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Post N° 31

Post n°31 pubblicato il 23 Marzo 2008 da francescalc.mi

OBESITA’

LE PREMESSE AFFINCHE’ UNA DIETA POSSA DIRSI DAVVERO EFFICACE

L’obesità o eccessivo soprappeso è una condizione estremamente limitante la vita della persona sia sul piano fisico che psicologico.

Per questo un intervento limitato all’ambito corporeo può non essere efficace quanto un sostegno olistico alla persona che tenga conto cioè dell’inscindibile connessione tra mente e corpo.

Quante persone, pur perdendo peso mantengono un forte disagio causato da una persistente insoddisfazione corporea? Quanti trascorrono un’intera esistenza alternando diete rigide a periodi fuori controllo in cui recuperano il  peso iniziale, la cosiddetta “sindrome della fisarmonica”?

Quando ciò accade?

Quando si interviene tenendo conto unicamente del dato fisico – il peso corporeo -  e non si verifica prioritariamente se il disagio è connesso al corpo o alla mente.

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Sul piano psichico la percezione che abbiamo del nostro corpo non è mai obiettiva ma mediata dal nostro sistema cognitivo ed emotivo e legata alla sensazione soggettiva di noi stessi, dello spazio in cui ci esprimiamo, della modalità mediante cui entriamo in contatto con gli altri ed andiamo nel mondo.

A questi aspetti vanno aggiunte le influenze di tipo culturale, perchè gli stimoli ambientali influenzano inevitabilmente la nostra percezione corporea ed il livello di soddisfazione conseguente.

Partendo da questi presupposti cercheremo ora di delineare l’origine psicologica del disturbo, al fine

ž          di rendere evidente come la nostra storia personale condizioni l’immagine corporea che abbiamo di noi stessi

ž          di mostrare una prospettiva efficace da cui procedere per effettuare un intervento davvero utile.

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L’impostazione psicoanalitica della crescita evolutiva prevede fasi di sviluppo il cui successo porta al superamento delle stesse e coincide con la formazione della personalità adulta. Viceversa, problematiche inerenti a ciascuno stadio sono causa di fissazioni o regressioni i cui effetti permangono nell’adulto, divenendo costituenti di personalità.

Nei primi anni di vita la modalità di relazionarsi all’ambiente è connessa alla bocca, veicolo di nutrimento e piacere. La madre “nutrice”, costante, affettiva, capace di contenimento gratifica il bisogno del bambino permettendo il superamento della fase evolutiva orale. Uno sviluppo adeguato di tale stadio permetterà all’adulto di saper dare  e ricevere, di entrare in contatto con l’altro in modo sano ed equilibrato.

Una relazione ambivalente, incostante, anaffettiva con la madre potrà essere invece causa di comportamenti regressivi e di forte dipendenza dalle figure di attaccamento nella vita adulta. La psicoanalisi interpreta queste dinamiche come riedizioni dell’ antica relazione conflittuale con la madre. Allo stesso modo ricorrere al cibo diviene una strategia compensativa in situazioni emotivamente frustranti o di vuoto esistenziale e l’atto di “ingerire” assume il valore di un “atto liberatorio”.

Daagli anni ’50 in poi, le ricerche di J. Bowlby e collaboratori (Ainsworth 1977) sullo sviluppo dell’attaccamento nella prima infanzia confermano l’importanza delle figure genitoriali nella formazione della personalità. In particolare un attaccamento “ansioso – ambivalente” caratterizzato dall’incostanza della figura materna, da un suo contenimento discontinuo, dall’esercizio di un controllo anaffettivo o iperprotettivo  genera una personalità compiacente (per ricevere accoglienza), bisognosa di accudimento (quello stesso mai completamente ottenuto nell’infanzia) dipendente ed insicura. La fame d’amore è insaziabile per questo adulto, che, appena pacificato, né ha bisogno di nuovo a verifica del proprio valore. Il cibo, in tale contesto, può rappresentare dunque un sostitutivo di bisogni affettivi insoddisfatti.

