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Viaggio in Vesuviana con stop obbligatorio a Castellammare


Una storia di ordinario disservizioParlo senza quel potere arrogante, sbandierato a tutto spiano da persone senza scrupoli, o anche da delinquenti che, catturati dopo anni di latitanza, invece di chinare il capo, ridono guardando la telecamera che li riprende, noi spettatori irrisi da tanta ribalderia. Parlo e scrivo con la condizione di giornalista, ossia di testimone, ovvero di persona che osserva e riporta, nemmeno commentando, perché tanti fatti lo fanno da soli, senza soffocare lo sdegno e l’indignazione, la rabbia e la vergogna, nonostante la vocazione sia di far emergere quel solito amore, grande e generoso, per la città tanto amata, la patria che sta per essere celebrata nei suoi centocinquanta anni di vita. Lo preannuncia dai nostri teleschermi un bambino meraviglioso che, con aria dolcissima e faccetta pulita, dice “Auguri Italia”. E vengo al fatto. In un giorno come un altro, vado a prendere il treno della Circumvesuviana che collega Napoli a Sorrento. Sono le sei del mattino, la città dorme, la metropolitana è deserta e, in una città di un milione di abitanti, in piazza Amedeo mi sento l’ultima sopravvissuta. Sia come sia salgo sul direttissimo delle 6,41 dove leggiucchio, studio, prendo appunti e guardo quel mare immenso alla mia destra e l’ancor più immenso Vesuvio, “non sterminator (spero) ma creator Vedevo” che amo e spero continui a dormire il sonno del giusto. A Castellammare un movimento inconsulto spinge tutti fuori dal treno. Nessun avviso, nessuna parola ma solo uno spingi-spingi e una corsa verso la piazza dominata dalle palme, dal Monumento ai caduti e dal Gran caffè Spagnuolo che, data l’ora, è chiuso. Sembra di rivivere quei fuggi fuggi dei giorni del terremoto di trenta ani fa, tornati prepotenti nella mente da quando il Tg3 regionale ha deciso di ricordarlo ogni mattina , preannunciando lo special che andrà in onda proprio oggi, credo alle 12,30. Questa fuga concitata e senza parole mi appare incivile. Sono spinta e stretta tra centinaia di operai, studenti, lavoratori che nella piazza borbottano: «Si sono abbattuti gli alberi sui binari…I tronchi impediscono al treno di proseguire… Arriveranno i pullman per Vico Equense e poi si vedrà». Nella confusione un freddo della malora che coglie chi è in pullover piuttosto che con giaccone. Nessuno sa cosa fare. Nessuno che abbia detto qualcosa. In centinaia piegati dalla pazienza atavica che Giuseppe Marotta definì “L’oro di Napoli”. La rabbia mi sale dentro e penso che nessun essere umano meriti un comportamento senza parole. Dov’è la comunicazione civile ? E il senso di umanità? Dove sta andando l’Italia tutta e la nostra città? Possibile che in epoca in cui tutti hanno i telefonini, nessuno, dico nessuno, abbia potuto avvertire noi viaggiatori ma anche un vigile, un responsabile comunale o del traffico, un titolare di automezzi o almeno abbia avuto il senso corretto della comunicazione e/o della fratellanza? Guardando il cielo e la gente muta avrei fatto un comizio. Il freddo incalzante, l’indignazione per la disinformazione, il disprezzo per l’indifferenza mi spingono ad andarmene a piedi. Nel primo tiepido sole del mattino, guardo Castellammare, terra di Viviani e Ruccello, Arturo Cirillo e Antonio Latella e chissà di quanti altri intellettuali che onorano la nostra storia. La villa comunale è bellissima con il palco della musica, il mare è scintillante nel sole e un autobus di linea è fermo sul lungomare. Penso di potermi avvicinare a Sorrento. Perché, in pausa, l’ autista gentile Alfonso Lucarelli della linea 7 nero mi dice: “Salga che almeno prende calore e avanza verso la sua destinazione”. Il mio problema lo risolve un persona gentile, chiamata al telefono. È passata oltre un’ora. Ho camminato per tre chilometri: da Castellammare a Vico, catturata da un panorama da alba del mondo: mare immobile e Vesuvio emergente dall’ acqua. Peppe Chierchia Troiano, dell’impresa di costruzioni Troiano, molto attiva in Penisola sorrentina, è accolto con gratitudine. Dopo un necessario cappuccino caldissimo, il percorso in auto verso casa diventa un volo. Fortunata per aver trovato un angelo custode. Non basta però ad attenuare la mia rabbia, perché sempre con la stessa indignazione provata all’alba, mi domando: «E tutti gli altri che staranno facendo?». Giuliana Gargiulo - Il Roma