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Castellammare: scissioni e guerre a oltranza tra clan orfani dei vecchi boss


MAURIZIO CERINO Castellammare. In principio era il clan Maresca, gestore del contrabbando di sigarette in grande stile. Oggi operano una serie di microclan, capeggiati da figli o nipoti che nulla hanno del carisma dei parenti; stringono alleanze, le rompono nel giro di mezza giornata, spesso lo fanno a tradimento. Chi comanda chi: difficile stabilirlo. Le scissioni si susseguono, gli scissionisti si affrontano al rione Santa Caterina o nella zona di Scanzano. E si ammazzano per un nonnulla. Foss’anche per uno sguardo di troppo, per ribadire la supremazia sul territorio, o meglio una fettuccia di territorio, a volte anche un solo marciapiede. Anni ’70-’80: la camorra dei guappi. Era «don» Alberto Maresca l’uomo d’onore di Castellammare, signore del contrabbando di sigarette. Poi venne «’o professore» di Ottaviano, Raffaele Cutolo con la sua Nco. E subito vi fu contrapposizione: gli anticutoliani si chiamavano «Nuova famiglia». Era la camorra degli schieramenti precisi, dei riti di iniziazione e di ammissione, delle regole certe su donne, bambini e vecchi, che non andavano sfiorati. E se appena appena, durante una missione di morte c’era la possibilità di coinvolgere un estraneo, il commando assassino ritornava sui propri passi. Erano anche i tempi delle faide da trecento morti all’anno. Guerra finita: anche a Castellammare i vecchi boss spariscono. Chi in carcere, chi al cimitero. Sopravvive un duro dei nuovi tempi, Michele D’Alessandro. Il suo gruppo è quello vincente. E detta regole ferree. Fino a quando non finisce in carcere, il 23 marzo 1984, e affida il clan all’ex sindacalista dei cantieri navali Mario Umberto Imparato. Alla scarcerazione del boss per decorrenza termini, il 29 luglio 1988, segue lo scisma tra i due amici fraterni, Michele e Umberto. La data ufficiale dell’esistenza del clan Imparato è il 13 ottobre 1988 quando, per la prima volta, la polizia giudiziaria ottiene riscontri di «ricoveri» sul monte Coppola - divenuto nel tempo l'Aspromonte dei Lattari - dei seguaci di Imparato, fuoriusciti dal clan D’Alessandro. La successiva faida al 1991 conterà 33 morti. Umberto Imparato, primula rossa da sempre, muore in un «controverso» conflitto a fuoco con le forze dell’ordine, sempre sul monte Coppola, nel marzo 1993. Il 21 aprile 1989 è la conferma ufficiale dello scisma: è il giorno della strage delle Terme stabiane dove viene ucciso Vincenzo D’Alessandro, fratello del boss, con alcuni uomini della sua scorta. Dopo la morte di Imparato, un nuovo capitolo si apre, quello del clan Afeltra. Per debellarlo il 5 dicembre 1996 tra Agerola e Pimonte intervennero i Nocs. Gli anni ’90 terminano nel caos più totale e la musica non cambia per questo scorcio di 2000: il clan Imparato è inesistente, confluito nei Di Martino-Carfora-Afeltra. La cosca di D’Alessandro subisce un nuovo scisma: quello degli Omobono-Scarpa. Questi ultimi verranno debellati con gli arresti, i D’Alessandro da arresti ma anche dai delitti. Così come in quest’ultimi mesi: gli omicidi di Carmine D'Antuono, Nunzio Mascolo e Antonio Vitiello sono il barometro di una reale rottura degli equilibri. I D’Alessandro sono guidati dal latitante Enzo, figlio di Michele; i fratelli Pasquale e Luigi sono in carcere, come il cugino Pasquale, figlio di Vincenzo, vittima della strage delle Terme. Chi comanda chi: difficile dire chi ha dato l’ordine di uccidere ieri Gino Tommasino. il mattino