozioni, mentre parallelamente
l’org anizzazione dei veterinari in azione provvede a sopperire alle
inadempienze delle sterilizzazioni da parte delle Asl. Secondo Raffaela Vergine,
dell’associazio - ne Zampa libera, di Lecce, in un parto di 10 cuccioli, il 50%
sono femmine. Dopo sei mesi, da una sola femmina, nel giro di due anni, si
arriva a 2.380 cani. Il fenomeno non si stronca con le ordinanze, con i canili
lager convenzionati, ma con misericordia e legge. Né con le minacce giunte dopo
le ultime denunce di stampa e tv ai volontari. «Mi piacciono tutti gli animali
tranne quelli che strisciano a terra», conclude frate Francesco. «Così come gli
uomini che strisciano», precisa. Una benedizione non guasta.

Questo e' Don Matteo, sta a S. Giovanni Rotondo, Stefania Piazza ha scritto
un articolo su di lui.. su La Padania
www.chiliamacisegua.org
Ora bisogna passare all'azione..portarlo prima di tutto a Roma..metterlo
al sicuro..curarlo per quanto si possa e poi la nostra Stefania vorrebbe
trovargli una situazione definitiva vicino a lei a Milano..
Le richieste
sono due,
Prima di ogni altra cosa un aiuto economico, io da sola non ce
la faccio...
E secondo trovare tra Milano e Como una pensione in via
definitiva o quasi...(salvo saltasse fuori un adozione..magari...)













Cani “sepolti vivi” sul colle a Galeata. La Lega
insorge

Cani, canili, randagismo E denaro pubblico. Qualcosa non
torna a Galeata, in provincia di Forlì. Chiamarlo canile a 4 stelle è dura:
ripari contro il freddo? Contro la pioggia? Contro la neve? Macchè. Sono cani.
Possono creapare al freddo. In quella collina arroccata sull’ap - pennino pare
ci siano solo nove box-cucce. Quaranta cani devono farsele bastare. Così come
devono farsi bastare l’ac - qua corrente che non c’è, l’illuminazione poco
certa…. Eppure siamo in un canile pubblico, nel territorio di chi si professa
animalista, ambientalista. Una situazione che invoca compassione, giustizia,
prima che a fine inverno si debba fare la conta dei sopravvissuti, delle fatture
delle carcasse spedite all’inceneritore. Ripagate con denaro pubblico. Tanto,
sono cani, e per di più lontani dalla civiltà, in un luogo impensabile da
raggiungere, antidoto alla propensione all’ado - zione. In questo “af fare” chi
vuoi che ci pensi o venga a metterci dentro il naso? Tutto a posto, per i
veterinari dell’Ausl locale? Tutto in regola per il sindaco? Tutto in regola per
le associazioni di volontariato che gravitano su quel colle o che conoscono i
fatti? Un silenzio troppo impenetrabile e colpevole stupisce e ferisce. Fino a
ieri. Poi, la segnalazione di un militante leghista della prima ora, Sergio
Cavalli, animalista convinto. Oggi, il gran botto in Regione Emilia Romagna. Ci
ha pensato il consigliere regionale Mauro Manfredini a rompere l’indifferenza
politica interrogando non solo la Regione ma informando la stessa procura di
Forlì. «Gli animali sono costretti a vivere in pessime condizioni - denuncia
l’esponente della Lega Nord - per di più la dislocazione del canile determina un
eccessivo isolamento degli animali, e potrebbe ripercuotersi negativamente sul
loro comportamento, rendendoli meno socievoli. Di più: si trova in cima ad una
collina, in una zona isolata. Per arrivarci è necessario percorrere una strada
particolarmente accidentata, che rende indispensabile l’utilizzo del
fuoristrada». Adozioni, quindi, impossibili. Gaelata è una tomba per chi vi
entra. «Dal momento che ci troviamo di fronte a un’evidente violazione dei
diritti degli animali, fissati dalla Dichiarazione universale sancita nel 1978,
ho presentato un’interrogazione alla giunta per sapere per quali motivi questi
40 cani sono stati trasferiti dal canile comprensoriale di Forlì al canile
pubblico di Galeata, quanti soldi pubblici sono stati spesi per una struttura
nella quale i cani vivono in condizioni estremamente disagevoli». Per quale
ragione è stato costruito un “canile” «in questa orribile struttura; per quale
motivo con tutto il territorio a disposizione è stato scelto proprio questo
terreno fuori da ogni rotta, in cima ad un greppo, dove non può arrivarvi
alcuno?». Dal territorio viene lanciato un ulteriore appello a Carabinieri,
Guardia di Finanza, Forestale, alle Guardie Zoofile ed Ecologiche affinché si
indaghi su Galeata e sui suoi “galeotti”, i 40 cani reclusi in barba alla legge
che vieta il maltrattamento. Gli invisibili di Galeata ora non sono più soli,
“sepolti” vivi dall’indifferenza.


Stefania Piazzo