Da tali ricerche emerge il ruolo fondamentale dei primi attaccamenti nello sviluppo della personalità. La qualità delle relazioni  e l’espressione emotiva all’interno del nucleo familiare  vincolano in modo massiccio lo sviluppo dei figli. Condizioni di solitudine interiore, vuoto affettivo o la trasmissione di messaggi contraddittori possono essere alla base dell’obesità, laddove la ricerca di cibo diviene modalità compensativa ad un vuoto emotivo.

Sulla stessa linea, la scuola gestaltica che riconosce diversi schemi di personalità che originano dalle modalità utilizzate per entrare in contatto con l’ambiente. Così con il termine introiezione definisce una strategia relazionale organismo/ambiente  improntata ad “ingoiare”  in maniera bulimica  indistintamente quanto proviene dall’esterno.

 Assimilare in modo sano l’esperienza ed il cibo, prevede invece la capacità di discriminare ciò che è nutriente da ciò che è velenoso, per poi “digerirlo”, vale a dire elaborarlo e farlo parte di sé.

Tale modalità è pertanto disfunzionale e di frequente correlata a disturbi alimentari.

Inoltre la  teoria gestaltica definisce confluenza un ulteriore modalità relazionale individuo/ambiente. La personalità confluente non è in contatto con l’altro, bensì ambisce a divenire tutt’uno con ciò che è alieno da sé, aspirando ad una fusione ideale con  ciò che è altro. Tale attitudine porta la persona a non percepire alcun confine tra sé  e l’ambiente, a “risucchiare” gli altri, ad essere intrusiva, come anche a subire intrusioni (non percependo i propri confini) nel timore di essere lasciato solo, abbandonato.

Ciò può, comprensibilmente, rendere disagevole e frustranti  i rapporti affettivi, professionali e sociali ed il cibo può in tal caso divenire  modalità compensativa a cui aggrapparsi generando problemi di dipendenza.

In ultimo il pensiero berniano offre ulteriore conferma alle teorie sopra citate. Partendo dal presupposto che i modelli familiari sono alla base della visione del mondo che sviluppa nell’infanzia (copione di vita), eventuali modalità cognitive, comportamentali ed emozionali disfunzionali presenti nell’ambiente familiare  offrono precisi modelli interpretativi e di interazione rispetto alla realtà (es. abitudini alimentari, bisogno di piacere agli altri, anaffettività, rigidità o freddezza emotiva…) possono in taluni casi perpetuare o generare schemi disadattivi.

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Questi brevi cenni alle varie scuole di pensiero permettono di confermare l’importanza di un adeguato approfondimento psicologico che orienti - qualora necessario - l’intervento terapeutico di supporto alla cura dietologica.

Sappiamo infatti quanto le memorie inconsce influenzino il modello interiore di noi stessi, inclusa la percezione corporea (si pensi al caso in cui anche dopo una dieta rigida, la persona continua a percepirsi grassa). Lo schema interiore è infatti più costante e persistente di quello esteriore.

Ed i vantaggi del mantenersi in soprappeso spesso dipendono da antichi bisogni insoddisfatti assolutamente inconsapevoli: bisogni affettivi, bisogno di protezione, di essere accettati e accolti. Lo strato adiposo che ricopre il corpo può inoltre rappresentare una difesa, una barriera rispetto ad un ambiente vissuto come ostile od ostico da affrontare. L’essere robusti può assumere infine una valenza di potere e forza o può servire ad “esserci”, ad occupare lo spazio circostante.

Intervenire sugli elementi che hanno costituito la patogenesi dell’obesità significa offrire al cliente la possibilità di

ü        elaborare i propri vissuti giungendo ad una consapevolezza profonda di sé e delle dinamiche che inconsapevolmente mette in atto

ü       utilizzare in alternativa modalità più adattive e funzionali di soddisfare i suoi bisogni

ü       rinforzare il fragile Sé affinché ogni altro intervento sul piano nutrizionale sia davvero efficace.

Sul piano terapeutico, un approccio di counseling integrato, che cioè utilizzi i modelli teorici sopra esposti in modo sinergico, può rivelarsi particolarmente incisivo, permettendo di orientare l’intervento alle specifiche esigenze e caratteristiche di personalità del cliente.

 

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