DICIAMO NO

TMW SAMDORIA E LA TESSERA DEL TIFOSO


Ricordo ancora con commosso trasporto le domeniche allo stadio, quando ero bambino, insieme a mio padre e a mio fratello, poco più grande. Era la Samp di metà anni ’90, frizzante, farfallona e capace di tutto, dalla più entusiasmante impresa alla più impensabile batosta. Era la Samp che lanciò nell’Olimpo del calcio i vari Seedorf, Chiesa, Montella, Veron ecc. Per chi non abitava a Genova, come me, era necessario un breve viaggio in treno, nei treni di allora, con ancora gli scompartimenti ed i sedili in pelle. Una volta giunto a Brignole, a volte non senza qualche contrattempo, iniziavo a vedere la gioiosa processione dei Doriani lungo il tragitto fino allo stadio. Una volta arrivati, un’oretta prima del fischio d’inizio, mio padre si metteva in fila ai botteghini del Ferraris per comprare i biglietti, senza posto assegnato, e talvolta doveva difendersi dall’ “assalto” dei bagarini che cercavano di propinargli i biglietti che avevano previamente acquistato. L’ingresso allo stadio era un’incredibile esplosione di colori blucerchiati, con tutte quelle persone che cantavano, dall’inizio alla fine dell’incontro, cori che non riuscivo ancora a capire. E l’odore di pipa, intensissimo sugli spalti, che io tuttora associo alle mie prime felici esperienze allo stadio. Alla fine delle partite, spesso tiratissime, defluivo verso la stazione, insieme a molti altri supporters, alcune volte in un clima di entusiasmo generale e contagioso, altre, purtroppo, il risultato maturato mi strappava qualche lacrimuccia… Ma non mi ricordo che fossero mai avvenuti incidenti. Tuttavia non sono così ingenuo da non capire quanto allora tutto fosse idilliaco agli occhi di un bambino, da ritenere che non avvenissero incidenti al di fuori dello stadio. Almeno, non più di quanti ne avvengano ora. Oggi, quando torno a casa dei miei genitori e decido di consacrare la mia domenica all’amata Sampdoria, devo innanzitutto iniziare il lungo iter dell’acquisto del biglietto, che mi porta giocoforza a perdere una mezza giornata a Genova. Intendiamoci, se lo faccio per lei non mi pesa… Il giorno della partita, poi, devo scendere con almeno un paio d’ore di anticipo per tutelarmi da eventuali code ai tornelli (si veda il derby di quest’anno). Una volta entrato, subisco spesso perquisizioni degne di un narcotrafficante, nelle quali mi viene puntualmente ritirato l’accendino oppure, come il maggio scorso a Roma per la finale, sono costretto a bere mezzo litro d’acqua in trenta secondi. Così sono pronto, casomai volessero analizzarmi anche le urine… Lo spettacolo all’interno della curva, nonostante il grande impegno profuso dai nostri ultras, è reso sempre meno colorato, a causa del divieto di introdurre tamburi, megafoni e le sempre maggiori restrizioni su coreografie e striscioni (ma che male fanno?). E adesso aspettiamo trepidanti di vedere cosa succederà dopo la tessera del tifoso. A Bologna ho avuto il piacere di conoscere due amici inglesi, che ho adeguatamente indottrinato e affezionato alla Samp, tanto da convincerli a seguirmi a Genova per il derby. Quanto è stato difficile spiegar a loro che cos’è la tessera, perché i nostri tifosi protestassero e non avessero risposto alla coreografia genoana e quanto lo spettacolo ne avesse perso rispetto solamente a pochi anni fa. Per gente abituata a circolare per strada senza nemmeno un documento di riconoscimento, come la carta d’identità, pareva di assistere ad una farsa dell’assurdo. Davvero non capivano perché un tifoso per accedere allo stadio avrebbe dovuto ottenere il placet dalla Questura. Non li biasimo: neanch’io lo comprendo. Ma quello che più ha stimolato la mia riflessione, in questo interessante confronto, è la presa di coscienza di quanto arrogante e avvolgente stia diventando l’occhio del “Big Brother”, e quanto noi ormai ci stiamo assuefacendo a questo stato di cose. In fondo, molti si faranno la tessera del tifoso, che lo stesso Zamparini ha definito “una misura fascista”, perché è la naturale prosecuzione delle riforme per “mettere in sicurezza lo stadio” e perché “porta anche molti vantaggi”. Con un unico effetto collaterale: azzera la nostra libertà. A tale proposito ho letto con amarezza le dichiarazioni in cui il nostro presidente, generalmente molto ponderato e sensibile ai temi di lotta contro il “Palazzo”, nonché ai problemi dei tifosi, ci invitava a rinunciare alla lotta per le nostre libertà, perché non avrebbe portato a nulla. Se l’arte propria del suo ruolo “politico” è la mediazione, capisco la sua posizione filo-istituzionale, per il bene della Sampdoria, così come capisco il suo lucido realismo dopo anni di frequentazione del cinico mondo degli affari, ma chiederci di rinunciare a priori alla nostra libertà è impossibile. Almeno non prima di aver fatto sentire la nostra voce...